Ordinanza n. 126 del 2019

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ORDINANZA N. 126

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), come sostituito dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), promossi dal Tribunale ordinario di Treviso e dal Tribunale ordinario di Asti, con ordinanze del 18 maggio e del 7 giugno 2017, iscritte rispettivamente ai numeri 149 e 170 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 44 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione R. S., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 febbraio 2019 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Treviso, con ordinanza del 18 maggio 2017, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 2017, e il Tribunale ordinario di Asti, con ordinanza del 7 giugno 2017, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 2017, hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), come sostituito dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui prevede che, qualora prima della dichiarazione di apertura del dibattimento il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il giudice di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, e non consente, invece, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione;

che il giudice rimettente trevigiano espone quanto segue:

− a seguito di decreto penale di condanna, R. S. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere omesso, in qualità di legale rappresentante della società B.srl, di versare, nel termine previsto, ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti relative al periodo d’imposta 2012, per un ammontare complessivo di euro 156.249,21;

− prima dell’apertura del dibattimento, la difesa dell’imputato riferiva di avere richiesto un piano di rientro del debito formato da venti rate trimestrali destinato ad avere termine il 30 aprile 2020, sostenendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 che precludeva all’imputato di avvalersi della causa di non punibilità rappresentata dal pagamento del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento, stante il termine massimo di sei mesi di proroga previsto dalla norma censurata;

− premessa, in punto di rilevanza, la preclusione anzidetta, quanto alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma censurata valgono le seguenti considerazioni:

1) posto che la data della prima udienza dibattimentale non dipende dalla volontà dell’imputato, vi sarebbe un’evidente diversità di trattamento tra coloro che, a fronte di un debito da estinguere di pari ammontare e di un eguale numero di rate, sono chiamati a rispondere del reato contestato innanzi al giudice dibattimentale in momenti diversi, con la conseguenza che solo alcuni potrebbero essere posti in condizione di versare l’intero debito tributario entro il termine concesso dal giudice ed usufruire della causa di non punibilità, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.;

2) sotto altro profilo, il contrasto con il medesimo parametro costituzionale deriverebbe dalla circostanza per cui verrebbe determinata una differenziazione sul piano concreto del trattamento processuale in base al numero di rate che un soggetto sceglie di versare, numero fisiologicamente collegato alla disponibilità economica del medesimo (e ciò in quanto maggiore è la capacità economica di un soggetto, minore è il numero di rate mediante le quali riesce a versare il dovuto);

3) vi sarebbe, inoltre, la violazione dell’art. 24 Cost. perché sarebbe impedito all’imputato di avvalersi in giudizio di un’opzione difensiva da cui discenderebbe la non punibilità per il fatto contestato, dato che non è prevista la concedibilità di un termine coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione tale da consentire all’imputato di pagare l’intero ammontare del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e avvalersi, di tal guisa, della causa di non punibilità;

4) sussisterebbe, infine, un contrasto con la ratio sottesa alla previsione della causa di non punibilità, che la stessa relazione illustrativa alla riforma individua nella «scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’erario prima del processo penale»;

che, con atto depositato il 14 novembre 2017, si è costituito R. S., imputato nel giudizio a quo, riprendendo alcune argomentazioni già sviluppate nell’ordinanza di rimessione e chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata;

che, con atto depositato il 22 novembre 2017, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la manifesta infondatezza della questione, soprattutto sulla base della considerazione del carattere eccezionale della causa di non punibilità e della conseguente ragionevolezza della scelta di delimitarne la portata attraverso la previsione di un limite temporale, ricordando la recente sentenza n. 95 del 2015 di questa Corte, relativa all’art. 13, comma 2-bis, del d.lgs. n. 74 del 2000, e concludendo per la ragionevolezza del contemperamento degli interessi in gioco sottesa alla scelta del legislatore di ammettere la causa di non punibilità anche nei casi di rateizzazione del debito d’imposta, ma con un limite temporale alla sospensione del processo penale (tre mesi rinnovabili una sola volta), ragionevolezza tale da escludere qualsiasi contrasto sia con il principio di uguaglianza che con il diritto di difesa;

che il giudice rimettente astigiano espone quanto segue:

− a seguito di decreto di citazione, N.O. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere omesso, in qualità di legale rappresentante della società O.R.S. srl, di versare, nel termine previsto, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata per il periodo di imposta 2012, per un ammontare complessivo di euro 317.947,00;

