SENTENZA N. 68
ANNO 1962
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente
Prof. Gaspare AMBROSINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti promossi con i seguenti ricorsi:
1) ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 28 settembre 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 6 ottobre 1960 ed iscritto al n. 20 del Registro ricorsi 1960, per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione siciliana, sorto a seguito del decreto dell'Assessore per le finanze della Regione siciliana 16 maggio 1960, n. 424, concernente speciali regimi d'imposizione dell'imposta generale sull'entrata per l'anno 1960;
2) ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 12 giugno 1961, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 17 giugno 1961 ed iscritto al n. 7 del Registro ricorsi 1961, per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione siciliana, sorto a seguito del decreto dell'Assessore per le finanze della Regione siciliana 18 febbraio 1961, n. 356, concernente speciali regimi d'imposizione una volta tanto dell'imposta generale sull'entrata per l'anno 1961 per alcune categorie di entrate.
Udita nell'udienza pubblica del 30 maggio 1962 la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e gli avvocati Guido Aula, Giovambattista Adonnino e Pietro Virga, per la Regione siciliana.
Ritenuto in fatto
La legge regionale siciliana 30 giugno 1956, n. 40, ha attribuito all'Assessore per le finanze la facoltà preveduta dall'art. 10 del D.L. Lgt. 19 ottobre 1944, n. 348 (determinare, cioè, speciali regimi d'imposizione dell'imposta generale sull'entrata), oltre che per le entrate derivanti dagli atti economici indicati nel detto articolo e per quelli previsti dall'art. 9 del D.L. Lgt. 7 giugno 1945, n. 386, dall'art. 12 del D.L.C.P.S. 27 dicembre 1946, n. 469, dall'art. 13 del D.L. 3 maggio 1948, n. 799, dall'art. 11 della legge 7 gennaio 1949, n. 1, dall'art. 8 della legge 29 dicembre 1949, n. 955, e dall'art. 3 della legge 4 marzo 1952, n. 110, anche per le entrate derivanti dal commercio delle fave secche e della manna.
L'Assessore con decreto 3 febbraio 1960, n. 174, ha determinati i cennati regimi speciali in analogia a quanto era stato disposto, per il restante territorio dello Stato, con decreto ministeriale 14 dicembre 1959, n. 177912, estendendo, peraltro, l'imposta alle carrube e all'uva passa.
Con altro decreto 16 maggio 1960, n. 424, ha poi modificato tale suo provvedimento per quanto attiene al momento impositivo e alle modalità di pagamento del tributo.
Con atto 28 settembre 1960, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha proposto ricorso per regolamento di competenza, assumendo che il decreto 16 maggio 1960, n. 424, esorbita dalla competenza attribuita agli organi esecutivi della Regione dall'art. 20 dello Statuto della Regione siciliana in relazione all'art. 36 dello stesso e all'art. 23 della Costituzione, in quanto detti organi in materia tributaria possono svolgere funzioni esecutive ed amministrative entro i limiti non solo delle leggi costituzionali, ma anche dei principi ed interessi cui si informa la legislazione statale relativamente ai singoli tributi. Principi ed interessi che sarebbero stati nella specie pretermessi, essendo il ripetuto provvedimento assessoriale in contrasto con il decreto ministeriale 14 dicembre 1959, n. 177912, con la legge 16 dicembre 1959, n. 1070, oltre che per quanto attiene al momento impositivo e alle modalità di pagamento del tributo, anche per quanto riflette le aliquote di imposta e l'estensione della medesima, già effettuata con il precedente decreto 3 febbraio 1960, n. 174, alle carrube e all'uva passa.
Nelle more del giudizio l'Assessore ha emanato il decreto 18 febbraio 1961, n. 356, del tutto identico a quello 16 maggio 1960, n. 424, salvo l'adeguamento delle aliquote in conformità dei principi fissati nella legge 16 dicembre 1959, n. 1070.
In riferimento a detto decreto 18 febbraio 1961, n. 356, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato nuovamente conflitto di attribuzione con atto notificato al Presidente della Giunta regionale siciliana il 12 giugno 1961 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 17 dello stesso mese.
