SENTENZA N. 33
ANNO 2015
Commento alla decisione di
Flavio Guella
per g.c.
del Forum di Quaderni
Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge
della Regione siciliana 20 novembre 2008, n. 15 (Misure di contrasto alla
criminalità organizzata), promossi dal Tribunale amministrativo regionale
per la Regione siciliana con due ordinanze del 7 novembre 2013 e dal Consiglio
di giustizia amministrativa per la Regione siciliana con ordinanza
del 31 gennaio 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 27, 28 e 80 del
registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 12 e 23, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visti
gli atti di costituzione della Società
cooperativa Culture, della Fincantieri s.p.a., già Fincantieri cantieri navali
italiani s.p.a., nonchè
l’atto di intervento della Zimmer srl;
udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2015 e nella
camera di consiglio del 25 febbraio 2015 il Giudice relatore Aldo Carosi;
udito l’avvocato Angelo Clarizia per la Fincantieri s.p.a., già Fincantieri
cantieri italiani navali s.p.a.
1.– Con ordinanza del 7 novembre 2013
(reg. ord. n. 27 dell’anno 2014), il Tribunale amministrativo regionale per la
Sicilia, seconda sezione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 20 novembre 2008,
n. 15 (Misure di contrasto alla criminalità organizzata), in riferimento agli artt. 3, secondo comma,
27, secondo comma,
97, primo comma,
e 117, secondo comma,
lettere h) ed l), della Costituzione.
L’art. 2 della legge reg. Sicilia n. 15
del 2008 – come modificato dall’art. 28, comma 1, lettere a) e b), della legge
della Regione siciliana 14 maggio 2009, n. 6 (Disposizioni programmatiche e
correttive per l’anno 2009) – prevede che: «1. Per gli appalti di importo
superiore a 100 migliaia di euro, i bandi di gara prevedono, pena la nullità
del bando, l’obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di conto
corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le somme
relative all’appalto. L’aggiudicatario si avvale di tale conto corrente per
tutte le operazioni relative all’appalto, compresi i pagamenti delle
retribuzioni al personale da effettuarsi esclusivamente a mezzo di bonifico
bancario, bonifico postale o assegno circolare non trasferibile. Il mancato
rispetto dell’obbligo di cui al presente comma comporta la risoluzione per
inadempimento contrattuale. 2. I bandi di gara prevedono, pena la nullità degli
stessi, la risoluzione del contratto nell’ipotesi in cui il legale
rappresentante o uno dei dirigenti dell’impresa aggiudicataria siano rinviati a
giudizio per favoreggiamento nell’ambito di procedimenti relativi a reati di
criminalità organizzata. 3. Gli enti appaltanti verificano il rispetto degli
obblighi di cui ai commi 1 e 2».
Il rimettente, descrivendo la vicenda
processuale svoltasi davanti a sé, riferisce di essere stato adito dalla
società aggiudicataria di alcune procedure di evidenza pubblica (indette con
bandi approvati nel giugno del 2010 e pubblicati il mese successivo) per
l’affidamento della gestione dei servizi al pubblico nei siti museali ed
archeologici presenti in vari distretti del territorio siciliano. In
particolare, evidenzia che la società aggiudicataria, tra l’altro, ha impugnato
il provvedimento con cui l’amministrazione regionale aveva sospeso sine die le
ulteriori fasi delle procedure sul presupposto che i relativi bandi non
avessero il contenuto previsto a pena di nullità dalle norme censurate.
1.1.– Con riferimento alla non manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
1, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008, il rimettente deduce quanto segue.
1.1.1.– A suo avviso, la norma
violerebbe anzitutto l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in quanto la
disciplina della tracciabilità dei flussi finanziari recata dalla norma
rientrerebbe nella materia «ordine pubblico e sicurezza» di competenza esclusiva
del legislatore statale (si cita la sentenza n. 35 del
2012) e non in quella di competenza esclusiva regionale «lavori pubblici,
eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale»
(art. 14, lettera g, del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455,
recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana»).
Difatti, l’appartenenza della disciplina
all’ambito di competenza statale non sarebbe suscettibile di modificarsi a
seconda del luogo di applicazione, considerato, altresì, che il fenomeno
mafioso non risulterebbe confinato alla Regione siciliana, ma interesserebbe
l’intero territorio nazionale. Ad avviso del giudice a quo, al legislatore regionale
non sarebbero preclusi interventi normativi di promozione della legalità
nell’esercizio della propria competenza legislativa, purché essi non generino
interferenze, anche solo potenziali, con la disciplina statale di prevenzione e
repressione dei reati, nella fattispecie rappresentata in particolare dall’art.
3 della legge 13 agosto 2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie,
nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia), sebbene successiva
ai bandi all’esame del rimettente. Tale interferenza ed il richiamo al citato
art. 3 della legge n. 136 del 2010 da parte dell’art. 91, comma 6, del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle
misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136),
rappresenterebbero la riprova dell’appartenenza della norma censurata alla
materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
D’altra parte, secondo il rimettente la
riconducibilità della norma al citato ambito di competenza sarebbe suffragata
anche dalla giurisprudenza amministrativa. Quest’ultima, sulla base di tale
presupposto, in alcuni casi ha sostenuto la tacita abrogazione della norma
regionale per effetto dell’entrata in vigore di quella statale, mentre in
altri, pur ravvisando tra le norme una perfetta sovrapponibilità, ha escluso
l’abrogazione di quella regionale per difetto di incompatibilità assoluta tra
le stesse, componendo l’antinomia attraverso il ricorso al criterio della
specialità, con applicazione della norma censurata agli appalti di valore
superiore ai 100.000,00 euro.
