SENTENZA N. 245
ANNO 2020
Commento alla decisione di
Franco Dellacasa
per g.c. di Giustizia Insieme
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Mario Rosario MORELLI;
Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 5 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati) e dell’art. 2-bis del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, promossi, quanto agli indicati artt. 2 e 5, dal Tribunale di sorveglianza di Sassari con ordinanza del 9 giugno 2020 e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino con ordinanza del 3 giugno 2020 e, quanto all’indicato art. 2-bis, dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto con ordinanza del 18 agosto 2020, iscritte rispettivamente ai numeri 115, 138 e 145 del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 34 e 37, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 novembre 2020 il Giudice relatore Francesco Viganò;
deliberato nella camera di consiglio del 4 novembre 2020.
1.– Con ordinanza del 9 giugno 2020 (r.o. n. 115 del 2020), il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 32, 102, primo comma, e 104, primo comma, della Costituzione dell’art. 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati), «nella parte in cui prevede che la rivalutazione della permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria sia effettuata entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile e, ancora, immediatamente nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta», nonché dell’art. 5 del medesimo decreto-legge, «nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui all’articolo 2 si applicano ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020».
1.1.– Premette il giudice a quo di aver disposto, con ordinanza del 23 aprile 2020, la detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) presso l’abitazione della moglie e dei figli, per la durata di cinque mesi, nei confronti di un condannato sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis, comma 2, ordin. penit., in ragione delle sue condizioni di salute, che richiedevano controlli periodici e terapie ritenute incompatibili con lo stato di detenzione, in considerazione dell’emergenza epidemiologica in corso che interessava anche il presidio sanitario presso il quale il detenuto era in carico, individuato quale "centro COVID-19”. La misura alternativa si era, d’altra parte, resa necessaria – riferisce il rimettente – in relazione al rischio di contrazione del virus da parte del paziente in ambiente carcerario, ciò che proprio in considerazione delle sue precarie condizioni pregresse lo avrebbe esposto a un elevato rischio di complicanze, potenzialmente letali.
Essendo nel frattempo entrato in vigore, l’11 maggio 2020, il d.l. n. 29 del 2020, il rimettente aveva proceduto immediatamente ad acquisire la documentazione prescritta dall’art. 2 dello stesso decreto-legge, tra le quali una nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria con cui si individuava un reparto di medicina protetta all’interno di una casa di reclusione, nel quale avrebbero potuto essere assicurate adeguate terapie al condannato, nonché i pareri contrari alla protrazione della detenzione domiciliare formulati dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e dal Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui era stato commesso il reato. Il rimettente aveva, altresì, provveduto ad acquisire «documentazione medica essenziale inerente al follow up diagnostico-terapeutico» posto in essere dal condannato nel corso della misura domiciliare.
Su istanza conforme della difesa del condannato, il Tribunale ritiene di sollevare le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 5 del d.l. n. 29 del 2020, nei termini sopra enunciati.
1.2.– In punto di rilevanza, il rimettente osserva che il censurato art. 5 prescrive l’applicazione delle disposizioni in esso contenute, tra cui quelle di cui all’art. 2, a tutti i provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati in presenza dei presupposti indicati da tali norme, segnatamente per essere stata la misura disposta nei confronti dei condannati o internati per uno dei gravi delitti indicati nel comma 1 dell’art. 2 o comunque nei confronti di detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis ordin. penit. «per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19». Tali presupposti sono integrati nel caso di specie, sicché non vi sarebbe dubbio sulla necessità per il rimettente di fare applicazione della normativa censurata.
1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente sospetta anzitutto il contrasto tra gli artt. 2 e 5 del d.l. n. 29 del 2020 e gli artt. 102, primo comma, e 104, primo comma, Cost. Le disposizioni in questione invaderebbero infatti la sfera di competenza dell’autorità giudiziaria e violerebbero il principio di separazione dei poteri, tanto più in quanto applicabili retroattivamente ai provvedimenti già adottati a decorrere dal 23 febbraio 2020. Ciò in quanto tali provvedimenti sarebbero stati adottati con un preciso termine, calibrato sulle effettive necessità di tutela della salute del detenuto, come discrezionalmente valutate dall’autorità giudiziaria; mentre l’imposizione, ad opera della disciplina censurata, di un obbligo di periodica rivalutazione della permanenza delle condizioni che giustificano la misura, prima della scadenza del termine fissato nel relativo provvedimento di concessione, restringerebbe indebitamente la sfera di competenza riservata alla giurisdizione, orientando per di più la decisione nel senso della revoca del provvedimento, come attesterebbe la limitatezza del quadro istruttorio sul quale la rivalutazione deve essere condotta, quadro istruttorio che non prevede, in particolare, l’acquisizione di documenti relativi alle effettive condizioni di salute del detenuto, e che appare invece unicamente finalizzato all’acquisizione di informazioni relative alla disponibilità di strutture penitenziarie o di medicina protetta all’interno degli istituti penitenziari.
Il rimettente dubita poi della compatibilità della disciplina censurata con gli artt. 32 e 27, terzo comma, Cost., proprio in quanto il regime di frequenti rivalutazioni sostanzierebbe di per sé una «ipotutela del diritto alla salute»: in una «situazione di costante sottoposizione a giudizio» – argomenta il giudice a quo – «è difficile ipotizzare che possa essere realmente garantita la continuità delle cure, nonché la progettazione e la realizzazione di quel percorso diagnostico-terapeutico non effettuabile in ambito intramurario e per il quale il detenuto è stato ammesso alla detenzione domiciliare». E ciò tanto più in relazione alla già segnalata assenza, nella disciplina censurata, di ogni riferimento alla necessità di una verifica delle condizioni di salute del detenuto malato.
Infine, la disciplina censurata risulterebbe incompatibile con l’art. 3 Cost., in relazione alla sua applicabilità soltanto a specifiche categorie di detenuti, sulla base di una presunzione di pericolosità correlata esclusivamente al titolo del reato e al regime detentivo; ciò che non sarebbe consentito rispetto a misure finalizzate non già alla individualizzazione della pena e del trattamento penitenziario, ma alla tutela del diritto alla salute e all’umanità della pena, tutela che non tollera, a parere del giudice a quo, alcun automatismo, come dimostrerebbe in via generale l’esclusione dalle preclusioni di cui all’art. 4-bis ordin. penit. di tutte le misure finalizzate a tale scopo.
