Sentenza n. 13 del 2020

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SENTENZA N. 13

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1-bis, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), promosso dal Consiglio di Stato, sezione prima, nel procedimento vertente tra Nicandro Cavagliotti e il Comune di Sondrio, con ordinanza dell’8 novembre 2017, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2018.

 

Visti l’atto di costituzione di Nicandro Cavagliotti e l’atto di intervento del Presidente della Giunta della Regione Lombardia;

 

udito nell’udienza pubblica del 14 gennaio 2020 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

 

uditi gli avvocati Enrico Muffatti per Nicandro Cavagliotti e Piera Pujatti per la Regione Lombardia;

 

deliberato nella camera di consiglio del 14 gennaio 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ordinanza dell’8 novembre 2017, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2018, il Consiglio di Stato, sezione prima, nell’esercizio della propria funzione consultiva in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1-bis, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), nella parte in cui deroga alla distanza pari all’altezza del fabbricato più alto.

 

1.1.– Il Consiglio di Stato premette di dover decidere sull’impugnazione della variante del piano di governo del territorio del Comune di Sondrio, adottata con delibera del Consiglio comunale del 28 novembre 2014, n. 81 e volta a sottrarre «le zone di nuova edificazione ed urbanizzazione», poste all’interno del “tessuto urbano consolidato”, all’applicazione della disciplina più rigorosa, che impone la maggiore distanza pari all’altezza dell’edificio più alto.

 

La parte ricorrente nel giudizio principale si duole della violazione di legge e, in particolare, dell’art. 9 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), dell’arbitrarietà e della carenza di motivazione della variante approvata, che determinerebbe, inoltre, «deviazione dalla funzione». Il Comune di Sondrio, allo scopo di emendare gli «errori materiali riscontrati in fase applicativa», avrebbe introdotto una innovazione rilevante, in contrasto con i «tassativi limiti di legge».

 

1.2.– In punto di non manifesta infondatezza delle questioni proposte, il Consiglio di Stato richiama la giurisprudenza di questa Corte, che riconduce la disciplina delle distanze minime alla competenza esclusiva statale nella materia «ordinamento civile» e ammette un intervento regionale in senso derogatorio soltanto mediante «strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio».

 

Il rimettente muove dal presupposto che la disposizione censurata non affidi «l’operatività dei suoi precetti a “strumenti urbanistici”» e non sia «funzionale ad un “assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio”». Essa derogherebbe alla disciplina delle distanze minime anche con riguardo a «singoli edifici».

 

Sulla base di tali premesse, il Consiglio di Stato denuncia la violazione dei limiti che alla «competenza regionale concorrente in materia di “governo del territorio”» (art. 117, terzo comma, Cost.) pongono i princìpi enunciati dalla normativa statale e, in particolare, l’art. 9, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968 e l’art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)».

 

Sarebbe violata anche la competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), che ricomprende la disciplina delle distanze minime fra costruzioni.

 

1.3.– In punto di rilevanza, il rimettente reputa l’applicazione della disposizione censurata «decisiva ai fini della decisione della controversia in esame».

 

2.– Si è costituita, con atto depositato il 27 novembre 2018, la parte ricorrente nel giudizio principale e ha chiesto di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato.

 

La deroga prevista dal legislatore regionale presenterebbe una portata quanto mai ampia e non si prefiggerebbe di «conformare un assetto complessivo ed unitario e di specifiche aree territoriali».

 

3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente della Giunta della Regione Lombardia, con atto depositato il 9 novembre 2018, e ha chiesto di dichiarare inammissibili o, comunque, infondate le questioni di legittimità costituzionale.

 

3.1.– In linea preliminare, la Regione ha eccepito l’inammissibilità delle questioni proposte, in quanto irrilevanti. La disposizione censurata riguarderebbe la sola fase dell’adeguamento dei piani alle previsioni della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, e non già la successiva revisione dei piani di governo del territorio già approvati.

