SENTENZA N. 30
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Marta CARTABIA;
Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 8-bis, della legge della Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche), come introdotto dall’art. 10, comma 13, della legge della Regione Veneto 29 novembre 2013, n. 32 (Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia), promosso dal Consiglio di Stato nel procedimento vertente tra la Antares srl e altri e Veronica Pavan e altri, con ordinanza del 1° marzo 2019, iscritta al n. 94 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti gli atti di costituzione della Antares srl e del Comune di Castelfranco Veneto nonchè gli atti di intervento del Presidente della Giunta regionale del Veneto e, ad opponendum, della Anci Veneto - Associazione Regionale dei Comuni del Veneto e della Ance Veneto - Associazione Regionale dei Costruttori Edili del Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 15 gennaio 2020 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi gli avvocati Stefano Gattamelata e Enrico Gaz per la Antares srl, Pierfrancesco Zen per il Comune di Castelfranco Veneto, Andrea Manzi e Bruno Barel per il Presidente della Giunta regionale del Veneto, Mario Bertolissi per l’Anci Veneto - Associazione regionale dei Comuni del Veneto e per la Ance Veneto - Associazione regionale dei costruttori edili del Veneto;
deliberato nella camera di consiglio del 30 gennaio 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 1° marzo 2019, iscritta al n. 94 del registro ordinanze 2019, il Consiglio di Stato, sezione sesta, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 8-bis, della legge della Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.
1.1.– La norma oggetto di censura, aggiunta al testo originario della predetta legge dall’art. 10, comma 13, della legge della Regione Veneto 29 novembre 2013, n. 32 (Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia), stabilisce che «[a]l fine di consentire il riordino e la rigenerazione del tessuto edilizio urbano già consolidato ed in coerenza con l’obiettivo prioritario di ridurre o annullare il consumo di suolo, anche mediante la creazione di nuovi spazi liberi, in attuazione dell’articolo 2-bis del D.P.R. n. 380/2001, gli ampliamenti e le ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C, realizzati ai sensi della presente legge, sono consentiti anche in deroga alle disposizioni in materia di altezze previste dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e successive modificazioni, sino ad un massimo del 40 per cento dell’altezza dell’edificio esistente».
1.2.– Il giudizio principale ha ad oggetto un intervento di demolizione e ricostruzione, con incremento volumetrico, realizzato dalla società Antares srl nel territorio del Comune di Castelfranco Veneto.
La comproprietaria di un confinante complesso immobiliare aveva impugnato gli atti adottati dal Comune in relazione a tale intervento, assumendo – fra l’altro – che, nel consentire interventi di ampliamento con modificazioni dell’altezza «fino al 40 per cento dell’edificio esistente», la disposizione regionale faceva riferimento all’altezza dell’edificio oggetto di lavori, e non invece – come opinato dall’amministrazione comunale – all’immobile più alto della zona. In relazione a detto motivo di doglianza, il ricorso era stato accolto dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con sentenza poi oggetto di distinti appelli, riuniti dal Consiglio di Stato ex art. 96, comma 1, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
1.3.– In punto di rilevanza, il Consiglio di Stato osserva che nel giudizio sono devolute questioni che non possono essere decise indipendentemente dalla citata disposizione di legge regionale, posta da tutte le parti a fondamento delle tesi dedotte in giudizio in ordine all’ammissibilità o meno dell’intervento edilizio progettato.
1.4.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente osserva poi che la norma censurata, nel consentire deroghe alle disposizioni in materia di altezze degli edifici previste dall’art. 8 del decreto del ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), si pone in contrasto con i principi della legislazione statale dettati dalla citata previsione e dall’art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» (di seguito, t.u. edilizia), con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost., «in specie laddove non si prevede che le consentite deroghe debbano operare nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».
1.4.1.– Più specificamente, l’ordinanza rileva che con l’introduzione dell’art. 2-bis del t.u. edilizia ad opera dell’art. 30, comma 1, lettera 0a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, è stato normativamente recepito l’orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo il quale i limiti di distanze, altezze e densità edilizie previsti dal d.m. n. 1444 del 1968 (cui va riconosciuta valenza di legge) sono vincolanti anche per le Regioni e le Province autonome, che possono apporvi deroghe solo «nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 185 del 2016 e n. 189 del 2016).