1.1.2.– In secondo luogo, ad avviso del
rimettente il censurato art. 2, comma 1, terzo periodo, prevedendo la
risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale, violerebbe l’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza esclusiva
del legislatore statale la materia «ordinamento civile», fondata sull’esigenza,
sottesa al principio costituzionale di uguaglianza, di garantire nel territorio
nazionale uniformità nella disciplina dei rapporti tra privati.
1.1.3.– In via subordinata rispetto alle
due precedenti censure, il giudice a quo ritiene che l’art. 2, comma 1, della
legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 contrasti con l’art. 3, secondo comma, Cost.,
espressivo di un canone di razionalità della legge svincolato da una normativa
di raffronto. Ad avviso del rimettente, la scelta di introdurre automatismi
normativi dovrebbe costituire il risultato di un ragionevole bilanciamento
degli interessi coinvolti, soprattutto in ragione dell’affidamento ingenerato
nei terzi. Viceversa, la norma censurata – introducendo un’ipotesi di nullità
automatica e non sanabile del bando con riverbero sul conseguente contratto –
non corrisponderebbe a detto schema, poiché prescinderebbe dalla possibilità di
operare sul piano del controllo interno e traslerebbe sul terzo gli effetti del
mancato rispetto della prescrizione normativa imputabile alla medesima pubblica
amministrazione, che ha predisposto il bando.
1.1.4.– Infine, il giudice a quo ritiene
che l’art. 2, comma 1, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 contrasti con
l’art. 97, primo comma, Cost., in quanto, anzitutto, sarebbe occasione per la
proposizione di plurime azioni giudiziarie contro l’amministrazione, ad opera
tanto dei soggetti esclusi dalle gare medesime quanto dell’aggiudicatario. Al
contrario la nullità confinata al solo contratto, così come previsto dall’art.
3 della legge n. 136 del 2010, responsabilizzerebbe lo stesso aggiudicatario al
rispetto della norma. Inoltre, la nullità del bando impedirebbe alla stazione
appaltante di esercitare il potere di autotutela anche nella prospettiva della
convalida in presenza di ragioni di pubblico interesse, così pregiudicando il
buon andamento dell’amministrazione.
1.2.– Con riguardo all’art. 2, comma 2,
della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008, il rimettente propone le seguenti
censure.
1.2.1.– Ad avviso del giudice a quo, la
norma contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Il TAR
Sicilia ritiene che la disposizione – sanzionando con la nullità il bando che
non preveda la risoluzione del contratto, nel caso in cui il legale
rappresentante o uno dei dirigenti dell’impresa aggiudicataria siano (semplicemente)
rinviati a giudizio per favoreggiamento nell’ambito di procedimenti relativi a
reati di criminalità organizzata – detti una disciplina più rigorosa rispetto
alla normativa statale, confluita nel d.lgs. n. 159 del 2011 successivamente ai
bandi in considerazione. Difatti quest’ultima contemplerebbe il recesso a
seguito di valutazione dell’amministrazione, attribuendole un potere
discrezionale in ordine alla sorte del contratto frattanto sottoscritto.
Peraltro, la norma censurata non strutturerebbe il rinvio a giudizio come
eventuale causa di esclusione dalla gara – secondo lo schema di cui all’art. 38
del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE) – ma come causa di nullità del bando per mancanza di clausola
risolutiva espressa, in totale carenza di cautele di sorta. Tali notazioni
connoterebbero la norma di un’esclusiva finalità di contrasto alla criminalità
organizzata, collocandola nell’ambito della materia «ordine pubblico e
sicurezza» di esclusiva competenza statale.
1.2.2.– Secondo il rimettente, inoltre,
il censurato art. 2, comma 2, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., non solo in quanto detterebbe una disciplina differente da quella
generale del codice dei contratti pubblici, ma anche perché prescriverebbe una
specifica causa di risoluzione, invadendo l’ambito materiale dell’ordinamento
civile.
1.2.3.– Il giudice a quo ritiene che la
sanzione automatica e definitiva correlata al mero rinvio a giudizio confligga,
altresì, con il principio di presunzione di non colpevolezza espresso dall’art.
27, secondo comma, Cost. Sebbene il legislatore abbia previsto dei temperamenti
a detto principio – nel caso delle misure cautelari e delle misure di
prevenzione – ciò avrebbe fatto prettamente in ambito penale e, spesso, in via
solo provvisoria. Viceversa, la norma censurata avrebbe realizzato un
collegamento diretto e definitivo tra il mero rinvio a giudizio (suscettibile
di condurre anche ad una successiva assoluzione con formula piena) e la
risoluzione automatica del contratto frattanto stipulato.
1.2.4.– Secondo il rimettente, l’art. 2,
comma 2, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 violerebbe, inoltre, l’art. 3,
secondo comma, Cost. per le medesime ragioni addotte a sostegno dell’analoga
censura mossa al comma 1 dello stesso articolo, rilevando come
l’irragionevolezza dell’automatismo sia aggravata dalla mancata previsione di
informative da parte dell’autorità di polizia.
Anche in riferimento all’asserita
violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., il giudice a quo richiama le
considerazioni svolte con riguardo al comma 1 del censurato art. 2.
1.3.– A proposito della rilevanza, il
TAR Sicilia evidenzia che i bandi impugnati effettivamente non recano le
clausole previste a pena di nullità – rilevabile d’ufficio, secondo la
prevalente giurisprudenza amministrativa – dall’art. 2, commi 1 e 2, della
legge reg. Sicilia n. 15 del 2008. Tali disposizioni sarebbero applicabili non
solo agli appalti di lavori, ma, in virtù di un preteso "diritto vivente”, a
tutto il settore degli appalti pubblici, coerentemente con il tenore normativo
letterale e con l’inserimento nella legge regionale recante «Misure di contrasto
alla criminalità organizzata» piuttosto che nel contesto della legge 11
febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici) – introdotta
in ambito regionale dalla legge della Regione siciliana 2 agosto 2002, n. 7
(Norme in materia di opere pubbliche. Disciplina degli appalti di lavori
pubblici, di fornitura, di servizi e nei settori esclusi) – come
originariamente ipotizzato. Nella fattispecie, peraltro, i bandi che vengono in
rilievo nel giudizio a quo riguarderebbero al contempo l’affidamento della
gestione dei servizi, di cui all’art. 117 del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo
10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e di quella dei servizi di biglietteria,
nell’un caso dando luogo ad una concessione di servizi e nell’altro ad un
appalto di servizi.
