SENTENZA N. 109
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZI'
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1968 dal tribunale di Como nel procedimento penale a carico di Caronti Desiderio, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969.
Visto l'atto di costituzione di Caronti Desiderio;
udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1970 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;
udito l'avv. Stefano Benzoni, per il Caronti.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico del signor Desiderio Caronti, tratto a giudizio direttissimo per il reato di diffamazione a mezzo della stampa, il tribunale di Como, accogliendo un'eccezione sollevata dalla difesa dell'imputato, ha proposto una questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 21 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.
Nell'ordinanza, emessa il 20 dicembre 1968, il tribunale, rilevato che la disposizione de qua non impone la necessità dell'interrogatorio dell'imputato "prima della richiesta per citazione direttissima", ritiene non manifestamente infondata la questione sulla base della considerazione che dall'omissione dell'interrogatorio - nel sistema processuale richiesto a garanzia dei diritti fondamentali della difesa, tutelati dall'articolo 185, n. 3 del codice di procedura penale in relazione all'art. 24 della Costituzione - può derivare grave pregiudizio all'interessato.
2. - La difesa del Caronti - costituitasi innanzi a questa Corte con atto di deduzioni del 12 aprile 1969 - mette anzitutto in evidenza le caratteristiche peculiari del giudizio direttissimo previsto dalla legge sulla stampa rispetto alle norme generali contenute, a proposito dello stesso rito, nel codice di procedura penale: l'art. 502 di tale codice, in quanto presuppone l'arresto in flagranza ed impone il previo interrogatorio, detta una disciplina di favore per l'imputato, giacché persegue la finalità di evitargli una lunga carcerazione preventiva e di consentirgli di essere subito giudicato, di essere subito assolto se innocente, di ottenere la libertà provvisoria o la sospensione condizionale della pena; la legge sulla stampa, invece, non prevede l'interrogatorio, rende obbligatorio il rito direttissimo, prescinde dalla flagranza, istituisce, insomma, un regime di rigore che comporta evidente violazione dei diritti della difesa.
Dopo aver sostenuto che la disposizione impugnata ha per effetto anche una diminuzione dei poteri spettanti al pubblico ministero in ordine all'esercizio dell'azione penale, la difesa del Caronti richiama una recente sentenza della Corte, che a suo avviso imporrebbe "l'istruzione formale, non essendo sufficiente quella sommaria": a maggior ragione dovrebbe essere ritenuta illegittima l'esclusione dell'interrogatorio, nel corso del quale l'imputato avrebbe potuto spiegare le ragioni che lo indussero a scrivere l'opuscolo incriminato, con importanti conseguenze ai fini dell'applicazione dell'art. 133 o, addirittura, dell'art. 42 del codice penale.
3. - Nell'udienza pubblica la difesa del Caronti si é ulteriormente soffermata sulle profonde differenze fra il rito direttissimo disciplinato dal codice processuale e quello imposto dalla legge impugnata, differenze che devono indurre a ritenere che il secondo violi i diritti di difesa dell'imputato. La difesa ha concluso chiedendo che l'art. 21 della legge sulla stampa venga dichiarato costituzionalmente illegittimo.
Considerato in diritto
1. - L'esame dell'art. 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 - contenente "disposizioni sulla stampa" - deve essere mantenuto nei limiti precisati dall'ordinanza di rimessione. Questa non denuncia l'intero terzo comma, in forza del quale al giudizio per i reati commessi col mezzo della stampa si procede col rito direttissimo, ma solo quella parte di esso che, non prevedendo "la necessità dell'interrogatorio dell'imputato prima della richiesta di citazione", ad avviso del giudice a quo, proprio a causa di tale esclusione, contrasterebbe col diritto inviolabile di difesa garantito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione. La Corte, pertanto, non può esaminare altri e diversi aspetti della disciplina contenuta nella disposizione denunciata, sui quali si é soffermata la difesa del Caronti implicitamente sollecitando un controllo di costituzionalità ben più ampio di quello richiesto dall'ordinanza del tribunale di Como.
2. - Nell'interpretare la disposizione che forma oggetto della presente questione occorre muovere dalla premessa, già enunciata da questa Corte nella sentenza n. 56 del 1961, che la legge sulla stampa, nel disporre il rito direttissimo, si riferisce "ad un giudizio direttissimo già esistente nell'ordinamento, vale a dire al giudizio direttissimo quale é disciplinato dal codice di procedura penale". Tale principio, giustificato dalla considerazione che altrimenti non si saprebbe ove reperire quelle regole del procedimento sulle quali la legge speciale tace del tutto, non implica tuttavia che tutte le norme dettate dagli artt. 502 e seguenti del codice di procedura penale debbano essere applicate al procedimento in esame. Ed invero occorre di volta in volta accertare, come nella precedente ricordata occasione la Corte fece a proposito del c.d. termine a difesa, se si tratti di norme strettamente inerenti alle ipotesi ed alla disciplina contemplate nel codice processuale ovvero di norme riferibili a qualunque caso di giudizio direttissimo.