Il legislatore regionale può pertanto derogare alle citate previsioni solo nell’ambito di piani particolareggiati o di lottizzazione, ovvero di altri strumenti urbanistici equivalenti sotto il profilo della sostanza e delle finalità, purché caratterizzati da una progettazione dettagliata e definita degli interventi, in relazione alla complessiva conformazione del territorio.
1.4.2.– Il rimettente non rinviene tali caratteristiche nella fattispecie, poiché «il riferimento agli ampliamenti ed alle ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C […] appare […] in contrasto con lo stringente contenuto che dovrebbe assumere una previsione siffatta, risultando destinata a legittimare deroghe al di fuori di una adeguata pianificazione urbanistica»; la generica dizione della norma, infatti, si presterebbe a legittimare, come nella vicenda oggetto del giudizio, «anche interventi diretti a singoli edifici, in aperto contrasto con le indicazioni interpretative offerte in precedenza».
1.4.3.– In conclusione, il Consiglio di Stato assume che la norma censurata consentirebbe «deroghe alla disciplina della altezze dei fabbricati al di fuori dell’ambito della competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, a fronte del principio contenuto nell’art. 2-bis del t.u. edilizia, ed in violazione del limite dell’ordinamento civile assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato».
2.– Con atto depositato l’11 luglio 2019 sono intervenute l’Anci Veneto - Associazione regionale dei Comuni del Veneto e l’Ance Veneto - Associazione regionale dei costruttori edili del Veneto, entrambe qualificandosi come enti esponenziali delle rispettive categorie, e perciò quali terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
2.1.– Detti enti, in via preliminare, hanno eccepito l’inammissibilità delle questioni per mancato esperimento del previo tentativo di interpretazione conforme a Costituzione della disposizione censurata.
In proposito, hanno illustrato la genesi della norma, che trae origine dall’intesa raggiunta in Conferenza unificata in data 1° aprile 2009, con l’obiettivo di «favorire iniziative volte al rilancio dell’economia, rispondere anche ai bisogni abitativi delle famiglie e introdurre incisive misure di semplificazione procedurali dell’attività edilizia».
Il raggiungimento di tali obiettivi sarebbe stato consentito, fra l’altro, dalla possibilità per la Regione di porre in essere deroghe ai limiti di distanze, altezze e densità edilizie previsti dal d.m. n. 1444 del 1968; le leggi regionali scaturite dall’intesa avevano pertanto consentito agli enti locali di adottare strumenti urbanistici in deroga alle previsioni statali, purché le agevolazioni che ne derivavano fossero adattate alla specificità dei diversi assetti territoriali.
Anche la norma censurata costituirebbe espressione di tale intento, che il rimettente aveva invece trascurato di considerare.
2.2.– Nel merito gli intervenienti hanno poi dedotto l’infondatezza delle questioni, evidenziando che le previsioni del d.m. n. 1444 del 1968 integrano il codice civile limitatamente alla disciplina delle distanze tra i fabbricati, cui la norma censurata è estranea.
Nel concludere in conformità alle rispettive deduzioni, gli intervenienti hanno formulato in subordine, per il caso di accoglimento delle questioni, l’istanza di una pronunzia con effetto ex nunc, a salvaguardia degli interventi edilizi realizzati nella vigenza della norma censurata.
3.– Con atto depositato il 16 luglio 2019 si è costituita la società Antares, ricorrente nel giudizio principale, anch’essa eccependo l’inammissibilità delle questioni per omesso tentativo di interpretazione conforme a Costituzione della norma censurata, nonché l’infondatezza delle stesse, escludendo che la norma censurata abbia finalità elusive dei principi affermati dalla legislazione statale.
4.– In pari data si è costituito anche il Comune di Castelfranco Veneto, parte nel giudizio principale, anch’esso deducendo l’inammissibilità o l’infondatezza delle questioni.