Nel ricorso si rileva che il decreto 18 febbraio 1961, n. 356, stabilisce anch'esso che per atto di immissione in consumo (cioè quale momento dell'imposizione) deve intendersi la vendita dei prodotti (ortoflorofrutticoli, della pesca, delle uova, dei conigli e della cacciagione) effettuata dai dettaglianti e dai produttori diretti, nonché l'acquisto di essi presso chiunque da parte di chi li consuma direttamente per il proprio commercio o per la propria industria. E prescrive, quale forma di pagamento, quella dell'abbonamento a norma delle disposizioni relative del titolo primo del decreto assessoriale 30 dicembre 1953 (canoni ragguagliati al volume degli affari) anche per i venditori che siano produttori diretti.
La legge 16 dicembre 1959, n. 1070, invece, ha escluso, in via generale, dall'imposta l'ultimo passaggio, quello dal dettagliante al consumatore, e in relazione a questo principio generale i decreti ministeriali n. 177912 del 14 dicembre 1959 e n. 151612 del 24 dicembre 1960 hanno disposto che l'atto di immissione in consumo si concreta con l'acquisto dei ripetuti prodotti da parte degli esercenti, con l'acquisto effettuato esclusivamente presso produttori grossisti, nella ipotesi di acquirenti che consumano tali prodotti direttamente per il proprio commercio o per la propria industria, ovvero per i produttori diretti, con il passaggio dei ridetti prodotti dal luogo di produzione ai negozi di vendita al pubblico. E l'imposta é dovuta nei modi e nei termini consueti, cioè in base a fattura o ad altro documento da rilasciarsi, di volta in volta, in doppio esemplare, all'atto della vendita e, per i produttori diretti, in base a documento all'atto del menzionato passaggio.
Nel provvedimento assessoriale sono compresi, infine, prodotti o non contemplati (carrube) o espressamente esclusi (uva passa) dai ripetuti decreti ministeriali.
Ciò posto, si deduce che l'Assessore ha esorbitato dai limiti della funzione amministrativa, usurpando le funzioni che la Costituzione (art. 23) riserva al potere legislativo dello Stato o, quanto meno, della Regione, violando l'art. 10 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 348, e successive modificazioni, nonché la legge 16 dicembre 1959, n. 1070.
La violazione dei principi e criteri direttivi cui si ispira in materia la legislazione dello Stato, quali si evincono dalle leggi statali al riguardo e, più specificamente, dalla legge 16 dicembre 1959, n. 1070, nonché dai cennati decreti del Ministro per le finanze, che quei principi hanno attuato (decreto ministeriale 14 dicembre 1959, decreto ministeriale 24 dicembre 1960), integrerebbe, a sua volta, inosservanza dei limiti che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, gli artt. 36 e 17 dello Statuto della Regione siciliana, in relazione anche all'esigenza unitaria del sistema fiscale nazionale, pongono all'attività della Regione in materia tributaria, sia essa esplicata con leggi o con provvedimenti amministrativi.
In entrambi i ricorsi, relativamente al decreto con ciascuno di essi impugnato, si conclude chiedendo che la Corte dichiari l'incompetenza della Regione e, per essa, dell'Assessore alle finanze ad emanare le norme contenute nel provvedimento assessoriale e, quindi, l'annullamento del medesimo.
La Regione siciliana, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale, rappresentato e difeso per atto notaio Di Giovanni dagli avvocati Guido Aula e Giovambattista Adonnino, con elezione di domicilio presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Tronto n. 20, si é costituita depositando in cancelleria le proprie deduzioni il 17 ottobre 1960 (per il ricorso n. 20 del 1960) e il 27 giugno 1961 (per il ricorso n. 7 del 1961).
In tali deduzioni, sostanzialmente di identico contenuto, si fa presente che il ricorso é inammissibile perché i rilievi in esso addotti, ove fossero fondati, rifletterebbero questioni di legittimità, violazioni di leggi nazionali, difformità rispetto ad alcune norme tributarie in atto vigenti nello Stato, sviamento dalle direttive del Governo dello Stato. Tutte questioni che non riguardano attribuzioni della competenza ad emanare un determinato atto in dipendenza della interpretazione o applicazione di una legge costituzionale.
Nelle deduzioni relative al ricorso n. 7 del 1961, l'inammissibilità, si afferma, conseguirebbe altresì dal fatto che il ricorso stesso é stato proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e non dallo Stato in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore.
