SENTENZA N. 151
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Marta CARTABIA;
Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 2, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64, recante «Disciplina della scuola italiana all’estero, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera h), della legge 13 luglio 2015, n. 107», promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza-ter, nel procedimento vertente tra il sindacato Unione Italiana del Lavoro (UIL) Scuola nazionale e altri e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e altri, con ordinanza del 30 settembre 2019, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti gli atti di costituzione della UIL Scuola nazionale, di G. C. e di S. S., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito il Giudice relatore Giulio Prosperetti ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 10 giugno 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2020.
1.– Con ordinanza del 30 settembre 2019 (reg. ord. n. 3 del 2020), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza-ter, solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, dell’art. 31, comma 2, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64, recante «Disciplina della scuola italiana all’estero, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera h), della legge 13 luglio 2015, n. 107», nella parte in cui prevede, come requisito per l’affidamento da parte delle scuole italiane all’estero di insegnamenti obbligatori secondo l’ordinamento italiano, che il personale italiano o straniero interessato sia «residente nel paese ospitante da almeno un anno».
1.1.– La questione è insorta nel corso di un giudizio promosso dal sindacato Unione Italiana del Lavoro (UIL) Scuola nazionale, insieme ad alcuni docenti, nei confronti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nonché di alcuni istituti scolastici italiani all’estero.
Il giudice rimettente riferisce che i ricorrenti hanno impugnato i bandi di concorso adottati tra i mesi di marzo e aprile 2018 da alcune scuole italiane all’estero (nel dettaglio: il bando della Scuola italiana di Atene, del 21 marzo 2018; il bando della Scuola statale italiana di Madrid, del 19 marzo 2018; il bando dell’Istituto statale comprensivo “Leonardo da Vinci” di Parigi, del 7 marzo 2018; il bando della Scuola media e liceo scientifico statale “I.M.I.” di Istanbul, del 29 marzo 2018; il bando dell’Istituto italiano statale comprensivo di Barcellona, del 13 aprile 2018; il bando dell’Istituto statale omnicomprensivo “Galileo Galilei” di Addis Abeba, del 10 aprile 2018).
Si tratta di bandi per il reclutamento di personale docente cosiddetto locale da parte delle menzionate scuole italiane all’estero, emanati ai sensi dell’art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64 del 2017, secondo cui «[n]elle scuole statali all’estero un numero limitato di insegnamenti obbligatori nell’ordinamento italiano può essere affidato a personale italiano o straniero, residente nel paese ospitante da almeno un anno, in possesso dei requisiti previsti dalla normativa italiana e avente una conoscenza certificata della lingua italiana con finalità didattiche a livello avanzato secondo il Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue. Con decreto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sentito il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, sono stabiliti, avendo riguardo alle specificità dei contesti locali e delle discipline caratterizzanti i diversi indirizzi di studio, gli insegnamenti ai quali in ciascuna scuola si applicano le disposizioni del presente comma, nonché i criteri e le procedure di selezione e di assunzione del personale interessato».
Il giudice a quo rappresenta che i ricorrenti hanno impugnato, altresì, il decreto 8 gennaio 2018, prot. n. 3615/2501, con cui il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale Direzione generale per la promozione del sistema Paese, in attuazione di quanto previsto dalla seconda parte dell’art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64 del 2017 ha individuato gli insegnamenti obbligatori secondo l’ordinamento italiano che, nelle scuole statali all’estero, possono essere affidati a personale docente con contratto a tempo indeterminato, regolato dalla legge locale, nonché i criteri e le procedure di selezione e assunzione di detto personale.
I ricorrenti, nel domandare l’annullamento, previa sospensione cautelare, degli atti impugnati, hanno censurato, tra le altre cose, la previsione, quale requisito di partecipazione alla selezione, del possesso di un titolo di residenza di almeno un anno nel paese estero ove dovrebbe svolgersi il rapporto di lavoro, requisito che i cinque professori ricorrenti hanno allegato di non possedere.
Nel giudizio si sono costituiti il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ed il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del gravame.
Il Collegio rimettente prosegue riferendo che, esaurita la fase cautelare, la causa è stata decisa con sentenza parziale n. 11409 del 2019, nella quale, ritenute non fondate le eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti, sono stati rigettati nel merito tutti i motivi di censura sollevati dai ricorrenti, ad eccezione di quello concernente la prospettata illegittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64 del 2017, nella parte in cui stabilisce il requisito della residenza almeno annuale nel paese estero. Ciò in quanto i ricorrenti assumono che tale requisito, nel limitare di fatto la partecipazione alle selezioni de quibus, contrasterebbe con gli artt. 3 e 97 Cost., violando il principio del pubblico concorso.
Ciò premesso, il giudice a quo, in accoglimento del predetto motivo di gravame, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione in oggetto, laddove stabilisce il predetto requisito.
1.2.– In ordine alla rilevanza della questione, il giudice a quo rappresenta che i bandi di concorso e il citato decreto ministeriale 8 gennaio 2018, prot. n. 3615/2501, oggetto d’impugnazione da parte dei ricorrenti, riproducono la previsione normativa censurata, contemplando il possesso da parte degli aspiranti del requisito della residenza da almeno un anno nel paese estero ospitante la scuola italiana che indice la procedura di reclutamento.
