SENTENZA N. 67
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 22, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), promosso dal Tribunale ordinario di Palermo nel procedimento vertente tra A. T. e la Cassa nazionale di previdenza e assistenza degli avvocati ed i procuratori (d’ora in poi: Cassa), con ordinanza del 12 novembre 2014, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti gli atti di costituzione di A. T. e della Cassa forense, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 febbraio 2018 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;
uditi gli avvocati Massimiliano Marinelli per A. T., Massimo Luciani per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 12 novembre 2014 il Tribunale ordinario di Palermo, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 22, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense).
Il rimettente premette di essere investito del ricorso proposto dall’avvocato A. T. nei confronti della Cassa forense per la declaratoria di illegittimità del provvedimento del 14 gennaio 2014 del Consiglio di amministrazione della Cassa forense, nonché dell’atto presupposto costituito dalla determinazione del 28 settembre 2012 della Giunta esecutiva, con cui la Cassa gli aveva richiesto il pagamento di complessivi euro 79.961,07 a titolo di contributi, interessi, sanzioni e penali, in ragione della tardiva iscrizione alla Cassa stessa.
In punto di fatto, il tribunale riferisce che, con ricorso depositato in data 16 giugno 2014, l’avvocato A. T. esponeva di essere stato dipendente dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) dal 1° ottobre 1965 al 31 dicembre 2006 e, pertanto, iscritto all’assicurazione generale obbligatoria gestita dal predetto istituto; di percepire la pensione di vecchiaia erogata dall’INPS dal 1° gennaio 2007; di essere transitato in data 11 gennaio 2007, al sessantasettesimo anno di età, dall’elenco speciale degli avvocati dipendenti di enti pubblici all’albo ordinario, iniziando l’attività libero-professionale; di avere comunicato annualmente alla Cassa forense il proprio reddito professionale e il volume di affari, versando il solo contributo fisso, ma di avere richiesto l’iscrizione alla Cassa solo in data 23 settembre 2011; di avere ricevuto dalla Cassa, in data 25 ottobre 2012, comunicazione della sua iscrizione a decorrere dall’11 gennaio 2007, con l’applicazione delle penali, sanzioni ed interessi.
Tanto premesso – riferisce il tribunale rimettente – il ricorrente chiedeva che venisse dichiarata l’illegittimità del provvedimento del 14 gennaio 2014 e dell’atto presupposto, con il quale la Cassa gli aveva richiesto il pagamento di complessivi euro 79.961,07 a titolo di contributi, interessi, sanzioni e penali; chiedeva, altresì, che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 22, secondo comma, della legge n. 576 del 1980, per violazione degli artt. 3, 38 e 53 Cost.
La Cassa forense si costituiva nel giudizio a quo chiedendo il rigetto delle domande.
2.‒ Ad avviso del rimettente, la rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale si ricaverebbe dalle conseguenze economiche risentite dal ricorrente per effetto del provvedimento di iscrizione d’ufficio, con decorrenza dal 2007, ad opera della Cassa forense; provvedimento la cui legittimità costituisce oggetto del giudizio promosso dall’avvocato A.T.
In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 Cost., della legittimità costituzionale degli artt. 10 e 22, secondo comma, della legge n. 576 del 1980.
In primo luogo, il tribunale rimettente ritiene che l’art. 10 della richiamata legge contrasti con l’art. 3 Cost. e con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità.
In particolare, il passaggio dall’assicurazione generale obbligatoria gestita dall’INPS al sistema di previdenza della Cassa forense ha comportato la sottoposizione dell’avvocato A. T. agli obblighi contributivi conseguenti, tra cui il pagamento del contributo percentuale sul reddito annuale, secondo le stesse regole che si applicano «nel caso in cui ad iscriversi sia un giovane avvocato, o, comunque, un soggetto di età largamente inferiore a quella del ricorrente».
Da qui la ritenuta disparità di trattamento, stante l’applicazione delle stesse regole a situazioni tra loro profondamente diverse.
Infatti – osserva il tribunale – il ricorrente, a fronte del versamento dei contributi richiesti, non percepirà, in base alla legge n. 576 del 1980, la pensione di vecchiaia né quella di anzianità, occorrendo a tal fine l’esercizio ininterrotto e continuativo della professione per almeno trenta (o trentacinque) anni, come richiesto rispettivamente dagli artt. 2 e 3; né la pensione di inabilità, occorrendo l’iscrizione alla Cassa in data anteriore al compimento del quarantesimo anno di età, ai sensi dell’art. 4; né la pensione di invalidità, per difetto dei requisiti previsti dall’art. 5; né potrà fare maturare la pensione ai superstiti, per difetto dei presupposti di cui all’art. 7.
Il rimettente sottolinea che il sistema previdenziale forense, sebbene ispirato al principio della solidarietà tra i diversi assicurati, per cui tra contributi versati e prestazioni erogate non sussiste un vincolo di corrispettività, non può prevedere, senza violare gli evocati parametri costituzionali, che un assicurato partecipi al suo finanziamento in misura del tutto sproporzionata rispetto a quanto gli sarà possibile percepire come prestazioni erogate dalla Cassa.
Il tribunale ravvisa la violazione dell’art. 3 Cost. e dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, anche nella regolamentazione in modo diverso di situazioni analoghe.