Nel merito, poi, in entrambe le deduzioni si osserva:
a) che il decreto impugnato non esorbita dai limiti fissati dalla legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, la quale ha attribuito all'Assessore le facoltà necessarie al fine di determinare speciali regimi di imposizione dell'imposta sull'entrata. Tutte le disposizioni di esse attengono inequivocabilmente al regime di imposizione dell'I.G.E.;
b) che il decreto impugnato non viola i principi ai quali si informa la legislazione nazionale in materia;
c) che altrettanto é a dirsi del contrasto con il regime tributario del restante territorio dello Stato;
d) che parimenti inammissibile e comunque infondata é da ritenersi la censura secondo la quale l'attività amministrativa che l'Assessore avrebbe svolto "in spreto alle leggi vigenti" rappresenta "concreto esercizio di attività legislativa riservata all'Assemblea".
La Regione conclude chiedendo che la Corte dichiari inammissibili i ricorsi e, subordinatamente, che li rigetti nel merito.
Sia l'Avvocatura dello Stato che la Regione siciliana hanno presentato nei termini memorie illustrative.
La Regione, in quelle depositate il 13 aprile 1961, rileva preliminarmente che il ricorso é stato proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore nei confronti del Presidente pro-tempore della Regione siciliana e non dallo Stato italiano, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, nei confronti della Regione siciliana, in persona del suo Presidente pro-tempore.
L'art. 134 della Costituzione - si argomenta - prevede i conflitti di attribuzione tra lo "Stato e le Regioni", e l'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, prevede la possibilità in tal caso per lo "Stato" o per la "Regione" di ricorrere alla Corte costituzionale. La legittimazione ad agire (proposizione del conflitto) per la tutela del diritto all'integrità delle proprie attribuzioni che si pretendono violate, non può che spettare all'organo nei cui confronti si assume avvenuta la violazione. É, quindi, l'organo che deve proporre l'azione, sia pure identificandosi nella persona cui ne é attribuita la rappresentanza. Lo stesso dicasi per quanto attiene al soggetto passivo dell'azione.
I soggetti attivi e passivi indicati nel ricorso non corrispondono, pertanto, a quelli cui la Costituzione e la legge n. 87 del 1953 consentono di stare in giudizio dinanzi la Corte costituzionale in tema di conflitti di attribuzione. Onde, non essendo tali soggetti esattamente identificati, il ricorso deve ritenersi improcedibile.
Riprendendo poi il motivo d'inammissibilità esposto nelle deduzioni, la Regione assume che alla stregua della norma contenuta nell'articolo 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, si ha conflitto di attribuzione, quando, tra l'altro, si ritenga che l'atto amministrativo posto in essere dalla Regione abbia violato la competenza che per la Costituzione o per un'altra legge, formalmente e sostanzialmente costituzionale, é attribuita allo Stato. Conseguentemente, il giudizio sui conflitti di attribuzione può avere per oggetto soltanto la questione della competenza costituzionale dello Stato e delle Regioni. Deve, cioè, attenere alla interpretazione ed alla applicazione di norme giuridiche costituzionali attributive di potestà e non può estendersi al sindacato delle modalità e del potere discrezionale di cui l'organo abbia fatto uso nell'ambito dei limiti assegnatigli.
Assume altresì la Regione che alla Sicilia compete, anche per i tributi erariali, una potestà amministrativa esclusiva. Riconosce, tuttavia, che la generica attribuzione di potestà normativa e, quindi, amministrativa, non comporta di per sé l'automatico trasferimento delle funzioni amministrative dagli uffici statali a quelli regionali, essendo all'uopo necessarie specifiche norme legislative. Ma ciò - aggiunge - vale per quelle funzioni amministrative relative a materie per le quali la Regione, pur essendo titolare di una potestà normativa, non l'ha ancora concretamente esplicata, e non anche ove siano state emanate precise e concrete norme legislative regionali abbisognevoli di essere eseguite e regolamentate.
Nella specie, il fatto costitutivo del trapasso della funzione amministrativa dagli organi dello Stato a quelli della Regione é da ravvisare nella emanazione stessa della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, avvenuta in forma costituzionalmente corretta, mediante esplicazione della potestà normativa.