Poiché i professori ricorrenti non posseggono il requisito suddetto, non possono prendere parte alle selezioni, da cui «l’impugnazione – per tale specifico motivo – dei bandi e del decreto ministeriale presupposto».
Il rimettente ravvisa la rilevanza della questione in quanto la decisione del giudizio (limitatamente all’unico profilo rimasto ancora da decidere) «non può prescindere dalla valutazione circa la legittimità costituzionale della norma di legge che ha introdotto il requisito censurato»: l’eventuale annullamento, in parte qua, della disposizione censurata determinerebbe difatti l’illegittimità derivata degli atti amministrativi impugnati e, quindi, l’accoglimento della censura sollevata dai ricorrenti, i quali «per l’effetto, all’esito di una rinnovata attività amministrativa di definizione dei criteri di partecipazione alle selezioni (con espunzione del criterio giudicato illegittimo), finirebbero col beneficiare della possibilità di prendere effettivamente parte alle procedure selettive».
Esclusa la possibilità di una interpretazione adeguatrice della disposizione censurata, stante il suo chiaro tenore letterale, il rimettente precisa che essa «per il fatto stesso di prevedere il criterio restrittivo della residenza almeno annuale, finisce con l’imporlo (a valle) a quelle istituzioni scolastiche estere che vogliano bandire una selezione per il proprio personale c.d. locale, nonché (a monte) alla stessa amministrazione ministeriale chiamata ad adottare l’atto normativo generale previsto dalla seconda parte del comma 2 dell’art. 31» con cui sono stabiliti, tra l’altro, «i criteri e le procedure di selezione e di assunzione del personale interessato».
1.3.– In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo preliminarmente richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui il concorso pubblico, nel consentire di attuare il principio di uguaglianza nell’accesso ai pubblici uffici di cui all’art. 51 Cost., costituisce la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, «in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., potendo a tale regola derogarsi solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici e purché le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie ed irragionevoli forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi (cfr., tra le tante, Corte cost., sent. n. 159 del 2005)», sicché «le deroghe possono essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (cfr., in tal senso, Corte cost., sentt. n. 52 del 2011 e nn. 90 e 177 del 2012)».
Con specifico riguardo alle selezioni del personale docente delle scuole, il TAR Lazio prosegue esponendo che nella giurisprudenza costituzionale si è sempre affermata la preminenza del criterio del merito «il quale “costituisce, invero, il criterio ispiratore della disciplina del reclutamento del personale docente” (cfr. la sent. n. 41 del 2011 e, più di recente, la sent. n. 251 del 2017)», e precisa, altresì, che «[a]nche laddove, in alcune più risalenti decisioni, la Corte ha riconosciuto, eccezionalmente, la legittimità costituzionale di disposizioni di legge che restringevano la platea dei candidati in ragione della loro residenza, ciò ha fatto precisando che tale requisito deve risultare “ricollegabile, come mezzo al fine, allo assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato” (cfr., in tal senso, le sentt. n. 158 del 1969, n. 86 del 1963, n. 13 del 1961 e n. 15 del 1960, oltre all’ord. n. 33 del 1988), in tal modo significativamente declinando il presupposto del collegamento funzionale tra il requisito della residenza e le esigenze di buon andamento dell’amministrazione».
Tanto premesso, il giudice a quo osserva che nel caso di specie appare pacifico che la disposizione denunciata ha introdotto un criterio restrittivo per l’accesso all’impiego pubblico (costituito dal posto di docente delle scuole statali all’estero), avendo previsto che alle relative selezioni possano partecipare solo coloro che risultino residenti da almeno un anno nel paese estero ospitante.
Tale restrizione, tuttavia, ad avviso del rimettente non sarebbe «assistita da adeguate ragioni giustificatrici e finisce con il ridurre in modo arbitrario ed irragionevole la platea dei possibili candidati: non si rinvengono, invero, quelle “peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico” (cfr. sentt. n. 52 del 2011 e n. 137 del 2013)» che, secondo la richiamata giurisprudenza costituzionale, possono consentire legittime deroghe al principio del concorso pubblico.
Inoltre, il criterio restrittivo in esame non sarebbe “funzionale” al buon andamento dell’amministrazione scolastica statale all’estero (e, più in generale, al corretto e proficuo raggiungimento degli obiettivi del «sistema della formazione italiana nel mondo», quali declinati dall’art. 2 del d.lgs. n. 64 del 2017, sistema che vede proprio nelle scuole statali all’estero una delle proprie principali articolazioni).
Ciò in quanto, «per un verso, il requisito di residenza è qui imposto per l’insegnamento non delle materie obbligatorie secondo la normativa locale (come è, invece, per la diversa ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 31 del d.lgs. n. 64 del 2017) ma per l’insegnamento delle materie obbligatorie secondo l’ordinamento italiano – con venir meno, pertanto, di ogni possibile collegamento tra tale insegnamento e l’esperienza “di vita” all’estero che tale requisito sembra voler perseguire – mentre, per altro verso, la stessa conoscenza (da parte del docente che abbia vissuto per almeno un anno nel Paese estero) dell’ambiente locale e di eventuali connesse esigenze ambientali non pare ergersi, nel caso di specie, quale adeguato e ragionevole criterio di preselezione, non apparendo esso in alcun modo ricollegabile, come mezzo al fine, all’assolvimento di un servizio (l’insegnamento delle materie obbligatorie secondo il nostro ordinamento) altrimenti non attuabile o almeno non attuabile con identico risultato, secondo quanto precisato dalla riportata giurisprudenza costituzionale».