Sulla base di tali premesse, il giudice
a quo ritiene che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia
rilevante, atteso che, in applicazione della normativa censurata, egli dovrebbe
rilevare d’ufficio la nullità dei bandi e dichiarare improcedibile per carenza
di interesse il ricorso proposto avverso il provvedimento di sospensione
procedimentale. Di contro, ove la questione venisse accolta, il provvedimento impugnato
sarebbe illegittimo ed andrebbe annullato.
Secondo il rimettente, infine, non
sarebbe possibile interpretare le norme censurate nel senso che esse
determinino la nullità parziale del bando – ipotizzando l’operatività del
meccanismo di inserzione automatica di clausole ai sensi dell’art. 1339 del
codice civile – a ciò ostando il dato letterale della legge, che invaliderebbe
il bando nella sua interezza.
2.– Con ordinanza del 7 novembre 2013
(reg. ord. n. 28 dell’anno 2014), il TAR Sicilia, prima sezione, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge
reg. Sicilia n. 15 del 2008 in riferimento ai medesimi parametri evocati dallo
stesso TAR (seconda sezione) nella coeva ordinanza menzionata al precedente punto
1., deducendo identici profili di censura argomentati in maniera
sostanzialmente coincidente.
Il rimettente, descrivendo la vicenda
processuale svoltasi davanti a sé, riferisce di essere stato adito da una
società esclusa dalla gara per l’aggiudicazione della fornitura quinquennale di
presidi sanitari specialistici, suddivisa in lotti. In particolare, evidenzia
che la ricorrente, tra l’altro, ha impugnato il provvedimento di esclusione con
riferimento al lotto a cui aveva partecipato e, con motivi aggiunti, la
deliberazione di aggiudicazione di numerosi lotti.
Sulla base di tali premesse, a proposito
della rilevanza, il rimettente riferisce che il bando di gara non contiene le
clausole previste a pena di nullità dall’art. 2, commi 1 e 2, della legge reg.
Sicilia n. 15 del 2008, adducendo argomenti identici a quelli contenuti
nell’ordinanza di cui al punto 1. quanto alla rilevabilità d’ufficio del vizio,
all’impossibilità di considerarlo parziale con integrazione del bando ai sensi
dell’art. 1339 cod. civ. ed all’applicabilità della normativa censurata a tutti
gli appalti pubblici. Pertanto, il giudice a quo ritiene che la questione di
legittimità costituzionale sollevata sia rilevante, atteso che, in applicazione
della normativa censurata, dovrebbe dichiarare d’ufficio la nullità del bando,
sollecitato in tal senso dalla stessa ricorrente nella memoria depositata in
vista della trattazione del merito del ricorso.
Il rimettente, dopo aver evidenziato le
differenze tra le disposizioni impugnate e quelle contenute nella legge n. 136
del 2010, esclude di poter seguire un’interpretazione che consenta di superare
i dubbi di legittimità costituzionale. A suo dire, le disposizioni censurate
non potrebbero ritenersi tacitamente abrogate per effetto dell’entrata in
vigore della normativa statale in quanto, come ritenuto dal Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione siciliana, nonostante la perfetta
sovrapponibilità, non sussisterebbe il necessario presupposto
dell’incompatibilità assoluta. La disciplina regionale sarebbe dunque
complementare – piuttosto che speciale, come ritenuto dalla giurisprudenza
amministrativa d’appello – rispetto a quella statale. In ultimo, al fine di
superare i dubbi di costituzionalità, non potrebbe invocarsi la clausola di cedevolezza
di cui all’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3), in quanto, secondo il giudice a quo, essa si applicherebbe
solo alle disposizioni regionali vigenti al momento dell’entrata in vigore
della legge che la contempla e soltanto nell’ambito di materie di competenza
legislativa concorrente.
3.– Con ordinanza del 31 gennaio 2014
(reg. ord. n. 80 dell’anno 2014), il Consiglio di giustizia amministrativa per
la Regione siciliana, sezione giurisdizionale, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge reg. Sicilia
n. 15 del 2008 in riferimento all’art. 14, primo comma, lettera g), dello statuto
della Regione siciliana ed agli artt. 3, secondo comma,
24, 27, secondo comma, 97, primo comma, e 117, primo e secondo
comma, lettere e), h) ed l), Cost.
Il rimettente, descrivendo la vicenda
processuale svoltasi davanti a sé, riferisce: a) di essere stato adito in sede
di gravame della sentenza con cui il TAR, in prime cure, aveva rigettato il
ricorso proposto da una società che, tra l’altro, aveva impugnato
l’aggiudicazione ad altra impresa dell’appalto di servizi e lavori di
ristrutturazione relativi al bacino galleggiante di carenaggio ormeggiato nel
porto di Palermo; b) che, nel motivare il rigetto, il TAR aveva escluso la
nullità del bando – dedotta dalla ricorrente nei motivi aggiunti – per
violazione dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008,
ritenendone l’abrogazione in virtù dell’entrata in vigore della legge n. 136
del 2010; c) di aver pronunciato sentenza non definitiva con cui, previa
qualificazione della gara come relativa ad un appalto di servizi, ha respinto
tutti i motivi di appello ad eccezione di quello incentrato sulla violazione
delle disposizioni censurate.
3.1.– Con riferimento alla non manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1
e 2, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008, il rimettente deduce quanto
segue.