1.4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sollecitando in via preliminare questa Corte a valutare se restituire gli atti al giudice a quo per una rivalutazione della perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni, alla luce delle modifiche apportate in sede di conversione del decreto-legge, sulla falsariga di quanto già deciso con l’ordinanza n. 185 del 2020.
Nel merito, le questioni sarebbero comunque manifestamente infondate.
Nel contesto di un atto d’intervento che indugia sull’assenza di profili di contrasto con il diritto di difesa e i principi del giusto processo – estranei, per la verità, alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari –, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che la disciplina censurata riguarderebbe condannati che si trovavano in carcere «sulla scorta di una ritenuta compatibilità delle loro condizioni di salute con il regime carcerario e che sono stati scarcerati non a causa di un aggravamento delle predette condizioni di salute, ma solo a causa dell’emergenza sanitaria, la quale, determinando problemi di gestione (difficoltà ad assicurare il necessario distanziamento in carcere, difficoltà ad accedere, all’occorrenza, a strutture sanitarie esterne, difficoltà nel reperimento di altre strutture penitenziarie cui trasferire i detenuti etc.), non ha consentito di mantenere i medesimi livelli di cura assicurati in precedenza e ha imposto l’adozione di misure alternative volte a prevenire il rischio di contagio in soggetti portatori di patologie pregresse a tutela della loro salute»; di talché, «[c]essate le criticità connesse all’emergenza», non vi sarebbe «ragione per non ripristinare il regime detentivo originario. Di qui la frequente rivalutazione prevista dal decreto legge in esame».
2.– Con ordinanza del 3 giugno 2020 (r.o. n. 138 del 2020), il Magistrato di sorveglianza di Avellino ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, 32 e 111, secondo comma, Cost., dell’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, «nella parte in cui prevede che proceda a rivalutazione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da Covid 19, il magistrato [di sorveglianza] che lo ha emesso».
2.1.– Premette la rimettente di aver concesso provvisoriamente, con ordinanza del 20 aprile 2020, la detenzione domiciliare, ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-ter, ordin. penit., a una donna di 76 anni, condannata tra l’altro per il delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, in ragione del rilevante rischio di contagio da COVID-19 connesso alle numerose e severe patologie da cui la stessa è affetta.
In seguito all’entrata in vigore del d.l. n. 29 del 2020, la rimettente ha acquisito: il parere contrario della Direzione distrettuale antimafia di Napoli alla protrazione della detenzione domiciliare; una relazione sanitaria dell’Azienda sanitaria locale (ASL) presso la quale è in cura la paziente, che ha confermato il suo quadro patologico complesso; e una nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, con la quale vengono tra l’altro indicati una serie di reparti di medicina protetti destinati al ricovero di persone detenute e internate sul territorio nazionale, nei quali la paziente potrebbe teoricamente essere ricoverata.
Tale documentazione, osserva la rimettente, «deporrebbe nel senso di una revoca della detenzione domiciliare con ripristino del regime ordinario e conseguentemente, la collocazione della A. in uno dei tanti reparti di medicina protetti indicati», in applicazione appunto dell’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020. La medesima rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale di tale disposizione al metro dei parametri sopra indicati.
2.2.– L’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 contrasterebbe, anzitutto, con l’art. 24, secondo comma, Cost., in ragione della limitazione che soffrirebbe il diritto di difesa del condannato nel procedimento di rivalutazione imposto dalla norma, nel quale «il contraddittorio viene completamente sacrificato in funzione di una decisione celere il più possibile», e nella quale «la partecipazione della difesa tecnica è limitata alla formulazione dell’istanza iniziale con allegazione di documentazione sanitaria di parte», mentre non sarebbe stato previsto nel d.l. «un diritto dell’interessato di prendere visione degli atti contenuti nel fascicolo della rivalutazione ed eventualmente controdedurre nel merito delle risultanze istruttorie».
Sarebbe altresì violato l’art. 111, secondo comma, Cost., sotto il profilo della garanzia del contraddittorio in condizioni di parità tra la difesa e la parte pubblica, soltanto quest’ultima avendo la possibilità di fare sentire la propria voce attraverso la formulazione dei pareri prescritti dalla disposizione censurata, che restano ignoti alla difesa del detenuto. Né tale difetto di parità tra le parti sarebbe colmato dal successivo procedimento innanzi al tribunale di sorveglianza, chiamato ad assumere la decisione definitiva sulla concessione della detenzione domiciliare, dal momento che l’eventuale revoca disposta dal magistrato di sorveglianza ha effetti immediatamente esecutivi, con conseguente ripristino della detenzione inframuraria.
Proprio gli effetti immediati del provvedimento di revoca disposto in esito alla rivalutazione regolata dalla disposizione censurata sarebbe infine, ad avviso della rimettente, di dubbia compatibilità con il diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., che non tollererebbe alcuna compressione in conseguenza dello status detentionis.
2.3.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, articolando considerazioni integralmente sovrapponibili a quelle già svolte con riferimento alle questioni sollevate dall’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Sassari di cui si è detto (supra, punto 1.4.), e concludendo nel senso della manifesta infondatezza anche delle presenti questioni.
In merito, in particolare, all’allegata violazione del diritto alla difesa e al contraddittorio in condizioni di parità tra le parti, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce la piena compatibilità con tali principi costituzionali di un procedimento, come quello su cui si inserisce la disposizione censurata, a contraddittorio differito avanti al tribunale di sorveglianza, chiamato a rendere la decisione definitiva sulla concessione della misura alternativa in un procedimento a contraddittorio pieno.
3.– Con ordinanza del 18 agosto 2020 (r.o. n. 145 del 2020), il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., dell’art. 2-bis del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, «nella parte in cui prevede che proceda a rivalutazione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il magistrato di sorveglianza che lo ha emesso».
3.1.– Premette il rimettente di aver concesso provvisoriamente, il 21 marzo 2020, la detenzione domiciliare, ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-ter, ordin. penit., a un detenuto ultrasessantacinquenne, affetto da patologie gravi (in particolare, immunodeficienza collegata ad un trapianto di fegato), e per questo particolarmente esposto a rischi nel caso di contagio da virus COVID-19 nel contesto penitenziario.