In riferimento alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., il rimettente deduce che la previsione del requisito della residenza determinerebbe una disparità di trattamento tra i candidati in quanto, pur se secondo la legge «gli insegnamenti de quibus possono essere affidati sia a personale italiano sia a personale straniero, il requisito in questione finisce con il far prevalere quest’ultima categoria. È evidente, infatti, che i docenti stranieri, ed in particolare quelli che abbiano la cittadinanza del Paese ospitante, hanno maggiori possibilità di soddisfare il requisito della residenza almeno annuale, rispetto ai docenti italiani che generalmente non vivono all’estero».
Conseguentemente, il contestato requisito «finisce per indirizzare le selezioni a vantaggio di coloro che, per ragioni legate alla propria nascita e/o alle proprie origini nel territorio straniero, possano vantare un legame di fatto più forte con quel territorio, e ciò a discapito dei candidati, come gli odierni ricorrenti, che hanno cittadinanza italiana (o di qualsiasi altro Paese): ma senza che la preferenza così accordata a quel legame – come già visto – possa dirsi funzionalmente collegata alle esigenze dell’amministrazione».
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio incidentale con atto depositato l’11 febbraio 2020.
2.1.– Preliminarmente la difesa statale eccepisce l’inammissibilità della questione sotto due diversi profili.
L’ordinanza non avrebbe «esplicitato in modo pienamente autonomo le ragioni per le quali nutre il dubbio di illegittimità costituzionale, limitandosi ad una sostanziale riproduzione delle deduzioni delle parti interessate».
Al riguardo viene richiamata la sentenza n. 285 del 2010 della Corte costituzionale, secondo cui «[i]l mero richiamo alle argomentazioni prospettate dalle parti nel processo principale rende l’ordinanza di rimessione priva del requisito dell’autosufficienza, dovendo il giudice esplicitare le ragioni che lo portano a dubitare della costituzionalità della norma censurata in modo tale da permettere alla Corte di verificare la sussistenza del requisito della rilevanza, non potendosi supplire a tale carenza per mezzo del riferimento sopra indicato».
Inoltre sarebbe del tutto carente la motivazione sulla impossibilità di esperire interpretazioni costituzionalmente orientate della norma censurata.
Nel ricordare che il giudice a quo deve «vagliare ogni possibilità di interpretare la disposizione in modo conforme al dettato costituzionale (Corte Cost., sent. 6 ottobre 2006, n. 324)», la difesa statale deduce il difetto di una precisa motivazione del rimettente circa l’impossibilità di pervenire a un’interpretazione costituzionalmente conforme della previsione normativa censurata.
Riguardo tale profilo, l’Avvocatura generale dello Stato rappresenta che la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto al legislatore una discrezionalità nel derogare per specifici obiettivi di pubblico interesse alla regola della selezione del personale della pubblica amministrazione mediante concorso pubblico e che, una volta fatta la scelta di non derogare a tale regola di selezione, il legislatore gode anche di discrezionalità «nell’individuare eventuali restrizioni all’accesso al pubblico concorso, purché i relativi criteri non siano manifestamente irragionevoli o idonei a creare non giustificabili differenze di trattamento tra gli aspiranti alla partecipazione».
In proposito la difesa statale ricorda che la Corte costituzionale «ha affermato il principio che l’accesso in condizioni di parità ai pubblici uffici può subire deroghe, con specifico riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando il requisito medesimo sia ricollegabile, come mezzo al fine, allo assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato (sent. 158 del 1969, 86 del 1963, 13 del 1961, 15 del 1960)» (ordinanza n. 33 del 1988).
Nel caso in esame l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia che il legislatore non ha derogato alla regola del concorso per la selezione dei docenti da destinare alle scuole italiane all’estero nelle materie caratterizzanti e obbligatorie secondo l’ordinamento italiano, ma ha invece richiesto, per potervi partecipare, oltre ad altri requisiti, anche il possesso della residenza da almeno un anno nel paese di destinazione.
Tale requisito, introdotto dalla disposizione censurata, ha oggettivamente un effetto di specifica selezione rispetto alla potenziale platea dei legittimati a partecipare al concorso (costituita da docenti italiani e stranieri abilitati a insegnare in determinate materie e con determinate competenze linguistiche in italiano).
Tuttavia, ad avviso della difesa statale, «non sembra che il giudice rimettente abbia assolto al suo dovere di individuare, nella norma censurata, un significato conforme a Costituzione (v. Corte Costituzionale 317/2009; ordinanza n. 96/2010, 77/2009 e 56/2007)». Ciò in quanto ha «enucleato i soli argomenti che evidenziano l’assenza di un ragionevole rapporto di strumentalità tra la conoscenza del Paese di destinazione, presuntivamente esistente ex lege, secondo il giudice a quo, in capo a chi può vantare almeno un anno di residenza nel luogo dove dovrà insegnare, e le materie che i docenti che partecipano al concorso dovranno insegnare».
