SENTENZA N. 279
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge della Regione Molise 4 maggio 2016, n. 6 (Bilancio regionale di previsione per l’esercizio finanziario 2016 - Bilancio pluriennale 2016-2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 4-5 luglio 2016, depositato in cancelleria il 14 luglio 2016 ed iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2016.
Udito nell’udienza pubblica del 23 novembre 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi;
udito l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 4-5 luglio 2016 e depositato il 14 luglio 2016, iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 9 della legge della Regione Molise 4 maggio 2016, n. 6 (Bilancio regionale di previsione per l’esercizio finanziario 2016 - Bilancio pluriennale 2016-2018), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in relazione al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), nonché in riferimento all’art. 81, terzo e quarto comma, Cost.
Il ricorrente si duole essenzialmente del fatto che con l’impugnato articolo, rubricato «Avanzo di amministrazione», la Regione abbia iscritto nella parte attiva del bilancio somme indebitamente utilizzate per allargare la propria capacità di spesa, in tal modo pregiudicando l’equilibrio di bilancio di cui all’art. 81, terzo e quarto comma, Cost. ed altresì violando l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. per essersi discostata, nell’allocazione di tali importi, dai modelli previsti dalla legislazione statale in tema di armonizzazione dei conti pubblici.
Viene a tal fine ricordato il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nessuna spesa può essere accesa in poste di bilancio correlate ad un avanzo presunto, se non quella correlata a fondi vincolati accertati nei modi di legge nell’esercizio precedente.
Il Presidente del Consiglio dei ministri richiama la sentenza n. 70 del 2012 di questa Corte e rileva che il collegamento tra entrate e spese a destinazione vincolata, utilizzato nell’ambito del bilancio di previsione impugnato, non consentendo di individuare con esattezza i presupposti normativi dell’utilizzazione in deroga al principio generale del previo accertamento del risultato di amministrazione complessivo, sarebbe in contrasto non solo sotto il profilo formale con i modelli individuati dal legislatore statale in tema di armonizzazione, ma soprattutto col principio dell’equilibrio di bilancio, perché consentirebbe di espandere la spesa oltre i limiti consentiti dalla legislazione vigente e dall’indefettibile principio di cui all’art. 81 Cost.
L’elenco analitico delle quote vincolate e accantonate del risultato di amministrazione presunto al 31 dicembre 2015 (Elenco B), riportato nella nota integrativa del bilancio, non sarebbe conforme a quello previsto dal punto 9.11.4 dell’Allegato n. 4/1 al d.lgs. n. 118 del 2011 e non consentirebbe di ricostruire il vincolo normativo tra entrate e spese a destinazione vincolata. Il suddetto elenco mostrerebbe inoltre un totale diverso da quello della parte vincolata riportato nella Tabella dimostrativa del risultato di amministrazione, Allegato a), rispettivamente di euro 821.070.593,46 ed euro 729.148.706,75. La suddetta Tabella, Allegato a), indicherebbe, nella parte riservata all’«Utilizzo» delle quote vincolate del risultato di amministrazione presunto al 31 dicembre 2015, soltanto l’importo di euro 247.598.229,01 per la reiscrizione di economie vincolate (lettera a dell’impugnato articolo 9) e non anche l’importo di euro 481.550.477,74 relativo ai fondi di accantonamento dell’avanzo (lettera b del medesimo articolo). Con riferimento all’iscrizione come «Utilizzo avanzo presunto di amministrazione» del Fondo crediti di dubbia legittimità per euro 7.257.741,15 (lettera c dell’art. 9 impugnato), rappresentato come quota accantonata nella Tabella dimostrativa del risultato di amministrazione presunto, Allegato a), il ricorrente sostiene che tale previsione contrasterebbe con il principio applicato della contabilità finanziaria 9.2. dell’Allegato 4/2 del d.lgs. n. 118 del 2011, ai sensi del quale l’utilizzo della quota accantonata per i crediti di dubbia esigibilità può aversi solo a seguito del verificarsi dei rischi per i quali sono stati accantonati ovvero qualora si accerti che la spesa potenziale non possa più verificarsi.