3.1.1.– A suo avviso, le disposizioni
contrasterebbero con l’art. 14, primo comma, lettera g), dello statuto della
Regione siciliana sotto due profili, eccedendo i limiti ivi posti alla
competenza legislativa esclusiva della Regione in materia di «lavori pubblici,
eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale».
Anzitutto, l’art. 2 della legge reg.
Sicilia n. 15 del 2008 – applicabile anche agli appalti di servizi, alla
stregua del suo tenore letterale – si riferisce ai soli «lavori», termine che
sarebbe da intendere in senso stretto e, dunque, non comprensivo dell’appalto
di servizi, quale quello oggetto di causa davanti al giudice a quo. In secondo
luogo, per le caratteristiche dell’opera, per l’importanza commerciale del
porto di Palermo e per l’entità economica dell’appalto, si tratterebbe di
un’opera pubblica di interesse prevalentemente nazionale, categoria cui la
normativa censurata si applicherebbe sebbene sia espressamente esclusa
dall’ambito di competenza regionale.
3.1.2.– Inoltre, secondo il rimettente
le disposizioni censurate contrasterebbero altresì con l’art. 3, secondo comma,
Cost. sotto due profili.
In primo luogo, la previsione della
nullità del bando, invalidità assoluta ed irrimediabile che travolgerebbe
l’intera procedura di gara, sarebbe manifestamente ed intrinsecamente
irragionevole, in quanto impedirebbe qualsiasi convalida o sanatoria, con
conseguente inutile dispendio delle risorse utilizzate per l’indizione e lo
svolgimento delle procedure, potenziale perdita di fondi pubblici o comunitari,
esposizione dell’amministrazione a responsabilità, tanto più gravi quanto più
la procedura sia stata portata avanti, e traslazione degli effetti della
violazione normativa imputabile alla stazione appaltante sull’aggiudicatario
incolpevole, ledendone l’affidamento.
In secondo luogo, l’irragionevolezza
delle disposizioni dipenderebbe dalla sproporzione tra la sanzione della
nullità del bando e le finalità perseguite dai due commi censurati
(rispettivamente, tracciabilità dei flussi finanziari e controllo sulle qualità
soggettive dei partecipanti alla gara), circostanza che emergerebbe dal
paragone con la corrispondente disciplina statale.
3.1.3.– Ad avviso del rimettente, le
disposizioni censurate contrasterebbero altresì con gli artt. 3, secondo comma,
e 97, primo comma, Cost., in quanto il principio di proporzionalità e di
autotutela – sotto il profilo della tendenziale emendabilità e della
conservazione dell’azione amministrativa allo scopo di consentirne il dinamico
adeguamento al principio di legalità ed all’interesse pubblico – sarebbero
diretti corollari del buon andamento dell’amministrazione.
3.1.4.– Il Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana sostiene altresì che l’art. 2, commi 1
e 2, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 contrasterebbe con gli artt. 3,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in quanto il principio di
proporzionalità quale sopra delineato – contenuto nel Protocollo
sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità,
introdotto dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 ed allegato al Trattato
che istituisce la Comunità europea – apparterrebbe al diritto dell’Unione
europea ed avrebbe trovato applicazione ad opera della Corte di giustizia
dell’Unione europea in numerose decisioni.
3.1.5.– Ad avviso del rimettente, le
norme censurate violerebbero anche gli artt. 3, secondo comma, 24 e 117,
secondo comma, lettera l), Cost. Prevedendo un vizio di nullità, derogherebbero
all’ordinario regime di annullabilità degli atti amministrativi illegittimi e
comporterebbero sul piano sostanziale l’applicabilità dell’art. 21-septies
della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e, sotto
il profilo processuale, quella dell’art. 31, comma 4, del decreto legislativo 2
luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n.
69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo),
piuttosto che dell’art. 29 del medesimo decreto, con le conseguenze del caso in
ordine alla natura (di accertamento) dell’azione, al termine di esercizio della
stessa, all’opponibilità e rilevabilità d’ufficio, all’insanabilità ai sensi
dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990. Dunque, la previsione della
nullità del bando inciderebbe nelle materie «giurisdizione e norme processuali»
e «giustizia amministrativa», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., poiché si riverbererebbe sul rimedio azionabile in sede processuale. Inoltre,
poiché il regime della nullità sarebbe più sfavorevole per l’amministrazione ed
i controinteressati rispetto a quello dell’annullabilità, verrebbe violato
anche l’art. 24 Cost.
3.1.6.– Secondo il rimettente, l’art. 2,
commi 1 e 2, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 contrasterebbe con l’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. anche perché prevederebbe,
nel caso di stipulazione, la risoluzione dei contratti: per inadempimento nel
primo caso (comma 1, terzo periodo) ed automatica nel secondo (comma 2).
Entrambe le disposizioni censurate introdurrebbero così due ipotesi di
risoluzione contrattuale, che non troverebbero esatta corrispondenza nella
legislazione statale, incidendo nella materia «ordinamento civile».
3.1.7.– Il giudice a quo sostiene
altresì che i commi citati violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., in quanto la disciplina dei bandi relativi alle procedure di
affidamento, quale aspetto qualificante della normativa sugli appalti pubblici,
rientrerebbe nella materia «tutela della concorrenza», ambito di competenza
esclusiva statale, insuscettibile di interferenze da parte delle Regioni,
comprese quelle ad autonomia speciale.
3.1.8.– Il Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana censura specificamente il comma 1 del
menzionato art. 2 della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 per violazione degli
artt. 97, primo comma, e 117, secondo comma, lettera h), Cost. per ragioni
sostanzialmente coincidenti con quelle addotte dal TAR, nelle ordinanze di cui in
epigrafe, a sostegno della violazione del secondo dei citati parametri. Ad
avviso del rimettente, inoltre, la norma violerebbe l’art. 117, secondo comma,
Cost. perché l’art. 3 della legge n. 136 del 2010 costituirebbe – per
contenuto, motivazione politica e sociale ed elevato tasso di innovatività –
norma fondamentale di riforma economico-sociale, tuttora limite generale alla
competenza legislativa degli enti territoriali ad autonomia speciale.
