Sentenza n. 190 del 2021

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SENTENZA N. 190

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (Testo A)», promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, nel procedimento vertente tra Naxos srl e Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio dei monopoli per la Puglia, la Basilicata e il Molise, con ordinanza del 30 gennaio 2020, iscritta al n. 92 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2021 il Giudice relatore Giuliano Amato;

deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza depositata il 30 gennaio 2020, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferimento all’art. 3, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (Testo A)».

La disposizione censurata disciplina le conseguenze delle false dichiarazioni sostitutive di atto notorio o di certificazioni. Nel testo vigente ratione temporis, essa prevede che «[f]ermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera».

È denunciata la violazione dell’art. 3 Cost., poiché l’automatica decadenza dal beneficio e l’impedimento a conseguire lo stesso, quali «conseguenze […] lato sensu sanzionatorie» della dichiarazione mendace, colpirebbero in maniera indiscriminata condotte di rilievo differente e si porrebbero in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, essendo preclusa qualsiasi valutazione circa la gravità del fatto, il suo disvalore e l’elemento soggettivo del dolo o della colpa del dichiarante.

2.– Nel giudizio a quo è impugnato il provvedimento di diniego di un’istanza di rinnovo del patentino per la vendita di prodotti da fumo. Riferisce il giudice rimettente che tale diniego è stato determinato dalla non veridicità della dichiarazione sostitutiva di atto notorio che la accompagnava. In particolare, risulta omessa la dichiarazione, da parte dell’istante, di alcuni debiti verso l’erario, rappresentati da due cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle entrate per il mancato pagamento del canone RAI per gli anni 2016 e 2017, per complessivi euro 897,92.

Ad avviso del rimettente, la pretesa tributaria avrebbe ormai carattere definitivo, in considerazione della mancata interposizione di alcun gravame e dell’acquiescenza prestata dalla parte ricorrente, che – dopo l’autodichiarazione, ma prima del diniego di rinnovo – ha provveduto all’integrale pagamento del debito.

Il giudice a quo riferisce, inoltre, di avere accolto l’istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Ad avviso del giudice rimettente, la non veridicità della dichiarazione costituirebbe l’unico presupposto del provvedimento di diniego. Pertanto, non sarebbe possibile prescindere dalla definizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 che, in presenza di dichiarazioni mendaci, prevede la decadenza «dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera».

2.1.– Il giudice a quo evidenzia che, secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, la dichiarazione non veritiera, al di là dei profili penali, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui la stessa era indirizzata e comporta l’automatica decadenza dai benefici ottenuti. Al riguardo, sono richiamate le sentenze del Consiglio di Stato, sezione quinta, 9 aprile 2013, n. 1933, e 27 aprile 2012, n. 2447. Si tratterebbe di una consolidata interpretazione, tale da assurgere al rango di «diritto vivente».

Ad avviso del giudice a quo, queste conseguenze, oltre ad avere valenza lato sensu sanzionatoria, sarebbero irragionevoli e sproporzionate, in quanto prescindono dall’effettiva gravità del fatto e dalla sua incidenza rispetto all’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione. Verrebbe, infatti, riservato il medesimo trattamento a situazioni oggettivamente diverse, con la conseguenza che nei casi di non veridicità su aspetti di minima rilevanza concreta possono aversi conseguenze abnormi e sproporzionate rispetto al reale disvalore del fatto.

D’altra parte, le censure non potrebbero essere superate facendo leva sulla ratio della norma censurata, rinvenibile nel principio di semplificazione amministrativa, cui si accompagna l’affermazione dell’autoresponsabilità del dichiarante. Al riguardo, si fa rilevare che la norma in esame è volta a rendere più efficiente l’azione amministrativa, ma è anche finalizzata a garantire i diritti dei singoli di volta in volta coinvolti nel procedimento amministrativo nell’ambito del quale sono rese le dichiarazioni. Il rigido automatismo in esame sarebbe lesivo dell’equilibrio fra le diverse esigenze in gioco, poiché pregiudicherebbe i diritti costituzionali del singolo. La finalità di semplificazione si risolverebbe, in definitiva, nella diminuzione degli adempimenti a carico dell’amministrazione pubblica, a fronte di un’eccessiva autoresponsabilità del privato.

Si fa rilevare, infine, che, in base all’art. 40, comma 01, del d.P.R. n. 445 del 2000, come modificato dall’art. 15, comma 1, lettera a), della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)», il privato ha l’obbligo, e non più la facoltà, di presentare alle amministrazioni le «dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47». La semplificazione in esame si risolverebbe essa stessa, quindi, nella diminuzione degli adempimenti a carico dell’amministrazione pubblica, a fronte di un’eccessiva autoresponsabilità del privato.

3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.