Tutto ciò premesso, la Regione conclude su tal punto rilevando che il ricorso, pur essendo presentato quale regolamento di competenza a seguito di conflitto di attribuzione, in sostanza non discute la interpretazione ed applicazione delle norme attributive della cennata potestà amministrativa, ma quasi esclusivamente un asserito contrasto del decreto impugnato con il regime tributario vigente nel restante territorio dello Stato.
Sempre ai fini della inammissibilità del ricorso, la Regione rileva, poi:
a) che chiedendosi l'annullamento dell'intero decreto, a seguito della declaratoria, da parte della Corte, della incompetenza dell'Assessore alle finanze, si chiede in sostanza anche l'annullamento di quelle disposizioni che sono riportate integralmente dal precedente decreto 3 febbraio 1960, n. 174, e che non soggiacciono ad alcuna delle critiche avanzate (art. 1, lett. c, e, f, g, h; art. 2; art. 4);
b) che se si ammettesse il conflitto e si dichiarasse decaduto ed invalidato tutto il secondo decreto, si travolgerebbero inesorabilmente anche le norme di esso non impugnate e perciò riconosciute valide, e si travolgerebbe implicitamente, nel contempo, il primitivo decreto, malgrado esso non fu a suo tempo impugnato e perciò ora non é più impugnabile.
Passando all'esame del merito, la difesa della Regione rileva che nel ricorso si assume che il decreto assessoriale 16 maggio 1960, n. 424, esorbiterebbe dai poteri attribuiti all'Assessore stesso dalla legge regionale 30 giugno 1956, n. 40. Questa si riferisce, per relationem, a quanto disposto dall'art. 10 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 348. Orbene, - osserva la Regione - le facoltà concesse rispettivamente ai due organi amministrativi (Ministro ed Assessore) sono perfettamente identiche e riguardano la possibilità di disporre di due strumenti fiscali: l'imposta una tantum ad aliquota condensata e l'abbonamento, per determinate merci e per determinati servizi.
Normalmente come "passaggio" nel quale l'imposta una tantum ad aliquota condensata si deve percepire, viene scelto quello della "immissione al consumo"; ed ogni provvedimento determina cosa si debba intendere per "immissione al consumo".
I criteri per tale determinazione sono molteplici. Essi vengono vagliati caso per caso, tenendo conto delle condizioni economiche del mercato, delle condizioni ambientali, di particolari interessi meritevoli di essere tutelati: onde la competenza al riguardo del potere amministrativo. Ovviamente, pertanto, sia la legge nazionale che quella regionale non hanno disposto in materia, lasciando alla discrezionalità dei propri organi esecutivi la relativa regolamentazione.
Onde, se é corretto l'operato del Ministro delle finanze che, nei limiti impostigli, ha fatto un determinato uso del suo potere discrezionale, altrettanto corretto ed insindacabile deve ritenersi l'operato dell'Assessore alle finanze, il quale del suo potere discrezionale ha fatto uso, sia pure diversamente dal Ministro, nei limiti impostigli dalla legge regionale.
Lo stesso e a dirsi per quanto attiene all'altro strumento previsto dalla legge nazionale e regionale, cioè il cosiddetto abbonamento.
Trattasi di sistema di accertamento, la cui scelta é stata anch'essa necessariamente affidata al prudente apprezzamento della Autorità amministrativa, e che può essere usato, qualora ne ricorrano gli elementi e le condizioni che lo giustifichino.
Secondo la Regione, poi, la doglianza relativa alla inclusione delle carrube e dell'uva passa, non contemplate o espressamente escluse dal decreto ministeriale 14 dicembre 1959, n. 177912, non ha fondamento; anzitutto, non al decreto del Ministro occorre aver riguardo, bensì alla legge 30 giugno 1956, n. 40, la quale prevede espressamente i prodotti ortofrutticoli tra i quali (frutta) ben possono rientrare sia le carrube che l'uva (sia pure essiccata); in secondo luogo, le carrube (l'uva passa non é stata espressamente menzionata) furono ammesse al regime speciale non con il decreto impugnato, bensì con il precedente decreto, non impugnato, 3 febbraio 1960, n. 174.