3.1.9.– Il giudice a quo, infine,
censura in maniera specifica anche l’art. 2, comma 2, della legge regionale in
considerazione. A suo avviso, prevedendo per diretta disposizione legislativa
la risoluzione automatica solo del contratto stipulato a seguito di una
procedura svoltasi in Sicilia, la norma violerebbe gli artt. 3, secondo comma,
e 27, secondo comma, Cost. per ragioni sostanzialmente coincidenti con quelle
addotte dal TAR nelle ordinanze di cui in epigrafe a sostegno della violazione
del secondo dei citati parametri. Anche la violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera h), Cost. viene sostenuta dal rimettente con motivazioni
analoghe a quelle contenute nelle citate ordinanze del TAR. In ultimo, secondo
il giudice a quo la norma contrasterebbe con gli artt. 3, secondo comma, e 117,
secondo comma, lettera l), Cost., in quanto avrebbe introdotto e disciplinato
un nuovo effetto penale del rinvio a giudizio, che si tradurrebbe in una
sanzione accessoria di natura civilistica, così disponendo in materia di
ordinamento penale. In tal modo solo per i contratti stipulati a valle di
procedure di evidenza pubblica svoltesi in Sicilia si verificherebbe, del tutto
irragionevolmente, un effetto automatico e definitivo, che non troverebbe
riscontro nella disciplina statale dettata dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del
2006.
3.2.– A proposito della rilevanza, il
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana evidenzia che il
bando impugnato effettivamente non reca le clausole previste a pena di nullità
dall’art. 2, commi 1 e 2, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008. Pertanto,
ove la questione sollevata fosse dichiarata non fondata, l’impugnazione
dovrebbe essere accolta, con declaratoria di nullità del bando ed, in via
derivata, di tutti i successivi atti della procedura, inclusa l’aggiudicazione.
In caso contrario, anche l’ultimo motivo d’appello andrebbe respinto.
Il rimettente evidenzia, inoltre, di non
condividere la tesi sostenuta dal giudice di prime cure, secondo cui la
disposizione censurata sarebbe stata abrogata. Tale risultato non conseguirebbe
né all’introduzione in Costituzione dell’art. 117, secondo comma, lettera h),
come effetto dell’abrogazione totale o parziale dell’art. 14, primo comma,
lettera g), dello statuto della Regione siciliana – in quanto la disposizione
regionale dovrebbe essere rimossa mediante una pronuncia di questa Corte, ove
non intervenisse in tal senso il medesimo legislatore da cui promana – né
implicitamente in conseguenza dell’entrata in vigore dell’art. 3 della legge n.
136 del 2010, in quanto – conformemente all’orientamento giurisprudenziale
espresso dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana –
le due disposizioni non si porrebbero in rapporto di radicale antinomia, ma di
specialità.
Secondo il rimettente, l’abrogazione non
potrebbe derivare nemmeno dall’applicazione dell’art. 10 delle legge 10
febbraio 1953, n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali), in
quanto – prescindendo dalla considerazione che essa opererebbe nell’ambito
delle materie di competenza legislativa concorrente – l’art. 2 della legge reg.
Sicilia n. 15 del 2008 e l’art. 3 della legge n. 136 del 2010 poggerebbero,
almeno in parte, sui medesimi principi.
Infine, ad avviso del giudice a quo,
l’abrogazione delle disposizioni censurate non potrebbe derivare né dal rilievo
che si tratterebbe di un appalto di interesse nazionale ed europeo, né dal
recepimento del codice dei contratti pubblici nell’ordinamento siciliano, né,
infine, dall’art. 46, comma 1-bis, del citato codice, che imporrebbe
esclusivamente la tipizzazione delle cause di esclusione dalla procedura di
affidamento senza disporre in ordine alla validità del bando.
Ritenuta la vigenza della disposizione
censurata e la sua operatività nel caso in esame, il rimettente esclude altresì
di poter qualificare la nullità del bando come parziale, sanabile attraverso il
ricorso agli artt. 1339 e 1419 cod. civ. Indipendentemente dall’applicabilità
al provvedimento amministrativo, ciò sarebbe impedito dal dato normativo
letterale e dall’impossibilità di identificare una norma imperativa, che
preveda la clausola da inserire in sostituzione di quella ipoteticamente
mancante.
4.– Con atto depositato il 1° aprile
2014 è intervenuta la Società cooperativa Culture, ricorrente nel giudizio a quo
pendente davanti al TAR Sicilia, seconda sezione, chiedendo che la questione di
legittimità costituzionale da esso sollevata venga accolta.
5.– Con atto depositato il 1° aprile
2014 è intervenuta la Zimmer s.r.l., soggetto estraneo ai giudizi principali,
che, ai fini della propria legittimazione a partecipare a quello incidentale,
espone di avere un interesse qualificato, in quanto l’esito del giudizio
relativo alla legittimità della gara d’appalto che le è stata aggiudicata
dipenderebbe da quello del giudizio di costituzionalità. In particolare, nella
causa in cui essa è parte sarebbe stata dedotta dal ricorrente la nullità del
bando di gara d’appalto per violazione del censurato art. 2, comma 1, della
legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 ed il TAR avrebbe sospeso il giudizio in
attesa della decisione sulla relativa questione di legittimità costituzionale.
6.– Con atto depositato il 13 giugno
2014 si è costituita la Fincantieri s.p.a., già Fincantieri cantieri navali
italiani s.p.a., ricorrente nel giudizio a quo pendente davanti al Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione siciliana, chiedendo che la questione
di legittimità costituzionale da esso sollevata venga dichiarata inammissibile
o infondata.