Il giudice a quo rammenta di avere già proposto questioni di legittimità costituzionale – in riferimento ai medesimi parametri oggi invocati – relative al previgente art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, ora confluito nell’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito dalla legge n. 70 del 2020; questioni, peraltro, non decise da questa Corte, che con ordinanza n. 185 del 2020 ha restituito gli atti al rimettente perché potesse rivalutare la perdurante non manifesta infondatezza delle questioni, alla luce appunto delle modifiche alla disciplina censurata apportate dalla menzionata legge n. 70 del 2020.
Pur alla luce dello ius superveniens, il rimettente ritiene tuttavia di dover nuovamente sollevare le questioni di legittimità costituzionale nei termini sopra indicati.
3.2.– Ritiene in effetti il giudice a quo che la previsione, nella legge n. 70 del 2020, di un termine perentorio di trenta giorni, entro il quale – in caso di revoca dell’originario provvedimento di concessione della misura da parte del magistrato di sorveglianza – il tribunale di sorveglianza è tenuto ad assumere una decisione definitiva sull’ammissione alla detenzione domiciliare o al differimento della pena, non sia idonea a sanare i vulnera già denunciati nella propria precedente ordinanza.
Osserva in proposito il rimettente che il provvedimento di revoca pronunciato in esito alla rivalutazione disciplinata dalla norma censurata è immediatamente esecutivo, con conseguente ripristino della carcerazione e dei rischi alla salute ad essa connessi, in relazione ai quali «la rivalutazione collegiale di eventuale ripristino della misura diversa dalla detenzione potrebbe giungere ormai tardivamente», prefigurando altresì lo scenario di un possibile «alternarsi di reingressi in carcere e ritorni sul territorio che […] appaiono peculiarmente controindicati a fronte di persone affette da gravi condizioni di salute».
Il giudice a quo ribadisce che il procedimento di rivalutazione avanti il magistrato di sorveglianza è caratterizzato dall’assenza di qualsiasi formale coinvolgimento della difesa dell’interessato, alla quale non è neppure necessario comunicare l’inizio del procedimento; osservando altresì che potrebbe addirittura dubitarsi della legittimazione a produrre memorie e documenti da parte della difesa, la quale resta comunque del tutto all’oscuro degli elementi essenziali acquisiti mediante l’istruttoria disposta officiosamente dal magistrato.
La procedura disegnata dalla disposizione censurata avrebbe, secondo il rimettente, carattere di marcata atipicità rispetto ad altre procedure previste dal vigente ordinamento penitenziario, in cui pure al magistrato di sorveglianza è attribuito il potere di assumere decisioni de plano, senza formale coinvolgimento della difesa del condannato. La particolare problematicità del provvedimento di revoca disciplinato dalla disposizione censurata deriverebbe, infatti, dal suo «effetto dirompente di ricondurre immediatamente in vinculis il condannato, che era stato ammesso alla misura extramuraria», durante tutto il tempo necessario per attivare l’intervento del tribunale di sorveglianza, senza adeguati spazi per la difesa del condannato e in condizioni di squilibrio tra il patrimonio conoscitivo di quest’ultima e quello della parte pubblica; con conseguente profilarsi, ad avviso del rimettente, di un duplice contrasto con gli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.
La disciplina censurata violerebbe, d’altra parte, anche l’art. 3 Cost., in conseguenza della irragionevole limitazione del suo ambito applicativo ai soli provvedimenti connessi all’emergenza COVID-19 emessi soltanto nei confronti dei condannati per alcune tipologie di delitti.
3.3.– Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e infondate.
Esse sarebbero, anzitutto, inammissibili, dal momento che il rimettente non avrebbe chiarito come il loro eventuale accoglimento possa spiegare effetti nel procedimento a quo, non facendosi anzi alcun riferimento nell’ordinanza di rimessione all’avvenuto riscontro delle condizioni per il ripristino della misura detentiva in carcere.
Nel merito, non si ravviserebbe comunque alcuna lesione del diritto di difesa e del diritto a un equo processo, da svolgersi nel contraddittorio tra le parti innanzi a un giudice terzo e imparziale, giacché la procedura resterebbe sempre quella a contraddittorio differito prevista dall’art. 47-ter, commi 1-ter e 1-quater, ordin. penit. e dagli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale, nel cui ambito si inserirebbe lo speciale procedimento previsto dalla disposizione censurata; ferma restando, dunque, la successiva verifica, in contradditorio pieno, da parte del tribunale di sorveglianza.
Per quanto concerne, poi, la limitazione della disciplina a talune categorie soggettive di condannati, si tratterebbe di una non irragionevole scelta discrezionale del legislatore che, in quanto tale, si sottrarrebbe al sindacato di legittimità costituzionale, e che troverebbe comunque spiegazione «in ragione della maggiore caratura criminale» di questi condannati, la quale a sua volta giustificherebbe «una più frequente rivalutazione in vista del loro possibile rientro in carcere, una volta cessate le ragioni connesse all’emergenza Covid-19 che avevano giustificato il ricorso alla misura alternativa, ferma restando, anche per loro, la più ampia tutela del diritto alla salute». Sicché «alla revoca della misura alternativa si provvederà, evidentemente, solo laddove il rientro in carcere non pregiudichi l’esigenza di assicurare loro cure adeguate ed efficaci rispetto alle patologie da cui sono affetti».
1.– Con l’ordinanza iscritta al n. 115 del r.o. 2020, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 32, 102, primo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, dell’art. 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati), «nella parte in cui prevede che la rivalutazione della permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria sia effettuata entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile e, ancora, immediatamente nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta», nonché dell’art. 5 del medesimo decreto-legge, «nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui all’articolo 2 si applicano ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020».
2.– Con l’ordinanza iscritta al n. 138 del r.o. 2020, il Magistrato di sorveglianza di Avellino ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, 32 e 111, secondo comma, Cost., dell’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, «nella parte in cui prevede che proceda a rivalutazione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da Covid 19, il magistrato [di sorveglianza] che lo ha emesso».
3.– Con l’ordinanza iscritta al n. 145 del r.o. 2020, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., dell’art. 2-bis del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, «nella parte in cui prevede che proceda a rivalutazione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il magistrato di sorveglianza che lo ha emesso».
4.– I tre giudizi riguardano questioni simili e meritano, pertanto, di essere riuniti per un’unica decisione.
5.– Giova anzitutto ricostruire brevemente il quadro normativo su cui si innestano le odierne questioni di legittimità costituzionale.
Esse hanno ad oggetto disposizioni introdotte dapprima dal Governo nel d.l. n. 29 del 2020, poi abrogate ma nella sostanza trasfuse nel nuovo art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, introdotto dalla legge di conversione n. 70 del 2020.