Infatti, mentre il pensionato della Cassa che resta iscritto all’albo è tenuto a corrispondere, per il periodo in cui non riceve alcun trattamento previdenziale – ovvero oltre il limite del quinquennio dalla maturazione del diritto a pensione – la contribuzione solidaristica nella misura ridotta del 3 per cento del reddito annuale, l’avvocato pensionato nella gestione INPS, iscritto alla Cassa forense, si trova a «contribuire al finanziamento di un trattamento previdenziale che non potrà verosimilmente percepire», non essendo nelle condizioni, «in considerazione della sua età, di raggiungere i requisiti previsti dall’art. 2 della legge n. 576 del 1980 per il conseguimento della pensione di vecchiaia retributiva». Egli infatti è tenuto alla contribuzione in misura percentuale del reddito annuale, senza potere usufruire, in mancanza dei requisiti di legge, né della pensione di vecchiaia né di quella di invalidità, bensì solo della cosiddetta “pensione contributiva”, calcolata applicando al montante contributivo il coefficiente di trasformazione legalmente previsto.
In particolare, nel caso di specie, a fronte di un esborso complessivo pari a euro 79.961,07, il ricorrente potrebbe percepire un trattamento previdenziale pari solo ad euro 3.500,00 lordi annui.
Il rimettente ritiene che l’art. 10 della legge n. 576 del 1980 violi anche l’art. 38 Cost., in quanto l’avvocato pensionato nella gestione INPS, iscritto alla Cassa forense, verrebbe a finanziare una prestazione della quale egli non potrà godere, potendo invece accedere alla cosiddetta “pensione contributiva”, prevista dalla normativa regolamentare della Cassa, di importo notevolmente inferiore rispetto ai contributi versati.
L’art. 10 della richiamata legge contrasterebbe – ad avviso del tribunale – altresì, con l’art. 53 Cost., in quanto l’avvocato pensionato nella gestione INPS, iscritto alla Cassa forense «è tenuto a finanziare la spesa previdenziale in misura sproporzionata e maggiore rispetto a quella sostenuta dagli altri suoi colleghi che percepiscono le prestazioni pensionistiche dalla Cassa forense».
3.‒ Il tribunale dubita poi della legittimità costituzionale anche dell’art. 22, secondo comma, della legge n. 576 del 1980 per violazione degli artt. 3 Cost. e dei principi di ragionevolezza e proporzionalità nonché degli artt. 38 e 53 Cost.
Dopo avere riportato il contenuto dell’art. 22 della richiamata legge, il rimettente evidenzia i tre diversi tipi di sanzione previsti dal sistema previdenziale forense per l’ipotesi del mancato invio ovvero della redazione infedele della comunicazione reddituale annuale, del mancato o ritardato pagamento dei contributi, e della mancata richiesta di iscrizione alla Cassa forense (rispettivamente artt. 17; 18 e 22, secondo comma, della richiamata legge).
Il tribunale sottolinea come l’applicazione nel caso di specie delle sanzioni ex art. 22, secondo comma, non tiene conto del fatto che l’avvocato A. T. ha tempestivamente comunicato i redditi alla Cassa.
Ad avviso del rimettente, l’avvocato pensionato nella gestione INPS, che non abbia nascosto il proprio reddito ed abbia effettuato le ordinarie comunicazioni reddituali alla Cassa forense, senza però richiedere l’iscrizione in modo tempestivo, viene ingiustificatamente sanzionato in modo più grave di colui il quale, dopo avere richiesto l’iscrizione, non invii annualmente la comunicazione reddituale o la effettui in modo infedele (art. 17 della legge n. 576 del 1980) ovvero ritardi o non effettui il pagamento dei contributi (art. 18 della legge n. 576 del 1980).
Da qui la ritenuta non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, secondo comma, della legge n. 576 del 1980 in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 Cost.
4.– Con atto depositato in data 23 aprile 2015 si è costituito in giudizio l’avvocato A. T. chiedendo – nel riportarsi sostanzialmente alle medesime argomentazioni di cui all’ordinanza di rimessione – l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale.
In data 15 novembre 2016 e in data 13 marzo 2017, lo stesso avvocato ha depositato memorie illustrative nelle quali ha insistito per l’accoglimento delle questioni.
5.− Con atto depositato in data 28 aprile 2015 si è costituita in giudizio la Cassa forense chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.
Preliminarmente la Cassa forense eccepisce l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione sulla rilevanza e per indeterminatezza del petitum, non avendo il rimettente specificato quali siano le «rime obbligate» che consentirebbero un intervento manipolativo, sia con riguardo alla contribuzione di solidarietà che al sistema sanzionatorio.
Nel merito, la Cassa deduce la infondatezza di entrambe le questioni.
Quanto alla censura dell’art. 10 della legge n. 576 del 1980, in riferimento all’art. 3 Cost., la Cassa richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale in merito alla sostanziale incomparabilità dei sistemi previdenziali.
La Cassa ritiene priva di fondamento anche la censura dell’art. 10, in riferimento all’art. 38 Cost., in quanto, essendo l’avvocato A. T. andato in pensione con il massimo di anzianità contributiva, lo stesso godrebbe senz’altro dei «mezzi necessari per vivere», adeguati alle esigenze di vita in caso di vecchiaia.
