SENTENZA
N. 114
ANNO
2018
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale
dell’articolo 57, comma 1, del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla
riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dall’art. 16 del decreto
legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della
riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre
1998, n. 337), e dell’art. 3, comma 4, lettera a), del decreto-legge
30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e
disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, promossi dal giudice
dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Sulmona con due
ordinanze del 31 e dell’11
dicembre 2013 e dal giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Trieste
con due ordinanze del 19 agosto
2015 e del 28 marzo
2017, iscritte rispettivamente ai nn. 8, 9 e 195
del registro ordinanze 2016 e n. 110 del registro ordinanze 2017 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 e n. 41, prima serie speciale,
dell’anno 2016 e n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti gli atti di
costituzione di Equitalia Centro spa, di Genagricola spa, di Equitalia
Servizi di riscossione spa, dell’Agenzia delle entrate - Riscossione, ente
subentrato nei rapporti giuridici della società Equitalia
servizi di riscossione spa, nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nella udienza
pubblica del 17 aprile 2018 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;
uditi gli avvocati
Simonetta Rottin per Genagricola
spa, Marcello Cecchetti per l’Agenzia delle entrate - Riscossione, ente subentrato
nei rapporti giuridici della società Equitalia
servizi di riscossione spa, a sua volta incorporante Equitalia
Centro spa, e per Equitalia servizi di riscossione
spa, e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.− Con ordinanza dell’11 dicembre 2013,
iscritta al n. 9 del registro ordinanze 2016, emessa nel procedimento civile
promosso da R. C. contro Equitalia Centro spa, il
giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Sulmona ha sollevato
questioni incidentali di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla
riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dall’art. 16 del
decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della
riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre
1998, n. 337).
Riferisce il giudice rimettente che l’attrice,
opponente in un procedimento di riscossione coattiva nella forma del
pignoramento presso terzi, ha dedotto «l’inesistenza di rapporti con il terzo
pignorato, la prescrizione dei crediti attivati dall’agente per la riscossione,
la violazione dell’art. 7 dello Statuto dei contribuenti e vizi di
notificazione del pignoramento».
Preliminarmente il giudice rimettente ha
rilevato d’ufficio che la notificazione dell’atto di pignoramento ex art.
72-bis d.P.R. n. 602 del 1973 era avvenuta con
modalità del tutto difformi da quelle previste dalla legge, tanto da poter
essere considerata come inesistente. Secondo il rimettente la notifica sarebbe
inesistente per essersi Equitalia limitata a spedire
al terzo una mera raccomandata con avviso di ricevimento. Ma − lamenta il
giudice rimettente − da una parte l’inesistenza della notificazione del
pignoramento non può essere fatta valere davanti alle commissioni tributarie,
poiché gli atti dell’esecuzione esulano dalla giurisdizione tributaria e non
sono previsti nell’elenco degli atti impugnabili in detta sede. D’altra parte,
l’art. 57, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973 limita
le opposizioni regolate dagli artt. 615 e 617 del codice di procedura civile e
a vizi ben specifici, tra cui non rientrerebbe l’inesistenza della
notificazione del pignoramento.
Vi sarebbe, pertanto, un difetto assoluto di
giurisdizione con conseguente violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Inoltre la disposizione censurata violerebbe
anche la «riserva di legge prevista dall’art. 97 Cost. e 111 Cost.», e
contrasterebbe altresì sia con «gli artt. 3, 11, 117 Cost. e 6 CEDU,
nella parte in cui non garantisce al debitore di crediti erariali un processo
equo quanto meno in misura pari agli altri debitori»; sia con l’art. 113 Cost.
«atteso che si avrebbe una limitata impugnativa del cittadino per atti della
pubblica amministrazione, sostanziantesi in forme di notificazione extra ordinem».
La questione sarebbe rilevante – secondo il
giudice rimettente – «poiché, stando all’attuale testo normativo, occorrerebbe
operare una sospensione cautelare per i soli crediti parafiscali, mentre per
quelli erariali si dovrebbe rigettare l’istanza argomentando un difetto
assoluto di giurisdizione».
2.− Il medesimo giudice dell’esecuzione
del Tribunale ordinario di Sulmona, con ordinanza del 31 dicembre 2013,
iscritta al n. 8 del registro ordinanze 2016, emessa nel procedimento civile
promosso da S.D.D. contro Equitalia Centro spa, ha
sollevato analoga questione incidentale di legittimità costituzionale dello
stesso art. 57, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973.
Riferisce il giudice rimettente che l’attrice si
opponeva al pignoramento presso terzi lamentando la sua eccessività perché
incideva sul suo minimo vitale e chiedeva in via cautelare la sospensione
dell’esecuzione.
In questo giudizio Equitalia
Centro spa restava contumace.
Preliminarmente il giudice rimettente rileva
d’ufficio che Equitalia si era limitata a spedire al
terzo una mera raccomandata con avviso di ricevimento. Ma – secondo il
rimettente − la notificazione avvenuta con questa modalità doveva essere
considerata come inesistente.
Quanto alle ragioni del dubbio di legittimità
costituzionale, il giudice rimettente svolge rilievi analoghi a quelli della
precedente ordinanza dello stesso tribunale.
3.− In entrambi i giudizi incidentali
promossi dal Tribunale ordinario di Sulmona si è costituita Equitalia
Centro spa con atti depositati il 23 febbraio 2016, domandando che le questioni
di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o comunque, nel
merito, manifestamente infondate.
Con atti depositati il 23 febbraio 2016, è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo parimenti che le questioni di legittimità
costituzionale siano dichiarate inammissibili o comunque manifestamente
infondate.