3.1.– In via preliminare, è eccepito il difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della questione, poiché il giudice a quo avrebbe omesso di considerare le disposizioni del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 febbraio 2013, n. 38 (Regolamento recante disciplina della distribuzione e vendita dei prodotti da fumo), che all’art. 7 detta i criteri per il rilascio di patentini e, in particolare, al comma 3, dispone che «Ai fini dell’adozione del provvedimento, gli Uffici competenti in relazione all’esercizio del richiedente, valutano: […] g) l’assenza di eventuali pendenze fiscali e/o di morosità verso l’Erario o verso l’Agente della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili».

Nel caso in esame, il diniego del rinnovo è derivato dall’assenza del requisito della insussistenza di pendenze fiscali e non dalla falsità della dichiarazione. Infatti, laddove fosse stata accertata l’insussistenza del requisito anche dopo il rinnovo del patentino, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (d’ora in avanti: ADM) ne avrebbe comunque disposto il ritiro.

Pertanto, le censure del rimettente avrebbero dovuto riguardare direttamente il regolamento ministeriale, che preclude il rinnovo del patentino senza prevedere una graduazione circa la rilevanza delle pendenze fiscali. Sarebbe stata così omessa la verifica della rilevanza della questione, con l’effetto di renderla inammissibile.

3.1.1.– Inoltre, l’onere di adeguata motivazione in punto di rilevanza non sarebbe stato assolto neppure con riguardo alla descrizione della fattispecie concreta e, in particolare, al carattere definitivo dell’accertamento delle pendenze fiscali o morosità verso l’erario.

Infatti, la sola indicazione dell’anno di riferimento del credito erariale, senza alcuna indicazione del giorno di notifica della cartella, non dimostrerebbe che il credito erariale è stato accertato in via definitiva, non potendosi escludere l’avvio di una procedura esecutiva, né la proponibilità del ricorso ai sensi del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), ovvero dell’opposizione agli atti esecutivi, di cui all’art. 617 del codice di procedura civile.

In effetti, neppure il pagamento da parte del debitore potrebbe far ritenere che – al momento della dichiarazione – il credito erariale fosse già definitivamente accertato. L’incompleta descrizione della fattispecie si rifletterebbe, quindi, nel difetto di motivazione sulla rilevanza, determinando l’inammissibilità della questione.

3.1.2.– D’altra parte, secondo l’interveniente, sarebbe erroneo il presupposto interpretativo su cui si fonda l’ordinanza di rimessione. Infatti, la decadenza prevista dalla disposizione censurata andrebbe riferita ai benefici già entrati nella sfera giuridica del dichiarante. Il rimettente non spiegherebbe i motivi per cui essa debba estendersi anche a benefici non ancora ottenuti, come quello connesso al rinnovo del patentino, che si sostanzia in un rinnovato rilascio del provvedimento ampliativo. Anche da queste considerazioni discenderebbe il difetto di rilevanza della questione.

3.1.3.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, inoltre, il mancato esperimento del tentativo di interpretazione conforme.

L’esegesi del censurato art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, richiamata dal giudice a quo e considerata alla stregua di diritto vivente, sarebbe tutt’altro che consolidata. Di recente, infatti, la giurisprudenza del Consiglio di Stato avrebbe offerto una lettura costituzionalmente orientata dell’autocertificazione, che valorizza la sostanza dell’attestazione e consente la regolarizzazione delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, quando si è in presenza di vizi meramente formali (sono richiamate le sentenze del Consiglio di Stato, sezione quinta, 17 gennaio 2018, n. 257 e 23 gennaio 2018, n. 418, che hanno, rispettivamente, confermato le decisioni dello stesso TAR Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione seconda, 21 dicembre 2015, n. 3664, e 18 febbraio 2016, n. 335).

Secondo questa interpretazione, per la decadenza o per il diniego del beneficio non sarebbe determinante il profilo formale della falsità della dichiarazione, bensì quello sostanziale, costituito dalla mancanza del requisito falsamente dichiarato.

Tale rilievo troverebbe conferma nell’orientamento giurisprudenziale che fonda il diniego o la revoca del visto o del permesso di soggiorno a cittadini extracomunitari, non sulla falsità dell’attestazione allegata all’istanza, bensì sul difetto oggettivo del requisito falsamente attestato (è richiamata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, 30 agosto 2018, n. 5086). Per converso, ove l’istante abbia dimostrato, anche per vicende sopravvenute, di essere in possesso del requisito, la falsità della dichiarazione non avrebbe effetti preclusivi (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 30 dicembre 2015, n. 5880).