Quanto alla asserita violazione dell’art. 53 Cost., la Cassa deduce il carattere inconferente del parametro richiamato, non avendo la contribuzione previdenziale natura di imposizione tributaria, ma di prestazione patrimoniale diretta a concorrere agli oneri finanziari del regime previdenziale.
Ad avviso della Cassa, le censure mosse dal rimettente sarebbero incompatibili con il principio di solidarietà cui è ispirato il sistema previdenziale forense. In esso non c’è una necessaria corrispettività tra contributi e prestazioni erogate, essendo il versamento dei contributi correlato alla «capacità contributiva» di ciascun esercente con continuità la professione e l’attribuzione dei benefici previdenziali allo «stato di bisogno» di ognuno di essi.
Peraltro, non corrisponderebbe al vero che la contribuzione versata dall’avvocato A. T. sia del tutto inutile ai fini pensionistici, in quanto, come ricorda lo stesso rimettente, agli iscritti alla Cassa che non maturano l’anzianità contributiva per godere della pensione di vecchiaia, spetta, dopo cinque anni di iscrizione, un trattamento su base contributiva.
Inoltre, riguardo all’affermata sproporzione tra quanto richiesto dalla Cassa e il trattamento previdenziale fruibile dall’avvocato A. T., le indicazioni del rimettente sarebbero falsate, essendo stati inclusi nel debito complessivo indicato non solo i contributi dovuti dall’iscritto ma anche le sanzioni.
Quanto alla sospettata illegittimità dell’art. 22, secondo comma, della legge n. 576 del 1980, la Cassa deduce l’inammissibilità o, comunque l’infondatezza della questione, data la inidoneità delle diverse richiamate discipline a fungere da tertia comparationis. Al riguardo, sottolinea, peraltro, l’ampia discrezionalità del legislatore nella definizione dei presupposti e del quantum delle sanzioni penali, principio che varrebbe anche per le sanzioni civili, quali quelle in esame.
In data 15 novembre 2016, 21 marzo 2017 e 30 gennaio 2018, la Cassa forense ha depositato memorie illustrative nelle quali ha insistito per la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza delle questioni.
6.– Con atto depositato in data 28 aprile 2015, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o, in via gradata, manifestamente infondate.
In primo luogo, la difesa dell’interveniente eccepisce l’inammissibilità per incompleta e, dunque, erronea individuazione della normativa denunciata, avendo il rimettente trascurato altre norme della stessa legge n. 576 del 1980 rilevanti nel giudizio a quo. Deduce, inoltre, la incompleta descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, con conseguente inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza.
A sostegno della non fondatezza delle questioni, l’Avvocatura generale richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha ricondotto il sistema previdenziale forense al tipo solidaristico, caratterizzato dalla irrilevanza della proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali, essendo considerati i primi unicamente quale mezzo finanziario della previdenza sociale.
Se, dunque, gli obblighi previdenziali non sono legati all’esigenza della divisione del rischio né tantomeno sono inseriti in una relazione di corrispettività con i benefici previdenziali del sistema, ma costituiscono doveri di solidarietà nell’ambito della categoria professionale, risulta ragionevole – ad avviso dell’Avvocatura – che essi gravino in modo generalizzato e incondizionato su tutti i membri della categoria, compresi coloro i quali, per particolari situazioni soggettive, non possono conseguire con certezza o, per intero, i benefici previdenziali del sistema considerato.
In data 15 novembre 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa nella quale ha insistito per la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza delle questioni.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Palermo, con ordinanza del 12 novembre 2014, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), in riferimento all’art. 3 della Costituzione, sotto i profili del principio di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, in quanto l’avvocato iscritto alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza degli avvocati ed i procuratori (d’ora in poi: Cassa), che sia anche titolare di pensione di vecchiaia nell’assicurazione generale obbligatoria della gestione Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), è tenuto al versamento di un contributo percentuale sul reddito annuale «secondo le stesse regole che si applicano nel caso in cui ad iscriversi sia un giovane avvocato […]», con disparità di trattamento, stante l’applicazione della stessa disciplina a situazioni tra loro profondamente diverse. Infatti, l’avvocato già pensionato in altra gestione, iscritto alla Cassa in età avanzata, ben difficilmente maturerà, a fronte del versamento dei contributi richiesti dalla Cassa, i presupposti per percepire la pensione di vecchiaia o quella di anzianità e comunque non potrà conseguire il trattamento pensionistico di inabilità, né quello di invalidità, né tantomeno far maturare pensioni ai superstiti. Non è possibile – secondo il rimettente − che, pur essendo il sistema previdenziale forense ispirato al principio solidaristico per cui tra contributi e prestazioni erogate dalla Cassa non sussiste un vincolo di corrispettività, l’assicurato partecipi al suo finanziamento in misura del tutto sproporzionata rispetto a quanto effettivamente gli sarà possibile percepire come trattamento pensionistico.