Con memoria depositata il 27 marzo 2018,
l’Agenzia delle entrate - Riscossione, succeduta a Equitalia
Centro spa, ha sostenuto la manifesta inammissibilità delle questioni e
comunque la loro manifesta infondatezza.
4.− Con due distinte ordinanze di analogo
contenuto del 19 agosto 2015 e del 28 marzo 2017, iscritte rispettivamente al
n. 195 del registro ordinanze 2016 e al n. 110 del registro ordinanze 2017, il
giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Trieste in due procedimenti
civili promossi dalla società Genagricola spa contro Equitalia nord spa e Azienda Servizi Integrati, terzo
pignorato, e contro Equitalia nord spa e GSE spa -
Gestore dei servizi energetici, terzo pignorato, ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 57 del d.P.R. n.
602 del 1973, e, «ove occorra», dell’art. 3, comma 4, lettera a), del
decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione
fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248.
Riferisce il giudice rimettente che, in entrambi
i giudizi, la società Genagricola spa, esecutata
opponente, aveva proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., avverso i pignoramenti presso terzi avviati, ex
art. 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, da Equitalia Nord spa, per i crediti per l’imposta comunale
sugli immobili (ICI) rispettivamente per gli anni 2008 e 2009 non corrisposta
al Comune di Cassano allo Ionio, avente ad oggetto i crediti vantati
dall’opponente nei confronti dei terzi.
In precedenza la stessa società Genagricola spa aveva impugnato sia gli avvisi di
accertamento, sia le successive cartelle di pagamento, domandando e ottenendo
la misura cautelare della sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati.
A seguito dell’adozione di tali misure cautelari
Equitalia nord spa sospendeva in autotutela −
«sino a nuova comunicazione» − i pignoramenti e lo stesso Comune di
Cassano allo Ionio invitava Equitalia a non dar corso
all’esecuzione intrapresa.
In entrambi i giudizi di opposizione
all’esecuzione la società deduceva l’avvenuta violazione dell’art. 7 del
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni
urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio
2011, n. 106, che ha introdotto in via generale la sospensione ex lege degli atti esecutivi esattoriali per la durata di 120
giorni. In violazione di tale disposizione Equitalia
aveva avviato l’esecuzione prima che fossero decorsi 120 giorni dalla
proposizione del ricorso, e pedissequa istanza cautelare, contro la cartella di
pagamento, e comunque, prima che fosse intervenuta la decisione del giudice
tributario su tale istanza cautelare.
In entrambi i giudizi la società Genagricola sollevava, inoltre, eccezione di illegittimità
costituzionale dell’art. 57 del d.P.R. n. 602 del
1973, in riferimento agli artt. 3, 24, 54, 97, 111 e 113 della Costituzione.
In accoglimento di tale eccezione il giudice
adito riteneva non manifestamente infondato il dubbio di legittimità
costituzionale della censurata disposizione per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost.
L’art. 57 citato – prevedendo l’inammissibilità
delle opposizioni all’esecuzione ex art. 615 cod. proc.
civ., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni – gli
impedirebbe di pronunziarsi sulla fondatezza dell’opposizione proposta dalla
società, pur in presenza di elementi di fatto e di diritto che indurrebbero a
ravvisarne l’indubbia fondatezza sostanziale e processuale. Tale disposizione
violerebbe gli indicati parametri incidendo in senso limitativo sul diritto di
difesa del contribuente e sui mezzi di tutela di quest’ultimo contro taluni
atti dell’esecuzione in materia tributaria. Infatti l’art. 57 censurato
impedisce al debitore opponente la proponibilità dell’opposizione
all’esecuzione, che è ammissibile solo per far valere l’impignorabilità dei
beni, non anche, in tesi, per rilevare l’illegittimità dell’esecuzione o la
carenza dei presupposti dell’esecuzione, costringendo il contribuente a subire
in ogni caso l’esecuzione, ancorché ingiusta, con la sola possibilità di
presentare ex post una richiesta di rimborso di quanto ingiustamente percetto
dall’amministrazione finanziaria o dal suo concessionario per la riscossione,
ovvero di agire per il risarcimento del danno.
Secondo il rimettente il citato art. 57 sarebbe
in contrasto «con gli artt.
24 e 113 della
Costituzione, in quanto impedisce di chiedere ed ottenere tutela
giurisdizionale sia nei confronti di privati che nei confronti dello Stato e di
altri enti minori», lasciando al contribuente la sola possibilità di agire ex
post per il rimborso delle somme versate, nonché «con l’art. 3 della
Costituzione in relazione alla differenza di trattamento che crea tra
contribuenti che sono in grado di pagare immediatamente l’intero tributo e
quelli che, invece, non hanno mezzi sufficienti per farlo».
In particolare sarebbe violato l’art. 24 Cost.,
poiché è impedita, al debitore opponente, in modo generalizzato ed
irragionevole, ogni possibilità di difesa, consentendosi al medesimo di fare
opposizione all’esecuzione solo ed esclusivamente per far valere
l’impignorabilità dei beni, non anche per tutelarsi da esecuzioni illegittime.
Sarebbe violato anche l’art. 113 Cost.,
poiché la disposizione censurata limita e impedisce la tutela del contribuente
contro una determinata categoria di atti della pubblica amministrazione e dei
concessionari di quest’ultima, impedendo in modo indiscriminato ed
ingiustificato ogni difesa contro tutti gli atti dell’esecuzione.
5.− La Genagricola
spa si è costituita in entrambi i giudizi incidentali, con atti depositati il
31 ottobre 2016 e il 18 settembre 2017, sviluppando, in sostanza, analoghi
argomenti difensivi. La società, aderendo alle censure mosse dal giudice
rimettente, ha domandato che ciascuna questione di legittimità costituzionale
sia dichiarata fondata.