6.1.– Nella memoria illustrativa
depositata il 3 febbraio 2015, la Fincantieri s.p.a. sostiene che le censure
del CGA all’art. 2, commi 1 e 2, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008
muoverebbero dall’erroneo presupposto secondo cui alla Regione siciliana,
dotata di autonomia speciale e, secondo l’intervenuta, di competenza
legislativa esclusiva nel settore dei contratti pubblici, sia precluso dettare
una disciplina a tutela del primario interesse alla legalità più severa – come
nella fattispecie – di quella statale, senza sovrapporsi o confliggere con
essa. Viceversa, a dire della Fincantieri s.p.a., iniziative legislative di tal
fatta sarebbero già state avallate dalla giurisprudenza costituzionale
formatasi in tema di ineleggibilità e di incompatibilità per le cariche
elettive locali siciliane, nel cui solco si collocherebbe anche la sentenza di
questa Corte n.
35 del 2012 in tema di tracciabilità dei flussi finanziari, la quale, nel
dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma scrutinata, avrebbe
rilevato come quest’ultima prevedesse una disciplina meno rigorosa di quella
statale e ad essa sovrapponibile. Tali considerazioni, assieme al rilievo della
mancata impugnativa in via principale da parte del Governo, inducono l’intervenuta
a concludere nel senso che le disposizioni censurate – così come l’ulteriore
normativa regionale di contrasto al fenomeno mafioso – non invaderebbero la
materia «ordine pubblico e sicurezza», ma resterebbero nell’ambito di quella
regionale dei «lavori pubblici», anch’essa prevista a livello costituzionale e
non destinata a soccombere rispetto all’altra.
Infine, la Fincantieri s.p.a. esclude
che le disposizioni censurate violino l’art. 97 Cost., atteso che esse
risponderebbero proprio al principio di buon andamento ed all’esigenza di
evitare sprechi e ritardi, impedendo, attraverso la sanzione della nullità del
bando, eventuali collusioni malavitose fin dall’origine e non solo a gara
espletata, in sede contrattuale, quando l’intento dissuasivo e di «prevenzione
anticrimine» perseguito dal legislatore regionale sarebbe notevolmente
depotenziato e la vigilanza degli altri partecipanti grandemente scemata.
1.– Con le ordinanze indicate in
epigrafe, la prima e la seconda sezione del Tribunale amministrativo regionale
per la Sicilia ed il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana, sezione giurisdizionale, hanno sollevato questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 20
novembre 2008, n. 15 (Misure di contrasto alla criminalità organizzata).
In particolare, entrambe le sezioni del
TAR Sicilia censurano le norme in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 27,
secondo comma, 97, primo comma, e 117, secondo comma, lettere h) ed l), della
Costituzione; il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana
solleva questione di legittimità costituzionale delle medesime disposizioni,
oltre che per violazione di detti parametri, anche in riferimento all’art. 14,
primo comma, lettera g), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455
(Approvazione dello statuto della Regione siciliana), ed agli artt. 24 e 117,
primo e secondo comma, lettera e), Cost.
1.1.– L’art. 2 della legge reg. Sicilia
n. 15 del 2008 – come modificato dall’art. 28, comma 1, lettere a) e b), della
legge della Regione siciliana 14 maggio 2009, n. 6 (Disposizioni programmatiche
e correttive per l’anno 2009) – dispone: «1. Per gli appalti di importo
superiore a 100 migliaia di euro, i bandi di gara prevedono, pena la nullità
del bando, l’obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di conto
corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le somme
relative all’appalto.
L’aggiudicatario si avvale di tale conto
corrente per tutte le operazioni relative all’appalto, compresi i pagamenti
delle retribuzioni al personale da effettuarsi esclusivamente a mezzo di
bonifico bancario, bonifico postale o assegno circolare non trasferibile. Il
mancato rispetto dell’obbligo di cui al presente comma comporta la risoluzione
per inadempimento contrattuale. 2. I bandi di gara prevedono, pena la nullità
degli stessi, la risoluzione del contratto nell’ipotesi in cui il legale
rappresentante o uno dei dirigenti dell’impresa aggiudicataria siano rinviati a
giudizio per favoreggiamento nell’ambito di procedimenti relativi a reati di
criminalità organizzata. 3. Gli enti appaltanti verificano il rispetto degli
obblighi di cui ai commi 1 e 2».
I giudici a quibus
adducono motivazioni sostanzialmente coincidenti a sostegno della violazione
dei parametri evocati da tutte le ordinanze di rimessione.
In particolare, entrambi i commi
censurati contrasterebbero con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. I
rimettenti sostengono che la disciplina della tracciabilità dei flussi
finanziari, di cui al comma 1, rientrerebbe nella materia «ordine pubblico e
sicurezza», di competenza legislativa esclusiva dello Stato, specificamente
esercitata con l’adozione dell’art. 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136 (Piano
straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa
antimafia). Al medesimo ambito di competenza sarebbe riconducibile anche l’art.
2, comma 2, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008.
Quest’ultimo, unitamente al terzo
periodo del comma 1, contrasterebbe, altresì, con l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. Nel disciplinare la risoluzione del contratto le due
disposizioni inciderebbero sulla materia «ordinamento civile», di competenza
esclusiva del legislatore statale.
Inoltre, le norme censurate,
violerebbero gli artt. 3, secondo comma, e 97, primo comma, Cost., in quanto la
disciplina da esse dettata sarebbe intrinsecamente irragionevole e
pregiudizievole per il buon andamento dell’amministrazione, rappresenterebbe
occasione di plurime azioni giudiziarie, impedirebbe l’esercizio
dell’autotutela e la convalida in presenza di ragioni di interesse pubblico e
violerebbe il principio di proporzionalità tra finalità perseguita e mezzi
impiegati.
