Ordinanza n. 243 del 2021

ORDINANZA N. 243

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2-bis, lettera b), del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sette ordinanze del 25, 26, 28 maggio e del 3 luglio 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 198, 199, 200, 201, 202, 203 e 204 del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti gli atti di costituzione di Matteo Francesco Pedrotti (r.o. n. 203 del 2020) e di Leonardo Mancuso (r.o. n. 204 del 2020), entrambi fuori termine, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 novembre 2021 il Giudice relatore Franco Modugno;

deliberato nella camera di consiglio del 25 novembre 2021.

Ritenuto che con sette ordinanze, di tenore in larga parte analogo, del 25 maggio 2020 (r.o. n. 198 del 2020), del 26 maggio 2020 (r.o. n. 199 del 2020), del 28 maggio 2020 (r.o. n. 200, n. 201 e n. 202 del 2020) e del 3 luglio 2020 (r.o. n. 203 e n. 204 del 2020), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione – nonché, quanto alle sole ordinanze iscritte al r.o. n. 203 e n. 204 del 2020, in riferimento agli artt. 51 e 77 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2-bis, lettera b), del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), aggiunto dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12, nella parte in cui dispone: «purché in possesso, alla data del 1° gennaio 2019, dei requisiti di cui all’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, nel testo vigente alla data di entrata in vigore della legge 30 dicembre 2018, n. 145, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 2049 del citato codice dell’ordinamento militare»;

che il giudice a quo rileva che la norma censurata ha autorizzato l’assunzione di 1.851 allievi agenti della Polizia di Stato mediante scorrimento della graduatoria della prova scritta del concorso bandito con decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza del 18 maggio 2017, consentendo tuttavia di assumere, tra i collocati in graduatoria, solo i soggetti in possesso, al 1° gennaio 2019, dei nuovi requisiti – anagrafico e culturale – per l’accesso alla carriera iniziale della Polizia di Stato introdotti medio tempore dal decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, recante «Disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», tramite modifica dell’art. 6 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia): vale a dire, età non superiore a 26 anni e titolo di studio di scuola secondaria superiore, quando invece il bando originario prevedeva un limite di età di 30 anni e il titolo di studio di scuola secondaria inferiore;

che il rimettente si trova investito di giudizi di impugnazione del decreto del 13 marzo 2019, con cui il Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza ha avviato la procedura di assunzione autorizzata dalla norma censurata, e degli atti ad esso conseguenti: giudizi promossi da soggetti che – sebbene collocati nella graduatoria della prova scritta del precedente concorso in posizione potenzialmente utile per aspirare all’assunzione – sono stati esclusi dalla procedura in quanto non in possesso dei nuovi requisiti (in particolare, perché di età superiore a 26 anni, ovvero – limitatamente al caso oggetto dell’ordinanza r.o. n. 200 del 2020 – perché privi del titolo di studio secondario superiore);

che, avverso gli atti impugnati, i ricorrenti hanno dedotto molteplici censure, riconducibili principalmente alla illegittimità costituzionale della norma applicata dall’amministrazione, sotto vari profili;

che – stante la non fondatezza delle eccezioni di inammissibilità o improcedibilità dei ricorsi, sollevate dal Ministero dell’interno nei singoli giudizi principali – le questioni risulterebbero rilevanti, in quanto il loro accoglimento comporterebbe l’annullamento, per invalidità derivata, degli atti impugnati;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo reputa che la norma denunciata, nella parte in cui richiede il possesso dei nuovi e più stringenti requisiti, si ponga effettivamente in contrasto con plurimi parametri costituzionali;

che risulterebbe violato, anzitutto, l’art. 3 Cost., per contrasto con il principio di ragionevolezza, in quanto la norma censurata – che si caratterizzerebbe quale legge-provvedimento – estendendo retroattivamente i nuovi requisiti per la partecipazione ai concorsi pubblici per l’accesso al ruolo di agente della Polizia di Stato ad un concorso già bandito, espletato e concluso prima della sua entrata in vigore, contrasterebbe con le esigenze di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento dei candidati utilmente collocati nella graduatoria di cui è previsto lo scorrimento;

che sarebbe violato anche il principio di eguaglianza, venendo riservato un trattamento ingiustamente diverso ad alcuni dei candidati, rispetto ad altri inseriti nella stessa graduatoria che avrebbero dovuto poter concorrere a parità di condizioni, essendo tutti in possesso dei requisiti stabiliti dal bando di concorso;