− prima dell’apertura del dibattimento, la difesa dell’imputato riferiva di avere richiesto un piano di rientro destinato ad avere termine il 31 gennaio 2020;

− premesso in punto di rilevanza che la disposizione censurata impedirebbe all’imputato di avvalersi della causa di non punibilità rappresentata dal pagamento del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento (stante il termine massimo di sei mesi di proroga previsto dalla norma censurata), la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma censurata è fondata sulle seguenti argomentazioni:

1) la violazione dell’art. 3 Cost. discenderebbe innanzitutto dal fatto che si condiziona la concreta possibilità di accedere alla causa di non punibilità a variabili che non dipendono dall’imputato, quali ad esempio la tempestività con la quale è esercitata l’azione penale;

2) sarebbe ravvisabile un’irragionevole disparità di trattamento tra chi, ammesso al pagamento rateizzato del debito tributario, ha la possibilità di scegliere di rinunciare alla rateizzazione e di adempiere il residuo debito entro il termine di tre mesi fissato dal giudice (eventualmente prorogato di altri tre mesi), così andando esente dalla sanzione penale, e chi non ha tale facoltà perché il piano di rateizzazione è lo specchio di una ben specifica e non superabile situazione finanziaria;

3) tali considerazioni indurrebbero a configurare una violazione anche dell’art. 24 Cost., in quanto, senza ragione plausibile, verrebbe impedito all’imputato di avvalersi di un’opzione difensiva che gli consentirebbe di andare esente da responsabilità penale attraverso quella causa di esclusione della punibilità costituita dal pagamento dell’intero debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento;

che, con atto depositato il 19 dicembre 2017, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità e la manifesta infondatezza della questione, in considerazione – quanto al primo profilo – del fatto che il giudice rimettente partirebbe dall’erroneo presupposto che all’imputato non sia concesso di provvedere al tempestivo pagamento del debito verso l’erario e – quanto al secondo profilo – del carattere eccezionale della causa di non punibilità de qua e della conseguente ragionevolezza della scelta di delimitarne la portata attraverso la previsione di un limite temporale, idonea a rappresentare un ragionevole contemperamento degli interessi in gioco.

Considerato che il Tribunale ordinario di Treviso e il Tribunale ordinario di Asti, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), come sostituito dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui prevede che, qualora prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il giudice di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi e non consente, invece, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione;

che, in considerazione dell’identità della norma censurata e dei parametri evocati, i giudizi vanno riuniti, per essere definiti con un’unica pronuncia;

che sussistono plurimi profili ostativi allo scrutinio di merito di entrambe le questioni;

che, innanzitutto, nel censurare il citato comma 3, in quanto non consente di concedere un termine coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione, non viene perimetrata la portata dell’intervento richiesto a questa Corte, non chiarendosi per quali specifiche ipotesi andrebbe prevista la possibilità di accordare tale ulteriore proroga, la natura facoltativa od obbligatoria della stessa ed eventuali limiti alla sua durata temporale;

che tale omissione – come già stabilito da questa Corte con l’ordinanza n. 256 del 2017 che ha dichiarato inammissibile analoga questione avente ad oggetto la medesima disposizione – si risolve nella indeterminatezza ed ambiguità del petitum, il che, per consolidata giurisprudenza costituzionale, comporta l’inammissibilità della questione;

che, inoltre, come evidenziato nella richiamata pronuncia, «in considerazione della pluralità di soluzioni possibili, nessuna delle quali costituzionalmente obbligata, l’intervento sollecitato a questa Corte si caratterizza per un elevato tasso di manipolatività e comporta la scelta tra diverse opzioni che rispondono a differenti possibili modulazioni del bilanciamento degli interessi in gioco, la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore, salvo il limite della non irragionevolezza»;

che comporta l’inammissibilità della questione la «assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata in materia riservata alla discrezionalità legislativa (ex plurimis, sentenze n. 148 e n. 23 del 2016; ordinanze n. 171 del 2017 e n. 270 del 2015), quale è appunto la modulazione di una causa di non punibilità» (ordinanza n. 256 del 2017);

che le questioni sollevate, pertanto, sono manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), come sostituito dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Treviso e dal Tribunale ordinario di Asti, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 maggio 2019.