Il Presidente del Consiglio lamenta altresì la violazione dell’art. 81, terzo e quarto comma Cost., poiché l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione presunto per la copertura di spese al di fuori delle ipotesi strettamente consentite dal legislatore statale determinerebbe un indebito ampliamento della capacità di spesa della Regione con conseguente pregiudizio per l’equilibrio di bilancio.
Il ricorrente solleva questione di legittimità anche con riguardo alla mancata contabilizzazione delle anticipazioni di liquidità previste dagli artt. 2 e 3 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 6 giugno 2013, n. 64, effettivamente incamerate negli esercizi 2013 e 2014, nonché alla mancata copertura nel triennio della quota interessi e della quota capitale delle suddette anticipazioni di liquidità in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., rilevando che ciò non sarebbe conforme alle prescrizioni ed alle modalità specificamente previste dall’art. 1, commi 692 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».
2.– La Regione Molise non si è costituita in giudizio.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 9 della legge della Regione Molise 4 maggio 2016, n. 6 (Bilancio regionale di previsione per l’esercizio finanziario 2016 - Bilancio pluriennale 2016-2018), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in relazione al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), nonché in riferimento all’art. 81, terzo e quarto comma, Cost.
Il ricorrente si duole essenzialmente del fatto che l’articolo censurato, rubricato «Avanzo di amministrazione», abbia indebitamente previsto l’iscrizione di somme nella parte attiva del bilancio per allargare la possibilità di spesa, in tal modo pregiudicando l’equilibrio di bilancio tutelato dall’art. 81, terzo e quarto comma, Cost. e altresì violando l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. per essersi discostato, nell’allocazione di tali somme, dai modelli previsti dalla legislazione statale in tema di armonizzazione dei conti pubblici.
Viene a tal fine ricordato il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nessuna spesa può essere accesa in poste di bilancio correlate ad un avanzo presunto, se non quella relativa a fondi vincolati accertati nei modi di legge nell’esercizio precedente.
Il Presidente del Consiglio ricorda che il collegamento tra entrate e spese a destinazione vincolata utilizzato nell’ambito del bilancio di previsione impugnato, non consentendo di individuare con esattezza «i presupposti normativi dell’utilizzazione in deroga al principio generale del previo accertamento del risultato di amministrazione complessivo» (sentenza n. 70 del 2012), sarebbe in contrasto non solo, sotto il profilo formale, con la modellistica in tema di armonizzazione, ma soprattutto col principio dell’equilibrio di bilancio, perché consentirebbe di espandere la spesa oltre i limiti consentiti dalla legislazione vigente e dall’indefettibile principio di cui all’art. 81, terzo comma, Cost.
L’elenco analitico delle quote vincolate ed accantonate del risultato di amministrazione presunto al 31 dicembre 2015 (Elenco B) riportato nella nota integrativa non sarebbe conforme a quello previsto dal punto 9.11.4 dell’Allegato n. 4/1 del d.lgs. n. 118 del 2011 e non consentirebbe di ricostruire il vincolo normativo tra entrate e spese a destinazione vincolata. Il suddetto elenco mostrerebbe inoltre un totale diverso dall’importo della parte vincolata del risultato di amministrazione riportato nella Tabella dimostrativa del risultato di amministrazione, Allegato a), rispettivamente euro 821.070.593,46 ed euro 729.148.706,75. La suddetta Tabella dimostrativa del risultato di amministrazione indicherebbe, nella parte riservata all’«Utilizzo», quote vincolate del risultato di amministrazione presunto al 31 dicembre 2015 pari ad euro 247.598.229,01 per la reiscrizione di economie vincolate (lettera a dell’impugnato articolo 9) e non anche l’importo di euro 481.550.477,74 relativo ai fondi di accantonamento dell’avanzo (lettera b del medesimo articolo). Con riferimento all’iscrizione come «Utilizzo avanzo presunto di amministrazione» del Fondo crediti di dubbia esigibilità per euro 7.257.741,15 (lettera c dell’impugnato art. 9), rappresentato come quota accantonata nella Tabella dimostrativa del risultato di amministrazione presunto, il ricorrente sostiene che tale previsione contrasterebbe con il principio applicato della contabilità finanziaria di cui al punto 9.2. dell’Allegato 4/2 del d.lgs. n. 118 del 2011, ai sensi del quale l’utilizzo della quota accantonata per i crediti di dubbia esigibilità può aversi solo a seguito del verificarsi dei rischi per i quali sono stati accantonati ovvero qualora si accerti che la spesa potenziale non possa più verificarsi.
Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, altresì, la violazione dell’art. 81, terzo e quarto comma, Cost., in quanto l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione presunto per la copertura di spese al di fuori delle ipotesi strettamente consentite dal legislatore statale determinerebbe un indebito ampliamento della capacità di spesa della Regione, con conseguente pregiudizio all’equilibrio di bilancio.
Il ricorrente solleva questione di legittimità anche con riguardo alla mancata contabilizzazione delle anticipazioni di liquidità previste dagli artt. 2 e 3 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 6 giugno 2013, n. 64, effettivamente incamerate negli esercizi 2013 e 2014, nonché alla mancata copertura nel triennio della quota interessi e della quota capitale delle suddette anticipazioni di liquidità in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., rilevando che ciò non sarebbe conforme alle prescrizioni ed alle modalità specificamente previste dall’art. 1, commi 692 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».
2.– Occorre preliminarmente rilevare che il ricorrente invoca, accanto al terzo comma dell’art. 81 Cost., anche il quarto comma del medesimo articolo. Risulta palese l’incongruenza dell’affiancamento di tale parametro – il quale stabilisce che «Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo» – rispetto allo sviluppo argomentativo del ricorso, evidentemente circoscritto al precetto di cui al terzo comma del predetto art. 81 Cost.
Tale incongruenza – probabilmente dovuta alla allocazione normativa del principio di equilibrio del bilancio anteriore alla modifica apportata dall’art. l della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. l (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) – «“non si configura come errore concettuale bensì quale mero lapsus calami, che non preclude l’identificazione della questione e non pregiudica il diritto di difesa della parte resistente” (sentenza n. 188 del 2014) ed è dunque irrilevante ai fini dell’ammissibilità» (ex multis, sentenza n. 151 del 2016).
È necessario anche sottolineare come il censurato art. 9 contenga prima facie una contraddizione tra la rubrica «Avanzo di amministrazione» ed il contenuto, che menziona il «saldo finanziario presunto». Considerato che già in passato quest’ultima locuzione era stata utilizzata dalla Regione Molise per indicare l’avanzo di amministrazione presunto, appare evidente che essa si riferisce a tale istituto contabile (tenuto anche conto che al maggio 2016 non risultava approvato il bilancio consuntivo della Regione stessa relativo all’esercizio 2015).
Infine, è utile evidenziare come all’utilizzazione dell’avanzo di amministrazione presunto di cui alla norma impugnata risulti contestualmente affiancata l’applicazione di due disavanzi di amministrazione, secondo quanto disposto dagli artt. 10 e 11 della medesima legge reg. Molise n. 6 del 2016. Così l’art. 10 (Ripiano del disavanzo di amministrazione al 31 dicembre 2014) dispone che «l. Il disavanzo finanziario alla chiusura del 31 dicembre 2014 ancora da ripianare al l° gennaio 2016 è pari a euro 20.979.558,32. 2. Il disavanzo di amministrazione di cui al comma l viene ripianato in 9 (nove) esercizi, così come stabilito dall’articolo l, comma 691, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, con quote costanti pari ad euro 2.331.062,54». Analogamente il successivo art. 11 (Ripiano del maggiore disavanzo di amministrazione al l° gennaio 2015) prevede che «l. Il maggiore disavanzo di amministrazione al 1° gennaio 2015 ancora da ripianare al 1° gennaio 2016 è pari a euro 219.014.451,13. 2. Ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del D.M. dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero dell’Interno del 2 aprile 2015 e in conformità alla Delib.C.R. n. 293 del 10 novembre 2015 il ripiano del maggior disavanzo di amministrazione di cui al comma l, avviene in 29 (ventinove) esercizi a partire dal 2016 sino al 2044 attraverso quota costante di euro 7.552.222,45».
3.– Tanto premesso, le questioni sollevate dal Presidente del Consiglio sono fondate nei termini di seguito precisati.