5.1.– Le prime due ordinanze, anteriori alla legge n. 70 del 2020, hanno ad oggetto l’art. 2 e – limitatamente all’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Sassari – l’art. 5 del d.l. n. 29 del 2020.
Tale decreto-legge aveva fatto seguito al precedente d.l. n. 28 del 2020, il cui art. 2, comma 1, lettera b), aveva introdotto tra l’altro un nuovo comma 1-quinquies all’art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), allo scopo di imporre alla magistratura di sorveglianza, nei procedimenti di concessione della detenzione domiciliare cosiddetta in surroga di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, ordin. penit., di acquisire il parere obbligatorio del Procuratore antimafia del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza, nonché – nel caso di detenuti sottoposti al regime penitenziario di cui al 41-bis ordin. penit. – del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.
Tale intervento era conseguito alle polemiche causate, nell’aprile 2020, dalla notizia dell’avvenuta scarcerazione – proprio in forza dell’art. 47-ter, comma 1-ter, ordin. penit. – di condannati per reati di criminalità organizzata, in taluni casi ricoprenti posizioni apicali all’interno delle rispettive associazioni, per ragioni di salute connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, che interessava ormai in maniera significativa anche le carceri italiane.
La modifica dell’art. 47-ter ordin. penit. introdotta dal d.l. n. 28 del 2020 era destinata peraltro ad operare soltanto con riferimento alle concessioni della detenzione domiciliare in surroga successive all’entrata in vigore del decreto-legge stesso; sicché, a dieci giorni di distanza, il Governo era intervenuto con un secondo decreto-legge (il n. 29 del 2020), contenente disposizioni applicabili anche alle misure di detenzione domiciliare già disposte in data successiva al 23 febbraio 2020 per ragioni sanitarie legate all’emergenza da COVID-19 e ancora in corso di esecuzione.
In particolare, l’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 disponeva che il magistrato o il tribunale di sorveglianza, che avesse ammesso alla detenzione domiciliare o al differimento della pena, «per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19», i condannati e gli internati per una serie di gravi reati di criminalità organizzata o comunque sottoposti al regime penitenziario di cui all’art. 41-bis ordin. penit., valutasse «la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile». Tale valutazione doveva essere preceduta dall’acquisizione del parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo di commissione del reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati e internati già sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ordin. penit. (comma 1). La disposizione prescriveva inoltre che il tribunale o il magistrato sentisse l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale, e acquisisse altresì dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria «informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato o l’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena può riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudizio per le sue condizioni di salute» (comma 2).
L’inciso finale del comma 1 dell’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 disponeva, inoltre, che tale valutazione fosse compiuta «immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini sopra indicati», nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria avesse comunicato la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena.
Ai sensi, infine, del comma 3 dell’art. 2 in esame, «[l]’autorità giudiziaria provvede valutando se permangono i motivi che hanno giustificato l’adozione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o al differimento di pena, nonché la disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto o dell’internato. Il provvedimento con cui l’autorità giudiziaria revoca la detenzione domiciliare o il differimento della pena è immediatamente esecutivo».
Il successivo art. 5 del d.l. n. 29 del 2020 stabiliva che le disposizioni di cui, tra l’altro, al precedente art. 2 si applicassero «ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena e ai provvedimenti di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari adottati successivamente al 23 febbraio 2020. Per i provvedimenti di cui al periodo precedente già emessi alla data di entrata in vigore del presente decreto il termine di quindici giorni previsto dagli articoli 2, comma 1, e 3, comma 1, decorre dalla data di entrata in vigore del presente decreto».
5.2.– In sede di conversione in legge del d.l. n. 28 del 2020, la legge n. 70 del 2020 ha, all’art. 1, comma 3, abrogato interamente il d.l. n. 29 del 2020, trasfondendone le disposizioni nel corpo normativo dello stesso decreto-legge n. 28. Tale abrogazione ha peraltro espressamente fatti salvi la validità degli atti e dei provvedimenti adottati, nonché gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del d.l. n. 29 del 2020.
In particolare, gli originari artt. 2 e 5 del d.l. n. 29 del 2020 – oggetto, come si è detto, delle censure del Tribunale di sorveglianza di Sassari e del Magistrato di sorveglianza di Avellino – sono confluiti nel nuovo art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, aggiunto in sede di conversione e oggetto delle censure dell’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Spoleto.
L’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito, riproduce in effetti, nei primi tre commi, la disciplina dell’abrogato art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, con l’unica variazione rappresentata dalla sostituzione dell’originario riferimento al «Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato» con quello al «procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna».
Il comma 4 dell’art. 2-bis, innovando rispetto alla disciplina del d.l. n. 29 del 2020, prevede poi che «[q]uando il magistrato di sorveglianza procede alla valutazione del provvedimento provvisorio di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena, i pareri e le informazioni acquisiti ai sensi dei commi 1 e 2 e i provvedimenti adottati all’esito della valutazione sono trasmessi immediatamente al tribunale di sorveglianza, per unirli a quelli già inviati ai sensi degli articoli 684, comma 2, del codice di procedura penale e 47-ter, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354. Nel caso in cui il magistrato di sorveglianza abbia disposto la revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena adottati in via provvisoria, il tribunale di sorveglianza decide sull’ammissione alla detenzione domiciliare o sul differimento della pena entro trenta giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca, anche in deroga al termine previsto dall’articolo 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354. Se la decisione del tribunale non interviene nel termine prescritto, il provvedimento di revoca perde efficacia».
Infine, il comma 5 dell’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito, riproduce il previgente art. 5 del d.l. n. 29 del 2020, stabilendo inter alia che la disciplina dettata nei commi precedenti è applicabile a tutti i provvedimenti di revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena già adottati alla data di entrata in vigore della legge di conversione e a partire dal 23 febbraio 2020.
6.– L’Avvocatura generale dello Stato ha invitato questa Corte a valutare la possibilità di restituire gli atti al Tribunale di sorveglianza di Sassari e al Magistrato di sorveglianza di Avellino per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni dagli stessi sollevate, alla luce delle modifiche subite delle disposizioni censurate in seguito alla trasposizione del loro contenuto nel d.l. n. 28 del 2020, come convertito. Ciò sulla falsariga di quanto già stabilito da questa Corte con l’ordinanza n. 185 del 2020, che ha effettivamente restituito gli atti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto per una nuova valutazione della non manifesta infondatezza delle questioni da lui originariamente sollevate in relazione all’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, prima della sua abrogazione ad opera della legge n. 70 del 2020.