Nel ricorso si assume, altresì - prosegue la difesa della Regione - che la legge nazionale 16 dicembre 1959, n. 1070, avrebbe esentato in via generale dall'I.G.E. l'ultimo passaggio imponibile, nonché abolito il sistema del "forfait" (rectius: abbonamento), mentre il decreto dell'Assessore avrebbe mantenuto e addirittura ripristinato sia l'imposizione per tale passaggio che il sistema dell'abbonamento. Ma ambedue questi sistemi sono perfettamente legittimi nella struttura generale dell'I.G.E. in Italia.
E l'Assessore, per giunta, per il sistema adottato, ha ricevuto espressa autorizzazione, sia dalla legge regionale del 1956, sia dal provvedimento statale n. 348 del 1944.
Né la legge n. 1070 del 1959 ha abolito in via generale il sistema dell'accertamento dell'imposta in abbonamento. L'art. 5, anzi, espressamente lo prevede come sistema facoltativo per alcune categorie di contribuenti.
Nel ricorso si lamenta, inoltre - rileva la Regione -, che le aliquote sono state mantenute ferme dal decreto assessoriale nelle misure del 3 per cento e 2 per cento, mentre a mente dell'art. 4, secondo comma, della legge n. 1070 avrebbero dovuto essere aumentate di 30 centesimi.
Ma le aliquote in vigore in Sicilia, a suo tempo, sono state calcolate tenuto conto anche dell'imposta sull'ultimo passaggio, perché quando fu introdotto lo speciale regime una tantum e furono determinate le aliquote condensate, tutti i passaggi delle merci venivano colpiti. Talché nelle aliquote rimaste immutate é compresa anche l'entrata relativa all'ultimo passaggio.
Nega, poi, la Regione la violazione delle leggi statali in materia tributaria.
All'uopo rileva che l'Assessore può ben divergere, nella esplicazione della sua attività concreta, da quella del Ministro, purché disponga secondo strumenti ed istituti previsti dalle leggi dello Stato e che riguardano interessi regionali.
E proprio la legislazione statale ha previsto e voluto con l'art. 10 del D.L.L. 1944, n. 348, che, per determinati prodotti, il potere esecutivo stabilisse le modalità di imposizione e di corresponsione del tributo. Né tale principio é stato abolito dalla legge statale 16 dicembre 1959, n. 1070.
Si conclude perché questa Corte costituzionale dichiari il ricorso improcedibile, o comunque inammissibile, come regolamento di competenza a seguito di preteso conflitto di attribuzioni, e, subordinatamente, lo respinga nel merito, come infondato.
L'Avvocatura dello Stato, nelle memorie depositate l'8 ottobre 1961, ha rilevato che dalle sentenze n. 9 del 1957 e nn. 25 e 26 del 1958 di questa Corte costituzionale si deduce che la potestà, legislativa ed amministrativa, in materia tributaria, e attribuita alla Regione siciliana solo relativamente ai tributi di sua spettanza, quali risultano dal decreto legge 12 aprile 1948, n. 507, e dalla legge regionale 1 luglio 1947, n. 2, subordinatamente all'esistenza di taluni presupposti (esigenza di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, al fine di ricondurre situazioni diseguali in posizione di eguaglianza) ed al rispetto di taluni limiti, formali e sostanziali (limiti territoriali, osservanza della Costituzione, dei principi e dell'indirizzo delle singole leggi nazionali, coordinamento con la finanza statale e locale).
Pertanto, ogni attività tributaria esplicata fuori dei predetti limiti integra una esorbitanza dalla sfera di competenza attribuita alla Regione dalle norme della Costituzione e dello Statuto speciale, onde la conseguenza della illegittimità costituzionale della legge, se trattasi di attività legislativa, o dell'incompetenza costituzionale se, invece, trattasi di attività amministrativa.
Poiché la competenza amministrativa in materia tributaria - come nelle altre materie - spetta alla Regione negli stessi limiti in cui ha competenza legislativa, non v'é dubbio che debbano applicarsi al conflitto di attribuzione gli stessi criteri che sono stati applicati all'impugnativa in via principale di leggi regionali, la quale si risolve sostanzialmente in un conflitto di attribuzione legislativa.
L'inosservanza dei limiti posti, direttamente o indirettamente, dalla norma costituzionale alla competenza amministrativa regionale integra il vizio di incompetenza costituzionale e legittima il ricorso per conflitto di attribuzione.