Esse sono tra loro profondamente compenetrate, perché gli scostamenti dai principi del d.lgs. n. 118 del 2011 in tema di armonizzazione dei conti pubblici non costituiscono solamente un vizio formale dell’esposizione contabile, ma risultano strumentali ad una manovra elusiva della salvaguardia degli equilibri del bilancio regionale presidiati dall’art. 81 Cost. La manovra elusiva consiste essenzialmente nel programmare una spesa superiore a quella consentita dalle risorse disponibili nell’esercizio finanziario 2016, nel biennio successivo e nel lungo periodo di rientro dai disavanzi pregressi. Ciò comporta una lesione agli equilibri di bilancio ben più ampia di quella risultante dalla sommatoria delle singole illegittimità dedotte dal ricorrente in relazione ai principi contabili di cui al d.lgs. n. 118 del 2011. Proprio dalla fondatezza delle singole questioni sollevate si evince, infatti, che la non corretta redazione del censurato art. 9 finisce per influenzare, in senso costituzionalmente non conforme, gli equilibri complessivi dei bilanci annuale e pluriennale della Regione Molise.
4.– La lesione di detti equilibri è talmente estesa da investire la stessa struttura del bilancio, invalidandone sostanzialmente l’intera costruzione. Con riguardo alla fattispecie in esame, è utile ricordare il costante orientamento di questa Corte, secondo cui la «forza espansiva dell’art. 81, quarto [ora terzo] comma, Cost. nei riguardi delle fonti di spesa di carattere pluriennale, aventi componenti variabili e complesse» (ex multis, proprio la sentenza n. 70 del 2012 richiamata dal Presidente del Consiglio dei ministri) costituisce una clausola generale in grado di colpire tutti gli enunciati normativi di carattere finanziario con essa collidenti. Con riguardo all’art. 9 della legge reg. Molise n. 6 del 2016, la lesione congiunta agli equilibri di bilancio annuale e pluriennale si realizza attraverso le sue interrelazioni con le altre componenti di detti bilanci.
Tali interrelazioni possono essere così sintetizzate: a) impiego di un avanzo di amministrazione presunto per allargare, in assenza dei presupposti normativi, la possibilità di spesa, destinando, tra l’altro, non meglio identificate «economie di spesa su fondi vincolati», ed indebita utilizzazione di tale avanzo in concomitanza all’applicazione pro rata (artt. 10 e 11 della medesima legge regionale) di due disavanzi già accertati in precedenti esercizi, il cui ripiano è stato deliberato rispettivamente in nove e ventinove anni; b) non corretta contabilizzazione del «Fondo crediti di dubbia esigibilità» che, in tal modo, consente, anziché impedire, la spendita di risorse di incerta realizzazione; c) mancata esposizione e sterilizzazione delle anticipazioni di liquidità, acquisite nel 2013 e nel 2014 per un ammontare complessivo pari ad euro 71.745.187,00, ai sensi degli artt. 2 e 3 del d.l. n. 35 del 2013 e successive modifiche ed integrazioni, nonché mancata copertura per l’intero triennio del pagamento della quota interessi e della quota capitale di dette anticipazioni.
4.1.– Venendo al merito delle singole questioni, appare senz’altro fondata quella che attribuisce all’impugnato art. 9 l’arbitraria applicazione, con conseguente illegittima autorizzazione alla correlata spesa, dell’avanzo di amministrazione presunto, sia per la parte inerente alla lettera a) («euro 247.598.229,01 per la reiscrizione in bilancio di economie di spesa finanziate con fondi assegnati con vincolo di specifica destinazione risultanti dall’esercizio 2014 e riguardanti i fondi comunitari - F.S.E, F.E.S.R e Cooperazione internazionale - e statali - F.S.C.»), che per quella relativa alla lettera b) («euro 481.550.477,74 accantonati in appositi fondi iscritti nella Missione 20, Programma 3, utilizzabili, mediante prelievo ed iscrizioni sulle pertinenti Missioni, solo a seguito dell’approvazione del rendiconto generale della Regione Molise per l’esercizio finanziario 2015»).