Con atti depositati il 31 ottobre 2016 e il 18
settembre 2017, si sono costituite Equitalia Nord spa
(nel giudizio reg. ord. n. 195 del 2016) e l’Agenzia
delle entrate - Riscossione (nel giudizio reg. ord.
n. 110 del 2017), entrambe domandando che ciascuna questione di legittimità
costituzionale sia dichiarata inammissibile o comunque, nel merito, infondata.
Con atti di tenore sostanzialmente analogo,
depositati il 2 novembre 2016 e il 19 settembre 2017, è intervenuto in entrambi
i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che ciascuna questione di
legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
Con memorie depositate il 27 marzo 2018,
riferite ad entrambe le ordinanze del Tribunale ordinario di Trieste, l’Agenzia
delle entrate - Riscossione ha sostenuto la inammissibilità delle questioni e
in subordine la loro infondatezza.
Considerato
in diritto
1.– Con ordinanze in data 11 e 31 dicembre 2013
iscritte rispettivamente al n. 9 e al n. 8 del registro ordinanze 2016, il
giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Sulmona ha sollevato
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla
riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dall’art. 16 del
decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della
riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998,
n. 337), in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111, 113 e 117 della Costituzione
e all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Il rimettente, in particolare, dubita della
legittimità costituzionale della disposizione censurata nella parte in cui,
limitando la facoltà di proporre le opposizioni regolate dagli artt. 615 e 617
del codice di procedura civile solo a quelle riguardanti la pignorabilità dei
beni ed alle opposizioni agli atti esecutivi concernenti le patologie del
titolo e del precetto, non contempla «la facoltà di proporre opposizione nei
confronti delle patologie riguardanti il pignoramento o il procedimento di
notificazione di detto atto, quand’anche si trattasse dell’inesistenza della
notificazione», nonché nella parte in cui «avalla delle modalità di
notificazione dell’atto di pignoramento presso terzi diverse da quelle previste
dalla legge e per le quali non è consentita al debitore alcuna forma di
tutela».
2.− Con due ordinanze di analogo tenore,
del 19 agosto 2015 e del 28 marzo 2017, iscritte rispettivamente al n. 195 del
registro ordinanze 2016 e al n. 110 del registro ordinanze 2017, il giudice
dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Trieste ha sollevato questione di
legittimità costituzionale del medesimo art. 57 e, «ove occorra, anche»
dell’art. 3, comma 4, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203
(Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia
tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 2 dicembre
2005, n. 248.
Il rimettente dubita della legittimità
costituzionale dell’art. 57 del d.P.R. n. 602 del
1973 in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost., nella parte in cui –
prevedendo l’inammissibilità sia delle opposizioni regolate dall’art. 615 cod. proc. civ., fatta eccezione per quelle concernenti la
pignorabilità dei beni, sia delle opposizioni regolate dall’art. 617 cod. proc. civ. relative alla regolarità formale ed alla
notificazione del titolo esecutivo – costringe «il contribuente a subire in
ogni caso l’esecuzione, ancorché ingiusta; con la sola possibilità di
presentare ex post una richiesta di rimborso di quanto ingiustamente percetto
dalla pubblica amministrazione, o suo concessionario per la riscossione, ovvero
di agire per il risarcimento del danno».
Il tribunale assume che l’art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973 si pone in contrasto con l’art. 24 Cost.,
per la menomazione del diritto di difesa derivante dalla limitazione dei casi
in cui è ammessa l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., e con l’art. 113 Cost., poiché limita e
impedisce la tutela del contribuente contro una determinata categoria di atti
della pubblica amministrazione. Inoltre ritiene violati l’art. 3 Cost., per la
disparità di trattamento tra contribuenti secondo che il debito riguardi, o
meno, tributi per i quali l’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo
contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), prevede la
giurisdizione tributaria, e l’art. 111 Cost., per contrasto con il principio
del giusto processo.
3 – Le questioni di legittimità costituzionale,
sollevate dal Tribunale ordinario di Sulmona e dal Tribunale ordinario di
Trieste, sono in larga parte sovrapponibili e quindi si rende opportuna la loro
trattazione congiunta mediante riunione dei giudizi.
4.− Le questioni poste con le due
ordinanze di rimessione del Tribunale ordinario di Sulmona sono inammissibili.
Nell’ordinanza iscritta al n. 8 del registro
ordinanze 2016 il tribunale rimettente – a fronte delle censure della parte
attrice, che ha proposto opposizione al pignoramento presso terzi lamentando la
sua eccessività perché incidente sul suo minimo vitale e ha chiesto in via
cautelare la sospensione dell’esecuzione – si limita a rilevare d’ufficio che
la notificazione al terzo pignorato è avvenuta con modalità del tutto difformi
da quelle previste dalla legge, tanto da poter essere considerata come
inesistente.
Ma, da una parte, la fattispecie del giudizio a
quo non è descritta se non con il sommario ed assai sintetico riferimento alla
censura mossa dalla parte assoggettata a riscossione coattiva. D’altra parte
comunque – considerato che la parte attrice non ha eccepito il vizio di
notifica dell’atto di pignoramento presso terzi – l’atto potrebbe avere
comunque raggiunto il suo scopo (art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.) anche in presenza di una modalità della
notifica che il giudice ricorrente assume essere contra legem,
ma che non riconduce alla categoria dell’inesistenza della notifica nei termini
ristretti e più puntuali da ultimo ritenuti dalla giurisprudenza di legittimità
(Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 20 luglio 2016, n. 14916).