Inoltre, «non viene neppure tentata una diversa interpretazione che consenta di attribuire al requisito della residenza nel Paese straniero di destinazione, una funzione diversa e ulteriore che possa soddisfare il rapporto di strumentalità che deve sussistere tra tale requisito e l’assolvimento del servizio». In proposito, l’Avvocatura generale assume che «[a] mero titolo di esempio si può rilevare l’esistenza di un pubblico interesse, rilevante ex artt. 51 e 97 della Costituzione, a investire risorse nella selezione di personale docente che è già personalmente organizzato per svolgere la propria prestazione all’estero, come presuntivamente si può ritenere per chi ha fissato una residenza per un periodo apprezzabile (almeno un anno) nel Paese per il quale si presenta la candidatura, fattore obiettivamente idoneo a ridurre la possibilità che il docente selezionato rinunci alla idoneità all’esito del concorso, il che può avere indubbie ripercussioni anche in termini di organizzazione del calendario scolastico nel Paese di destinazione».
Sulla scorta di quanto così rilevato, la difesa statale «evidenzia quindi la possibile erroneità del presupposto interpretativo dal quale muove il T.a.r., così come difetta la ricerca di una soluzione costituzionalmente obbligata al quesito sollevato dal remittente, considerata anche l’ampiezza della discrezionalità di cui gode il legislatore nella materia sicché, perché la questione sia fondata, deve risultare chiaro che la norma censurata ha un contenuto manifestamente irragionevole (v. Corte Costituzionale sentenza n. 60/2014)».
2.2.– Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che la questione sia comunque infondata.
In particolare, riguardo alla dedotta violazione da parte del rimettente dell’art. 3 Cost., la difesa statale rileva che «la norma censurata consente di partecipare al concorso a docenti italiani e stranieri, purché in grado di documentare che risiedono da almeno un anno nel Paese nel quale dovrà essere svolta la prestazione lavorativa (e salvo il possesso degli altri requisiti specifici di competenza anche linguistica)»; e che «[i]l possesso di una specifica cittadinanza o dell’essere nati in un determinato Paese non è criterio selettivo per l’accesso, né il possesso di una determinata cittadinanza implica necessariamente che la stessa persona possieda anche la residenza nel Paese di cui è cittadino».
Non sarebbe allora corretto «affermare, come invece fa il giudice a quo, che i docenti che possiedono la cittadinanza italiana sono per ciò solo svantaggiati in quanto generalmente privi del requisito della residenza all’estero almeno annuale». Parimenti non sarebbe individuata correttamente «la categoria che sarebbe ingiustamente avvantaggiata, utilizzata come elemento di paragone per valutare la conformità della norma censurata al parametro di cui all’art. 3 della Costituzione, costituita da docenti stranieri che, essendo cittadini del Paese al quale il singolo bando di concorso si riferisce, secondo quanto prospettato dal giudice a quo avrebbero o avrebbero molto più facilmente, rispetto ai docenti di cittadinanza italiana, anche la residenza da almeno un anno nel Paese per il quale viene fatta la domanda di insegnamento».
3.– Con memoria depositata il 10 febbraio 2020, si sono costituiti la UIL Scuola nazionale e due dei docenti ricorrenti nel giudizio principale (G. C. e S. S.), aderendo alle argomentazioni addotte dal giudice rimettente.
Anche le parti richiamano la giurisprudenza costituzionale in materia di concorso pubblico, con particolare riferimento alle condizioni da essa stabilite per considerare legittime eventuali deroghe, possibili solo quando siano «funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (cfr., in tal senso, Corte cost., sentt. n. 52 del 2011 e nn. 90 e 177 del 2012)».
Nel caso di specie le parti ritengono che il criterio restrittivo per l’accesso all’impiego pubblico – costituito dal posto di docente delle scuole statali all’estero – previsto dalla disposizione censurata, non sarebbe assistito da adeguate ragioni giustificatrici e «finisce con il ridurre in modo arbitrario ed irragionevole la platea dei possibili candidati», in assenza di peculiari ed eccezionali esigenze di interesse pubblico, ovvero dettate da necessità funzionali al buon andamento dell’amministrazione scolastica statale all’estero.
In proposito, le parti rappresentano che «recentemente la Direttiva n. 3 del 2018 emessa dal Ministero per la Semplificazione e la pubblica amministrazione (Linee guida sulle procedure concorsuali) ha espressamente ribadito, nell’indicare i requisiti di ammissione nelle procedure di reclutamento dei concorsi pubblici, che tali procedure risultano finalizzate unicamente alla selezione dei candidati migliori» e che «[l]a predetta Direttiva ha così chiaramente escluso di poter attribuire alcuna forma di preferenza – o meglio, di motivo di esclusione – nei confronti dei candidati che risultano residenti da almeno un anno nel Paese estero ospitante».
Con specifico riferimento al reclutamento di docenti, le parti richiamano il precedente costituito dalla sentenza n. 251 del 2017, con cui è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), nella parte in cui escludeva dagli ivi previsti concorsi pubblici per il reclutamento dei docenti coloro che erano stati assunti con contratto a tempo indeterminato nelle scuole statali.
Le parti evidenziano che nella predetta sentenza si afferma che nella disposizione censurata «il diritto di partecipare al concorso pubblico è condizionato alla circostanza – invero “eccentrica” rispetto all’obiettivo della procedura concorsuale di selezione delle migliori professionalità – che non vi sia un contratto a tempo indeterminato alle dipendenze della scuola statale».