 

Nel giudizio principale, verrebbe in rilievo una variante del piano di governo del territorio, posteriore all’adeguamento dei piani. A sostegno della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, il rimettente non avrebbe offerto motivazioni di sorta.

 

Le questioni sollevate sarebbero inammissibili anche «per mancata e insufficiente indicazione del parametro di costituzionalità», che è stato individuato nell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968. La previsione citata, tuttavia, avrebbe rango di legge ordinaria e non potrebbe assurgere a «parametro nel giudizio di costituzionalità».

 

Il rimettente non avrebbe chiarito se le censure investano l’intera disposizione dell’art. 103, comma 1-bis, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, oppure il solo enunciato finale, che racchiude una deroga alla distanza minima tra i fabbricati.

 

3.2.– Nel merito, le questioni non sarebbero comunque fondate.

 

La distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto, prescritta dall’art. 9, primo comma, numero 3), del d.m. n. 1444 del 1968, non rappresenterebbe una previsione inderogabile. Sarebbe inderogabile soltanto la distanza minima tra fabbricati pari a dieci metri, salvaguardata dalla legge regionale n. 12 del 2005 e dallo stesso piano di governo del territorio del Comune di Sondrio.

 

La disposizione censurata, peraltro, sarebbe conforme alla legislazione statale, in quanto contemplerebbe una deroga circoscritta a «un arco temporale limitato» e connessa a «strumenti di revisione globale del territorio». Non si tratterebbe, pertanto, di interventi «su singoli edifici», svincolati dalla pianificazione urbanistica.

 

4.– In prossimità dell’udienza, la parte ricorrente nel giudizio principale e la Regione Lombardia hanno depositato memorie illustrative.

 

4.1.– In ordine all’inammissibilità eccepita dalla Regione Lombardia, la parte ricorrente nel giudizio principale ha replicato che lo stesso Comune di Sondrio, nelle deduzioni difensive, ha fondato la legittimità della variante sulle previsioni censurate. Anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe negato l’operatività, nella Regione Lombardia, della distanza pari all’altezza del fabbricato più alto.

 

Nel merito, l’interpretazione «riduttiva» prospettata dalla Regione Lombardia sarebbe contraddetta dal dato letterale, che menziona una generale disapplicazione delle disposizioni del d.m. n. 1444 del 1968, con l’eccezione della distanza minima di dieci metri.

 

Le esigenze di adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti comunque non giustificherebbero una deroga di tale latitudine, che si applicherebbe “a regime” e non in via meramente transitoria, come dimostra il fatto che la disciplina censurata è stata introdotta soltanto a distanza di circa tre anni «dall’approvazione della legge urbanistica regionale n. 12/2005».

 

4.2.– La Regione Lombardia ha ribadito l’inammissibilità delle questioni per omessa motivazione sulla rilevanza. In particolare, il giudice a quo avrebbe trascurato di indicare le ragioni che lo inducono a fare applicazione della disposizione censurata e di motivare in merito all’incidenza delle questioni sulla definizione del giudizio principale.

 

Nel merito, la Regione Lombardia ha posto in risalto la legittimità costituzionale di una deroga che considera «il complessivo tessuto urbano», non si applica «al caso di edifici isolatamente considerati» e interviene «solamente in una fase transitoria, temporalmente limitata», al solo scopo di adeguare gli strumenti urbanistici vigenti alle previsioni della legge regionale n. 12 del 2005.

 

5.– All’udienza pubblica del 14 gennaio 2020, le parti hanno confermato le conclusioni già rassegnate e hanno ribadito le argomentazioni illustrate nei rispettivi scritti difensivi.

 

Considerato in diritto

 

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 156 del 2018), il Consiglio di Stato, sezione prima, nell’esercizio della propria funzione consultiva in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1-bis, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.

 

1.1.– La disposizione censurata è stata aggiunta dall’art. 1, comma 1, lettera xxx), della legge della Regione Lombardia 14 marzo 2008, n. 4, recante «Ulteriori modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio)», e prevede che, ai fini dell’adeguamento, «ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti, non si applicano le disposizioni del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444».