Deve essere condiviso l’assunto del ricorrente secondo cui né le disposizioni in esame né la nota integrativa e neppure gli allegati al bilancio individuano i vincoli normativi in grado di collegare dette risorse alla correlata parte della spesa.
Ne consegue l’impossibilità di individuare «i presupposti normativi dell’utilizzazione in deroga al principio generale del previo accertamento del risultato di amministrazione complessivo» (sentenza n. 70 del 2012). Peraltro, l’elenco analitico delle quote vincolate e accantonate del risultato di amministrazione presunto al 31 dicembre 2015 (Elenco B) riportato nella nota integrativa non risulta conforme a quello previsto dal punto 9.11.4 dell’Allegato n. 4/1 del d.lgs. 118 del 2011, mostrando comunque – come rileva il Presidente del Consiglio dei ministri – un totale diverso da quello della parte vincolata del risultato di amministrazione riportato nella Tabella dimostrativa di tale risultato, Allegato a).
In ogni caso, non risulta alcuna corrispondenza tra l’elenco analitico delle quote vincolate e gli atti in base ai quali è stato disposto ed accertato il preteso vincolo ed il relativo oggetto.
È utile in proposito ricordare come il rispetto del vincolo debba essere rigorosamente circoscritto alla corrispondenza tra risorsa assegnata e finalità di impiego, mentre non è possibile ipotizzare, come sembra intendere il legislatore regionale, una sommatoria indifferenziata delle pretese risorse vincolate destinata, in modo indistinto e non ripartito, ad obiettivi che – quand’anche derivassero da vincoli di legge – non troverebbero esatta corrispondenza quantitativa e qualitativa nelle componenti analitiche dell’avanzo presunto. Sotto tale profilo appare particolarmente grave la formulazione della lettera b) dell’impugnato art. 9, la quale include nell’avanzo euro 481.550.477,74, «accantonati in appositi fondi iscritti nella Missione 20, Programma 3, utilizzabili mediante prelievo ed iscrizioni sulle pertinenti Missioni», senza neppure indicarne la natura, l’eventuale esistenza del vincolo e la ragione della conservazione in bilancio.
4.1.1.– Quanto al principio di cui al punto 9.11.4 dell’Allegato 4/1 del d.lgs. n. 118 del 2011, nella parte denominata «Elenco analitico delle risorse vincolate rappresentate nel prospetto del risultato di amministrazione presunto», questa Corte non può non rilevarne la pletoricità e la parziale oscurità nella parte in cui sembra ipotizzare l’esistenza di vincoli di destinazione diversi da quelli determinati dalla legge (si parla, infatti, in detto principio, di vincoli derivanti da trasferimenti, da finanziamenti, di vincoli formalmente attribuiti dall’ente e di altri vincoli). In realtà, proprio l’ipotesi apparentemente eversiva della regola generale, quella dei «vincoli formalmente attribuiti dall’ente», viene ridimensionata dalla successiva definizione, la quale precisa che «[p]er vincoli formalmente attribuiti dall’ente si intendono quelli previsti dal principio applicato 9.2, derivanti da “entrate straordinarie, non aventi natura ricorrente, accertate e riscosse cui l’amministrazione ha formalmente attribuito una specifica destinazione. È possibile attribuire un vincolo di destinazione alle entrate straordinarie non aventi natura ricorrente solo se l’ente non ha rinviato la copertura del disavanzo di amministrazione negli esercizi successivi, ha provveduto nel corso dell’esercizio alla copertura di tutti gli eventuali debiti fuori bilancio […]”». Infatti, la facoltà di imprimere uno specifico vincolo deriva dalla classificazione normativa (entrate straordinarie non aventi natura ricorrente) e dall’ulteriore requisito dell’assenza di disavanzi da ripianare.
In definitiva, l’analitica classificazione delle somme vincolate non inficia il principio per cui, quand’anche non direttamente dipendente dalla legge, il vincolo deve trovare diretto presupposto nella stessa. È anche evidente come proprio la stessa perimetrazione della fattispecie derogatoria risponda all’obiettivo di non alterare l’equilibrio del bilancio, situazione che invece si concreta per l’effetto prodotto dall’applicazione delle lett. a) e b) dell’impugnato art. 9.