Nel ricordare che «[l]a contestata esclusione si fondava sulla durata del contratto (a tempo determinato, ovvero a tempo indeterminato) e sulla natura del datore di lavoro (scuola pubblica o scuola paritaria; amministrazione della scuola o altre amministrazioni)», le parti rappresentano che, secondo la Corte costituzionale, «nessuno di tali criteri risultava funzionale all’individuazione della platea degli ammessi a partecipare alle procedure concorsuali, le quali dovevano, viceversa, essere impostate su criteri meritocratici, volti a selezionare le migliori professionalità».
Ciò comportava la irragionevole restrizione della platea dei partecipanti al pubblico concorso, in contrasto non solo con l’art. 3 Cost., ma anche con i principi enunciati dagli artt. 51 e 97 Cost. Difatti, nella citata sentenza n. 251 del 2017 si afferma che, costituendo il merito il criterio ispiratore della disciplina del reclutamento del personale docente (sentenza n. 41 del 2011), la preclusione stabilita dall’art. 1, comma 110, della legge n. 107 del 2015 contraddice tale finalità, «impedendo sia di realizzare la più ampia partecipazione possibile, sia di assicurare condizioni di effettiva parità nell’accesso».
3.1.– In prossimità dell’udienza le parti private costituite hanno presentato brevi note nelle quali hanno ribadito quanto già illustrato nella memoria di costituzione, riproponendo le argomentazioni ivi svolte e insistendo, in particolare, sulla impossibilità di un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza-ter, con l’ordinanza in epigrafe dubita, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 2, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64, recante «Disciplina della scuola italiana all’estero, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera h), della legge 13 luglio 2015, n. 107», nella parte in cui prevede, come requisito per l’affidamento da parte delle scuole italiane all’estero dei previsti insegnamenti obbligatori secondo l’ordinamento italiano, che il personale italiano o straniero interessato debba essere «residente nel paese ospitante da almeno un anno».
L’art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64 del 2017 stabilisce: «[n]elle scuole statali all’estero un numero limitato di insegnamenti obbligatori nell’ordinamento italiano può essere affidato a personale italiano o straniero, residente nel paese ospitante da almeno un anno, in possesso dei requisiti previsti dalla normativa italiana e avente una conoscenza certificata della lingua italiana con finalità didattiche a livello avanzato secondo il Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue. Con decreto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sentito il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, sono stabiliti, avendo riguardo alle specificità dei contesti locali e delle discipline caratterizzanti i diversi indirizzi di studio, gli insegnamenti ai quali in ciascuna scuola si applicano le disposizioni del presente comma, nonché i criteri e le procedure di selezione e di assunzione del personale interessato».
1.1.– La questione è stata sollevata nell’ambito di un giudizio promosso dal sindacato Unione Italiana del Lavoro (UIL) Scuola Nazionale, unitamente a cinque docenti, che avevano impugnato i bandi di concorso adottati tra il marzo e l’aprile 2018 da alcune scuole italiane all’estero, ai sensi del citato art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64 del 2017, per il reclutamento del personale docente cosiddetto locale cui affidare alcuni specifici insegnamenti obbligatori nell’ordinamento italiano, nonché il decreto 8 gennaio 2018, prot. n. 3615/2501, del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionaleDirezione generale per la promozione del sistema Paese.
Il giudice a quo rappresenta che i ricorrenti, hanno, tra l’altro, censurato la previsione negli atti impugnati del possesso di un titolo di residenza pari ad almeno un anno nel Paese estero ove dovrebbe svolgersi il rapporto di lavoro quale requisito di partecipazione per la selezione, «requisito che, in particolare, i cinque professori ricorrenti hanno allegato di non possedere».
Con sentenza parziale il Collegio ha deciso tutte le questioni, fatta salva l’eccezione prospettata dai ricorrenti di illegittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64 del 2017, per asserito contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. in riferimento alla violazione del principio del pubblico concorso, nella parte in cui prevede il predetto requisito.
1.2.– Esclusa la possibilità di un’interpretazione adeguatrice della norma censurata, atteso il suo chiaro tenore letterale, il TAR rimettente ritiene la questione rilevante e non manifestamente infondata.
In ordine alla rilevanza, il giudice a quo evidenzia che i provvedimenti contestati riproducono il requisito della residenza da almeno un anno nel paese estero ospitante contemplato dalla disposizione denunciata e che «[i] professori ricorrenti non possono prendere parte alle selezioni perché non posseggono il requisito suddetto. Da qui l’impugnazione – per tale specifico motivo – dei bandi e del decreto ministeriale presupposto».
Per queste ragioni il rimettente ritiene che la decisione del giudizio (limitatamente all’unico profilo ancora da decidere) «non può prescindere dalla valutazione circa la legittimità costituzionale della norma di legge che ha introdotto il requisito censurato», in quanto il suo eventuale annullamento determinerebbe l’illegittimità derivata degli atti amministrativi impugnati e, quindi, l’accoglimento della censura sollevata dai ricorrenti.
A sostegno della non manifesta infondatezza, il giudice rimettente, richiamata la giurisprudenza di questa Corte in ordine al criterio del concorso come strumento per il reclutamento nel pubblico impiego, afferma che la previsione da parte della disposizione censurata del requisito della residenza da almeno un anno nel paese ospitante si porrebbe contestualmente in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost.