Si conclude, chiedendo che la Corte dichiari la incompetenza della Regione e, per essa, dell'Assessore alle finanze ad emanare le norme contenute nel decreto assessoriale 16 maggio 1960, n. 424, e, conseguentemente, annulli il decreto stesso.
Per quanto attiene alle memorie relative al ricorso n. 7 del 1961, l'Avvocatura dello Stato ha chiesto, innanzitutto, la riunione dei due ricorsi, stante la identità della questione che costituisce l'oggetto di entrambi.
Richiamate, poi, le argomentazioni svolte nelle precedenti memorie, passa a contestare la fondatezza della eccezione di inammissibilità dedotta per la prima volta dalla Regione siciliana nelle memorie depositate il 10 aprile 1961 (ricorso n. 20 del 1960) e ripetute nelle deduzioni per il ricorso n. 7 del 1961.
In proposito, l'Avvocatura rileva che a prescindere dalla considerazione che le norme, le quali disciplinano il procedimento costituzionale, non prevedono alcuna nullità del tipo di quelle indicate dagli artt. 75, 163 e 164 del Cod. proc. civ., e che, comunque, nullità del genere dovrebbero sempre considerarsi sanate per effetto del raggiungimento dello scopo dell'atto, come peraltro, questa Corte ha avuto già occasione di affermare a proposito di ricorsi notificati presso l'Avvocatura dello Stato, sta di fatto che gli artt. 31, 32, 33 e 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, espressamente indicano, quali soggetti legittimati ad agire e contraddire nel processo costituzionale, il Presidente del Consiglio e il Presidente della Regione, ovviamente nella rispettiva qualità di rappresentante del Governo dello Stato e della Regione.
Rileva ancora l'Avvocatura che il conflitto di attribuzione sussiste non solo quando si assuma la diretta violazione di una norma costituzionale o di una norma ordinaria di attuazione, ma anche quando risulti violata una legge ordinaria, che possa considerarsi legge - cornice o legge - limite. E ciò perché quando la norma costituzionale attribuisce agli organi regionali competenza entro i limiti e sotto l'osservanza di norme statali, la violazione diretta od immediata di queste involge una violazione, sia pure mediata ed indiretta, di quella ed integra una esorbitanza dai limiti di competenza.
Né si obietti, continua l'Avvocatura, che la potestà amministrativa, non potendo, a differenza di quella legislativa, essere concorrente, é sempre esclusiva, perché nella specie si tratta di accertare se questa potestà, sia pure esclusiva di ogni analogo potere degli organi statali, sia stata esercitata col rispetto dei limiti posti dalle norme statutarie sulla competenza, legislativa ed amministrativa, della Regione.
Precisato, infine, che la legittimità costituzionale della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, potrebbe essere accertata in via incidentale, ma che di essa non si dubita, se si lamenta, da parte dello Stato, proprio la violazione di tale legge, l'Avvocatura fa presente che non costituisce motivo di inammissibilità dei ricorsi neppure la circostanza che alcune norme dei decreti assessoriali impugnati sono identiche ad altre contenute in precedenti provvedimenti, in relazione ai quali il Presidente del Consiglio non propose a suo tempo ricorso. E all'uopo si fa richiamo alle decisioni di questa Corte con le quali é stata esclusa l'applicazione al processo costituzionale dell'istituto della acquiescenza, ed é stato precisato che gli atti, legislativi o amministrativi, i quali costituiscono, in tutto o in parte, rinnovazione o proroga di atti precedenti, sono autonomi e danno luogo a nuovo ed autonomo conflitto.
Per quanto attiene al merito, l'Avvocatura si riporta ai ricorsi ed alla memoria già depositata, rilevando soltanto che il secondo decreto ha riconosciuto l'illegittimità del primo in ordine alle aliquote e che, secondo la comune accezione, nella "frutta", genericamente indicata nella legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, non possono essere comprese né le carrube, né l'uva passa.
La Regione siciliana ribadisce che in virtù della autonomia che ad essa é stata attribuita, la sua attività, pur non dovendo contrastare, né sovvertire quella statale - ma anzi trovare in essa rispondenza -, non può tuttavia concretarsi nel ricalcare pedissequamente la medesima.
Illustra, poi, i vari sistemi tecnici relativi all'I.G.E. (imposta omnifase, plurifase, monofase, una tantum; versamento del tributo per ogni singolo atto cui esso inerisce o in abbonamento).