La deroga prevista dal legislatore regionale sarebbe infatti finalizzata ad incentivare la realizzazione di nuove opere, rigenerative degli edifici esistenti, attraverso un aumento di cubatura e la contestuale riduzione di consumo del suolo. Essa andrebbe dunque interpretata come consentanea ad una deroga non generalizzata, ma condizionata alla preventiva valutazione dell’intervento da realizzare in senso conforme all’obiettivo di riduzione del consumo del suolo, ed al suo complessivo impatto con il territorio in cui esso deve essere realizzato.
Dell’affermato contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., inoltre, non sarebbe fornita alcuna spiegazione, al di là di un generico richiamo alla disciplina della proprietà edilizia contenuta nel codice civile, tuttavia riferita alle sole distanze fra costruzioni.
5.– Nel giudizio è inoltre intervenuto il Presidente della Giunta regionale del Veneto con atto depositato il 16 luglio 2019.
5.1.– In relazione alla prospettata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., l’interveniente ha eccepito l’inammissibilità della relativa questione, evidenziando che il rimettente non aveva specificato i termini del denunziato contrasto, se non nei limiti di un erroneo richiamo alle disposizioni del codice civile, che riguardano il diverso tema delle distanze fra i fabbricati.
5.2.– Quanto all’ulteriore profilo di censura, esso sarebbe invece infondato, poiché – come peraltro già affermato dalla giurisprudenza costituzionale – al legislatore regionale è consentito derogare alle previsioni del d.m. n. 1444 del 1968 con ogni strumento normativo avente la finalità di «conformare un “assetto complessivo ed unitario” di porzioni del territorio» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 41 del 2017 e n. 6 del 2013).
Ed invero, la norma censurata non consentirebbe di derogare alla legislazione statale «a prescindere da qualsiasi valutazione urbanistica dell’intervento nel contesto in cui si inserisce», bensì solo a condizione che detto intervento possa «consentire il riordino e la rigenerazione del tessuto edilizio urbano già consolidato».
6.– In prossimità dell’udienza, la società Antares, il Comune di Castelfranco Veneto e il Presidente della Giunta regionale del Veneto hanno depositato memorie illustrative.
6.1.– La prima ha ulteriormente eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, osservando che la disciplina delle altezze di cui all’art. 8 del d.m. n. 1444 del 1968 non era oggetto né dell’originario giudizio in primo grado, né delle questioni devolute al giudizio innanzi al Consiglio di Stato.
6.2.– Il Comune di Castelfranco Veneto, ribaditi i propri argomenti difensivi, ha aderito all’istanza di limitazione degli effetti di un’eventuale pronunzia di accoglimento formulata dalle associazioni intervenute, rappresentandone la gravità delle conseguenze.
6.3.– Anche il Presidente della Giunta regionale del Veneto ha ribadito le proprie argomentazioni a sostegno dell’inammissibilità e dell’infondatezza delle questioni.
7.– All’udienza pubblica del 15 gennaio 2020 le parti e l’interveniente Presidente della Giunta regionale hanno confermato le conclusioni già rassegnate e ribadito le argomentazioni già illustrate nei rispettivi scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.− Con ordinanza del 1° marzo 2019 (reg. ord. n. 94 del 2019), il Consiglio di Stato ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 8-bis, della legge della Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.
1.1.− La disposizione censurata è stata aggiunta dall’art. 10, comma 13, della legge della Regione Veneto 29 novembre 2013, n. 32 (Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia), e prevede che «[a]l fine di consentire il riordino e la rigenerazione del tessuto edilizio urbano già consolidato ed in coerenza con l’obiettivo prioritario di ridurre o annullare il consumo di suolo, anche mediante la creazione di nuovi spazi liberi, in attuazione dell’articolo 2-bis del D.P.R. n. 380/2001, gli ampliamenti e le ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C, realizzati ai sensi della presente legge, sono consentiti anche in deroga alle disposizioni in materia di altezze previste dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e successive modificazioni, sino ad un massimo del 40 per cento dell’altezza dell’edificio esistente».
1.2.− Occorre altresì specificare che la norma censurata risulta oggi abrogata dall’art. 19 della legge della Regione Veneto 4 aprile 2019, n. 14 (Veneto 2050: politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”); l’art. 17, comma 1, della stessa legge dispone tuttavia che «gli interventi per i quali la segnalazione certificata di inizio lavori o la richiesta del permesso di costruire siano stati presentati, ai sensi della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14, entro il 31 marzo 2019 continuano ad essere disciplinati dalla medesima legge regionale».