4.1.2.– Comunque, per i principi contabili vale la regola dell’interpretazione conforme a Costituzione, secondo la quale, in presenza di ambiguità o anfibologie del relativo contenuto, occorre dar loro il significato compatibile con i parametri costituzionali. Al contrario, ove fosse possibile solo un’ipotesi ermeneutica, quale quella implicitamente adottata dalla Regione Molise, ciò determinerebbe l’illegittimità costituzionale dello stesso principio contabile, dal momento che, così interpretato, esso diventerebbe un veicolo per un indebito allargamento – in contrasto con l’art. 81 Cost. – della spesa di enti già gravati dal ripiano pluriennale di disavanzi di amministrazione pregressi.
In ogni caso, anche prima dell’entrata in vigore dei nuovi principi contabili, l’orientamento di questa Corte era nel senso che «[n]essuna spesa può essere accesa in poste di bilancio correlate ad un avanzo presunto, se non quella finanziata da fondi vincolati» individualmente identificati «e regolarmente stanziati nell’esercizio precedente» (sentenza n. 70 del 2012).
4.2.– Risulta in contrasto con i parametri invocati dal ricorrente anche l’iscrizione in parte entrata del «Fondo crediti di dubbia esigibilità al 31 dicembre 2015», di cui alla lettera c) dell’impugnato art. 9 della legge reg. Molise n. 6 del 2016.
È opportuno premettere che il «Fondo crediti di dubbia esigibilità» assolve alla funzione di precludere l’impiego di risorse di incerta acquisizione. In sostanza esso è un fondo rettificativo, in diminuzione di una posta di entrata, finalizzato a correggere il valore nominale dei crediti dell’ente in relazione alla parte di essi che si prevede di non incassare in corso di esercizio. Per questo motivo, in parte entrata si iscrive il credito al valore nominale (punto 3.3 dell’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118 del 2011), mentre tra le passività si inserisce l’importo di prevedibile svalutazione (art. 46 «Fondo crediti di dubbia esigibilità», del d.lgs. n. 118 del 2011 e punto 3.3 dell’allegato 4/2 del medesimo decreto), il quale viene accantonato proprio al fine di evitare un risultato di amministrazione negativo a seguito delle eventuali minusvalenze derivanti dalla riscossione dei crediti soltanto parziale.
Ancorché caratterizzato da una formulazione pletorica, ed a tratti anche poco chiara, il principio applicato 9.2 dell’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118 del 2011 non si discosta dalla definizione funzionale precedentemente richiamata del «Fondo crediti di dubbia esigibilità». In particolare, le parti dello stesso principio invocate dal ricorrente, i commi venticinquesimo e ventiseiesimo del punto 9.2 dell’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118 del 2011, prevedono che «Le quote accantonate del risultato di amministrazione sono utilizzabili solo a seguito del verificarsi dei rischi per i quali sono stati accantonati. […] L’utilizzo della quota accantonata per i crediti di dubbia esigibilità è effettuato a seguito della cancellazione dei crediti dal conto del bilancio, riducendo di pari importo il risultato di amministrazione».
Tali regole rispondono al generale principio di cautela, il quale in materia finanziaria e contabile serve a prevenire lesioni all’equilibrio del bilancio. In conformità di tale assunto, il citato ventiseiesimo comma del punto 9.2 dell’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118 del 2011 prevede che l’utilizzo della quota accantonata per i crediti di dubbia esigibilità possa avvenire solo a seguito della cancellazione dei crediti dal conto del bilancio, riducendosi così, di pari importo, il valore del risultato di amministrazione.