 

La disciplina in esame salvaguarda, per i soli interventi di nuova costruzione, «il rispetto della distanza minima tra fabbricati pari a dieci metri» e ne consente la deroga soltanto «tra fabbricati inseriti all’interno di piani attuativi e di ambiti con previsioni planivolumetriche oggetto di convenzionamento unitario», in base alla previsione introdotta dall’art. 4, comma 1, lettera k), della legge della Regione Lombardia 26 novembre 2019, n. 18, recante «Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali».

 

La distanza minima di dieci metri, nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 873 e 907 del codice civile, è altresì «derogabile per lo stretto necessario alla realizzazione di sistemi elevatori a pertinenza di fabbricati esistenti che non assolvano al requisito di accessibilità ai vari livelli di piano» (art. 103, comma 1-ter, della legge regionale n. 12 del 2005, aggiunto dall’art. 12, comma 1, della legge della Regione Lombardia 13 marzo 2012, n. 4, recante «Norme per la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia»).

 

1.2.– Il giudice a quo muove dalla premessa che, in virtù della disposizione censurata, non si applichino nella Regione Lombardia le distanze minime tra fabbricati sancite dall’art. 9, primo comma, numero 3), del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765).

 

La previsione citata riguarda le zone territoriali omogenee C, che l’art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968 identifica nelle «parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l’edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità» delle zone B, caratterizzate da una «superficie coperta degli edifici esistenti» non inferiore «al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona» e da una «densità territoriale […] superiore ad 1,5 mc/mq».

 

Per le zone territoriali omogenee C, l’art. 9, primo comma, numero 3), del d.m. n. 1444 del 1968 prescrive «tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto», anche nell’ipotesi in cui «una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12».

 

1.3.– Ad avviso del rimettente, la deroga sancita dalla disposizione censurata riguarderebbe «qualsiasi ipotesi di intervento, quindi anche su singoli edifici» e non sarebbe demandata a strumenti urbanistici «funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio».

 

Il Consiglio di Stato, alla luce di tali premesse, denuncia la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., sul presupposto che la disposizione censurata travalichi la «competenza regionale concorrente in materia di “governo del territorio”» e i limiti dell’art. 9, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968 e dell’art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», che subordinano la legittimità delle deroghe alle distanze minime alla loro previsione nel contesto di strumenti urbanistici, funzionali a conformare «un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio».

 

Il giudice a quo assume che la previsione censurata, nel delineare una deroga di tale ampiezza, si ponga in contrasto anche con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto lederebbe la «competenza legislativa esclusiva dello Stato» in materia di «ordinamento civile», che include la disciplina delle distanze minime tra costruzioni, nel rispetto delle prescrizioni imperative dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968.

 

2.– Ai fini dell’odierno scrutinio, è necessario ricostruire nei suoi tratti salienti gli antecedenti di fatto del giudizio principale.

 

Il rimettente è chiamato a rendere un parere vincolante su un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che oggi, dopo le innovazioni apportate dall’art. 69, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile), si atteggia come «un rimedio giustiziale, che è sostanzialmente assimilabile ad un “giudizio”, quantomeno ai fini dell’applicazione dell’art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953» (sentenza n. 73 del 2014, punto 2. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 133 del 2016, punto 3.4.1. del Considerato in diritto).

 

Nel giudizio principale è impugnata la variante, adottata il 28 novembre 2014, del piano di governo del territorio del Comune di Sondrio, a sua volta approvato con delibera del Consiglio comunale del 6 giugno 2011.

 

Le questioni vertono sulla scelta di sottrarre le aree di nuova edificazione poste all’interno di un àmbito territoriale denominato “tessuto urbano consolidato” «all’applicazione della disciplina più restrittiva (quella che impone una distanza minima pari all’altezza dell’edificio più alto)».

 

3.– Occorre, preliminarmente, esaminare le eccezioni di inammissibilità formulate nell’atto di intervento.

 

4.– La Regione Lombardia ha eccepito l’inammissibilità delle questioni alla luce dell’incerta individuazione sia della disposizione censurata sia dell’intervento caducatorio richiesto a questa Corte.