Relativamente alla violazione del principio di uguaglianza posto dall’art. 3 Cost., il giudice a quo afferma che il requisito in oggetto determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i candidati, indirizzando la selezione in modo irragionevole a vantaggio di coloro che per ragioni di nascita o di origine possono vantare col paese di destinazione un più forte legame, a discapito degli altri candidati.
Quanto alla lesione dell’art. 51 Cost., il TAR rimettente assume che il contestato requisito previsto per l’accesso al pubblico impiego (costituito dal posto di docente delle scuole statali all’estero) non risulterebbe assistito da adeguate ragioni giustificatrici di interesse pubblico nei termini indicati dalla ricordata giurisprudenza costituzionale, e finirebbe per ridurre in modo arbitrario e irragionevole la platea dei possibili candidati.
Da ultimo, in ordine alla violazione dell’art. 97 Cost., in riferimento al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, il TAR rimettente deduce che non sussisterebbe un collegamento funzionale tra il requisito della previa residenza ultrannuale nel paese ospitante e l’esigenza di buon andamento dell’amministrazione scolastica statale all’estero, in quanto tale requisito è imposto per l’insegnamento delle materie obbligatorie secondo l’ordinamento italiano, rispetto al quale viene meno ogni possibile collegamento con l’esperienza di vita all’estero che tale requisito sembra voler perseguire, laddove la stessa conoscenza dell’ambiente locale connesso alla pregressa residenza non costituisce adeguato e ragionevole criterio di preselezione, non essendo ricollegabile all’assolvimento del servizio richiesto.
2.– Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato.
2.1.– Secondo la difesa statale l’ordinanza non assolverebbe alle prescrizioni della giurisprudenza di questa Corte circa la necessaria autosufficienza delle argomentazioni addotte a sostegno del dubbio di costituzionalità, poiché il rimettente si sarebbe limitato a riprodurre quanto prospettato dai ricorrenti.
Senonché dalla lettura dell’ordinanza non emergono elementi che confortano il predetto assunto difensivo.
Le argomentazioni addotte dal giudice rimettente risultano, difatti, svolte in modo autonomo, in quanto non rinviano alle deduzioni dei ricorrenti del giudizio principale, né richiamano passaggi argomentativi da essi svolte negli scritti difensivi, laddove non rileva che esse, eventualmente, si ispirino o facciano proprio quanto dedotto dai ricorrenti negli atti depositati nel giudizio principale.
2.2.– La difesa statale eccepisce, altresì, che nell’ordinanza sarebbe del tutto carente la motivazione da parte del giudice a quo sulla impossibilità di esperire interpretazioni costituzionalmente orientate della disposizione censurata.
Anche questa eccezione va disattesa.
Innanzitutto, il Collegio rimettente ha chiaramente ravvisato nel tenore letterale della disposizione censurata l’impedimento a una sua diversa interpretazione compatibile con il dettato costituzionale.
In effetti, il dettato della disposizione, nella sua essenzialità e univocità, non si presta a dubbi di sorta.
Inoltre, le deduzioni svolte sul punto dalla difesa statale riguardano il merito della questione, e non già la sua ammissibilità (ex plurimis, sentenze n. 11 del 2020 e n. 12 del 2019).
Deve dunque ritenersi assolto da parte del rimettente l’onere che su di lui incombe per consentire di superare sul punto il vaglio di ammissibilità (ex plurimis, sentenze n. 189 del 2019, n. 135 del 2019, n. 12 del 2019 e n. 221 del 2015).
3.– Nel merito la questione non è fondata.
3.1.– La disposizione censurata costituisce uno specifico aspetto della disciplina dettata dall’art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64 del 2017, riguardante la possibilità per le scuole italiane all’estero di affidare, attraverso apposite procedure concorsuali, insegnamenti obbligatori nell’ordinamento italiano a personale italiano e straniero in possesso di determinati requisiti, stipulando contratti a tempo indeterminato regolati dal diritto locale, da cui la qualificazione di “docenti a contratto locale”.
La censura verte sulla previsione del possesso da parte degli aspiranti del requisito di essere «residente da almeno un anno nel paese ospitante».
Tale requisito, indubbiamente, costituisce un criterio restrittivo per l’accesso al pubblico impiego, nella fattispecie quello di docente della scuola italiana all’estero che indice la procedura concorsuale.
Il thema decidendum dell’odierno giudizio è pertanto costituito dalla verifica della compatibilità della previsione normativa in esame con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di concorso pubblico per l’accesso all’impiego presso la pubblica amministrazione, diffusamente richiamati dal rimettente a sostegno della questione, in particolare relativamente alla possibilità di introdurre restrizioni al principio dell’accesso alla procedura concorsuale, come quella costituita da specifiche previsioni in ordine al requisito della residenza.
Questa Corte, difatti, ha vagliato la ragionevolezza e giustificabilità di disposizioni che prevedevano specificamente il requisito della residenza per l’accesso a concorsi ovvero a determinate attività di rilievo pubblico, riconoscendone la legittimità allorché «il requisito medesimo sia ricollegabile, come mezzo al fine, allo assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato» (così ordinanza n. 33 del 1988, che richiama le sentenze n. 158 del 1969, n. 86 del 1963, n. 13 del 1961 e n. 15 del 1960).
A tali statuizioni si è conformato in modo letterale lo stesso legislatore aggiungendo, con l’art. 51, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), all’art. 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), un ultimo periodo secondo cui il principio della parità di condizioni per l’accesso ai pubblici uffici è garantito, attraverso specifiche disposizioni del bando «con riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando tale requisito sia strumentale all’assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato».