È quindi carente la motivazione in ordine alla
rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, considerato
anche che la doglianza della parte attrice in ordine ai limiti di pignorabilità
del suo credito nei confronti di terzi non incontra affatto la limitazione di
ammissibilità dell’opposizione all’esecuzione prevista dal censurato art. 57
del d.P.R. n. 602 del 1973, essendo invece ammessa
proprio quando concerne la pignorabilità dei beni.
Anche nell’ordinanza iscritta al n. 9 del
registro 2016 del medesimo tribunale rimettente la fattispecie del giudizio a
quo è solo richiamata in termini sommari e del tutto insufficienti.
Inoltre – a fronte delle censure della parte
attrice che, secondo il sintetico e generico riferimento contenuto
nell’ordinanza di rimessione, ha sostenuto l’inesistenza di rapporti con il
terzo pignorato, la prescrizione dei crediti attivati dall’agente per la riscossione,
la violazione dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in
materia di statuto dei diritti del contribuente), e vizi di notificazione del
pignoramento – il tribunale, anche in questo secondo giudizio, ha rilevato
d’ufficio che la notificazione al terzo pignorato sarebbe avvenuta con modalità
difformi da quelle previste dalla legge sì da dover essere considerata come
inesistente. Il rimettente però non spiega le ragioni per cui tale vizio,
avendo ad oggetto un atto della riscossione fiscale (il pignoramento presso
terzi) e non già il titolo posto a fondamento della riscossione stessa (la
cartella di pagamento) – e comunque non risolvendosi nell’inesistenza della
notificazione (secondo la citata giurisprudenza di legittimità) − non possa
esser fatto valere con l’ordinaria opposizione agli atti esecutivi ai sensi
dell’art. 617 cod. proc. civ., atteso che l’art. 57
censurato esclude soltanto le opposizioni relative alla regolarità formale ed
alla notificazione del titolo esecutivo.
Tutte le sollevate questioni sono, quindi,
inammissibili.
5.− Invece le questioni poste con le
ordinanze del Tribunale ordinario di Trieste, sostanzialmente identiche seppur
riferite a diverse annualità dell’obbligo tributario della società opponente,
sono ammissibili.
In entrambi i giudizi a quibus
la società, assoggettata a riscossione coattiva, dopo aver proposto al giudice
tributario ricorso avverso sia l’avviso di accertamento, sia la cartella di
pagamento e dopo aver chiesto la sospensione giudiziale dell’esecuzione degli
atti impugnati, contesta, con atto di opposizione all’esecuzione ex art. 615
cod. proc. civ., il diritto di Equitalia
Nord spa di procedere ad espropriazione forzata nella forma del pignoramento
presso terzi, effettuato ai sensi dell’art. 72-bis del d.P.R.
n. 602 del 1973, facendo valere il termine di moratoria di 120 giorni previsto
dall’art. 7, comma 1, lettera m), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70
(Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con
modificazioni, in legge 12 luglio 2011, n. 106, il quale ha previsto che, in
caso di richiesta di sospensione giudiziale degli atti esecutivi, non si
procede all’esecuzione fino alla decisione del giudice e comunque fino al
centoventesimo giorno.
Il giudice dell’esecuzione, adito dalla società,
è quindi chiamato a fare applicazione della disposizione censurata la quale
prevede che nel procedimento di riscossione esattoriale l’opposizione
all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ.
è inammissibile, fatta eccezione per quella concernente la pignorabilità dei
beni.
D’altra parte sussiste, secondo il giudice
rimettente, l’interesse ad agire della società opponente perché, pur essendo
stato il pignoramento presso terzi sospeso in autotutela da Equitalia
Nord, ciò però è avvenuto – rileva il tribunale − «sino a nuova
comunicazione» e quindi il procedimento di riscossione può essere riattivato in
qualsiasi momento. Ciò costituisce una non implausibile
motivazione della ritenuta sussistenza dell’interesse della società ad ottenere
una pronuncia di accertamento dell’illegittimità della procedura di riscossione
perché avviata quando non era ancora spirato il suddetto termine di moratoria e
pertanto era preclusa per legge.
Rilevanti sono quindi le questioni di
costituzionalità sollevate dal Tribunale ordinario di Trieste.
Sussiste inoltre anche una sufficiente
motivazione della ritenuta non manifesta infondatezza delle questioni di
costituzionalità, nonché la plausibile non adottabilità di un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.
In via preliminare va poi precisato che oggetto
dell’incidente di costituzionalità è solo l’art. 57 del d.P.R.
n. 602 del 1973, e non anche l’art. 3, quarto comma, lettera a), del
decreto-legge n. 203 del 2005, seppur indicato nel dispositivo delle ordinanze
di rimessione, ma soltanto «ove occorra» e senza che alcuna censura nei suoi
confronti sia mossa dal tribunale rimettente. Infatti tale ultima disposizione
– la quale prevede che l’agente per la riscossione opera con i poteri e secondo
le disposizioni di cui al Titolo I, Capo II, e al Titolo II, del d.P.R. n. 602 del 1973 – è richiamata dal giudice
rimettente al solo fine di confermare l’applicabilità dell’art. 57 citato nel
giudizio a quo e quindi al fine di coonestare la rilevanza della questione di
legittimità costituzionale di tale disposizione; la quale è l’unica investita
dalle censure mosse dal giudice rimettente.
6.− Nel merito, le questioni di
legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 24 e 113 Cost. e
che investono l’art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973,
segnatamente il suo comma 1, lettera a), sono fondate.
7.− Il censurato art. 57, come sostituito
dall’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 46 del 1999, n. 46, disciplina attualmente
l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi nel regime della riscossione
delle imposte sul reddito, come già faceva in passato l’art. 54 del medesimo d.P.R. nella sua originaria formulazione, in vigore fino al
riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo di cui al citato
d.lgs. n. 46 del 1999.