D’altra parte, l’interveniente evidenzia che, laddove l’istanza di rinnovo del patentino si presenti incompleta, la giurisprudenza amministrativa ha ammesso il soccorso istruttorio e ha riconosciuto, inoltre, che l’amministrazione è tenuta a valutare compiutamente la portata, il peso e l’attualità delle pendenze fiscali sussistenti al momento dell’esame dell’istanza e quindi a tenere conto, ad esempio, della rateizzazione del pagamento del debito fiscale (è richiamata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, Palermo, sezione prima, 29 ottobre 2018, n. 2190).

Più di recente, il provvedimento di rigetto dell’istanza di rinnovo del patentino è stato annullato sul rilievo che non sarebbe qualificabile come pendenza fiscale, ai sensi dell’art. 8 del d.m. n. 38 del 2013, quella situazione di fatto che, alla luce della normativa tributaria, non possiede i relativi caratteri come, ad esempio, il mancato superamento della soglia minima di rilevanza fiscale, fissata dall’art. 3, comma 10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44. Ai fini di cui all’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, è stata esclusa la non veridicità di una dichiarazione intrinsecamente corrispondente a detta normativa (Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, sezione prima, sentenza 7 gennaio 2019, n. 31; nello stesso senso, è richiamata anche la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Molise, sezione prima, 28 dicembre 2019, n. 478).

Vi sarebbero, quindi, percorsi ermeneutici che consentono un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata, idonea a sottrarla al contrasto con il parametro costituzionale evocato. Dall’omessa sperimentazione di un tentativo di lettura secundum Constitutionem conseguirebbe l’inammissibilità della questione.

3.2.– Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata.

Non sarebbero violati i principi di ragionevolezza, proporzionalità ed imparzialità di cui all’art. 3 Cost., poiché la disciplina in esame non sarebbe volta a sanzionare la falsità delle dichiarazioni, quanto piuttosto a garantire la certezza dei rapporti giuridici, facendo applicazione del principio di autoresponsabilità del dichiarante, con evidenti vantaggi per l’amministrazione e per il cittadino.

D’altra parte, la concessione del beneficio anche in presenza di false attestazioni porterebbe ad effetti irragionevoli e contrastanti con l’art. 3 Cost., finendo per incentivare comportamenti volti all’attestazione del falso, a danno di chi, invece, operando con correttezza e buona fede, si assume la responsabilità di una dichiarazione, pur sfavorevole, ma veritiera. La scelta del legislatore risponde, quindi, ad esigenze di efficacia dell’azione amministrativa, le quali sarebbero frustrate laddove fosse attribuita all’amministrazione una valutazione in ordine alla gravità del fatto contestato ed all’elemento soggettivo del dichiarante.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanza del 30 gennaio 2020, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (Testo A)».

La disposizione censurata disciplina le conseguenze delle false dichiarazioni sostitutive di atto notorio o di certificazioni. Nel testo vigente ratione temporis essa prevede che «[f]ermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera».

È denunciata la violazione dell’art. 3 Cost., poiché l’automatica decadenza dal beneficio e l’impedimento a conseguire lo stesso, quali «conseguenze […] lato sensu sanzionatorie» della dichiarazione mendace, colpirebbero in maniera indiscriminata condotte di rilievo differente e si porrebbero in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, essendo preclusa qualsiasi valutazione circa la gravità del fatto, il suo disvalore e l’elemento soggettivo del dolo o della colpa del dichiarante.

2.– La questione è inammissibile.

2.1.– Nell’ordinanza di rinvio il giudice a quo riferisce che l’impugnato provvedimento di diniego ha ad oggetto un’istanza di rinnovo del patentino per la vendita di prodotti da fumo e che tale diniego è stato determinato dalla non veridicità della dichiarazione sostitutiva di atto notorio che la accompagnava. La falsità della dichiarazione sarebbe consistita nell’omessa indicazione di pendenze nei confronti dell’erario o dell’agente per la riscossione. Dalle verifiche effettuate dall’amministrazione, sarebbe emerso, infatti, che nei confronti della società ricorrente erano state emesse alcune cartelle di pagamento, non dichiarate al momento della presentazione dell’istanza.

2.2.– La disciplina del rilascio e del rinnovo dei patentini per la vendita di prodotti da fumo è contenuta nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 febbraio 2013, n. 38 (Regolamento recante disciplina della distribuzione e vendita dei prodotti da fumo), che agli artt. 7 e 8 stabilisce i requisiti per il rilascio del titolo.

In particolare, l’art. 7 (Criteri per il rilascio di patentini) prevede, al comma 3, che, «[a]i fini dell’adozione del provvedimento, gli Uffici competenti in relazione all’esercizio del richiedente, valutano: […] g) l’assenza di eventuali pendenze fiscali e/o di morosità verso l’Erario o verso l’Agente della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili». Il successivo art. 8 (Rilascio dei patentini), al comma 3, prevede parimenti che «[l]a dichiarazione sostitutiva di atto notorio indica: […] f) la sussistenza di eventuali pendenze fiscali e/o di morosità verso l’Erario o verso il concessionario della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili».