3.2.– Al fine di individuare la funzione che il censurato requisito svolge nel complessivo assetto della disciplina di settore e, dunque, di comprendere se tale funzione possa costituirne una valida motivazione ai sensi della richiamata giurisprudenza di questa Corte, occorre, preliminarmente, procedere alla sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
Il sistema scolastico italiano all’estero si articola in una rete di istituti, sezioni e attività che assicurano in molti paesi di diversi continenti tutti i livelli di istruzione: scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado.
Di tale rete fanno attualmente parte gli otto istituti statali onnicomprensivi, con sede ad Addis Abeba, Asmara, Atene, Barcellona, Istanbul, Madrid, Parigi e Zurigo.
La materia è stata rivisitata dal d.lgs. n. 64 del 2017, attuativo dell’art. 1, commi 180 e 181, lettera h), della legge delega 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), concernente il riordino e l’adeguamento normativo in materia di istituzioni e iniziative scolastiche italiane all’estero: in particolare, il numero 1) della citata lettera h) prevede «la definizione dei criteri e delle modalità di selezione, destinazione e permanenza in sede del personale docente e amministrativo», e il successivo numero 4) contempla espressamente uno specifico ambito di intervento costituito proprio dalla «revisione della disciplina dell’insegnamento di materie obbligatorie secondo la legislazione locale o l’ordinamento scolastico italiano da affidare a insegnanti a contratto locale».
Relativamente alle modalità di reclutamento del personale, il decreto legislativo in esame conferma il canale prioritario costituito dal collocamento fuori ruolo, entro un determinato contingente massimo, del personale amministrativo e docente della scuola a tempo indeterminato, in continuità con le previsioni della previgente disciplina dettata dalla Parte V del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado).
Tuttavia, in attuazione del ricordato numero 4) della lettera h) del comma 181, dell’art. 1 della legge delega, viene significativamente rivisitato e ampliato il secondo canale di reclutamento, costituito dall’assunzione di “personale locale” – docente e non docente – con contratto “locale”, ovvero regolato dalla legge locale.
La materia è disciplinata dal Capo IV (Situazioni particolari), Sezione I (Personale locale nelle scuole statali all’estero), del d.lgs. n. 64 del 2017, costituita dagli artt. 31, 32 e 33.
L’art. 31, che viene in evidenza nell’odierno giudizio, riguarda specificamente il reclutamento dei docenti.
Il comma 1 ridefinisce la disciplina già contemplata dall’art. 653 del previgente d.lgs. n. 297 del 1994, relativa al conferimento di insegnamenti obbligatori in base alla normativa locale non previsti nell’ordinamento scolastico italiano: in modo innovativo, viene estesa la possibilità del conferimento, oltre che al personale straniero, anche a quello italiano, e introdotto il requisito della residenza nel paese ospitante da almeno un anno per i soggetti che vogliano partecipare alle selezioni.
La più incisiva novità è tuttavia quella recata dalla già innanzi riportata disposizione del comma 2 del medesimo art. 31 del d.lgs. n. 64 del 2017, laddove consente l’affidamento di un limitato numero di insegnamenti obbligatori per lo stesso ordinamento italiano a personale italiano o straniero, dotati dei requisiti previsti dalla normativa italiana e avente una conoscenza certificata della lingua italiana con finalità didattiche a livello avanzato, purché sempre in possesso del requisito della residenza da almeno un anno nel paese che ospita la scuola che bandisce la selezione. La seconda parte del medesimo comma demanda a un decreto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), sentito il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR), l’individuazione degli insegnamenti ai quali in ciascuna scuola si applicano le disposizioni dettate dal medesimo comma, nonché i criteri e le procedure di selezione e di assunzione del personale interessato.
Il comma 3 stabilisce, peraltro, che «se non si può provvedere diversamente, può prescindersi dal periodo minimo di residenza nel paese ospitante».
Il comma 5 definisce il trattamento economico, prevedendo, tra l’altro, che esso sia pari alla retribuzione dell’analogo personale delle scuole locali o, se più favorevole, ai tre quarti della posizione stipendiale iniziale spettante al personale delle scuole in Italia con le medesime funzioni.
Anche relativamente al personale non docente è prevista la possibilità per le scuole italiane all’estero di assumere, previa autorizzazione del MAECI e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, personale «permanentemente residente da almeno due anni nel Paese dove opera la scuola ed avente una conoscenza della lingua italiana adeguata ai rispettivi compiti» (art. 32 del d.lgs. n. 64 del 2017).
Infine, l’art. 33 stabilisce che la legge regolatrice dei contratti di cui agli artt. 31 e 32 è quella locale. Di specifico interesse per la tematica in esame è il comma 3, secondo cui «[l]e selezioni del personale di cui alla presente sezione si conformano a principi di imparzialità, pubblicità e trasparenza, e mirano ad accertare la conoscenza della lingua italiana e il possesso delle competenze necessarie ai compiti da svolgere», prevedendo che le modalità delle selezioni siano stabilite con decreto del MAECI, sentito il MIUR. Infine, il comma 4 prescrive che «[è] in ogni caso escluso il transito nei ruoli del personale di cui alla presente sezione».
