ANNO 2017
Commento alla decisione di
Maria Chiara Ubiali
per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), come sostituito dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), promosso dal Tribunale ordinario di Treviso nel procedimento a carico di D. D., con ordinanza del 23 febbraio 2016, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 2017 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.
Ritenuto che con ordinanza del 23 febbraio 2016, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 2016, il Tribunale ordinario di Treviso ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), come sostituito dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), «nella parte in cui prevede che, qualora prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il Giudice di “prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi” e non consente invece, almeno in determinati casi, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione»;
che il giudice rimettente espone quanto segue:
− a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, D. D. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere omesso di versare, nel termine previsto, ritenute operate e risultanti dalle certificazioni rilasciate dai sostituiti relative agli esercizi 2010 e 2011, per un ammontare complessivo di euro 633.901,38 (precisamente euro 229.177,38 per l’anno d’imposta 2010 ed euro 404.724 per l’anno d’imposta 2011);
− prima dell’apertura del dibattimento, la difesa dell’imputato riferiva che in data 5 febbraio 2013 la “R. & D. Group s.p.a.” aveva depositato ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo e, nell’ambito del relativo piano, aveva proposto anche una transazione fiscale ex art. 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), la quale prevedeva il pagamento integrale in linea capitale di quanto dovuto all’erario, anche per gli anni d’imposta 2010 e 2011, il pagamento delle sanzioni nella misura del 10 per cento e il conteggio degli interessi nella misura del 3,5 per cento, con pagamento in 12 rate trimestrali fino al 31 dicembre 2017; che il concordato preventivo, comprensivo della transazione fiscale, era stato omologato dal Tribunale ordinario di Treviso con provvedimento del 17 aprile 2014 e che, in adempimento della transazione fiscale, la “R. & D. Group s.p.a.” aveva regolarmente già pagato quattro rate;
– la difesa chiedeva pertanto che il Tribunale, in applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, rinviasse il processo ad una data successiva al 31 dicembre 2017, senza aprire il dibattimento e con sospensione del termine di prescrizione, così da consentire all’imputato di completare il pagamento rateale del debito tributario e conseguentemente avvalersi della causa di non punibilità introdotta dalla novella legislativa;
che il giudice a quo, in punto di rilevanza, asserisce che l’istanza della difesa di un rinvio del processo ad un’udienza successiva al 31 dicembre 2017 non potrebbe essere accolta in quanto la disposizione censurata prevede che può essere concesso solo un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il giudice di prorogarlo una sola volta per non oltre tre mesi, e ciò precluderebbe al giudice di concedere termini più lunghi o di prorogare più volte il termine per completare il pagamento rateale del debito tributario;
che il Tribunale argomenta sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma censurata con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto:
− la previsione del censurato comma 3 sarebbe irragionevole poiché nell’ambito delle procedure concorsuali può essere prevista una rateizzazione del debito tributario più ampia del termine semestrale, cosicché in tali ipotesi il contribuente sarebbe «sostanzialmente obbligato a rinunciare a quei termini dilatati di pagamento che la disciplina tributaria gli avrebbe altrimenti assicurato»;
− vi sarebbe anche un contrasto (limitatamente alle fattispecie di cui agli artt. l0-bis, l0-ter e l0-quater, comma l, del medesimo decreto legislativo) con la ratio della causa di non punibilità in esame, la quale, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, trova «la sua giustificazione politico criminale nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’erario prima del processo penale»;
− ulteriore violazione dell’art. 3 Cost. discenderebbe dalla previsione di un trattamento uguale per situazioni differenti, poiché la possibilità di accedere alla causa di non punibilità deriverebbe da variabili che non dipendono dall’imputato, quale, ad esempio, la tempistica dell’azione penale e la sollecitudine con cui essa è esercitata;
− vi sarebbe un’ulteriore irragionevole disparità di trattamento tra chi, ammesso al pagamento rateizzato del debito tributario, ha la possibilità di scegliere di rinunciare alla rateizzazione e di estinguere il debito residuo entro il termine fissato dal giudice (pari a tre mesi, con eventuale proroga di ulteriori tre) e chi non ha tale facoltà perché il piano di rateizzazione rientra nell’alveo di un concordato preventivo con conseguente necessità di rispettare quanto in esso previsto;