che la norma censurata si porrebbe in contrasto, ancora, con il principio di imparzialità dell’azione amministrativa, stabilito dall’art. 97 Cost., in quanto – essendo i destinatari della norma immediatamente individuabili al momento della sua approvazione – i nuovi e più restrittivi requisiti di assunzione avrebbero consentito alla pubblica amministrazione di «scegliere» taluni soggetti collocati in posizione utile nella graduatoria, favorendoli a danno di altri;

che, secondo la sola ordinanza r.o. n. 203 del 2020, anche a ritenere applicabili i nuovi requisiti allo scorrimento della graduatoria di un concorso già espletato, essi avrebbero dovuto essere riferiti, quanto al limite di età, alla originaria data di scadenza per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso (25 giugno 2017) e, quanto al titolo di studio, al termine dell’anno scolastico antecedente o successivo alla data di entrata in vigore della norma censurata: sicché aver richiesto che i requisiti siano posseduti alla data del 1° gennaio 2019 costituirebbe soluzione arbitraria e contrastante con il principio di eguaglianza, e tale altresì da determinare una ingiustificata limitazione all’accesso all’impiego pubblico, in violazione dell’art. 51, primo comma, Cost.;

che la sola ordinanza r.o. n. 204 del 2020 censura, altresì, specificamente il fatto che, nell’introdurre il limite di età di 26 anni, la norma censurata continui a far salve le disposizioni dell’art. 2049 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), che consentono di elevare sino a tre anni il limite massimo di età per la partecipazione ai pubblici concorsi per i soggetti che abbiano prestato il servizio militare: profilo per il quale la norma si rivelerebbe incoerente con il fine perseguito, di assicurare il ringiovanimento delle Forze di polizia, e foriera di disparità di trattamento, nonché atta a determinare una irragionevole limitazione all’accesso ai pubblici uffici;

che le ordinanze iscritte al r.o. n. 203 e n. 204 del 2020 ritengono, infine, violato l’art. 77 Cost., giacché l’introduzione, con la legge di conversione, dei nuovi requisiti relativi all’età e al titolo di studio non solo sarebbe totalmente estranea rispetto al contenuto originario dell’art. 11 del d.l. n. 135 del 2018, ma si porrebbe altresì in contrasto con le finalità di semplificazione perseguite dal medesimo decreto-legge, costringendo la pubblica amministrazione a riesaminare le posizioni dei singoli candidati, per accertare il possesso di requisiti non previsti dal bando originario;

che è intervenuto, in tutti i giudizi, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto, in via principale, che le questioni siano dichiarate inammissibili per avvenuta cessazione della materia del contendere nei giudizi a quibus; in via progressivamente subordinata, che le questioni siano dichiarate inammissibili per irrilevanza; che sia disposta la restituzione degli atti al giudice a quo per ius superveniens; che le questioni siano dichiarate, nel merito, non fondate;

che, con ordinanza n. 191 del 2021, questa Corte ha dichiarato inammissibili gli interventi ad adiuvandum spiegati nel giudizio introdotto con l’ordinanza r.o. n. 204 del 2020 da Luca Bernardinelli, Francesca Carocci, Andrea Castellino, Giuseppe Ciarla, Guido Manco, Sebastiano Pecchia, Vincenzo Proietti, Alessandra Rizzo, Federica Serino, Valentina Sivero, Elena Tarantino e Francesco Varone, nonché, con distinto atto, da Diego D’Ippolito;

che con atti pervenuti l’8 novembre 2021 si sono costituiti Matteo Francesco Pedrotti e Leonardo Mancuso, parti ricorrenti nei giudizi introdotti, rispettivamente, con le ordinanze iscritte al r.o. n. 203 e n. 204 del 2020, i quali hanno chiesto l’accoglimento delle questioni o, in subordine, la restituzione degli atti al giudice a quo per ius superveniens.