 

L’eccezione deve essere disattesa.

 

Il rimettente ha individuato in modo inequivocabile il tema del decidere, che attiene alla distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto, prescritta nelle zone territoriali omogenee C tra edifici antistanti, uno almeno dei quali con parete finestrata. A questa Corte il Consiglio di Stato ha richiesto una declaratoria di illegittimità costituzionale della disciplina che consente l’indiscriminata disapplicazione delle previsioni imperative dettate dall’art. 9, primo comma, numero 3), del d.m. n. 1444 del 1968.

 

Le censure si incentrano sul primo enunciato dell’art. 103, comma 1-bis, della legge regionale n. 12 del 2005, e non sulla disciplina della distanza minima tra fabbricati, pari a dieci metri.

 

Non dispiegano, pertanto, alcuna influenza le innovazioni successive all’ordinanza di rimessione, recate dall’art. 4, comma 1, lettera k), della legge regionale n. 18 del 2019, che ha specificato, solo per la distanza minima pari a dieci metri, i requisiti di legittimità di eventuali deroghe.

 

5.– Ad avviso della Regione Lombardia, le questioni sarebbero inammissibili anche per carente motivazione in ordine alle ragioni di contrasto con i parametri costituzionali evocati.

 

Neppure tale eccezione è fondata.

 

Il rimettente ha ricostruito in maniera circostanziata la giurisprudenza di questa Corte che, sin dalla sentenza n. 232 del 2005, ha ricondotto la disciplina delle distanze alla materia «ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato, e ha riconosciuto il potere delle Regioni, titolari della competenza concorrente nella materia «governo del territorio», di dettare discipline derogatorie in strumenti urbanistici funzionali a un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (fra le molte, sentenze n. 50 e n. 41 del 2017, n. 231, n. 185 e n. 178 del 2016).

 

L’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio e a una razionale pianificazione urbanistica circoscrive rigorosamente la competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici e ne vincola anche le modalità di esercizio (da ultimo, sentenza n. 41 del 2017, punto 4.1. del Considerato in diritto).

 

È pertinente anche il richiamo, operato dal rimettente, all’art. 9, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968, che rappresenta «[i]l punto di equilibrio tra la competenza legislativa statale in materia di “ordinamento civile” e quella regionale in materia di “governo del territorio”» (sentenza n. 6 del 2013, punto 3.2. del Considerato in diritto) e consente di fissare distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale nel solo caso di «gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».

 

Il Consiglio di Stato non manca di soffermarsi anche sulle previsioni dell’art. 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, che hanno recepito la giurisprudenza di questa Corte e, nel confermare la vincolatività delle distanze legali stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968, consentono di derogarle entro limiti puntuali, «nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».

 

Il rimettente ha dunque avvalorato le censure con una esaustiva ricostruzione del quadro normativo di riferimento e della costante giurisprudenza di questa Corte.

 

6.– La Regione Lombardia ha eccepito l’inammissibilità delle questioni in ragione dell’inadeguata motivazione in punto di rilevanza.

 

Il rimettente non avrebbe argomentato in alcun modo in ordine alla necessità di applicare una disposizione che riguarda specificamente la fase di adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti.

 

L’eccezione è fondata.

 

6.1.– La disposizione censurata esclude l’applicazione delle previsioni del d.m. n. 1444 del 1968 e puntualizza che tale disapplicazione opera «[a]i fini dell’adeguamento, ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti».

 

L’art. 26, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 dispone che i Comuni deliberino l’avvio del procedimento di adeguamento dei piani regolatori generali vigenti entro un anno dall’entrata in vigore della medesima legge, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia del 16 marzo 2005, n. 11, e destinata a entrare in vigore, in difetto di previsioni di segno diverso, il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione.

 

I Comuni sono poi obbligati ad approvare tutti gli atti inerenti ai piani di governo del territorio in conformità ai princìpi enunciati dalla nuova «Legge per il governo del territorio» e secondo il procedimento che tale legge delinea.