Per questo motivo appare assolutamente inconferente la nota integrativa al bilancio 2016 della Regione Molise nella parte in cui si afferma che «[n]ella determinazione del “Fondo crediti di dubbia esigibilità” [...] l’ente ritiene che non sussistono tali eventualità sulle poste contabili oggetto di verifica, in quanto per le stesse gli accertamenti avvengono tutt[i] per cassa». Presa alla lettera, la singolare espressione di limitare gli accertamenti alla sola cassa significherebbe che l’ente non cura affatto l’individuazione dei creditori e la riscossione dei crediti, limitandosi ad accertare in entrata le quote di chi paga spontaneamente. In definitiva, appare evidente che l’ente, con singolare eterogenesi dei fini, iscrive tra le poste attive una voce che, al contrario, serve a ridimensionare la spesa in rapporto alle prevedibili difficoltà di riscossione. La conseguenza di tutto ciò è quella – ventilata dallo Stato – di allargare indebitamente la possibilità di spesa oltre le risorse disponibili. E ciò – è da aggiungere – in un contesto in cui la Regione Molise ha già usufruito di anticipazioni di liquidità per debiti inevasi da restituire in trenta anni (artt. 2 e 3 del d.l. n. 35 del 2013) e, per di più, dilazionato, rispettivamente per un novennio e per un ventinovennio, il rientro dai disavanzi di amministrazione 2014 e 2015 (artt. 10 e 11 della legge regionale impugnata) pari ad una rata annuale di euro 2.331.062,54 (disavanzo di amministrazione al 31 dicembre 2014) per 9 anni e di euro 7.552.222,45 (maggiore disavanzo di amministrazione al 1° gennaio 2015) per 29 anni.
4.3.– È fondata anche la censura rivolta, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., alla mancata contabilizzazione delle anticipazioni di liquidità previste dagli artt. 2 e 3 del d.l. n. 35 del 2013 ed effettivamente percepite negli esercizi 2013 e 2014, nonché quella afferente alla mancata copertura nel triennio della quota interessi e della quota capitale da restituire con riguardo alle suddette anticipazioni.
Correttamente il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che ciò non è conforme alle prescrizioni e alle modalità specificamente sancite dall’art. 1, commi 692 e seguenti, della legge n. 208 del 2015. È stato già affermato in proposito che «[u]n’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata delle norme statali porta dunque a concludere che le anticipazioni di liquidità altro non costituiscono che anticipazioni di cassa di più lunga durata temporale rispetto a quelle ordinarie. La loro ratio, quale si ricava dalla genesi del decreto-legge e dai suoi lavori preparatori, è quella di riallineare nel tempo la cassa degli enti strutturalmente deficitari con la competenza, attraverso un’utilizzazione limitata al pagamento delle passività pregresse unita a contestuali risparmi nei bilanci futuri, proporzionati alle quote di debito inerenti alla restituzione della anticipazione stessa così da rientrare dai disavanzi gradualmente ed in modo temporalmente e finanziariamente proporzionato alla restituzione dell’anticipazione» (sentenza n. 181 del 2015).
Si può, quindi, concludere che, mentre gli artt. 2 e 3 del d.l. n. 35 del 2013 hanno la finalità di consentire «di adempiere ad oneri pregressi, attraverso una mera anticipazione di cassa di lungo periodo ed un parallelo rientro dal deficit (mediante proporzionate riduzioni della spesa corrente nel periodo di ammortamento dell’anticipazione di cassa)» (sentenza n. 181 del 2015), l’impostazione del bilancio regionale finisce per aggravare – attraverso la mancata contabilizzazione delle risorse incamerate ed il mancato stanziamento degli oneri relativi alla restituzione del prestito allo Stato – le disfunzioni cui l’anticipazione stessa doveva porre rimedio e per incrementare il disavanzo potenziale dell’ente. In sostanza, il processo di rientro dal deficit di liquidità avrebbe dovuto essere accompagnato nel lungo periodo da una proporzionata riduzione della situazione debitoria e dal riequilibrio dello stato economico-patrimoniale della Regione, il cui turbamento è all’origine delle eccezionali operazioni finanziarie consentite dalla legislazione statale.
5.– È ulteriormente lesiva degli equilibri di bilancio l’assenza di un prospetto sintetico in grado di dare la misura della dimensione economico-finanziaria dalla quale prende l’avvio il bilancio di previsione 2016 nonché delle complessive coperture riferite all’esercizio annuale, a quello triennale e alle straordinarie situazioni debitorie fronteggiate attraverso il ricorso alle eccezionali misure normative previste dalle leggi statali cui fanno richiamo i citati artt. 10 e 11 della legge reg. Molise n. 6 del 2016.