Inoltre – prosegue il rimettente − mentre l’avvocato pensionato nella gestione INPS, iscritto alla Cassa, è tenuto a contribuire al finanziamento di un trattamento previdenziale che non potrà verosimilmente percepire, non essendo nelle condizioni, in ragione della sua età, di raggiungere i requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia, invece, l’avvocato pensionato della Cassa che rimane iscritto all’albo è tenuto a corrispondere la sola contribuzione solidaristica nella misura ridotta del 3 per cento del reddito annuale e matura, nel tempo, il diritto a due supplementi di pensione. Vi sarebbe quindi una regolamentazione diversa di situazioni analoghe con violazione del principio di eguaglianza.
Secondo il tribunale rimettente sarebbero altresì violati sia l’art. 38 Cost., in quanto l’avvocato pensionato nella gestione INPS, iscritto alla Cassa, verrebbe a finanziare una prestazione della quale egli non potrà godere, potendo solo accedere ad un trattamento previdenziale (cosiddetta “pensione contributiva”) notevolmente inferiore ai contributi effettivamente versati; sia l’art. 53 Cost., per essere egli «tenuto a finanziare la spesa previdenziale in misura sproporzionata e maggiore rispetto a quella sostenuta dagli altri suoi colleghi che percepiscono le prestazioni pensionistiche dalla Cassa».
Lo stesso tribunale ha sollevato altresì questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 22, secondo comma, della medesima legge n. 576 del 1980, in riferimento agli stessi parametri, in quanto l’avvocato pensionato nella gestione INPS, che non abbia nascosto il proprio reddito ed abbia effettuato le ordinarie comunicazioni reddituali alla Cassa, senza però richiedere ad essa l’iscrizione, viene sanzionato in modo più grave di colui il quale, dopo avere richiesto l’iscrizione, non invii annualmente la comunicazione reddituale o la effettui in modo infedele (art. 17 della legge n. 576 del 1980) ovvero ritardi o non effettui il pagamento dei contributi (art. 18 della medesima legge). La norma censurata contiene – secondo il rimettente − una sanzione del tutto sproporzionata rispetto all’effettiva lesività del comportamento concretamente tenuto dall’avvocato.
2.– Vanno innanzi tutto respinte le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Cassa e dall’Avvocatura generale dello Stato.
2.1.– La fattispecie, oggetto del giudizio a quo, è stata puntualmente descritta dal giudice rimettente in termini sufficientemente dettagliati.
Risulta infatti dall’ordinanza di rimessione che l’avvocato A. T., già dipendente dell’INPS ed iscritto all’albo speciale degli avvocati dipendenti di enti pubblici, dopo la cessazione del rapporto di impiego (il 31 dicembre 2006) ed il contestuale conseguimento della pensione di vecchiaia nella gestione dell’assicurazione generale obbligatoria dell’INPS, ha chiesto ed ottenuto l’iscrizione nell’albo ordinario (con decorrenza dall’11 gennaio 2007) iniziando ad esercitare l’attività di avvocato all’età di sessantasette anni. Pur comunicando il suo reddito professionale alla Cassa e provvedendo altresì a corrispondere il contributo minimo, ha domandato l’iscrizione alla Cassa solo in data 23 settembre 2011 e quindi oltre il termine di legge previsto dall’art. 22, secondo comma, della legge n. 576 del 1980 (ossia entro l’anno solare successivo a quello nel quale l’interessato ha raggiunto il minimo di reddito o il minimo di volume di affari, di natura professionale, fissati dal comitato dei delegati della Cassa per l’accertamento dell’esercizio continuativo della professione). La Cassa ha provveduto quindi all’iscrizione dell’avvocato A. T. al sistema di previdenza forense, retrodatata con la stessa decorrenza dell’iscrizione all’albo (11 gennaio 2007), domandandogli il pagamento dei contributi arretrati con interessi e sanzioni, nonché irrogandogli la penalità prevista per l’ipotesi di mancato tempestivo inoltro della domanda di iscrizione.
Nel giudizio pendente davanti al Tribunale di Palermo si controverte sia della debenza dei contributi previdenziali nella misura quantificata dalla Cassa, sia della legittimità della penalità per la tardiva iscrizione.
Il tribunale rimettente quindi, da una parte, deve fare applicazione dell’art. 10 della legge n. 576 del 1980 per accertare la fondatezza, o no, della pretesa della Cassa al pagamento dei contributi nella misura ordinaria a fronte delle deduzioni dell’avvocato A.T. ricorrente che, in ragione della sua particolare situazione di pensionato di vecchiaia nella gestione INPS, sostiene di non essere tenuto al pagamento della contribuzione nella misura ordinaria e di essere, semmai, a ciò obbligato nella inferiore misura dell’avvocato pensionato di vecchiaia nella stessa gestione previdenziale della Cassa.
D’altra parte, per accertare la legittimità, o no, della penalità per tardiva iscrizione alla Cassa, il rimettente deve fare applicazione altresì dell’art. 22, secondo comma, della medesima legge, stante la contestazione dell’avvocato ricorrente che deduce la sproporzione per eccesso della misura della sanzione fissata da tale disposizione, rispetto alle sanzioni di altre condotte inadempienti, poste in comparazione.
Tale necessaria applicazione nel giudizio a quo delle due disposizioni, oggetto del dubbio di legittimità costituzionale, vale a confermare l’ammissibilità, sotto tale profilo, delle questioni stesse.
2.2.− Né sussiste inammissibilità per petitum generico o indeterminato.