Precisa, che nei due ricorsi proposti dal Presidente del Consiglio, in sostanza si afferma che la legge statale n. 1070 del 1959 (applicata nello Stato col decreto ministeriale n. 177912 del Ministro per le finanze), innovando in materia di I.G.E., ha modificato sensibilmente la delega regionale della legge n. 40 del 1956 (come anche la delega statale della legge n. 348 del 1944). Di conseguenza, l'attività dell'Assessore, esaminata al lume della legge statale suddetta, si rivela come esorbitante dai limiti della delega stessa, quale ora deve intendersi, ed in contrasto con la ripetuta legge statale n. 1070 del 1959.
Ciò posto, la Regione, per dimostrare la infondatezza del suriportato assunto, rileva che proprio dagli artt. 1, comma terzo, e 5, comma secondo e terzo, della legge n. 1070 del 1959 é stato conservato, quale momento della imposizione tributaria, l'ultimo passaggio e, quale forma di pagamento, quella dell'abbonamento. Ciò per lo meno per tutti i servizi e per le vendite al dettaglio degli esercizi pubblici di lusso e di prima categoria. E tra i servizi elencati nell'art. 5 vi sono casi (es. lett. f) in cui il servizio implica l'impiego o la vendita (ultimo passaggio) al cliente di tante merci e materie.
Determinata così l'attività amministrativa dell'Assessore, la Regione insiste nel negare che nella specie, dato il contenuto delle impugnative contro i decreti assessoriali, ricorra una ipotesi di conflitto di attribuzioni.
Infine, per comprovare che non vi é stata invasione del campo legislativo riservato alla Assemblea, rileva che l'Assessore ha agito per autorizzazione, anzi per esplicito ordine dell'Assemblea stessa (legge regionale n. 40 del 1956).
Le due cause sono state trattate congiuntamente all'udienza del 18 ottobre 1961; e con ordinanza 10 novembre 1961, n. 57, questa Corte ne ha disposto la riunione e il rinvio, perché potessero essere trattate unitamente alla questione pregiudiziale - ritenuta sollevabile e sollevata d'ufficio in tale sede - relativa alla legittimità costituzionale della legge regionale siciliana 30 giugno 1956, n. 40, con la quale sarebbe stato operato il trapasso delle funzioni amministrative relativamente all'imposta generale sull'entrata, dagli organi dello Stato agli organi della Regione.
All'udienza del 30 maggio 1962 sono state discusse congiuntamente le due cause relative ai conflitti di attribuzione, riunite come innanzi detto, e la causa relativa alla questione di legittimità costituzionale sollevata d'ufficio da questa Corte con l'ordinanza n. 57 del 10 novembre 1961.
Considerato in diritto
1. - I ricorsi per conflitto di attribuzione proposti dal Presidente del Consiglio dei Ministri con atto 28 settembre 1960 contro il decreto dell'Assessore della Regione siciliana alle finanze 16 maggio 1960, n. 424, e con atto 12 giugno 1961 contro altro decreto dello stesso Assessore del 18 febbraio 1961, n. 356, riuniti con l'ordinanza di questa Corte del 10 novembre 1961, sono stati discussi congiuntamente alla questione sollevata di ufficio con la stessa ordinanza, riguardante la legittimità costituzionale della legge regionale siciliana 30 giugno 1956, n. 40, invocata dalla Regione a fondamento del potere esercitato dall'Assessore con i decreti impugnati.
Peraltro, data la diversità dell'oggetto dei giudizi, le due cause vanno decise con separate sentenze. La presente sentenza riguarda i due giudizi sui conflitti di attribuzione; con altra sentenza di pari data viene decisa la questione di legittimità costituzionale.
2. - La difesa della Regione ha dedotto preliminarmente la improcedibilità dei ricorsi perché proposti dal Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore nei confronti del Presidente pro-tempore della Regione siciliana e non dallo Stato italiano, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, nei confronti della Regione siciliana, in persona del suo Presidente pro-tempore. Con ciò si sarebbero violate le disposizioni degli artt. 134 della Costituzione e 39, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, le quali indicano lo Stato e la Regione quali soggetti del rapporto cui danno luogo i conflitti di attribuzione.
La eccezione é infondata.