2.2.1.– Entrambe le disposizioni sono state modificate, successivamente all’ordinanza di rimessione, dal decreto del Ministro dell’economia del 12 febbraio 2021, n. 51 (Regolamento recante modifiche al decreto ministeriale 21 febbraio 2013, n. 38, recante disciplina della distribuzione e vendita dei prodotti da fumo). Per effetto di queste modifiche, la competente amministrazione è tenuta a valutare «la sussistenza di eventuali violazioni fiscali e situazioni di morosità verso l’Erario o verso l’Agente della riscossione di importo superiore a quello previsto dall’articolo 80, comma 4, del decreto legislativo n. 50 del 2016, definitivamente accertate o risultanti da sentenze non più impugnabili». È stato quindi escluso il rilievo – ai fini del rilascio del patentino – di obbligazioni tributarie, definitivamente accertate, di importo inferiore alla soglia indicata.

La novella è entrata in vigore in epoca successiva all’atto impugnato nel giudizio a quo, il quale rimane regolato dalla precedente disciplina, in applicazione del principio tempus regit actum. Essa appare comunque indicativa dell’evoluzione del quadro normativo di riferimento, nel senso della graduazione del rilievo delle pendenze fiscali.

2.3.– Dalla considerazione degli artt. 7 e 8 del d.m. n. 38 del 2013 – nel testo vigente ratione temporis – discende che, nel caso in esame, la mancanza del requisito della regolarità fiscale era suscettibile di precludere il rinnovo del titolo anche se la dichiarazione fosse stata veritiera e avesse puntualmente riferito la sussistenza delle pendenze fiscali e, quindi, anche a prescindere dalla falsità della dichiarazione resa ai sensi del d.P.R. n. 445 del 2000.

Gli effetti irragionevoli e sproporzionati lamentati dal giudice a quo, in quanto vi siano, sarebbero da ricondurre alle disposizioni di rango regolamentare che prevedono i criteri per il rilascio di patentini. Sono queste ultime, infatti, che, nel testo applicabile ratione temporis, precludevano il rinnovo del titolo per la mancanza del requisito della regolarità fiscale.

D’altra parte, il carattere non veridico della dichiarazione resa dall’interessato non poteva esimere il rimettente dalla necessità di fare applicazione delle disposizioni del d.m. n. 38 del 2013, alla cui stregua doveva essere formulato il giudizio di verità o falsità della dichiarazione in esame.

L’omessa considerazione di questi argomenti si traduce nel vizio di motivazione dell’ordinanza, in riferimento al requisito della rilevanza della questione di legittimità costituzionale.

2.4.– Peraltro, nell’escludere il rilievo delle disposizioni del d.m. n. 38 del 2013, l’iter argomentativo del rimettente denota un’ulteriore carenza.

Va infatti posto in evidenza che è lo stesso art. 7, comma 3, del d.m. n. 38 del 2013 a prevedere che, ai fini del rilascio dei patentini, «gli Uffici competenti […] valutano» le specifiche condizioni di operatività degli esercizi interessati, tra le quali è espressamente prevista anche la loro regolarità fiscale. Lo spazio per l’apprezzamento discrezionale da parte dell’amministrazione in ordine allo specifico rilievo delle pendenze o morosità definitivamente accertate si colloca, quindi, nella precedente fase di verifica dei requisiti, anziché in quella delle conseguenze delle false dichiarazioni, come prospettato dal rimettente.

La natura discrezionale dell’apprezzamento compiuto dall’amministrazione in ordine a tali condizioni è avvalorata anche dal raffronto con il tenore del successivo comma 4 dello stesso art. 7, che stabilisce le condizioni assolutamente («[i]n ogni caso») ostative al rilascio dei patentini (prossimità a una rivendita in cui risulti installato un distributore automatico di tabacchi lavorati).

Il giudice rimettente, ritenendo assorbente il rilievo della falsità della dichiarazione, ha escluso l’applicazione di questa disciplina di rango regolamentare. Viceversa – come già rilevato da questa Corte nella sentenza n. 199 del 2019 – la stessa appare suscettibile di definire il contenzioso instaurato dal ricorrente.

2.5.– Il difetto di motivazione sulla rilevanza della questione inficia, dunque, l’ordinanza in esame, determinandone l’inammissibilità (ex plurimis, sentenze n. 259, n. 41 e n. 30 del 2020; n. 266, n. 199, n. 179 e n. 73 del 2019; n. 204, n. 194, n. 114, n. 102 e n. 18 del 2018).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (Testo A)», sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2021.