Benché il giudice a quo non indichi il contenuto della pronuncia che la Corte dovrebbe adottare qualora ritenesse fondate le questioni di legittimità costituzionale, tuttavia, dal tenore complessivo della motivazione, emerge con sufficiente chiarezza il verso delle sollevate questioni. Solo l’indeterminatezza ed ambiguità del petitum comportano − per consolidata giurisprudenza costituzionale (ex pluribus, sentenza n. 32 del 2016; ordinanze n. 227 e n. 177 del 2016 e n. 269 del 2015) − l’inammissibilità della questione. Qualora poi il petitum sia di carattere additivo, è inammissibile la questione solo se l’ordinanza di rimessione ometta di indicare in maniera sufficientemente circostanziata il verso della addizione che sarebbe necessaria per la reductio ad legitimitatem.
Nella specie risulta che il rimettente da una parte mira a ridimensionare l’obbligo contributivo dell’avvocato pensionato di vecchiaia nella gestione INPS in misura almeno pari al più favorevole trattamento riservato all’avvocato pensionato di vecchiaia nella gestione previdenziale della Cassa. D’altra parte chiede che la Corte riconduca a ragionevolezza la sanzione prevista, in caso di mancata o ritardata domanda di iscrizione, a carico dell’avvocato che abbia comunque comunicato alla Cassa il suo reddito professionale.
Tanto è sufficiente al fine dell’ammissibilità sotto tale profilo delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
2.3.− Neppure sussiste inammissibilità per incompleta ricostruzione del quadro normativo.
Il tribunale rimettente ha indicato puntualmente le citate disposizioni della legge n. 576 del 1980 di cui è chiamato a fare applicazione ed inoltre ha fatto espresso riferimento alle fonti regolamentari della Cassa, tenendo conto della disciplina ivi contenuta là dove ha argomentato in ordine all’esiguità della pensione contributiva rispetto all’entità dei contributi versati.
3.− Nel merito le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge n. 576 del 1980, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., non sono fondate.
3.1.− Il sistema della previdenza forense − quale disciplinato fondamentalmente dalla legge n. 576 del 1980, più volte modificata, e dalla successiva normativa sulla privatizzazione della Cassa, integrata dalla regolamentazione di quest’ultima − è ispirato ad un criterio solidaristico e non già esclusivamente mutualistico, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 362 del 1997, n. 1008 del 1988, n. 171 del 1987, n. 169 del 1986, n. 133 e n. 132 del 1984).
Gli avvocati assicurati, che svolgono un’attività libero-professionale riconducibile anch’essa all’area della tutela previdenziale del lavoro, garantita in generale dal secondo comma dell’art. 38 Cost., non solo beneficiano – assumendone il relativo onere con l’assoggettamento al contributo soggettivo ed integrativo (ex artt. 10 e 11 della legge n. 576 del 1980) − della copertura da vari rischi di possibile interruzione o riduzione della loro attività con conseguente contrazione o cessazione del flusso di reddito professionale, ma anche condividono solidaristicamente la necessità che, verificandosi tali eventi, «siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita», come prescritto dal richiamato parametro costituzionale. Ciò rappresenta, non diversamente da parallele forme di previdenza per altre categorie di liberi professionisti, la connotazione essenziale della previdenza forense, quale soprattutto risultante dalla riforma introdotta con la citata legge n. 576 del 1980, e segna il superamento dell’originario e risalente criterio, derivato dalle assicurazioni private, di accantonamento dei contributi in conti individuali per fare fronte, in chiave meramente assicurativa e non già solidaristica, a tali rischi.
Le plurime prestazioni previdenziali previste dalla legge n. 576 del 1980, quali la pensione di vecchiaia (art. 2), quella di anzianità (art. 3), quella di inabilità (art. 4) o di invalidità (art. 5), quella di reversibilità (art. 7), rappresentano le distinte articolazioni di tale solidarietà mutualistica categoriale prescritta dal legislatore con carattere di obbligatorietà in attuazione del precetto costituzionale posto dall’art. 38, secondo comma, Cost. e da ultimo rafforzata dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), nella misura in cui dall’iscrizione agli albi consegue automaticamente la contestuale iscrizione alla Cassa (art. 21, comma 8).
L’abbandono di un sistema interamente disciplinato dalla legge – dopo la trasformazione della Cassa in fondazione di diritto privato, al pari di altre casse categoriali di liberi professionisti, in forza del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) – e l’apertura all’autonomia regolamentare del nuovo ente non hanno indebolito il criterio solidaristico di base, che rimane quale fondamento essenziale di questo sistema integrato, di fonte ad un tempo legale (quella della normativa primaria di categoria) e regolamentare (quella della Cassa, di natura privatistica). Con il citato d.lgs. n. 509 del 1994, il legislatore delegato, in attuazione di un complessivo disegno di riordino della previdenza dei liberi professionisti (art. 1, comma 23, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante «Interventi correttivi di finanza pubblica»), ha arretrato la linea d’intervento della legge (si è parlato in proposito di delegificazione della disciplina: da ultimo, Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 13 febbraio 2018, n. 3461), lasciando spazio alla regolamentazione privata delle fondazioni categoriali, alle quali è assegnata la missione di modellare tale forma di previdenza secondo il criterio solidaristico. Rientra ora nell’autonomia regolamentare della Cassa dimensionare la contribuzione degli assicurati nel modo più adeguato per raggiungere la finalità di solidarietà mutualistica che la legge le assegna, assicurando comunque l’equilibrio di bilancio (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 509 del 1994) e senza necessità di finanziamenti pubblici diretti o indiretti (art. 1, comma 3, del medesimo decreto legislativo.), che sono anzi esclusi (sentenza n. 7 del 2017).