Questa Corte, tuttavia, ritiene che una tale restituzione degli atti non sia in questo caso necessaria.
6.1.– Va premesso, in proposito, che in caso di abrogazione di una disposizione, nelle more del giudizio di legittimità costituzionale, con contestuale trasfusione del suo contenuto in altra disposizione, la questione di costituzionalità originariamente formulata sulla disposizione abrogata ben può, essa stessa, "trasferirsi” alla nuova disposizione, che ne riproduce sostanzialmente il contenuto (ex plurimis, sentenze n. 185 del 2018 e n. 30 del 2012). E ciò in omaggio al principio di effettività della tutela costituzionale, sia in relazione a esigenze di economia processuale, sia per scongiurare un eventuale utilizzo deviato della funzione legislativa, in ipotesi esercitata allo scopo di sottrarre la disciplina contestata al giudizio di costituzionalità, o comunque di ritardare indebitamente il suo svolgimento (sentenza n. 533 del 2002).
In applicazione di tale principio, le questioni di legittimità costituzionale formulate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino, a proposito degli artt. 2 e 5 dell’originario d.l. n. 29 del 2020, devono considerarsi trasferite all’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 70 del 2020.
6.2.– In tale nuovo art. 2-bis, come si è ricordato (supra, punto 5.2.), è confluito il contenuto del previgente art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 (con la sola marginale variazione, che qui non rileva, dell’individuazione del Procuratore della Repubblica, anziché del Procuratore distrettuale antimafia, quale organo competente a fornire il parere indicato dalla norma), collocato ora ai primi tre commi della nuova disposizione; ed è confluito altresì il contenuto del previgente art. 5 del d.l. n. 29 del 2020, che costituisce ora il comma 5 di tale nuova disposizione. Il novum normativo introdotto con la legge n. 70 del 2020 è invece costituito, come parimenti si è rammentato, dal suo comma 4, che prevede l’obbligo di immediata trasmissione degli atti da parte del magistrato di sorveglianza al tribunale di sorveglianza, il quale – nelle ipotesi in cui il primo abbia disposto la revoca della misura extramuraria precedentemente concessa – è ora tenuto ad adottare la decisione definitiva sull’ammissione alla misura entro i trenta giorni successivi, pena la perdita di efficacia dello stesso provvedimento di revoca.
Con l’ordinanza n. 185 del 2020, questa Corte aveva ritenuto di restituire gli atti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto, perché rivalutasse la non manifesta infondatezza delle proprie originarie censure – formulate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., sull’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 – precisamente alla luce di tale novum normativo, che all’evidenza rafforzava il quadro di garanzie per la difesa del condannato e per il suo diritto al contraddittorio in posizione di parità rispetto alla parte pubblica, imponendo un termine perentorio per la decisione definitiva da parte del tribunale di sorveglianza, nell’ambito di un procedimento in cui è assicurata la piena partecipazione da parte della difesa, che ha altresì accesso in quella fase a tutti gli atti del procedimento.
Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha tuttavia ritenuto che il novum normativo in questione non abbia eliminato i profili di illegittimità costituzionale da lui in precedenza evidenziati, e ha pertanto nuovamente sottoposto le questioni originariamente formulate – in riferimento ai medesimi parametri – sulla nuova disposizione di cui all’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, introdotta dalla legge di conversione n. 70 del 2020.
A questo punto, le questioni sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, in riferimento all’art. 3 Cost., e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., sull’originario art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 – questioni da intendersi, per quanto si diceva poc’anzi (supra, punto 6.1.), trasferite al nuovo art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito – ben possono essere affrontate subito da questa Corte, anche alla luce degli argomenti ora svolti dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, che assai analiticamente si confrontano con il novum normativo rappresentato dal comma 4 di tale ultima disposizione, senza che appaia necessaria in proposito una ulteriore restituzione degli atti.
6.3.– Quanto poi alle questioni sollevate tanto dal Tribunale di sorveglianza di Sassari quanto dal Magistrato di sorveglianza di Avellino, in riferimento complessivamente agli artt. 32, 102, primo comma, e 104, primo comma, Cost., sugli artt. 2 e – limitatamente al primo rimettente – 5 dell’originario d.l. n. 29 del 2020, da intendersi anch’esse trasferite al nuovo art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito, la restituzione degli atti apparirebbe all’evidenza inutile, dal momento che il novum normativo rafforza sia le garanzie difensive sia la possibilità di esercitare un contraddittorio in condizioni di parità tra difesa e parte pubblica, ma non incide in alcun modo sui profili di lamentato contrasto della disciplina originaria, come riprodotta nel nuovo art. 2-bis, con il diritto alla salute del condannato, né con la separazione tra potere legislativo e potere giudiziario, e pertanto non muta i termini delle questioni così come prospettate dai rimettenti (sentenza n. 125 del 2018).
7.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito, inoltre, l’inammissibilità delle questioni prospettate dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto per difetto di motivazione sulla loro rilevanza. Dall’ordinanza di rimessione non sarebbe infatti possibile cogliere come l’eventuale pronuncia di fondatezza delle questioni possa produrre effetti nel procedimento principale, atteso che nell’ordinanza stessa non si farebbe alcun riferimento al positivo riscontro delle condizioni per il ripristino dello stato di detenzione per il condannato.
L’eccezione non è fondata, dal momento che un’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata dispenserebbe il rimettente dall’obbligo di provvedere sulla prescritta rivalutazione, sulla base della documentazione nel frattempo acquisita, cristallizzando così l’efficacia del suo provvedimento di concessione della misura extramuraria sino allo spirare del termine originariamente indicato, e comunque sino alla decisione definitiva da parte del tribunale di sorveglianza.
8.– Quanto al merito delle questioni prospettate, conviene anzitutto esaminare quelle formulate dai Magistrati di sorveglianza di Avellino e di Spoleto, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., che possono essere vagliate congiuntamente.
Le questioni non sono fondate.