In precedenza era quest’ultima disposizione
(l’art. 54) che − nel contesto della disciplina processuale del
contenzioso tributario all’epoca vigente, prima della riforma del 1992, e
derogando al regime generale della riscossione delle entrate patrimoniali dello
Stato − regolava la materia della riscossione delle imposte sul reddito
in termini particolarmente restrittivi per il contribuente ad essa assoggettato
quanto alla prevista inammissibilità delle opposizioni all’esecuzione.
Infatti, in generale per le entrate patrimoniali
dello Stato l’art. 3 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del
testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate
patrimoniali dello Stato) accordava ampia tutela al debitore perché stabiliva
che egli, nel prescritto termine (di trenta giorni dalla notificazione della
ingiunzione), poteva proporre opposizione (o ricorso) avanti al conciliatore o
al pretore o al tribunale del luogo in cui aveva sede l’ufficio emittente, nel
rispetto delle norme del codice di rito, espressamente richiamato, e
riconosceva al giudice adito il potere di sospendere il procedimento coattivo.
Invece per le imposte sul reddito il testo originario dell’art. 54 del d.P.R. n. 602 del 1973 – prevedendo seccamente, al secondo
comma, che «[l]e opposizioni regolate dagli artt. da 615 a 618 del codice di
procedura civile non sono ammesse» – escludeva qualsiasi opposizione del
contribuente, consentendo solo quella di terzo ex art. 619 cod. proc. civ.
Questa preclusione assoluta era però bilanciata,
in termini di disciplina speciale derogatoria, dall’ulteriore prescrizione del
medesimo art. 54 che stabiliva, al primo comma, che «[l]a procedura esecutiva
non può essere sospesa dall’esattore se la sospensione non sia disposta
dall’intendente di finanza ai sensi dell’art. 53 o dal pretore in seguito ad
opposizione di terzo». Era quindi riconosciuta al contribuente assoggettato a
riscossione esattoriale una tutela amministrativa (il ricorso all’intendente di
finanza), alla quale solo successivamente poteva seguire − secondo quanto
ritenuto dalla giurisprudenza (Corte di cassazione, sezioni unite civili,
sentenza 26 novembre 1993, n. 11717) − una tutela giudiziaria innanzi al
giudice amministrativo adito avverso l’eventuale provvedimento sfavorevole
dell’intendente di finanza, mentre il ricorso al giudice tributario avverso il
ruolo non sospendeva ex se l’esecuzione, né questa poteva essere sospesa da
quel giudice, ove adito, in quanto, nel regime processuale del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina
del contenzioso tributario), non ne aveva il potere.
8.− Si aveva pertanto che, in caso di
controversia tributaria promossa avverso il ruolo dal contribuente che
contestasse il diritto dell’amministrazione finanziaria di procedere a
riscossione esattoriale, solo l’intendente di finanza – organo della stessa
amministrazione che aveva attivato la procedura di riscossione − poteva
adottare il provvedimento di sospensione dell’esecuzione (art. 39 d.P.R. n. 602 del 1973). Ricorrente era l’affermazione in
giurisprudenza, anche recente (ex plurimis,
Cassazione civile, sentenza 18 ottobre 2013, n. 25855), secondo cui, con
riferimento al regime dell’esecuzione esattoriale precedente alla riforma del
1999, l’art. 54 citato, nell’escludere l’ammissibilità delle opposizioni sia
all’esecuzione che agli atti esecutivi, configurava un’ipotesi di
improponibilità assoluta della domanda per carenza, nell’ordinamento, di una
norma che riconoscesse e tutelasse la posizione giuridica di chi intendeva
opporsi all’esecuzione o agli atti esecutivi.
In questa situazione la tutela del contribuente
era limitata e, di fatto, era prevalentemente successiva alla riscossione
stessa dal momento che il medesimo art. 54, al terzo comma, prevedeva che il
contribuente, che si fosse ritenuto leso dall’esecuzione esattoriale, poteva
agire contro l’esattore dopo il compimento della esecuzione stessa domandando
il risarcimento dei danni per aver subito un’esecuzione illegittima.
Sull’assunto che ciò identificasse un meccanismo di solve et repete, la disposizione fu investita da censure di
illegittimità costituzionale non dissimili da quelle che avevano riguardato
l’art. 6 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, recante «Legge sul contenzioso
amministrativo (All. E)»; disposizione quest’ultima
che, non solo condizionava la tutela giurisdizionale del contribuente alla
pubblicazione del ruolo e all’iscrizione a ruolo dell’imposta (primo comma), ma
anche prevedeva (al secondo comma) che gli atti d’opposizione per essere
ammissibili in giudizio dovessero essere accompagnati dal «certificato di
pagamento dell’imposta», sicché l’onere del pagamento del tributo costituiva,
per il contribuente, presupposto imprescindibile per accedere alla tutela
giurisdizionale. Questa Corte, ritenendo violato il diritto alla tutela
giurisdizionale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’uno e
dell’altro comma di tale disposizione (rispettivamente: sentenze n. 125 del
1969 e n. 21
del 1961).
In realtà però nell’art. 54 citato non era
rinvenibile una vera e propria clausola di solve et repete
perché formalmente la tutela giurisdizionale diretta c’era, seppur innanzi al
giudice amministrativo e condizionata al previo esperimento del ricorso
all’intendente di finanza. Questa Corte ha quindi ritenuto non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 54 in riferimento, in
particolare, agli artt. 24 e 113 Cost. (sentenza n. 63 del
1982).