È tale connotazione solidaristica che giustifica e legittima l’obbligatorietà – e più recentemente l’automaticità ex lege – dell’iscrizione alla Cassa e la sottoposizione dell’avvocato al suo regime previdenziale e segnatamente agli obblighi contributivi.
Il criterio solidaristico significa anche che non c’è una diretta corrispondenza, in termini di corrispettività sinallagmatica, tra la contribuzione, alla quale è chiamato l’avvocato iscritto, e le prestazioni previdenziali (ed anche assistenziali) della Cassa.
Si ha quindi che l’assicurato, che obbligatoriamente, e da ultimo automaticamente, accede al sistema previdenziale della Cassa (ora fondazione con personalità giuridica di diritto privato), partecipa, nel complesso ed in generale, al sistema delle prestazioni di quest’ultima, il cui intervento, al verificarsi di eventi coperti dall’assicurazione di natura previdenziale, si pone in rapporto causale con l’obbligo contributivo senza che sia necessario alcun più stretto ed individualizzato nesso di corrispettività sinallagmatica tra contribuzione e prestazioni. È questo criterio solidaristico che assicura la corrispondenza al paradigma della tutela previdenziale garantita dall’art. 38, secondo comma, Cost.
3.2.– Posto tale criterio solidaristico, cui si ispira il sistema della Cassa, il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e quello di adeguatezza dei trattamenti previdenziali (art. 38, secondo comma, Cost.) non risultano in sofferenza allorché l’accesso alle prestazioni della Cassa sia in concreto, per il singolo assicurato, altamente improbabile in ragione di circostanze di fatto legate al caso di specie, quale l’iscrizione alla previdenza forense in avanzata età anagrafica, sì che l’aspettativa di vita media lasci prevedere che difficilmente sarà possibile, all’assicurato, conseguire, ad esempio, la pensione di vecchiaia. Il ridotto grado di probabilità per il professionista più anziano di conseguire benefici pensionistici, che presuppongono l’esercizio protratto dell’attività, attiene a circostanze fattuali ricollegabili al momento della vita in cui il soggetto sceglie di intraprendere la professione.
Per altro verso, l’avvocato pensionato nella gestione INPS, iscritto alla Cassa, che di fatto non possa accedere alla pensione di anzianità o di vecchiaia, può in ogni caso maturare, dopo cinque anni di contribuzione, la pensione contributiva di vecchiaia, secondo quanto previsto dal Regolamento generale della Cassa. Come riferisce il giudice rimettente e come è pacifico tra le parti, la normativa regolamentare della Cassa (art. 8 del Regolamento per le prestazioni previdenziali) prevede la pensione contributiva secondo i criteri della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) in rapporto al montante dei contributi soggettivi versati entro un determinato tetto reddituale, nonché delle somme corrisposte a titolo di riscatto o di ricongiunzione.
Tale prestazione vale comunque ad escludere che la contribuzione versata senza la possibilità concreta di conseguire alcun trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità rimanga erogata “a vuoto”: c’è comunque, anche in caso di iscrizione alla Cassa in età avanzata, la possibilità concreta di conseguire una prestazione previdenziale di entità calcolata con il sistema contributivo.
In conclusione, l’art. 10 della legge n. 576 del 1980, prevedendo l’ordinario obbligo contributivo per l’avvocato assicurato, anche se iscritto alla Cassa in età avanzata, come il ricorrente nel giudizio a quo, sì da rendere altamente improbabile il raggiungimento dei presupposti per conseguire la pensione di vecchiaia o di anzianità, è immune dalle censure mosse, in generale, dal giudice rimettente in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost.
3.3.– Alla stessa conclusione di non fondatezza della questione occorre pervenire se si prende in considerazione l’altra circostanza dedotta dal giudice rimettente a fondamento di un ulteriore profilo di censura: la percezione di un trattamento pensionistico di vecchiaia erogato da gestione previdenziale diversa da quella della Cassa; situazione questa posta in comparazione con quella degli avvocati, pensionati di vecchiaia nella gestione previdenziale della stessa Cassa, i quali proseguano l’attività professionale.
Per questi ultimi la legge n. 576 del 1980 contempla, in via derogatoria ed eccezionale, un regime contributivo di favore. Infatti l’art. 10, terzo comma, prevede che il contributo soggettivo è sì dovuto anche dagli avvocati pensionati che restano iscritti all’albo; ma l’obbligo del contributo minimo è escluso dall’anno solare successivo alla maturazione del diritto a pensione ed il contributo è dovuto in misura pari al 3 per cento del reddito dell’anno solare successivo al compimento di cinque anni dalla maturazione del diritto a pensione.