Considerato che con sette ordinanze di rimessione, di tenore in larga parte analogo, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2-bis, lettera b), del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), aggiunto dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12, nella parte in cui dispone: «purché in possesso, alla data del 1° gennaio 2019, dei requisiti di cui all’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, nel testo vigente alla data di entrata in vigore della legge 30 dicembre 2018, n. 145, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 2049 del citato codice dell’ordinamento militare»;

che il giudice rimettente lamenta segnatamente il fatto che la norma censurata, nell’autorizzare l’assunzione di 1.851 allievi agenti della Polizia di Stato mediante scorrimento della graduatoria della prova scritta del concorso (già concluso) bandito dal Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza con decreto del 18 maggio 2017, abbia consentito di assumere, tra i collocati in graduatoria, solo coloro che fossero in possesso dei nuovi requisiti per l’accesso alla carriera iniziale della Polizia di Stato introdotti medio tempore dal decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, recante «Disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», tramite modifica dell’art. 6 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia): vale a dire, età non superiore a 26 anni e titolo di studio di scuola secondaria superiore, quando invece il bando originario prevedeva un limite di età di 30 anni e il possesso del titolo di studio di scuola secondaria inferiore;

che il giudice a quo reputa con ciò violato l’art. 3 della Costituzione, per contrasto, sia con il principio di ragionevolezza, in quanto l’estensione retroattiva, con «legge-provvedimento», dei nuovi requisiti ad un concorso già espletato lederebbe l’esigenza di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento dei soggetti utilmente collocati nella graduatoria di cui è previsto lo scorrimento; sia con il principio di eguaglianza, venendo riservato un trattamento ingiustamente diverso ad alcuni dei candidati, rispetto ad altri inseriti nella stessa graduatoria che avrebbero dovuto poter concorrere a parità di condizioni;

che sarebbe leso, altresì, il principio di imparzialità dell’azione amministrativa, sancito dall’art. 97 Cost., in quanto – essendo i destinatari della norma immediatamente individuabili al momento della sua approvazione – i nuovi e più stringenti requisiti di assunzione avrebbero consentito alla pubblica amministrazione di «scegliere» taluni soggetti collocati in posizione utile nella graduatoria, favorendoli a danno di altri;

che la sola ordinanza iscritta al r.o. n. 203 del 2020 ravvisa, inoltre, una violazione del principio di eguaglianza e del diritto di accesso ai pubblici uffici in condizioni di parità, stabilito dall’art. 51, primo comma, Cost., nel fatto che, ai fini dell’assunzione mediante scorrimento della graduatoria, i nuovi requisiti debbano essere posseduti alla data del 1° gennaio 2019, anziché alla data di scadenza per la presentazione delle domande di partecipazione al precedente concorso (25 giugno 2017), quanto al limite di età, e al termine dell’anno scolastico antecedente o successivo alla data di entrata in vigore della norma censurata, quanto al titolo di studio;

che l’ordinanza iscritta al r.o. n. 204 del 2020 lamenta, altresì, che la norma censurata, nell’introdurre il limite di età di 26 anni, continui a far salve le disposizioni dell’art. 2049 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), che consentono di elevare sino a tre anni il limite massimo di età per la partecipazione ai pubblici concorsi per i soggetti che abbiano prestato il servizio militare: profilo per il quale la norma si rivelerebbe incoerente con il fine perseguito, di assicurare il ringiovanimento delle Forze di polizia, e foriera di disparità di trattamento, nonché atta a determinare una irragionevole limitazione all’accesso ai pubblici uffici;

che le ordinanze iscritte al r.o. n. 203 e n. 204 del 2020 ritengono, infine, violato l’art. 77 Cost., giacché l’introduzione, con la legge di conversione, dei nuovi requisiti, non solo risulterebbe totalmente estranea rispetto al contenuto originario dell’art. 11 del d.l. n. 135 del 2018, ma si porrebbe altresì in contrasto con le finalità di semplificazione perseguite dal medesimo decreto-legge, costringendo la pubblica amministrazione a riesaminare le posizioni dei singoli candidati, per accertare il possesso di requisiti non previsti dal bando originario;

che le ordinanze di rimessione sollevano questioni analoghe o coincidenti, aventi ad oggetto la medesima norma, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che, in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione, nei giudizi introdotti, rispettivamente, con le ordinanze iscritte al r.o. n. 203 e n. 204 del 2020, di Matteo Francesco Pedrotti e Leonardo Mancuso, in quanto effettuata con atti pervenuti l’8 novembre 2021, e dunque largamente tardiva rispetto al termine perentorio di venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione nella Gazzetta Ufficiale, previsto dall’art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, essendo la pubblicazione avvenuta il 27 gennaio 2021 (ex plurimis, sentenze n. 75 e n. 57 del 2021, n. 222 del 2018);