9.− Con la nuova disciplina del
contenzioso tributario (d.lgs. n. 546 del 1992) e con quella della riscossione
mediante ruolo (d.lgs. n. 46 del 1999), estesa a tutte le entrate dello Stato,
anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici,
il quadro normativo muta radicalmente in termini di maggior tutela per il
contribuente assoggettato ad esecuzione coattiva, seppur con una circoscritta
carenza sulla quale ‒ come si viene ora a dire ‒ si appuntano le
censure del giudice rimettente.
Innanzi tutto viene fissato, quanto alla riscossione
coattiva, uno specifico criterio di riparto della giurisdizione tra giudice
tributario e giudice (ordinario) dell’esecuzione. Infatti l’art. 2 del d.lgs.
n. 546 del 1992 prevede che «[r]estano escluse dalla
giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della
esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di
pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano
ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della
Repubblica».
Viene così tracciata una linea di demarcazione
della giurisdizione, posta dalla cartella di pagamento e dall’eventuale
successivo avviso recante l’intimazione ad adempiere: fino a questo limite la
cognizione degli atti dell’amministrazione, espressione del potere di
imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario; a
valle, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice
dell’esecuzione.
È questo un criterio di riparto della
giurisdizione; ma la sommatoria della tutela innanzi al giudice tributario e di
quella innanzi al giudice (ordinario) dell’esecuzione deve realizzare per il
contribuente una garanzia giurisdizionale a tutto tondo: in ogni caso deve
esserci una risposta di giustizia perché siano rispettati gli artt. 24 e 113
Cost.
Questa tutela − complementare,
nell’insieme, e senza sovrapposizioni − della giurisdizione tributaria e
della giurisdizione ordinaria c’è, in particolare, quanto al potere cautelare
di sospensione della riscossione: come il giudice tributario, sempre che abbia
giurisdizione, può sospendere l’esecuzione ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. 546
del 1992 quando dall’atto impugnato può derivare al ricorrente un danno grave
ed irreparabile, così il giudice (ordinario) dell’esecuzione − ove sia
egli, e non il giudice tributario, ad avere la giurisdizione − può
sospendere l’esecuzione quando ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo
di grave e irreparabile danno (art. 60 del d.P.R. n.
602 del 1973). La necessità della tutela cautelare mediante sospensione
dell’esecuzione dei ruoli esattoriali è già stata affermata da questa Corte
che, relativamente ad entrate di natura non tributaria, aveva dichiarato
l’illegittimità costituzionale di una disciplina di settore che rendeva
applicabile, in forza di rinvio, la previgente procedura di riscossione
coattiva disciplinata dal d.P.R. n. 602 del 1973 (sentenza n. 318 del
1995).
10.− In questo riformato contesto
normativo l’opposizione all’esecuzione o quella agli atti esecutivi nel
procedimento di riscossione coattiva è disciplinata dal censurato art. 57,
nella formulazione sostituita dall’art. 16 d.lgs. n. 46 del 1999, in termini
ben diversi da quelli dell’originario art. 54, che – come rilevato – le
precludeva del tutto. Non si passa però ad una loro generale ammissibilità
secondo le regole ordinarie del codice di rito; anzi l’incipit dell’art. 57
conserva ancora la formulazione al negativo, in termini di inammissibilità
dell’opposizione. Infatti la disposizione attualmente censurata prevede al
primo comma: «Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’articolo 615
del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la
pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall’articolo 617 del codice
di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del
titolo esecutivo».
In vero, l’apertura alle opposizioni agli atti
esecutivi – quelle relative alla regolarità formale degli atti della procedura
di riscossione – è in realtà piena nel senso che sono tutte ammesse con la sola
eccezione delle opposizioni che riguardano la regolarità formale e la
notificazione del titolo esecutivo. Ma non è questa una deroga limitativa della
tutela giurisdizionale perché queste ultime opposizioni sono attratte alla
giurisdizione del giudice tributario. Quindi la tutela del contribuente c’è in
ogni caso, senza che le regole di riparto della giurisdizione possano
significare alcuna soluzione di continuità della garanzia giurisdizionale nel
rispetto dei parametri evocati dal giudice rimettente (artt. 24 e 113 Cost.).
Lo stesso, però, non può predicarsi, in ogni caso,
per le opposizioni all’esecuzione, ossia per quelle che vedono il contribuente
contestare il diritto dell’agente della riscossione a procedere ad esecuzione
forzata, giacché l’art. 57 ammette solo le opposizioni che attengono alla
pignorabilità dei beni, ma esclude tutte le altre. Ed è su questa testuale
esclusione che si appuntano le censure di illegittimità costituzionale mosse
dal giudice rimettente.
11.− Orbene, la disposizione dell’art. 57,
comma 1, lettera a), esprime, in parte qua, una duplice norma: una, che si
sottrae alle censure del giudice rimettente, l’altra, che invece ne è attinta.
Da una parte essa esclude che sia ammissibile
l’opposizione all’esecuzione per il solo fatto che il contribuente opponente
formuli un petitum con cui contesta il diritto
dell’amministrazione finanziaria o dell’agente della riscossione di procedere
ad esecuzione forzata, come sarebbe invece possibile secondo il canone
ordinario dell’opposizione ex art. 615 cod. proc.
civ. In questa parte l’art. 57 va raccordato con l’art. 2 del d.lgs. n. 546 del
1992, che demanda alla giurisdizione del giudice tributario le contestazioni
del titolo (normalmente, la cartella di pagamento) su cui si fonda la
riscossione esattoriale. Se il contribuente contesta il titolo della riscossione
coattiva, la controversia così introdotta appartiene alla giurisdizione del
giudice tributario e l’atto processuale di impulso è il ricorso ex art. 19 del
d.lgs. n. 546 del 1992, proponibile avverso «il ruolo e la cartella di
pagamento», e non già l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ.