Questa fattispecie non può però essere evocata, quale tertium comparationis, per raffrontarla a quella dell’avvocato che sia titolare di un trattamento pensionistico di vecchiaia in altra gestione previdenziale, quale l’assicurazione generale obbligatoria nella gestione INPS, difettando il requisito dell’omogeneità. Lo speciale regime di favore, previsto per gli avvocati pensionati della Cassa, ha carattere eccezionale e derogatorio e si giustifica in ragione del fatto che si tratta di assicurati che hanno già ampiamente alimentato tale sistema previdenziale pagando per anni i dovuti contributi (soggettivo ed integrativo) fino a maturare il requisito contributivo sufficiente, in concorso con il requisito anagrafico, per conseguire la pensione di vecchiaia. Inoltre tale regime di favore costituisce un complemento dello stesso trattamento previdenziale in godimento.
Invece, l’avvocato, che in precedenza non sia stato iscritto alla Cassa, non vi ha contribuito e, coerentemente, vi accede secondo il regime ordinario, non rilevando la circostanza che prima abbia contribuito ad altra gestione previdenziale fino a maturare il diritto alla pensione di vecchiaia.
Le due fattispecie poste in comparazione dal rimettente – quella dell’avvocato pensionato nel sistema dell’assicurazione generale obbligatoria gestito dall’INPS, che si iscrive all’albo ordinario dopo il pensionamento, e quella dell’avvocato pensionato di vecchiaia nel sistema di previdenza forense della Cassa, che rimane iscritto all’albo anche dopo la maturazione del diritto a tale trattamento pensionistico – non sono omogenee, sicché non ingiustificata è la disciplina differenziata che limita il più favorevole regime contributivo in misura ridotta ai soli avvocati pensionati della stessa Cassa.
4.– La questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 10 della legge n. 576 del 1980, in riferimento all’art. 53 Cost., è invece inammissibile.
Il rimettente non dubita in realtà della natura pacificamente previdenziale del contributo in questione, né potrebbe farlo per la intrinseca contraddizione che non lo consentirebbe. Infatti il giudice a quo muove dal non contestato presupposto della sua giurisdizione come giudice ordinario, laddove l’eventuale prospettazione della natura tributaria del contributo, al contrario, la escluderebbe comportando, di conseguenza, la giurisdizione del giudice tributario, che il rimettente stesso non ipotizza affatto. Non vi è dubbio infatti che «quella contributiva previdenziale non è una imposizione tributaria vera e propria, di carattere generale, ma una prestazione patrimoniale diretta a contribuire esclusivamente agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori» (sentenza n. 173 del 1986; nello stesso senso sentenza n. 88 del 1995).
In realtà il rimettente evoca l’art. 53 Cost. sotto un profilo diverso perché assume, in sostanza, che il contributo complessivamente richiesto all’avvocato A. T. sia marcatamente eccedente rispetto al possibile beneficio previdenziale che a lui ne deriverebbe, sicché esso ridonderebbe, di fatto, in una vera e propria imposizione tributaria, inammissibile perché la Cassa non ha alcuna potestà fiscale. L’avvocato A. T. sarebbe tenuto a finanziare la spesa previdenziale in misura sproporzionata e maggiore rispetto a quella sostenuta dagli altri suoi colleghi che potranno percepire – o anche che già percepiscono − le prestazioni pensionistiche da parte della Cassa.
In questa prospettiva la censura è inammissibile.
Si è già ricordato che l’obbligazione contributiva dell’assicurato iscritto alla Cassa trova fondamento nella prescritta tutela previdenziale del lavoro in generale (art. 38, secondo comma, Cost.) e si giustifica nella misura in cui è diretta a realizzare tale finalità, la quale segna anche il limite della missione assegnata alla Cassa. Diversa è l’obbligazione tributaria che si fonda sulla «capacità contributiva» (art. 53, primo comma, Cost.) e che non ha necessariamente una destinazione mirata, bensì si raccorda al generale dovere di concorrere alle «spese pubbliche» e può anche rispondere a finalità di perequazione reddituale nella misura in cui opera il prescritto canone di progressività del sistema tributario (art. 53, secondo comma, Cost.).
Stante questa differenziazione, la contribuzione dovuta alla Cassa, fin quando assicura l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici alle esigenze di vita, anche con un indiretto effetto di perequazione, non eccede la solidarietà categoriale di natura previdenziale, in quanto «volta a realizzare un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale» (sentenza n. 173 del 2016), né trasmoda in un’obbligazione ascrivibile invece alla fiscalità generale e quindi di natura tributaria.
Però, nella specie, il rimettente deduce soltanto la mera circostanza fattuale della ritenuta eccessiva onerosità del contributo previdenziale, circostanza che attiene alle peculiarità del caso, e non svolge una adeguata censura di carattere generale sul complessivo sistema di provvista della Cassa in raffronto alle prestazioni erogate.
Tale insufficiente motivazione della censura comporta l’inammissibilità della sollevata questione di costituzionalità.
5.− La questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, secondo comma, della legge n. 576 del 1980 – che è inammissibile in riferimento all’art. 53 Cost. in mancanza di una specifica motivazione della censura – è infondata in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost.
Il giudice rimettente pone in comparazione il regime sanzionatorio previsto distintamente per vari possibili comportamenti inadempienti dell’avvocato iscritto agli albi: l’omessa (o tardiva) domanda di iscrizione alla Cassa; il mancato inoltro delle comunicazioni obbligatorie quanto al reddito ed al volume degli affari; il ritardo nel pagamento dei contributi dovuti; inadempienze queste che sono sanzionate rispettivamente dagli artt. 22, secondo comma; 17, quarto comma e 18, quarto comma, della legge n. 576 del 1980.