L’assenza di un quadro sintetico e chiaro degli elementi necessari per valutare la manovra di bilancio regionale finisce per snaturare completamente quest’ultimo nella sua essenza. Infatti, il bilancio è un documento che proprio in virtù della sua definizione lessicale si articola attraverso la contrapposizione di due serie numeriche bilancianti – cioè «pareggiate» nei rispettivi totali – finalizzata a riassumere in modo chiaro ed attendibile la situazione economico-finanziaria dell’ente che lo adotta. Quest’ultima si ricava, a sua volta, attraverso il rapporto tra attività e passività, che deve sempre tendere all’equilibrio. La denominazione tecnica e la relativa differenziazione dei vari elementi positivi e negativi che compongono il bilancio non può oscurare – come nel caso della legge regionale in considerazione – lo stato di tale bilanciamento, soprattutto quando il disavanzo è talmente anomalo da prevedere un rientro ripartito in tante annualità future. Questa situazione deficitaria deve essere riassunta in modo fedele e comprensibile in una precisa scansione temporale in grado di definire, tra l’altro, le passività posposte in esercizi futuri in base alle leggi eccezionali di ripianamento (art. 9, comma 5, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 125; art. 1, comma 691, della legge n. 208 del 2015; art. 2, comma 3, lettera c), del d.l. n. 35 del 2013, concernente la rateizzazione del rimborso delle anticipazioni necessarie a fronteggiare il ritardo nei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, che fissa in trent’anni la restituzione delle stesse anticipazioni allo Stato) e le modalità per “mettere in sicurezza” tale posposizione.
La struttura della legge di bilancio della Regione Molise finisce, dunque, per collidere con l’art. 81, terzo comma, Cost. anche sotto il profilo dei principi di unità, universalità ed integrità del bilancio, i quali per effetto dell’art. 24, comma l, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), costituiscono «“profilo attuativo” (rectius: specificativo) dell’art. 81 Cost.» (sentenza n. 192 del 2012). Infatti, la norma impugnata ed il suo inscindibile collegamento eziologico con la struttura annuale e pluriennale del bilancio della Regione Molise urta col principio dell’unità – in quanto ne erode il naturale bilanciamento tra risorse impiegate e spese programmate – e con quelli di universalità e integrità, i quali esigono che tutte le finalità e gli obiettivi di gestione devono essere rapportati ai relativi valori finanziari, economici e patrimoniali in una veritiera e corretta rappresentazione della programmazione dell’ente.
6.– In ragione del contrasto con lo spettro delle accezioni precettive sintetizzate nell’art. 81 Cost., la fattispecie normativa impugnata, in quanto correlata e interagente con l’intera struttura del bilancio regionale, finisce per trasmettere a quest’ultimo la propria invalidità (in senso conforme, sul riflesso invalidante di singole poste nei confronti dell’intero bilancio, sentenze n. 266 e 250 del 2013).
In considerazione della inscindibile connessione esistente tra la norma impugnata e la struttura dei bilanci annuale e pluriennale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 deve estendersi in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), alla legge reg. Molise n. 6 del 2016 nelle parti in cui: a) è autorizzata la spendita dell’avanzo di amministrazione presunto di cui all’art. 9; b) non sono state sterilizzate le anticipazioni di tesoreria di cui agli artt. 2 e 3 del d.l. n. 35 del 2013; c) non è stata prevista la copertura delle rate in quota capitale ed interessi delle anticipazioni stesse.
In base al principio dell’equilibrio tendenziale del bilancio, il quale «consiste nella continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalità pubbliche» (sentenza n. 250 del 2013), la Regione Molise dovrà assumere appropriati provvedimenti di carattere finanziario, in ordine alla cui concreta configurazione la perdurante discrezionalità del legislatore regionale sarà limitata dalla priorità dell’impiego delle risorse disponibili per i doverosi provvedimenti di riequilibrio precedentemente individuati (in senso conforme sentenze nn. 266 e 250 del 2013).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 della legge della Regione Molise 4 maggio 2016, n. 6 (Bilancio regionale di previsione per l’esercizio finanziario 2016 - Bilancio pluriennale 2016-2018);
2) dichiara, in via consequenziale, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale della legge reg. Molise n. 6 del 2016 nei sensi di cui in motivazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 novembre 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2016.