Sentenza n. 56 del 1961
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SENTENZA N. 56

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 13 luglio 1960 dal Tribunale di Trapani nel procedimento penale a carico di Vento Antonio, iscritta al n. 77 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 216 del 3 settembre 1960;

2) ordinanza emessa il 12 luglio 1960 dal Tribunale di Trapani nel procedimento penale a carico di Di Giovanni Leonarda, Graziano Giuseppe e Galante Ignazio, iscritta al n. 78 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 223 del 10 settembre 1960.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 21 giugno 1961 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

udito il vice avvocato generale dello Stato Achille Salerni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

In due procedimenti penali, instaurati con rito direttissimo presso il Tribunale di Trapani, a carico l'uno di Di Giovanni Leonarda ed altri, per il reato di cui all'art. 725 Cod. pen., in relazione all'art. 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (offerta in vendita di copie di riviste con disegni e fotografie tali da offendere la pubblica decenza), l'altro a carico di Vento Antonio, per il reato di cui all'art. 23 della stessa legge, in relazione all'art. 595 Cod. pen. (diffamazione a mezzo della stampa), la difesa degli imputati, non avendo ottenuto il termine a difesa ai sensi dell'articolo 503, secondo capoverso, Cod. proc. pen., sollevava questione di legittimità costituzionale del predetto art. 21, ritenuto contrastante con l'art. 24 della Costituzione.

Il Tribunale, con due ordinanze, del 12 e del 13 luglio 1960, dall'identico contenuto, premesso che al giudizio con rito direttissimo previsto dalla legge sulla stampa non potrebbero applicarsi le norme generali del Codice di procedura penale sul giudizio direttissimo, dichiarava la questione non manifestamente infondata e, sospeso il procedimento, rimetteva gli atti alla Corte costituzionale.

Le ordinanze, debitamente comunicate e notificate, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, nn. 216 e 223.

Il 13 agosto 1960 si costituiva in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri con atto di intervento e deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato.

Nelle sue deduzioni l'Avvocatura afferma che al rito direttissimo disposto dalla legge sulla stampa possono sempre applicarsi, se compatibili, le norme sul giudizio direttissimo quale é, in via generale, preveduto dal Codice di procedura penale; e tra queste é la concessione del termine a difesa. Di ciò é chiara conferma anche nella relazione premessa alla legge sulla stampa, nella quale si rilevò che si era ritenuto opportuno di non elaborare norme particolari, ma di far capo al sistema procedurale vigente e alle norme sul giudizio direttissimo ivi previste, in quanto applicabili. L'Avvocatura conclude richiedendo che si dichiari non fondata la questione di legittimità costituzionale.  

Considerato in diritto 

Data la identità dell'oggetto, le questioni sollevate con le due ordinanze del Tribunale di Trapani sono da decidere con unica sentenza.

La Corte ritiene priva di fondamento l'affermazione, contenuta nelle due ordinanze, secondo la quale il giudizio direttissimo, disposto dall'art. 21 della legge sulla stampa, non soggiace alle norme che per l'analogo rito sono contenute nel Codice di procedura penale, con la conseguenza di una asserita impossibilità di applicazione dell'art. 503 del detto Codice per ciò che riguarda la concessione di un termine a difesa.

Anche senza prendere in considerazione i lavori preparatori della legge 8 febbraio 1948, n. 47, nei quali é pur dato riscontrare un riferimento esplicito alle vigenti norme sul giudizio direttissimo in quanto applicabili, é lo stesso testo della norma impugnata che di per sé vale ad eliminare ogni dubbio in proposito. L'art. 21, dopo aver stabilito, nei commi primo e secondo, che la cognizione dei reati commessi a mezzo della stampa spetta al Tribunale senza possibilità di rimessione del procedimento al Pretore, dispone nel terzo comma che "al giudizio si procede col rito direttissimo". Questa disposizione implica logicamente il riferimento (con la conseguente applicabilità, in via generale, delle relative norme) a un giudizio direttissimo già esistente nell'ordinamento, vale a dire al giudizio direttissimo quale é disciplinato dal Codice di procedura penale. Se così non fosse, non soltanto la disposizione dell'art. 21 non avrebbe senso, ma non avrebbe possibilità di concreta applicazione.

É da escludere, pertanto, che possa ritenersi valida l'affermazione di una inapplicabilità delle norme del Codice di procedura penale sul giudizio direttissimo al rito speciale disposto dall'art. 21 per i reati di stampa. Resta solo a stabilire se una incompatibilità possa in particolare sussistere fra un tal rito e la norma relativa alla concessione del termine a difesa. Ma é da escludere che la incompatibilità possa avere un qualsiasi fondamento, se si consideri da un lato che la concessione del termine a difesa é espressione del principio, energicamente riaffermato dal secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, per il quale "la difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento", e dall'altro che, nelle finalità proprie del rito direttissimo disposto per i reati di stampa, nulla é dato scorgere che possa dirsi elemento di contrasto con la norma generale relativa alla concessione del termine a difesa. Dovendosi, pertanto, ritenere una tale norma applicabile anche nel rito speciale per i reati di stampa, é da escludere che possa dirsi fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con le due ordinanze del Tribunale di Trapani.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

pronunciando con unica sentenza nei giudizi riuniti indicati in epigrafe:

dichiara non fondata la questione, sollevata con le due ordinanze del 12 e 13 luglio 1960 del Tribunale di Trapani, sulla legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 1961.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1961.