− vi sarebbe, infine, la violazione dell’art. 24 Cost. perché, senza ragione plausibile, si impedirebbe all’imputato di avvalersi di un’opzione difensiva che gli consentirebbe di andare esente da responsabilità penale, attraverso quella causa di esclusione di punibilità costituita dal pagamento dell’intero debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento;
che con atto dell’8 novembre 2016, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo che la questione sarebbe inammissibile e comunque infondata nel merito;
che l’inammissibilità deriverebbe dal fatto che il giudice rimettente parte da un presupposto erroneo, e cioè che l’omologazione del piano di concordato preventivo costituisca nella specie un ostacolo assoluto al pagamento del debito verso l’erario, omettendo di considerare che il soggetto in concordato preventivo non è l’imputato, bensì la società “R. & D. Group s.p.a.”, di cui quest’ultimo era legale rappresentante: l’impossibilità di provvedere al pagamento a causa dei vincoli derivanti dal concordato preventivo riguarderebbe, quindi, solo la società e non anche l’imputato;
che un secondo profilo di inammissibilità sarebbe dato dalla natura degli effetti che il giudice a quo vuole conseguire con la invocata pronuncia di incostituzionalità: nell’ordinanza di rimessione si lamenta il fatto che la disposizione censurata «non consente, invece, almeno in determinati casi, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione», con ciò auspicando un intervento additivo che non è a soluzione obbligata ed è pertanto precluso alla Corte costituzionale;
che la questione sarebbe infondata, in quanto, in primo luogo, l’impossibilità di optare per un pagamento anticipato rispetto al piano di rateizzazione sarebbe la conseguenza della scelta volontaria di accedere al concordato preventivo e, in secondo luogo, seguendo la tesi del giudice rimettente, si dovrebbe consentire un differimento del processo penale fino al completo esaurimento del piano di rateizzazione di cui all’art. 182-ter del r.d. n. 267 del 1942, provocando l’effetto paradossale di subordinare la celebrazione di un processo penale ai tempi di un accordo posto in essere al di fuori dello stesso, con inevitabile compromissione del principio di ragionevole durata del processo;
che, in conclusione, a parere della difesa statale, la scelta del legislatore di consentire comunque di avvalersi della causa di non punibilità anche nei casi di rateizzazione del debito d’imposta, imponendo però un limite temporale alla sospensione del processo penale (tre mesi rinnovabili una sola volta), apparirebbe un ragionevole contemperamento degli interessi in gioco e un legittimo esercizio della sua discrezionalità, tale da escludere un qualsiasi contrasto sia con il principio di uguaglianza che con il diritto di difesa.
Considerato che, con ordinanza del 23 febbraio 2016, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 2016, il Tribunale ordinario di Treviso ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), come sostituito dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, «nella parte in cui prevede che, qualora prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il giudice di “prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi” e non consente invece, almeno in determinati casi, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione»;
che sussistono plurimi profili ostativi allo scrutinio di merito della questione proposta;
che, innanzitutto, il giudice rimettente censura il citato comma 3 in quanto non consente «almeno in determinati casi, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione», senza delimitare adeguatamente la portata dell’intervento richiesto a questa Corte, non chiarendo per quali specifiche ipotesi andrebbe prevista la possibilità di accordare tale ulteriore proroga, la natura facoltativa od obbligatoria della stessa e la sua durata temporale;
che tale omissione si risolve nella indeterminatezza ed ambiguità del petitum, il che, per consolidata giurisprudenza costituzionale, comporta l’inammissibilità della questione (ex pluribus, sentenza n. 32 del 2016; ordinanze n. 227 e n. 177 del 2016; n. 269 del 2015);
che, peraltro, in considerazione della pluralità di soluzioni possibili, nessuna delle quali costituzionalmente obbligata, l’intervento sollecitato a questa Corte si caratterizza per un elevato tasso di manipolatività e comporta la scelta tra diverse opzioni che rispondono a differenti possibili modulazioni del bilanciamento degli interessi in gioco, la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore, salvo il limite della non irragionevolezza;
che, la questione sollevata è, quindi, da reputarsi inammissibile anche per assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata in materia riservata alla discrezionalità legislativa (ex plurimis, sentenze n. 148 e n. 23 del 2016; ordinanze n. 171 del 2017 e n. 270 del 2015), quale è appunto la modulazione di una causa di non punibilità.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), come sostituito dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Treviso, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 novembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2017.