L’art. 22, secondo comma, prevede che nel caso di infrazione all’obbligo di presentazione della domanda di iscrizione alla Cassa, la Giunta esecutiva provvede all’iscrizione d’ufficio e l’avvocato è tenuto a pagare, oltre ai contributi arretrati con interessi e sanzioni, anche una penalità pari alla metà dei contributi arretrati, ossia quelli il cui termine di pagamento sarebbe già scaduto se l’iscrizione fosse stata chiesta tempestivamente.
L’art. 17, quarto comma, prescrive che l’avvocato che non ottemperi all’obbligo di comunicazione degli imponibili IRPEF e dei volumi d’affari IVA, quanto al reddito professionale, o che effettui una comunicazione non conforme al vero, è tenuto a versare alla Cassa una penalità pari a metà del contributo soggettivo minimo previsto per l’anno solare in cui la comunicazione doveva essere inviata.
L’art. 18, quarto comma, prevede che il ritardo nei pagamenti dei contributi dovuti comporta l’obbligo di pagare gli interessi di mora nella stessa misura stabilita per le imposte dirette e inoltre una sanzione pari al 15 per cento del capitale non pagato tempestivamente.
Tale graduazione della reazione sanzionatoria, che vede quella dell’art. 22, secondo comma, come la più grave ed afflittiva, resiste alla censura del rimettente di difetto di ragionevolezza intrinseca (art. 3 Cost.) e di inidoneità a realizzare la finalità di salvaguardia della funzione previdenziale della Cassa (art. 38, secondo comma, Cost.).
Invero la condotta sanzionata dall’art. 22, secondo comma, citato – ossia l’inadempienza consistente nell’esercizio dell’attività forense da parte di un avvocato che, pur essendone tenuto per la sussistenza dei relativi presupposti, abbia omesso di presentare la domanda di iscrizione alla Cassa – costituiva, nel regime antecedente alla riforma dell’ordinamento forense del 2012, una grave inadempienza per la Cassa, la quale, in mancanza della domanda di iscrizione, poteva non saper nulla dell’avvocato che, iscritto all’albo, esercitasse con continuità l’attività professionale. E rappresentava una inadempienza più insidiosa rispetto alle altre condotte sanzionate rispettivamente dall’art. 17 e dall’art. 18 della medesima legge, che vedevano la Cassa in condizione di reagire più agevolmente, essendo già in possesso di utili elementi cognitivi a partire dagli stessi già verificati presupposti dell’iscrizione alla Cassa. Né la mera comunicazione del reddito professionale (ai fini IRPEF) e del volume complessivo d’affari (ai fini dell’IVA) poteva considerarsi equipollente – ex se ed in generale – alla domanda di iscrizione alla Cassa in un sistema in cui non era escluso che potesse esercitarsi la professione forense senza essere iscritti alla Cassa.
Proprio per rimuovere questa che – più delle altre inadempienze di cui agli artt. 17 e 18 citati − poteva comportare, per la Cassa, un grave nocumento alla realizzazione della tutela previdenziale della categoria professionale, il legislatore ha introdotto, in occasione della riforma dell’ordinamento della professione forense (legge n. 247 del 2012), un automatismo per cui l’iscrizione all’ordine comporta in ogni caso l’iscrizione alla Cassa, sicché una siffatta inadempienza non è più configurabile. Infatti, mentre prima di tale riforma l’iscrizione all’ordine professionale era obbligatoria per gli avvocati e procuratori che esercitassero la libera professione con carattere di continuità e l’iscrizione alla Cassa era subordinata alla domanda dell’interessato da presentarsi nel termine stabilito di legge (art. 22 della legge n. 576 del 1980), a seguito della citata legge n. 247 del 2012 l’iscrizione agli albi comporta la contestuale ed automatica iscrizione alla Cassa (art. 21, comma 8). Sicché, alla luce del nuovo ordinamento professionale forense, non può più darsi il caso dell’avvocato iscritto all’albo, ma non alla Cassa.
5.1.− La ritenuta non fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale non esclude che sia compito del giudice rimettente accertare, nel giudizio a quo, se ci sia stata effettivamente la contestata condotta inadempiente della protratta omissione della domanda di iscrizione alla Cassa ad opera dell’avvocato ricorrente, dovendosi valutare il comportamento tenuto da quest’ultimo, che non si è limitato a comunicare alla Cassa il suo reddito professionale (ai fini IRPEF) ed il suo volume d’affari (ai fini IVA), ma sembra aver anche corrisposto, fin dall’inizio dell’attività libero-professionale, il contributo in misura fissa, riconoscendosi in tal modo, con fatti concludenti, soggetto, seppur in misura inferiore al dovuto, alla obbligazione contributiva che sarebbe derivata dalla sua iscrizione alla Cassa.
Si tratta però di una quaestio facti che riguarda se, in concreto e nella specie, sussista, o no, la contestata condotta inadempiente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 22, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Palermo, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 22, secondo comma, della medesima legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in riferimento all’art. 53, primo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Palermo, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 marzo 2018.