che, successivamente alle ordinanze di rimessione, è intervenuto l’art. 260-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), come aggiunto in sede di conversione dalla legge 17 luglio 2020, n. 77;

che tale disposizione, al dichiarato scopo di definire il contenzioso insorto riguardo ai requisiti di partecipazione alla procedura concorsuale in questione, ha autorizzato l’Amministrazione della pubblica sicurezza ad assumere – entro un massimo di 1650 unità per l’anno 2020 e di 550 unità per l’anno 2021 – allievi agenti della Polizia di Stato mediante scorrimento della graduatoria della prova scritta del concorso bandito con decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza del 18 maggio 2017, a prescindere dal possesso dei nuovi e più stringenti requisiti introdotti dal d.lgs. n. 95 del 2017 (è sufficiente, dunque, il possesso dei precedenti requisiti previsti dal bando); ciò, con riferimento ai soggetti che: a) abbiano riportato alla prova scritta una votazione pari o superiore a quella minima conseguita dai destinatari della norma oggi sottoposta a scrutinio; b) siano stati ammessi alla fase successiva della procedura concorsuale in forza di provvedimenti del giudice amministrativo, ovvero abbiano tempestivamente impugnato gli atti di non ammissione con ricorso giurisdizionale o con ricorso straordinario al Capo dello Stato, sempre che i giudizi risultino pendenti; c) risultino idonei all’esito degli accertamenti dell’efficienza fisica, psicofisici e attitudinali previsti dalla disciplina vigente, ove non già espletati;

che la norma sopravvenuta è atta, dunque, a superare i dubbi di legittimità costituzionale denunciati, rispetto a tutti i candidati che abbiano tempestivamente impugnato gli atti di esclusione dalla procedura, come i ricorrenti nei giudizi principali (fermo restando che, come già rilevato da questa Corte nella citata ordinanza n. 191 del 2021, i candidati che non abbiano tempestivamente impugnato gli atti di esclusione dalla procedura non potrebbero, comunque sia, giovarsi di una eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata, posto che la cosiddetta retroattività delle sentenze di accoglimento incontra il limite dei rapporti esauriti, quali quelli rispetto ai quali siano decorsi i termini di inoppugnabilità degli atti amministrativi);

che si impone, pertanto, la restituzione degli atti al giudice a quo, per un nuovo esame della rilevanza delle questioni alla luce dello ius superveniens;

che, come segnalato anche dall’Avvocatura generale dello Stato, proprio a fronte della sopravvenienza del citato art. 260-bis del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, – cui il Ministero dell’interno ha dato attuazione con avviso del 29 settembre 2020, pubblicato sul sito istituzionale della Polizia di Stato – lo stesso TAR Lazio ha dichiarato improcedibili per sopravvenuta carenza d’interesse plurimi ricorsi del tutto analoghi a quelli oggetto dei giudizi a quibus (tra le altre, TAR Lazio, sezione prima-quater, 4 marzo 2021, n. 2631; TAR Lazio, sezione prima-quater, 29 dicembre 2020, n. 14063; TAR Lazio, sezione prima-quater, 26 novembre 2020, n. 12654);

che, a questo riguardo, non può essere, peraltro, accolta la richiesta, formulata in via principale dalla stessa Avvocatura generale dello Stato, che ha invitato questa Corte a dichiarare direttamente le questioni inammissibili «per cessazione della materia del contendere nel giudizio a quo»;

che nel giudizio in via incidentale, infatti, la sopravvenienza di una normativa idonea a superare i dubbi di legittimità costituzionale, prospettati dal giudice rimettente, non giustifica la dichiarazione di cessazione della materia del contendere (sentenza n. 89 del 2017), né legittima questa Corte a dichiarare le questioni inammissibili “per irrilevanza sopravvenuta”;

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, lo ius superveniens può assumere rilievo solo ai fini della restituzione degli atti al giudice a quo (oltre alla già citata sentenza n. 89 del 2017; in generale, ex plurimis, ordinanze n. 55 del 2020 e n. 260 del 2019), spettando a quest’ultimo verificare l’incidenza della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile la costituzione di Matteo Francesco Pedrotti e Leonardo Mancuso nei giudizi introdotti, rispettivamente, con le ordinanze iscritte al r.o. n. 203 e n. 204 del 2020;

2) ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2021.