 

L’art. 26, comma 3, della stessa legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, nella formulazione originaria, disciplinava i tempi di adeguamento dello strumento urbanistico generale, quando fosse stato approvato prima dell’entrata in vigore «della legge regionale 15 aprile 1975, n. 51 (Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico)» (art. 25, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005). Era previsto il termine più celere di sei mesi dall’entrata in vigore della nuova «Legge per il governo del territorio» e si stabiliva che, successivamente, fossero approvati tutti gli atti di piano di governo del territorio.

 

Dopo le novità apportate dall’art. 1, comma 1, lettera f), della legge della Regione Lombardia 10 marzo 2009, n. 5 (Disposizioni in materia di territorio e opere pubbliche - Collegato ordinamentale), l’art. 26, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 oggi regola l’avvio del procedimento di approvazione del piano di governo del territorio, che deve essere deliberato dai Comuni entro il 15 settembre 2009.

 

6.2.– Il Consiglio di Stato, sin dalle premesse dell’ordinanza di rimessione, evidenzia che è stata impugnata la variante adottata con delibera del Consiglio comunale di Sondrio 28 novembre 2014, n. 81, e destinata a modificare il piano di governo del territorio, a sua volta approvato con delibera del Consiglio comunale 6 giugno 2011, n. 40.

 

6.3.– A fronte di una variante risalente al novembre 2014 e relativa a un piano di governo del territorio già approvato nel giugno 2011, il rimettente non illustra le ragioni che rendono necessaria l’applicazione di una disciplina volta a regolare la sola fase transitoria di adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti, modulata secondo precise scansioni temporali, e non la revisione dei piani di governo del territorio già approvati.

 

La disposizione censurata, pur posteriore alla «Legge per il governo del territorio» del 2005, si colloca in un orizzonte temporale definito, legato all’adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti e alla successiva transizione ai piani di governo del territorio, che si configurano come i nuovi strumenti di pianificazione urbanistica previsti dalla legislazione regionale.

 

In tal senso depone l’univoco dettato letterale, che richiama l’adeguamento, secondo le cadenze predeterminate dall’art. 26, commi 2 e 3, della legge regionale n. 12 del 2005, e postula un nesso di strumentalità della disapplicazione rispetto all’adeguamento stesso.

 

Sull’elemento temporale e sulla correlazione finalistica con l’adeguamento, che integrano requisiti imprescindibili della disposizione sospettata di incostituzionalità, il rimettente non offre ragguagli di sorta. Il Consiglio di Stato non dimostra che il provvedimento impugnato, posteriore alla fase transitoria di adeguamento, rinviene il suo fondamento nella disciplina sottoposta al vaglio di questa Corte e contraddistinta da presupposti applicativi rigorosi.

 

Né a tali carenze possono supplire – secondo la giurisprudenza di questa Corte – le argomentazioni del Comune di Sondrio e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, menzionate dalla parte privata nella memoria illustrativa depositata in vista dell’udienza. Peraltro, tali argomentazioni, che negherebbero l’applicabilità della distanza pari all’altezza del fabbricato più alto, non soltanto non sono state vagliate dal giudice a quo, ma neppure si cimentano con gli elementi di ordine testuale addotti dalla Regione Lombardia in merito all’interpretazione della disposizione censurata.

 

Il giudice a quo, nella parte conclusiva dell’ordinanza, si limita a indicare che la rilevanza delle questioni di costituzionalità sarebbe innegabile, poiché l’applicazione della legge regionale «è decisiva ai fini della decisione della controversia in esame». Le indicazioni tratteggiate, tuttavia, non superano la valutazione che è demandata a questa Corte con riguardo al presupposto della rilevanza (fra le molte, sentenza n. 208 del 2019, punto 3.1. del Considerato in diritto).

 

La motivazione del rimettente incorre, pertanto, nel profilo di inammissibilità eccepito dalla Regione Lombardia.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1-bis, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione prima, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Silvana SCIARRA, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2020.