ORDINANZA N. 274
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e T.M.T. con ordinanza del 20 febbraio 2014, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visti l’atto di costituzione dell’INAIL, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 18 novembre 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra.
Ritenuto che la Corte di cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del 20 febbraio 2014, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 2014, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;
che i giudici di legittimità espongono di dover decidere il ricorso, proposto dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) contro la sentenza della Corte d’appello di Roma, che ha confermato la decisione di prime cure, accogliendo la richiesta di T.M.T. di beneficiare – con riguardo alla pensione di reversibilità – dell’intera indennità integrativa speciale sulla pensione di reversibilità, così come disciplinata dall’art. 2 della legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza);
che il Tribunale e la Corte d’appello hanno accolto la domanda della ricorrente, sulla base dell’interpretazione che la giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sezioni riunite, sentenza 17 aprile 2002, n. 8) ha prospettato dell’art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica): tale norma sanciva l’applicazione del vecchio regime di calcolo dell’indennità integrativa speciale sui trattamenti di pensione «limitatamente alle pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e alle pensioni di reversibilità ad esse riferite»;
che, secondo l’orientamento recepito dai giudici di merito, soltanto dal 1° gennaio 1995 si applicherebbe il nuovo sistema di liquidazione, introdotto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare): ne discende, da questo punto di vista, che l’indennità integrativa speciale deve essere corrisposta in misura intera per le pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e per le pensioni di reversibilità riferite a tali pensioni, senza alcuna distinzione tra le pensioni di reversibilità liquidate prima e quelle liquidate dopo il 31 dicembre 1994;
che, dinanzi alla Corte di cassazione, l’INAIL lamenta la violazione dell’art. 1, commi 774, 775 e 776 della legge n. 296 del 2006, intervenuta ad offrire l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, stabilendo che «per le pensioni di reversibilità sorte a decorrere dall’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l’indennità integrativa speciale già in godimento da parte del dante causa, parte integrante del complessivo trattamento pensionistico percepito, è attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilità»: tale norma, che contestualmente stabiliva l’abrogazione della citata norma dell’art. 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994 (comma 776) e si premurava di salvaguardare i trattamenti più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, già definiti in sede di contenzioso (comma 775), ha già superato il vaglio di costituzionalità (sentenza n. 74 del 2008);
che la Corte rimettente, chiamata a dirimere una controversia instaurata prima del 2006, afferma di dover fare applicazione della normativa introdotta dalla legge n. 296 del 2006 e assume, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, che la norma censurata, provvista di efficacia retroattiva e non suscettibile di un’interpretazione convenzionalmente orientata, incida sulla definizione delle controversie in corso e violi, in difetto di motivi imperativi d’interesse generale, il divieto di ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia;
nel giudizio è intervenuto l’INAIL, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in subordine, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale;
che, a sostegno di tali richieste, l’INAIL evidenzia, in punto di ammissibilità, che la Corte rimettente ribadisce argomenti già disattesi dalla sentenza n. 74 del 2008 e, quanto al merito, imputa alla Corte di cassazione di trascurare le particolarità della norma censurata, volta a individuare una plausibile variante di senso della controversa norma oggetto di interpretazione e ispirata a motivi imperativi d’interesse generale (la necessità di armonizzare i diversi sistemi previdenziali);
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di rigettare la questione di legittimità costituzionale, già dichiarata infondata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 2011;
che, dal punto di vista della difesa statale, la normativa censurata, senza ledere alcun ragionevole affidamento dei consociati, disciplina, con effetti strutturali, una voce rilevante della spesa pubblica e salvaguarda, nell’ottica di un equilibrato contemperamento, i diritti già acquisiti.
Considerato che la Corte di cassazione, sezione lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) e denuncia il contrasto della normativa con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;
che la norma impugnata, volta a disciplinare, per le pensioni di reversibilità, le modalità di corresponsione dell’indennità integrativa speciale, fissa nella data del 31 dicembre 1994 il discrimine tra il vecchio regime, che svincolava il computo dell’indennità integrativa speciale dalla pensione, e il nuovo sistema, che include l’indennità integrativa speciale nel trattamento pensionistico complessivo;
che la norma, in particolare, ai fini dell’applicazione della disciplina innovativa, attribuisce rilievo al momento della liquidazione della pensione di reversibilità, e non più al momento in cui sorge il diritto alla pensione diretta, alla quale la pensione di reversibilità si correla;
che tale interpretazione, secondo la Corte rimettente, smentisce le affermazioni di principio della giurisprudenza contabile e, in difetto di motivi imperativi d’interesse generale, interferisce con i giudizi in corso, sacrificando l’affidamento legittimo dei consociati;
che la questione è manifestamente infondata;
che la Corte rimettente non si cimenta in alcun modo con la sentenza n. 1 del 2011, con cui questa Corte ha già scrutinato, anche con riguardo al contrasto con la fonte convenzionale, i dubbi di costituzionalità adombrati nell’odierno giudizio;
che la Corte di cassazione non enuncia argomenti, che inducano a discostarsi da tali affermazioni di principio, ribadite da questa Corte con la sentenza n. 227 del 2014 e recepite dalla stessa Corte di legittimità, che ha concluso di recente per la manifesta infondatezza di analoghe censure (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 9 gennaio 2015, n. 157);
che, in particolare, la norma impugnata enuclea una delle plausibili varianti di senso, peraltro accreditata da un indirizzo, seppure minoritario, della giurisprudenza contabile;
che la disciplina si innesta nella complessa riforma del sistema pensionistico, foriera di effetti strutturali sulla spesa pubblica e sugli equilibri di bilancio, e persegue la finalità di armonizzare e perequare tutti i trattamenti pensionistici, pubblici e privati;
che la norma censurata rinviene la sua ragion d’essere in un contesto, contrassegnato da rilevanti contrasti interpretativi e dal ravvicinato succedersi di norme, che ha reso più acuta l’esigenza di coordinarle e di interpretarle sistematicamente (per una questione affine, sempre in tema di norme interpretative sulle modalità di calcolo dell’indennità integrativa speciale, sentenza n. 127 del 2015);
che la norma, inoltre, è coerente con il principio di autonomia del diritto alla pensione di reversibilità come diritto originario (sentenza n. 74 del 2008, punto 4.5. del Considerato in diritto);
che, in relazione ai rapporti di durata, non si può riporre alcun ragionevole affidamento nell’immutabilità della disciplina e non sono precluse modificazioni sfavorevoli, finalizzate a riequilibrare il sistema;
che la norma, peraltro, allo scopo di contemperare i contrapposti interessi, salvaguarda i trattamenti pensionistici già definiti in sede di contenzioso e attua un bilanciamento ragionevole dei diritti dei singoli con le esigenze di sostenibilità complessiva del sistema previdenziale;
che non si può configurare un’ingerenza arbitraria nell’autonomo esercizio delle funzioni giurisdizionali, sol perché la norma impugnata trova applicazione nei giudizi in corso: l’incidenza sui giudizi in corso è connaturata alle norme interpretative, con efficacia retroattiva (sentenza n. 227 del 2014, punto 3. del Considerato in diritto);
che tali considerazioni conducono a ritenere manifestamente infondate le censure proposte dalla Corte rimettente, senza curarsi di scalfire i rilievi già svolti, con orientamento ormai costante, da questa Corte.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2015.