2.− Il rimettente assume che la norma censurata si pone in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. poiché consente alla Regione di derogare alle disposizioni in materia di altezze degli edifici previste dall’art. 8 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765).
La previsione derogata costituirebbe infatti principio fondamentale della materia «governo del territorio», anche per effetto del richiamo operato dall’art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» (di seguito, t.u. edilizia), che consente alle Regioni ed alle Province autonome di derogare ai limiti di densità edilizia, altezza e distanze soltanto «nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali», fattispecie qui null’affatto ricorrente.
Sarebbe, inoltre, invasa la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., stante l’immediata applicabilità della previsione derogata anche ai rapporti fra privati.
3.− Con l’allegata ordinanza dibattimentale del 15 gennaio 2020 sono stati dichiarati inammissibili gli interventi spiegati nel giudizio dall’Anci Veneto - Associazione regionale dei Comuni del Veneto e dall’Ance Veneto - Associazione regionale dei costruttori edili del Veneto, in quanto soggetti estranei al giudizio principale e privi di un interesse qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
4.− La società ricorrente nel giudizio principale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.
Ha evidenziato, al riguardo, che il contenimento dell’intervento edilizio nei limiti di altezza di cui all’art. 8 del d.m. n. 1444 del 1968 non aveva costituito oggetto del giudizio di primo grado, né era stato devoluto, con i motivi di appello, alla cognizione del Consiglio di Stato.
L’eccezione è fondata nei termini che seguono.
4.1.− Invero, nell’ordinanza di rimessione il Consiglio di Stato rileva che il giudizio ha ad oggetto la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con la quale sono stati annullati gli atti inerenti all’iniziativa edificatoria della società Antares «limitatamente alla parte in cui il Comune di Castelfranco si è determinato erroneamente riguardo la verifica dell’altezza del costruendo edificio […] con riferimento alla corretta applicazione del comma 8-bis dell’art. 9 della legge regionale n. 14 del 2009».
Il rimettente, in particolare, evidenzia che, secondo la sentenza davanti ad esso impugnata, in base alla norma regionale la percentuale di aumento dell’altezza doveva calcolarsi sullo stesso edificio oggetto di ampliamento, e non sull’edificio circostante più alto, come invece ritenuto dal Comune che aveva autorizzato l’intervento.
Nel giudizio di primo grado si è dunque fatta questione della norma censurata limitatamente alla parte in cui la stessa consente «gli ampliamenti e le ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C […] sino ad un massimo del 40 per cento dell’altezza dell’edificio esistente»; proprio tale ultima locuzione – ovvero cosa debba intendersi per “edificio esistente” – ha costituito l’oggetto delle contrapposte posizioni espresse in giudizio, ed ha trovato una soluzione nella decisione poi oggetto di appello innanzi al Consiglio di Stato.
4.2.− Le censure del rimettente non hanno ad oggetto il tema dell’individuazione dell’edificio esistente sul quale calcolare l’aumento in altezza, ma il fatto che tale aumento sia consentito «anche in deroga alle disposizioni in materia di altezze previste dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e successive modificazioni».
E tuttavia, dalla lettura dell’ordinanza di rimessione non è dato inferire che fra gli aspetti controversi dell’intervento edilizio vi fosse anche il fatto che esso era stato autorizzato in deroga a tali limiti di altezza.
4.3.− Il giudice a quo, infatti, non fornisce al riguardo alcuna specifica indicazione, limitandosi ad affermare che il giudizio ha ad oggetto il «rispetto delle altezze, nei termini derivanti dalla norma regionale in questione», e che i motivi di gravame «si basano sulla contestata applicazione della norma regionale»; ma, come si è osservato, i termini di tale contestata applicazione attengono ad un profilo della norma estraneo al perimetro delle censure.
5.− Le questioni vanno dunque dichiarate inammissibili per carenza di motivazione in ordine alla rilevanza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 8-bis, della legge della Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche), sollevate, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione sesta, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2020.
Ordinanza letta all'udienza del 15 gennaio 2020