Il solo comma 2, infine, sarebbe in
contrasto con l’art. 27, secondo comma, Cost. (e con l’art. 3, secondo comma,
Cost., ad avviso del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana), correlando, limitatamente agli appalti siciliani, la sanzione
automatica e definitiva della risoluzione contrattuale al mero rinvio a
giudizio, in violazione della presunzione di non colpevolezza fino alla
condanna irrevocabile.
Il Consiglio di giustizia amministrativa
per la Regione siciliana censura, inoltre, entrambe le norme per violazione
dell’art. 14, primo comma, lettera g), dello statuto, in quanto, riferendosi
indistintamente a tutti gli appalti pubblici – anche a quelli di servizi e
forniture – ed a tutte le opere pubbliche, esulerebbe dalla competenza
legislativa esclusiva regionale in materia di «lavori pubblici, eccettuate le
grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale».
Le stesse disposizioni violerebbero
altresì l’art. 117, secondo comma, Cost., sia perché la disciplina dei bandi
relativi alle procedure di affidamento di appalti pubblici rientrerebbe nella
materia «tutela della concorrenza», di cui alla lettera e) del citato articolo,
sia in quanto la previsione di un vizio di nullità in deroga all’ordinario
regime di annullabilità degli atti amministrativi illegittimi riverbererebbe
sul piano processuale, incidendo sul rimedio azionabile nonché sulle concrete
possibilità di difesa dell’amministrazione, con conseguente ingerenza nelle
materie «giurisdizione e norme processuali» e «giustizia amministrativa», di
cui alla lettera l) del parametro evocato.
Risulterebbe, altresì, violato l’art. 24
Cost. – perché il regime della nullità sarebbe più sfavorevole per
l’amministrazione ed i controinteressati rispetto a quello dell’annullabilità –
e gli artt. 3, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in quanto il principio
di proporzionalità apparterrebbe al diritto dell’Unione europea.
Infine, l’art. 2, comma 1, della legge
reg. Sicilia n. 15 del 2008 sarebbe lesivo dell’art. 117, secondo comma, Cost. in
relazione all’art. 3 della legge n. 136 del 2010, che recherebbe norme
fondamentali di riforma economico-sociale, mentre il comma successivo
violerebbe gli artt. 3, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera l), Cost.,
in quanto, limitatamente agli appalti siciliani, avrebbe introdotto e
disciplinato un nuovo effetto penale del rinvio a giudizio, che si tradurrebbe
in una sanzione accessoria di natura civilistica, così disponendo in materia di
«ordinamento penale».
1.2.– Sono intervenute due delle ricorrenti
nei giudizi a quibus – la Società Cooperativa Culture
e la Fincantieri s.p.a., già Fincantieri cantieri navali italiani s.p.a. –
propugnando la prima l’accoglimento delle questioni sollevate e l’altra
l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle stesse, in ragione della
pretesa legittimazione regionale a dettare una disciplina di settore più severa
di quella statale, ad essa non sovrapponibile e meglio rispondente al buon
andamento dell’amministrazione.
È altresì intervenuta in giudizio la Zimmer
s.r.l., soggetto estraneo ai giudizi principali, che assume di essere
portatrice di un interesse qualificato all’intervento in quanto l’esito della
causa in cui essa è parte – relativa alla legittimità della gara d’appalto che
le è stata aggiudicata e successivamente sospesa in attesa della decisione
delle odierne questioni di legittimità costituzionale – dipenderebbe da quello
dell’incidente di costituzionalità.
2.– Le questioni sollevate con le
ordinanze in epigrafe hanno ad oggetto le stesse norme, censurate in
riferimento a parametri e con argomentazioni in larga misura coincidenti. Va
quindi disposta la riunione dei giudizi, ai fini di un’unica pronuncia.
3.– Deve essere dichiarato inammissibile
l’intervento in giudizio della Zimmer s.r.l.
Per costante giurisprudenza di questa
Corte, possono partecipare al giudizio di legittimità costituzionale le sole
parti del giudizio principale ed i terzi portatori di un interesse qualificato,
immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio e non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura
(ex plurimis, ordinanza letta in
udienza ed allegata alla sentenza n. 236 del 2014).
Secondo un orientamento altrettanto
costante, non è rilevante, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento, la
circostanza secondo cui il giudizio, di cui è parte il soggetto che aspiri a
intervenire, sia stato sospeso in attesa dell’esito di quello incidentale di
legittimità costituzionale scaturito da altro indipendente giudizio, «"essendo
evidente che la contraria soluzione si risolverebbe nella sostanziale
soppressione del carattere incidentale del giudizio di legittimità
costituzionale e nell’irrituale esonero del giudice a quo dal potere-dovere di
motivare adeguatamente la rilevanza e la non manifesta infondatezza della
questione sottoposta al vaglio della Corte” (sentenza n. 470 del
2002; ordinanza
n. 179 del 2003; ordinanza n. 119
del 2008; sentenza
n. 151 del 2009)» (ordinanza letta in
udienza ed allegata alla sentenza n. 304 del 2011).
4.– In punto di rilevanza, si osserva
che le questioni sono state sollevate in giudizi principali aventi ad oggetto
l’impugnativa di atti relativi a procedure di evidenza pubblica per
l’affidamento di servizi o forniture, i cui bandi di gara non presentavano il
contenuto prescritto a pena di nullità dall’art. 2, commi 1 e 2, della legge reg.
Sicilia n. 15 del 2008. Si tratta di un profilo che tutti i rimettenti
ritengono, conformemente al diritto vivente formatosi sul punto, di dover
rilevare d’ufficio, con riverbero sull’esito del giudizio.