Sicché, come non c’è affatto un vuoto di tutela
nell’ipotesi della prevista inammissibilità dell’opposizione agli atti
esecutivi riguardante la regolarità formale e la notificazione del titolo
esecutivo, ma solo una puntualizzazione del criterio di riparto della
giurisdizione, analogamente la prevista inammissibilità dell’opposizione
all’esecuzione, quando riguarda atti che radicano la giurisdizione del giudice
tributario, non segna una carenza di tutela del contribuente assoggettato a
riscossione esattoriale, perché questa c’è comunque innanzi ad un giudice,
quello tributario. L’inammissibilità dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. si salda, in simmetria complementare, con la
proponibilità del ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, assicurando,
in questa parte, la continuità della tutela giurisdizionale.
Non c’è insomma una tutela giurisdizionale
concorrente secondo la prospettazione del petitum del
ricorrente. Altrimenti detto, l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. – che non è soggetta a termine di decadenza – in
tanto non è ammissibile, come prescrive l’art. 57 citato, in quanto non ha, e
non può avere, una funzione recuperatoria di un ricorso ex art. 19 del d.lgs. n.
546 del 1992 non proposto affatto o non proposto nel prescritto termine di
decadenza (di sessanta giorni).
12.− Deve anche aggiungersi che sul
crinale di questo canone di riparto di giurisdizione – per cui in tanto è
inammissibile l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc.
civ. in quanto è proponibile il ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 –
si colloca quella più recente giurisprudenza di legittimità (Corte di
cassazione, sezioni unite civili, sentenza 5 giugno 2017, n. 13913), che, a composizione
di un contrasto, ravvisa nel primo atto della riscossione coattiva (quale
l’atto di pignoramento) di cui il contribuente abbia avuto conoscenza, in
mancanza di precedenti atti ritualmente notificati, quello recante l’esercizio
della potestà impositiva, la cui contestazione radica una controversia devoluta
alla giurisdizione del giudice tributario ed onera il contribuente del ricorso
ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (nel prescritto termine di decadenza).
Anche in tale evenienza la tutela del contribuente c’è, ma è attivata con lo
strumento processuale di accesso al giudice tributario costituito dal ricorso
ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (nel prescritto termine di decadenza),
non essendo ammissibile invece l’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. (senza termine di decadenza). Resta comunque
salvo il meccanismo della translatio iudicii per cui, quando un giudice declina la propria
giurisdizione, il processo continua davanti al giudice munito di giurisdizione,
con salvezza degli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe
prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adìto fin dall’inizio.
Parimenti, peraltro, anche in caso di
contestazione della legittimità della riscossione coattiva mediante cartella
per il pagamento di sanzioni amministrative, quali quelle per violazioni del
codice della strada, si è posto un problema analogo e la giurisprudenza ha
ritenuto inammissibile l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. perché nei confronti del primo atto della
procedura di riscossione, di cui abbia avuto conoscenza il debitore
assoggettato a riscossione coattiva, è esperibile l’ordinaria opposizione al
verbale di accertamento della violazione nel prescritto termine di decadenza
(Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 22 settembre 2017, n.
22080).
Altra giurisprudenza, in vero, interpretando
l’ambito dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ. come comprensivo anche dell’ipotesi della
dedotta nullità derivata dell’atto di pignoramento in ragione della mancata (o
invalida) notifica dell’atto presupposto su cui si fonda la riscossione
coattiva (cartella di pagamento, intimazione ad adempiere, ingiunzione
fiscale), afferma sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, chiamato a
conoscere dell’opposizione così qualificata (Corte di cassazione, sezioni unite
civili, sentenza 27 ottobre 2016, n. 21690). In questa prospettiva non si pone
un problema di inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione perché si
ritiene che si versi nella fattispecie dell’opposizione agli atti esecutivi.
Ma ciò che rileva in questo giudizio di
costituzionalità è che in tutti questi casi la tutela giurisdizionale non
soffre quella discontinuità censurata dal giudice rimettente, nel senso che c’è
sempre un giudice chiamato a pronunciarsi in ordine alle doglianze della parte
assoggettata a riscossione esattoriale, ma si pongono altri e diversi problemi:
quelli di riparto di giurisdizione e di identificazione dell’atto processuale
necessario per adire il giudice.
13.− Però la censurata disposizione
dell’art. 57, comma 1, lettera a), esprime anche un’altra norma: l’opposizione
all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. è
inammissibile non solo nell’ipotesi in cui la tutela invocata dal contribuente,
che contesti il diritto di procedere a riscossione esattoriale, ricada nella
giurisdizione del giudice tributario e la tutela stessa sia attivabile con il
ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma anche allorché la giurisdizione
del giudice tributario non sia invece affatto configurabile e non venga in
rilievo perché si è a valle dell’area di quest’ultima. Il dato letterale della
disposizione censurata non consente di ritenere che l’inammissibilità
dell’opposizione all’esecuzione sia sancita solo nella prima ipotesi e non
anche nell’altra.