8.1.– Le censure formulate dalle ordinanze di rimessione si incentrano sulla previsione da parte del legislatore di «un procedimento senza spazi di adeguato formale coinvolgimento della difesa tecnica dell’interessato», che non avrebbe accesso ai pareri e alla documentazione acquisita dal magistrato di sorveglianza in forza della disposizione censurata e che sarebbe pertanto tenuta all’oscuro degli elementi essenziali, acquisiti durante l’istruttoria, sui quali l’autorità giudiziaria formerà il proprio convincimento sulla possibilità di una revoca della misura extramuraria in essere; ciò che determinerebbe, come osserva il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, una «carenza assoluta di contraddittorio rispetto alla parte pubblica» nella fase di rivalutazione dell’originario provvedimento di concessione, da compiersi da parte dello stesso magistrato di sorveglianza.
Né tale carenza potrebbe considerarsi sanata, secondo lo stesso Magistrato di sorveglianza di Spoleto, dal dispiegarsi successivo del contraddittorio nella fase innanzi al tribunale di sorveglianza, dal momento che già dalla revoca disposta dal magistrato di sorveglianza, che la legge qualifica come immediatamente esecutiva, può derivare grave pregiudizio al condannato, il quale verrebbe immediatamente ricondotto in vinculis, risultando così esposto ai medesimi rischi sanitari che erano stati posti a base dell’originario provvedimento di concessione della misura.
8.2.– La censura essenziale dei rimettenti concerne dunque l’allegata illegittimità costituzionale del ricorso, da parte del legislatore, a un procedimento a contradditorio soltanto differito ai fini della eventuale revoca della misura extramuraria, da parte dello stesso magistrato di sorveglianza che l’aveva in precedenza concessa.
In proposito, occorre subito rilevare che non ha ragion d’essere il dubbio, prospettato dai rimettenti, se il difensore del detenuto possa presentare memorie e documenti al magistrato di sorveglianza nella fase di rivalutazione del provvedimento, ciò che, peraltro, risulta essere avvenuto in entrambi i procedimenti a quibus. Al riguardo, è sufficiente richiamare il disposto dell’art. 121, comma 1, del codice di procedura penale, a tenore del quale «[i]n ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria»; disposto che, come riconosciuto dalla giurisprudenza, è applicabile anche con riferimento al procedimento di sorveglianza (ex multis, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 11 maggio 2011, n. 18600).
Ciò tuttavia non sarebbe sufficiente, nella prospettiva delle ordinanze di rimessione, posto che l’attività difensiva nel procedimento avanti al magistrato di sorveglianza di cui alla disciplina censurata sarebbe comunque destinata a svolgersi "al buio”, senza che il difensore abbia contezza del contenuto della documentazione acquisita ex officio e senza che, dunque, egli possa opporre specifiche controdeduzioni rispetto alla documentazione stessa.
L’osservazione coglie, in punto di fatto, nel segno. Ciò tuttavia non è sufficiente, ad avviso di questa Corte, a determinare l’illegittimità costituzionale della disciplina in esame.
In seguito ad un’istanza del condannato di applicazione della detenzione domiciliare "in surroga”, ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-ter, ordin. penit., l’intervento del magistrato di sorveglianza è previsto dal successivo comma 1-quater come connesso alle ragioni di urgenza che sostengono l’istanza, il cui destinatario naturale è il tribunale di sorveglianza; tanto che il provvedimento dello stesso magistrato di sorveglianza che dispone l’«applicazione provvisoria» della misura è inteso come meramente interinale, per far fronte a tale situazione di urgenza, essendo poi destinato a essere caducato dalla successiva decisione definitiva del tribunale di sorveglianza.
Ora, già lo stesso provvedimento urgente e interinale, emesso dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-quater, ordin. penit., viene assunto sulla base di pareri e documenti acquisiti ex officio e non ancora ostensibili alla difesa, nell’ambito di un procedimento totalmente deformalizzato e funzionale a una decisione de plano da parte del magistrato; un procedimento che non presuppone alcuna udienza, né alcuna possibilità per il difensore di replicare di fronte all’eventuale parere contrario espresso dalla parte pubblica.
Anche rispetto all’originario provvedimento di concessione, dunque, il contraddittorio – nella logica dello stesso art. 47-ter, comma 1-quater, ordin. penit., e del precedente art. 47, comma 4, da esso richiamato – è tutto riservato alla fase successiva, in cui il tribunale di sorveglianza deciderà in via definitiva sull’istanza del detenuto, nell’ambito di un procedimento regolato nelle forme dell’incidente di esecuzione.
E dunque, nel procedimento funzionale all’eventuale revoca del provvedimento di concessione del beneficio da parte del magistrato ora disciplinato dalla disposizione censurata, la difesa si troverà nell’identica condizione nella quale si trovava al momento della originaria decisione interinale del magistrato sull’istanza di applicazione provvisoria della misura.
Una simile situazione, funzionale all’adozione di provvedimenti interinali urgenti da parte del magistrato di sorveglianza – "anticipatori” rispetto alla futura decisione del tribunale – non rappresenta, d’altra parte, un’anomalia nel procedimento di sorveglianza, come lo stesso Magistrato di sorveglianza di Spoleto correttamente sottolinea; né questa Corte ha mai ritenuto costituzionalmente necessario assicurare, in simili ipotesi, il pieno contraddittorio già nella fase avanti al magistrato di sorveglianza, destinata a sfociare in un provvedimento interinale che verrà poi confermato o smentito dal tribunale in esito a un procedimento – quello sì – a contraddittorio pieno, nel quale la difesa avrà accesso agli atti e ai documenti sui quali si formerà il convincimento del tribunale. Procedimento, quest’ultimo, che la legge n. 70 del 2020 dispone ora che debba concludersi nel termine perentorio di trenta giorni dall’eventuale provvedimento interinale di revoca.
8.3.– Entrambi i rimettenti evidenziano, invero, il carattere assai più gravoso, per il detenuto, del provvedimento di revoca di un beneficio già concesso – che, come tale, comporta la conseguenza dell’immediato ritorno in carcere – rispetto a quello di concessione del beneficio stesso, che comporta un mutamento favorevole per il detenuto.
Tuttavia la differenza, pur comprensibile sul piano psicologico, non è decisiva dal punto di vista degli interessi in gioco. Se davvero il protrarsi della detenzione genera un grave pericolo per la salute e la vita stessa del condannato, allora anche la scelta iniziale di non concedergli il beneficio potrebbe essere foriera di conseguenze assai gravi, esattamente come la decisione di ricondurlo in vinculis quando quel pericolo non sia ancora cessato.