Il quadro regolatorio è stato completato dall’emanazione dei decreti previsti dall’art. 31, comma 2 (decreto MAECI 8 gennaio 2018, prot. n. 3615/2501), e dall’art. 33, comma 3 (decreto MAECI 4 settembre 2017, prot. n. 1202/1615).
In particolare, il decreto MAECI 8 gennaio 2018, prot. n. 3615/2501, individua nell’Allegato A gli specifici insegnamenti, obbligatori secondo l’ordinamento italiano, affidabili da ciascuna scuola a docenti a contratto locale, tra i quali: lingua e cultura inglese, matematica, scienze, tecnologia, arte e immagine, musica, scienze motorie ed educazione fisica.
4.– Gli artt. da 31 a 33 del d.lgs. n. 64 del 2017 configurano, dunque, un disegno di riorganizzazione del sistema di reclutamento da parte delle scuole italiane all’estero del personale, docente e non docente, con contratto di “diritto locale”.
La più significativa innovazione, come si è rilevato, è proprio quella prevista dall’art. 31, comma 2, che consente il conferimento di incarichi di insegnamento, secondo la normativa locale, anche in materie obbligatorie secondo l’ordinamento italiano, accompagnata dalla previsione che possano essere attribuiti a cittadini stranieri e italiani, a condizione che essi risultino residenti nel paese ospitante da almeno un anno.
Si tratta di una innovazione perseguita dal legislatore sin dal tentativo operato nella medesima direzione con le previsioni dettate dal comma 2 dell’art. 9 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), poi espunto in sede di conversione, operata dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125.
Le ragioni di tale innovazione possono dunque essere individuate in quelle stesse, di carattere finanziario e gestionale, che erano state poste a fondamento dell’intervento operato con il citato comma 2 dell’art. 9 del d.l. n. 101 del 2013.
Nella relazione tecnica, concernente la predetta disposizione, si affermava che l’intervento era volto a fronteggiare la riduzione del personale scolastico di ruolo assegnabile per l’espletamento dell’insegnamento presso le scuole statali all’estero, con consistente riduzione della correlata spesa per effetto dell’applicazione ai docenti assunti con contratto locale di trattamenti retributivi meno onerosi di quelli previsti per i docenti di ruolo provenienti dall’Italia, svolgenti le medesime funzioni.
Dalla ricognizione del quadro normativo, in definitiva, emerge che l’esaminata disciplina dettata dall’art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64 del 2017 costituisce, dunque, uno strumento flessibile per ciascuna scuola italiana all’estero volto a soddisfare il fabbisogno di personale docente in funzione di specifiche esigenze locali.
In tale prospettiva, vale la pena osservare che le materie concretamente affidate ai docenti a “contratto locale” non ineriscono allo specifico patrimonio storico e culturale italiano.
Si intuisce, peraltro, la preoccupazione del legislatore di differenziare nettamente i due ricordati canali di reclutamento del personale delle scuole italiane all’estero, distinguendo lo status giuridico ed economico del “personale locale” da quello del personale di ruolo proveniente dall’Italia, come attestano: la ricordata previsione dell’art. 33, comma 4, che significativamente esclude il transito nei ruoli del personale assunto con contratto locale; la circostanza che si possa prescindere dal periodo minimo di residenza nel paese ospitante solo ove non si possa provvedere diversamente (art. 31, comma 3); la previsione che solo in quest’ultimo caso si possano rimborsare le spese di viaggio.
Si tratta, in altre parole, di elementi voluti congiuntamente dal legislatore per connotare in termini di specialità la tipologia di rapporto lavorativo in questione, specialità alla cui luce va valutata la previsione che impone il requisito della previa residenza almeno annuale nel paese ospitante la scuola.
Non a caso tale stretta connessione si ripete, come si è avuto modo di rilevare, in tutte le previsioni del d.lgs. n. 64 del 2017, che riguardano il personale locale nelle scuole italiane all’estero sia docente (art. 31, commi 1 e 2), sia non docente (art. 32), per il quale, anzi, la durata della previa residenza nel paese ospitante è elevata a due anni.
5.– La verifica della legittimità costituzionale della disposizione censurata non può dunque prescindere dalla sua contestualizzazione nell’ambito e in funzione del complessivo disegno di revisione della disciplina del reclutamento dei docenti locali con contratto “locale” da parte delle scuole italiane all’estero.
In tale prospettiva, il contestato requisito risulta, per quanto si è evidenziato, funzionale alle esigenze gestionali del sistema delle scuole italiane all’estero e, nel contempo, concorre a rafforzare il rapporto della singola scuola e dei suoi alunni con il contesto locale, contribuendo a una loro migliore integrazione.
In questo modo, il requisito della previa residenza nel paese ospitante da almeno un anno, previsto dalla disposizione censurata, ottempera alle condizioni individuate da questa Corte per ritenerlo conforme ai principi posti dall’art. 51 Cost., in materia di accesso all’impiego nella pubblica amministrazione, e dall’art. 97 Cost., in tema di miglior andamento delle attività in questione.
Ne consegue che la disposizione censurata si sottrae ai dubbi di costituzionalità sollevati dal Collegio rimettente in ordine a tutti i parametri costituzionali evocati
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 2, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64, recante «Disciplina della scuola italiana all’estero, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera h), della legge 13 luglio 2015, n. 107», sollevata, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza-ter, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2020.