Il giudice rimettente ha sperimentato la
possibilità di interpretazione adeguatrice della
disposizione censurata, ma l’ha correttamente esclusa perché il suo dato
testuale è inequivocabile: l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. è inammissibile in ogni caso e quindi anche ove
la fattispecie sia fuori dall’area della giurisdizione del giudice tributario e
non sia pertanto ammissibile il ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Sotto questo profilo il caso oggetto dei giudizi
a quibus è emblematico: il titolo sul quale si fonda
la riscossione è la cartella esattoriale che è stata impugnata innanzi al
giudice tributario dalla società opponente; la quale, inoltre, con l’opposizione
all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. contesta
innanzi al giudice ordinario il diritto dell’agente della riscossione di
procedere ad esecuzione forzata, nella forma del pignoramento presso terzi ex
art. 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, allegando la
temporanea inidoneità del titolo a legittimare la riscossione in ragione della
moratoria di 120 giorni, introdotta dall’art. 7, comma 1, lettera m), del
decreto-legge n. 70 del 2011, come convertito, il quale ha previsto che, in
caso di richiesta di sospensione giudiziale degli atti esecutivi, non si
procede all’esecuzione fino alla decisione del giudice e comunque fino al
centoventesimo giorno.
Il giudice rimettente non dubita della propria
giurisdizione (ex art. 2 citato) perché il giudizio riguarda atti della
esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di
pagamento, già impugnata innanzi al giudice tributario, e ritiene, secondo un
plausibile apprezzamento degli atti processuali, che la contestazione della
società sia relativa al diritto di procedere alla riscossione e non riguardi
invece la mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della
procedura sicché deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione e non già
come opposizione agli atti esecutivi.
Del resto è possibile ipotizzare anche altre
evenienze che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento,
in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di
procedere a riscossione coattiva e non già la mera regolarità formale della
procedura, come nell’ipotesi dell’intervenuto adempimento del debito tributario
o di una sopravvenuta causa di estinzione dello stesso per essersi il
contribuente avvalso di misure di favore per l’eliminazione del contenzioso
tributario, quale, ad esempio, la cosiddetta "rottamazione” delle cartelle di
pagamento ex art. 6 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni
urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili),
convertito, con modificazioni, in legge 1° dicembre 2016, n. 225.
In tutte queste ipotesi in cui sussiste la
giurisdizione del giudice ordinario – perché la controversia si colloca a valle
della giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992
– e l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione deve
qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., essendo contestato il diritto di procedere a
riscossione coattiva, c’è una carenza di tutela giurisdizionale perché il
censurato art. 57 non ammette siffatta opposizione innanzi al giudice
dell’esecuzione e non sarebbe possibile il ricorso al giudice tributario
perché, in tesi, carente di giurisdizione. Né questa carenza di tutela
giurisdizionale sarebbe colmabile con la possibilità dell’opposizione agli atti
esecutivi laddove la contestazione della legittimità della riscossione non si
limiti alla regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della
procedura. Una dilatazione dell’ambito di applicazione di tale rimedio
processuale lascerebbe comunque un’ingiustificata limitazione di tutela
giurisdizionale se non altro in ragione dell’esistenza di un termine di
decadenza per la proponibilità dell’azione, che invece non è previsto in caso
di opposizione all’esecuzione.
La pur marcata peculiarità dei crediti
tributari, che può sì giovarsi di una disciplina di favore per
l’amministrazione fiscale, come ritenuto da questa Corte (da ultimo, sentenza n. 90 del
2018), e che è a fondamento della speciale procedura di riscossione
coattiva tributaria rispetto a quella ordinaria di espropriazione forzata, non
è però tale da giustificare che, nelle ipotesi in cui il contribuente contesti
il diritto di procedere a riscossione coattiva e sussista la giurisdizione del
giudice ordinario, non vi sia una risposta di giustizia se non dopo la chiusura
della procedura di riscossione ed in termini meramente risarcitori.
Può richiamarsi in proposito la giurisprudenza
di questa Corte che ha ritenuto illegittimo il differimento della tutela
giurisdizionale solo dopo l’adempimento dell’obbligazione tributaria secondo il
criterio del solve et repete (sentenze n. 45 del
1962 e n. 21
e n. 79 del 1961).
La pienezza della garanzia giurisdizionale è altresì a fondamento della
dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disciplina di settore
nella parte in cui, rinviando alle norme previste per la riscossione delle
imposte dirette, impediva al debitore esecutato di proporre opposizione
all’esecuzione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria (sentenza n. 239 del
1997). Più in generale vi è che la possibilità di attivare il sindacato del
giudice su atti immediatamente lesivi appartiene al diritto, inviolabile e
quindi fondamentale, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi legittimi (art. 24 Cost.), senza che contro gli atti della pubblica
amministrazione la tutela giurisdizionale possa essere esclusa o limitata a
particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti (art. 113
Cost.).
14.‒ In conclusione quindi si ha che ‒
laddove la censura della parte assoggettata a riscossione esattoriale non
radichi una controversia devoluta alla giurisdizione del giudice tributario e
quindi sussista la giurisdizione del giudice ordinario ‒ l’impossibilità
di far valere innanzi al giudice dell’esecuzione l’illegittimità della
riscossione mediante opposizione all’esecuzione, essendo ammessa soltanto
l’opposizione con cui il contribuente contesti la mera regolarità formale del
titolo esecutivo o degli atti della procedura e non anche quella con cui egli
contesti il diritto di procedere alla riscossione, confligge frontalmente con
il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall’art. 24
Cost. e nei confronti della pubblica amministrazione dall’art. 113 Cost.,
dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si
oppone alla riscossione coattiva.
Quindi ‒ assorbite le altre questioni
promosse dal giudice rimettente in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost. – va
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lettera a),
citato limitatamente alla parte in cui non prevede che, nelle controversie che
riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica
della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni
regolate dall’art. 615 cod. proc. civ.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lettera a), del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni
sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dall’art. 16 del
decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della
riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre
1998, n. 337), nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che
riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica
della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni
regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile;
2) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 57,
comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111, 113 e 117 della Costituzione e all’art.
6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario di Sulmona
con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 aprile 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2018.