A ben guardare, la logica sottostante alla disciplina di cui all’art. 47-ter, comma 1-quater, ordin. penit. è quella di attribuire al magistrato di sorveglianza il potere di intervenire, in via di urgenza, per evitare gravi pregiudizi al detenuto, bilanciando interinalmente le ragioni di tutela della salute e della vita di quest’ultimo con le ragioni contrapposte di tutela della collettività in relazione alla sua persistente pericolosità sociale; e ciò attraverso un procedimento attivato sì su istanza di parte, ma destinato poi a svolgersi mediante poteri di indagine officiosi (e comunque aperti alle eventuali produzioni documentali della difesa), in ragione proprio della necessità di una rapida decisione sull’istanza del detenuto. Parallelamente, e del tutto coerentemente con tale logica, la disposizione qui censurata riconosce espressamente allo stesso magistrato – codificando peraltro una soluzione già emersa in giurisprudenza (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 29 marzo 1995, n. 982) – il potere-dovere di reagire, mediante un contrarius actus, a eventuali modificazioni della situazione di fatto sulla cui base egli aveva assunto la decisione di concedere la misura extramuraria; modificazioni delle quali egli acquisisca contezza attraverso l’esercizio dei medesimi poteri officiosi, suscettibili a loro volta di alterare i termini di quel provvisorio bilanciamento, e di indurlo così a revocare di propria iniziativa il beneficio già concesso. Sempre, peraltro, in via provvisoria, in attesa del successivo intervento del tribunale di sorveglianza.
Un simile assetto normativo non appare a questa Corte incompatibile con gli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., in considerazione del successivo recupero della pienezza delle garanzie difensive e del contraddittorio nel procedimento avanti al tribunale di sorveglianza; procedimento che, oggi, il legislatore – accogliendo un suggerimento emerso in dottrina – ha opportunamente previsto debba concludersi entro il termine perentorio di trenta giorni, nell’ipotesi in cui il magistrato di sorveglianza abbia disposto la revoca della detenzione domiciliare precedentemente concessa ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-quater, ordin. penit.
Non è senza significato notare, d’altronde, che la scansione procedimentale ora sancita dal comma 4 dell’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito, è stata evidentemente modellata – come ancora esattamente coglie il Magistrato di sorveglianza di Spoleto – sulla già esistente disciplina di cui all’art. 51-ter, comma 2, ordin. penit.; tale disciplina prevede che, nel caso in cui il condannato ammesso a una misura alternativa ponga in essere comportamenti suscettibili di determinarne la revoca, la possibilità per il magistrato di sorveglianza di disporre in via interinale e urgente la «provvisoria sospensione della misura alternativa» e l’immediato «accompagnamento in istituto del trasgressore», salva la necessità di una successiva decisione definitiva da parte del tribunale di sorveglianza, per l’appunto, nel termine perentorio di trenta giorni successivi, pena la perdita di efficacia dello stesso provvedimento provvisorio di sospensione già adottato dal magistrato. Questa disciplina, rispetto alla quale non risultano essere state sinora formulate questioni di legittimità costituzionale, parimenti prevede l’immediata riconduzione in vinculis del condannato, nell’ambito di un procedimento deformalizzato e condotto ex officio dal magistrato di sorveglianza, senza alcuna necessità di interlocuzione preventiva con la difesa del condannato, e con rinvio del pieno contraddittorio tra difesa e parte pubblica al momento del successivo procedimento innanzi al tribunale di sorveglianza, destinato parimenti a concludersi nel termine perentorio di trenta giorni.
9.– Infondate sono, altresì, le censure formulate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino con riferimento all’art. 32 Cost.
9.1.– L’essenza di tali censure è che il procedimento di periodica (ri)valutazione delle condizioni che giustificano la misura extramuraria disciplinato dalla normativa censurata mirerebbe a indurre il giudice alla revoca di un provvedimento già concesso allo scopo di salvaguardare la salute del detenuto; ciò che sarebbe dimostrato, in particolare, dall’imposizione dell’obbligo di acquisire i pareri del Procuratore distrettuale antimafia o del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nonché informazioni da parte del Dipartimento per gli affari penitenziari e del Presidente della Giunta regionale, ma non – invece – documentazione relativa allo stato di salute del detenuto.
Dal che deriverebbe, con le parole del Tribunale di sorveglianza di Sassari, una situazione di «ipotutela del diritto alla salute» del detenuto imposta dallo stesso legislatore, in contrasto con l’art. 32 Cost.
9.2.– Tali assunti non possono, tuttavia, essere condivisi.
Intento del legislatore è, certamente, quello di imporre ai giudici che abbiano concesso la detenzione domiciliare in surroga o – direttamente – il differimento della pena ex art. 147 del codice penale per ragioni connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 l’obbligo di periodiche e frequenti rivalutazioni della persistenza delle condizioni che hanno giustificato la concessione della misura, sulla base anche della documentazione che la disposizione censurata impone loro di acquisire. E ciò al fine di verificare a cadenze temporali ravvicinate, durante l’intero corso della misura disposta, la perdurante attualità del bilanciamento tra le imprescindibili esigenze di salvaguardia della salute del detenuto e le altrettanto pressanti ragioni di tutela della sicurezza pubblica, poste in causa dalla speciale pericolosità sociale dei destinatari della misura (bilanciamento sul quale insiste del resto anche la sentenza di questa Corte n. 99 del 2019, pure invocata dal Tribunale di sorveglianza di Sassari; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze 7 dicembre 2017, n. 55049, e 20 dicembre 2010, n. 44579).
Tuttavia, in nessun luogo della disposizione censurata emerge la prospettiva di un affievolimento della tutela della salute del condannato; sottolineandosi anzi, nel comma 2 dell’art. 2-bis, la necessità di verificare – quale presupposto della revoca – l’effettiva «disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato […] può riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudizio per le sue condizioni di salute»: la cui tutela resta, dunque, essenziale anche nell’ottica della legge.