Per quanto riguarda l'attuale questione deve essere anzitutto precisato che, nel caso in cui l'imputato di reato commesso a mezzo della stampa sia stato assoggettato ad una misura di detenzione preventiva, la doverosità della immediata assunzione dell'interrogatorio discende dalle norme del codice processuale, che la impongono, in via assolutamente generale e quale che sia il tipo del procedimento in corso o da promuovere, a tutela della libertà personale ed in vista dei provvedimenti in proposito demandati all'autorità giudiziaria (cfr., ad es., per le ipotesi di arresto in flagranza gli artt. 245 e 246 cod. proc. pen.). Il problema di interpretazione della disposizione impugnata si restringe, perciò, alla sola ipotesi nella quale si proceda contro un imputato libero. Esso va risolto tenendo conto della circostanza che, mentre nei casi previsti dall'art. 502 del codice di procedura penale (arresto in flagranza o reato commesso da persona arrestata, detenuta o internata per misura di sicurezza) al rito direttissimo, che é facoltativo, si può procedere solo "se non sono necessarie speciali indagini", la legge sulla stampa, imponendo quel rito come obbligatorio, prescinde da siffatto presupposto. Si può, pertanto, affermare che nel sistema previsto dal codice l'interrogatorio dell'imputato - a parte la sua funzione in relazione all'arresto, della quale innanzi si é discorso - risponde all'esigenza che il procuratore della Repubblica disponga di tutti gli elementi, anche di quelli offerti dall'imputato a propria difesa, idonei ad orientarlo in ordine alla valutazione della necessità di speciali indagini: risponde, cioè, ad una esigenza che é del tutto estranea al rito direttissimo per i reati commessi col mezzo della stampa, rispetto al quale non esiste l'alternativa del normale procedimento istruttorio.
In base alle esposte considerazioni si può concludere, conformemente alla premessa dalla quale muove l'ordinanza di rimessione ed alla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, che l'art. 21, terzo comma, della legge in esame non impone che si proceda all'interrogatorio dell'imputato prima che sia promosso il giudizio direttissimo.
3. - Passando all'esame della legittimità costituzionale della disposizione interpretata nei sensi anzidetti, é di rilievo decisivo la circostanza che, poiché per i reati commessi col mezzo della stampa il legislatore ha imposto in ogni caso il giudizio direttissimo (con una scelta sulla quale la Corte non é stata chiamata a pronunciarsi), manca ogni interesse dell'imputato ad offrire subito, a mezzo del previo interrogatorio, quegli elementi di discolpa che, comunque, non potrebbero essere valutati se non dal giudice del dibattimento.
Vero é che nel processo penale l'interrogatorio - col quale si realizza una precisa contestazione del fatto, si rendono noti all'imputato gli elementi di prova a carico e gli si offre la possibilità di discolparsi e di indicare le prove a suo favore - costituisce importante strumento di esercizio del diritto di difesa. Tuttavia ai fini che interessano l'art. 24 della Costituzione la necessità della sua previsione normativa deve essere valutata in riferimento alle particolarità del tipo di procedimento che di volta in volta viene in considerazione e dei provvedimenti che l'autorità giudiziaria può adottare. Con ciò si vuol dire che, nel rispetto della norma costituzionale, l'interrogatorio é doveroso tutte le volte in cui la mancata sua assunzione possa risolversi in effettivo e concreto pregiudizio del diritto di difesa: non lo é, invece, quando la struttura stessa del processo consenta di identificare un momento processuale prima del quale quel pregiudizio non può verificarsi. Ed é in applicazione di questo principio che la Corte da un lato ha dichiarato illegittima l'esclusione dell'interrogatorio quando il pretore proceda ad atti istruttori (sent. n. 33 del 1966
) o qualora si debba pervenire al proscioglimento istruttorio con formula diversa da quella che il fatto non sussista o non sia stato commesso dall'imputato (sent. n. 151 del 1967), dall'altro ha dichiarato non fondata la questione nel caso della procedura per decreto di condanna (sent. n. 27 del 1966) e della mancanza di interrogatorio prima del decreto pretorile di citazione a giudizio (sent. n. 46 del 1967). In questo secondo gruppo di ipotesi é stato ritenuto, infatti, che razionalmente la legge ha escluso la necessità di preventive esplicazioni di quel diritto di difesa che in un successivo momento processuale potrà essere spiegato in tutta la sua ampiezza e senza ricevere pregiudizio dagli atti precedenti. Nel caso in esame é evidente che, mancando del tutto un'attività istruttoria, é nel dibattimento e solo nel dibattimento (cfr. sent. n. 11 del 1965 e n. 16 del 1970) che sorge un concreto ed effettivo interesse alla difesa e, quindi, all'interrogatorio. L'omissione di quest'ultimo prima della citazione a giudizio direttissimo non reca perciò svantaggio alcuno all'imputato e in nessun modo menoma il diritto garantitogli dall'art. 24 della Costituzione. La questione deve essere perciò dichiarata non fondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma terzo, della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (contenente "disposizioni sulla stampa"), nella parte in cui non prevede l'interrogatorio dell'imputato prima della citazione a giudizio direttissimo, proposta dall'ordinanza indicata in epigrafe in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1970.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 26 giugno 1970.