Questa Corte, con sentenza n. 9 del 17 gennaio 1957, ha ritenuto, che l'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e l'art. 27 delle Norme integrative determinano i soggetti processuali delle controversie per regolamento di competenza fra Stato e Regione e cioè il Presidente del Consiglio dei Ministri (o un Ministro da lui delegato) e il Presidente della Giunta regionale. Pertanto, ad essi, e ad essi soltanto, spetta, rispettivamente, la legittimazione attiva e passiva per stare in giudizio. il che nella specie si é verificato.
3. - La stessa Regione ha eccepito la inammissibilità dei ricorsi, assumendo che le impugnative sono state prospettate come "conflitti di attribuzione", mentre nel caso in esame non ricorrono i presupposti che possono dare luogo ad un regolamento di competenza. Le questioni sollevate dall'Avvocatura dello Stato non riguardano attribuzione della competenza ad emanare un determinato atto, in dipendenza della interpretazione o applicazione di una legge costituzionale, bensì pongono questioni di legittimità, violazione di leggi nazionali, ecc. ecc. il giudizio sui conflitti di attribuzione può avere per oggetto soltanto la questione della competenza costituzionale dello Stato e della Regione, deve cioè attenere alla interpretazione e applicazione di norme costituzionali attributive di potestà e non può estendersi al sindacato delle modalità e del potere discrezionale di cui l'organo abbia fatto uso nell'ambito dei limiti ad esso assegnati.
Anche tale eccezione va disattesa.
Esiste conflitto di attribuzione tra Stato e Regione quando questa esercita una potestà amministrativa riservata allo Stato e viceversa. Nella specie si lamenta che l'Assessore alle finanze abbia esercitato, in materia di imposta generale sull'entrata, una potestà amministrativa della quale é tuttora titolare il Ministro delle finanze. E questa Corte ha ripetutamente affermato che oggetto dei giudizi sui conflitti di attribuzione é la legittimità di atti amministrativi in quanto, per se stessi considerati, costituiscono manifestazione concreta e autonoma del potere che lo Stato e le Regioni assumono di loro spettanza in base alla Costituzione e agli Statuti speciali (sentenze n. 58 del 1959, n. 18 del 1957, ecc.). É poi irrilevante, ai fini della denunzia del conflitto di attribuzione, che non sia stato impugnato un precedente provvedimento di contenuto identico al decreto che ha dato luogo al conflitto (sentenza n. 77 del 16 dicembre 1958, sentenza n. 58 del 26 novembre 1959).
4. - Passando al merito, i decreti dell'Assessore alle finanze n. 424 del 1960 e n. 356 del 1961, che hanno dato luogo ai presenti conflitti di attribuzione, sono stati emanati in virtù dell'art. 1 della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, che, in materia di imposta generale sull'entrata, trasferisce all'organo regionale gli stessi poteri che l'art. 10 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 348, ha conferito nella stessa materia al Ministro per le finanze.
Secondo la Regione la citata legge n. 40, in mancanza di norme di attuazione, avrebbe operato il passaggio delle funzioni dagli organi dell'Amministrazione statale alla Regione e, costituendo la fonte dei poteri esercitati dall'Assessore, legittimerebbe gli impugnati provvedimenti assessoriali.
Questa Corte con sentenza di pari data ha dichiarato costituzionalmente illegittima la citata legge n. 40, ritenendo che in mancanza di specifiche norme di attuazione una legge regionale non possa trasferire dallo Stato alla Regione le funzioni amministrative e i relativi organi riguardanti l'imposta generale sull'entrata. Consegue l'accoglimento dei ricorsi del Presidente del Consiglio dei Ministri avverso i suindicati decreti dell'Assessore regionale e l'annullamento dei decreti stessi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
pronunciando con unica sentenza sui ricorsi per conflitto di attribuzione indicati in epigrafe e riuniti con propria ordinanza 10 novembre 1961, n. 57:
rigetta le eccezioni pregiudiziali della Regione siciliana;
accoglie i ricorsi proposti dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 28 settembre 1960 e il 12 giugno 1961;
dichiara che spetta allo Stato il potere di emettere provvedimenti in materia di imposta generale sull'entrata;
annulla in conseguenza i decreti 16 maggio 1960, n. 424, e 18 febbraio 1961, n. 356, emanati dall'Assessore regionale alle finanze.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1962.
Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria il 26 giugno 1962.