Se è vero, d’altra parte, che la disposizione censurata non impone l’acquisizione di documentazione sullo stato di salute del detenuto – il suo obiettivo essendo, evidentemente, quello di assicurare al giudice pienezza di informazione sulle possibili alternative intramurarie esistenti in grado di assicurare comunque la tutela della salute di condannati pure dall’elevata pericolosità sociale –, è anche vero che essa non vieta affatto che il giudice possa acquisire ex officio tale documentazione, come di fatto è accaduto nel procedimento pendente innanzi al Magistrato di sorveglianza di Avellino; e non vieta, in particolare, di disporre ex officio, se necessario, perizia sullo stato di salute del detenuto ai sensi dell’art. 185 delle Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, senza alcuna particolare formalità. Dovendosi peraltro rammentare, come non a torto osserva l’Avvocatura generale dello Stato, che la disposizione censurata concerne condannati che in via generale non presentano condizioni di salute di per sé incompatibili con le condizioni carcerarie, e che solo in relazione alla particolare situazione della pandemia in corso sono stati ammessi al beneficio extramurario; di talché appare del tutto logico richiedere al magistrato, in sede di periodica rivalutazione delle condizioni che hanno giustificato il beneficio, una puntuale verifica – grazie ai dati forniti, in particolare, dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – relativa alla situazione epidemiologica in corso, notoriamente in continua evoluzione, anche con specifico riferimento ai singoli istituti penitenziari e alla effettiva disponibilità di strutture intramurarie o di medicina protetta idonee ad assicurare la cura delle patologie di cui il condannato soffra, tutelandolo ragionevolmente dal rischio di contagio.
In definitiva, la nuova disciplina – come la stessa Avvocatura generale dello Stato giustamente sottolinea – non abbassa in alcun modo i doverosi standard di tutela della salute del detenuto, imposti dall’art. 32 Cost. e dal diritto internazionale dei diritti umani anche nei confronti di condannati ad elevata pericolosità sociale, compresi quelli sottoposti al regime penitenziario di cui all’art. 41-bis ordin. penit. (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 25 ottobre 2018, Provenzano contro Italia, paragrafi da 126 a 141 e da 147 a 158); né intende in alcun modo esercitare indebite pressioni sul giudice che abbia in precedenza concesso la misura, mirando unicamente ad arricchire il suo patrimonio conoscitivo sulla possibilità di opzioni alternative intramurarie o presso i reparti di medicina protetti in grado di tutelare egualmente la salute del condannato, oltre che sulla effettiva pericolosità dello stesso, in modo da consentire al giudice di mantenere sempre aggiornato il delicato bilanciamento sotteso alla misura in essere, alla luce di una situazione epidemiologica in continua evoluzione.
10.– Parimenti infondate sono le censure sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto con riferimento all’art. 3 Cost.
10.1.– Secondo i rimettenti, la normativa censurata determinerebbe in sostanza una irragionevole disparità di trattamento tra i detenuti in relazione al solo titolo di reato, creando automatismi incompatibili con il principio indefettibile della tutela della loro salute, che vale per tutti i detenuti.
10.2.– La censura non merita accoglimento, non potendo essere giudicata irragionevole la scelta del legislatore di imporre al giudice una frequente e penetrante rivalutazione delle condizioni che hanno giustificato la concessione della misura nei confronti di condannati per gravi reati, tutti connessi alla criminalità organizzata, e a fortiori per quelli giudicati di tanto elevata pericolosità da essere sottoposti al regime penitenziario di cui all’art. 41-bis ordin. penit.
Anche rispetto a tali condannati, beninteso, occorrerà tutelare in modo pieno ed effettivo il loro diritto alla salute; ma è evidente che il bilanciamento con le pure essenziali ragioni di tutela della sicurezza collettiva contro il pericolo di ulteriori attività criminose dovrà essere effettuato con speciale scrupolo da parte del giudice, sulla base di una piena conoscenza dei dati di fatto che gli consentano di valutare se, e a quali condizioni, sia possibile il ripristino della detenzione, in modo comunque idoneo alla tutela della loro salute.
11.– Manifestamente infondata è poi la censura, sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, in riferimento all’art. 27, terzo comma, Cost., dal momento che le misure di cui trattasi – la detenzione domiciliare in surroga di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, ordin. penit. e il differimento facoltativo della pena di cui all’art. 147 cod. pen. – non sono funzionali alla rieducazione del condannato, bensì in via esclusiva alla tutela della sua salute; donde l’inconferenza del parametro invocato.
12.– Del pari manifestamente infondate, infine, sono le censure sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari in riferimento agli artt. 102, primo comma, e 104, primo comma, Cost. sul combinato disposto degli artt. 2 e 5 dell’originario d.l. n. 29 del 2020, in ragione essenzialmente dell’allegata interferenza, da parte della disciplina censurata, con le prerogative del potere giudiziario, anche in relazione al suo carattere asseritamente retroattivo.
Tale disciplina, tuttavia, non ha a ben guardare effetto retroattivo, applicandosi bensì alle misure extramurarie concesse a partire da una data antecedente all’entrata in vigore del d.l. n. 28 del 2020, ma con effetto esclusivamente pro futuro, imponendo al giudice, da quel momento in poi, un obbligo di periodica rivalutazione delle condizioni che giustificano un provvedimento attualmente in essere, che eccezionalmente consente a condannati il cui percorso rieducativo ancora imporrebbe una permanenza intramuraria di scontare parte della propria pena all’esterno, in ragione della tutela della loro salute in un contesto di emergenza epidemiologica.
Né la legge pretende – ciò che le sarebbe evidentemente precluso (sentenza n. 85 del 2013) – di travolgere ipso iure i provvedimenti già adottati, bensì soltanto di imporre al giudice di effettuare ulteriori adempimenti istruttori, suscettibili di sfociare in un distinto provvedimento di revoca; revoca che, peraltro, il giudice non è in alcun modo tenuto ad adottare, come si è avuto modo di osservare, laddove ritenga che la salute del detenuto non sia ragionevolmente tutelabile anche in ambito intramurario, ovvero mediante il suo ricovero in appositi reparti di medicina protetti.
Né, ancora, una illegittima interferenza con le prerogative della giurisdizione può essere riscontrata in ragione dell’asserita vanificazione del termine contenuto nell’originario provvedimento di concessione della misura. Tale termine, infatti, non viene affatto travolto dalla disposizione censurata, e potrà continuare ad operare laddove il giudice ritenga, pur in esito alle periodiche rivalutazioni, di non disporre la revoca della misura stessa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 5 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati) – così come trasfusi nell’art. 2-bis del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70 – sollevate, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 24, secondo comma, 32 e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino, con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., dal Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 5 del d.l. n. 29 del 2020 – così come trasfusi nell’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito –, sollevate, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, 102, primo comma, e 104, primo comma, Cost., dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2020.
F.to:
Mario Rosario MORELLI, Presidente
Francesco VIGANÒ, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 24 novembre 2020.