Al riguardo, tuttavia, occorrono alcune
precisazioni circa la controversa abrogazione del censurato art. 2, comma 1,
della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 ad opera dell’art. 3 della legge n. 136
del 2010 e del suo preteso recepimento dal parte del legislatore regionale
attraverso la legge della Regione siciliana 12 luglio 2011, n. 12 (Disciplina
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Recepimento del
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche ed
integrazioni e del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 e successive modifiche ed
integrazioni. Disposizioni in materia di organizzazione dell’Amministrazione
regionale. Norme in materia di assegnazione di alloggi. Disposizioni per il
ricovero di animali).
Il TAR Sicilia – nell’ordinanza di
rimessione n. 28 del 2014 – ed il Consiglio di giustizia amministrativa per la
Regione siciliana escludono espressamente l’effetto abrogativo, così aderendo
al prevalente (ma non univoco) orientamento formatosi in seno alla
giurisprudenza amministrativa siciliana.
Alla luce del contrasto giurisprudenziale
e delle non incoerenti argomentazioni dei rimettenti, questa Corte non può che
rilevare come «ragioni essenziali di certezza del diritto» impongano di
scrutinare nel merito le questioni di legittimità costituzionale proposte (sentenza n. 272 del
2010), esame che sarebbe comunque necessario con riferimento a quelle
sollevate dal TAR con l’ordinanza di rimessione n. 27 del 2014, in cui il
controverso effetto abrogativo sarebbe comunque irrilevante ratione
temporis.
5.– Ciò premesso, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge reg. Sicilia
n. 15 del 2008, sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera
h), Cost., è fondata.
5.1.– Come questa Corte ha già avuto
modo di affermare, l’attività contrattuale della pubblica amministrazione «non
può identificarsi in una materia a sé, ma rappresenta […] un’attività che
inerisce alle singole materie sulle quali essa si esplica. Ne consegue che i
problemi di costituzionalità sollevati […] devono essere esaminati in rapporto
al contenuto precettivo delle singole disposizioni impugnate, al fine di
stabilire quali siano gli ambiti materiali in cui esse trovano collocazione» (sentenza n. 401 del
2007). Ciò soprattutto «alla luce della ratio dell’intervento legislativo
[…] così da identificare correttamente anche l’interesse tutelato» (ex plurimis, sentenza n. 69 del
2011).
In applicazione di detti criteri, l’art.
2, commi 1 e 2, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 va senz’altro
ricondotto alla materia, di esclusiva competenza statale, «ordine pubblico e
sicurezza», che, per costante giurisprudenza di questa Corte, ha per oggetto le
«misure relative alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine
pubblico» (ex plurimis, sentenza n. 118 del
2013).
Infatti, da un lato, appartiene a detto
ambito di competenza la tracciabilità dei flussi finanziari pubblici attraverso
l’utilizzo di un unico conto corrente (sentenza n. 35 del
2012), oggetto del censurato comma 1; dall’altro, la finalità perseguita
dalla disposizione è proprio quella di prevenzione e contrasto della
criminalità organizzata, così come emerge dai lavori preparatori nonché dalla
stessa denominazione della legge regionale («Misure di contrasto alla
criminalità organizzata») e del suo Titolo I («Disposizioni per la legalità e
il contrasto alla criminalità organizzata»), in cui è compreso l’art. 2.
D’altra parte, la norma utilizza una
tecnica corrispondente proprio a quella successivamente impiegata dall’art. 3
della legge n. 136 del 2010 – al precipuo scopo di prevenire i «reati che
possano originarsi dal maneggio del pubblico denaro, con riferimento
soprattutto all’infiltrazione criminale e al riciclaggio» (sentenza n. 35 del
2012) – per farne applicazione nel medesimo settore, quello degli appalti
pubblici.
Le considerazioni svolte a proposito
dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 valgono anche per
il comma 2 del medesimo articolo.
La disposizione, infatti, è collocata
nello stesso contesto normativo dell’altra e sancisce anch’essa la nullità del
bando per mancata previsione della risoluzione contrattuale, nel caso in cui il
rappresentante legale o un dirigente dell’impresa aggiudicataria venga rinviato
a giudizio, rispondendo alla medesima finalità di prevenzione e contrasto
dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti
pubblici, resa ancor più marcata dal riferimento all’istituto processual-penalistico del rinvio a giudizio per
«favoreggiamento nell’ambito di procedimenti relativi a reati di criminalità
organizzata».
Tale nullità del bando non è prescritta
dalla legislazione statale, che diversamente – oltre a contemplare cause di
esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento di concessioni ed
appalti e di divieto di stipulazione dei contratti (art. 38 del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE») – prevede con riferimento ad evenienze analoghe a quella di cui
alla norma censurata, per il tramite dell’informazione antimafia interdittiva,
l’inibizione alla stipulazione, approvazione o autorizzazione del contratto ed
il potere di recederne, nel caso sia stato concluso (artt. 84, comma 4, lettera
a, e 94 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante «Codice delle
leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in
materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge
13 agosto 2010, n. 136»).
Le considerazioni che precedono
consentono di affermare che la finalità delle norme impugnate, l’oggetto
materiale su cui incidono e gli strumenti normativi impiegati gravitano nel
campo occupato dalla normativa statale nell’esercizio della competenza
esclusiva in materia di «ordine pubblico e sicurezza», rispetto alla quale il
legislatore regionale è estraneo (sentenza n. 35 del
2012), senza che possa essere invocata l’autonomia speciale statutariamente
accordata alla Regione siciliana (sentenza n. 55 del
2001).
D’altra parte, nel caso in esame vengono
in rilievo misure specifiche di prevenzione e contrasto alla criminalità
organizzata, il cui carattere fondamentale consiste proprio nella conformazione
uniforme su tutto il territorio dello Stato e nella coerenza sistematica con
l’intero impianto della legislazione nazionale, finalizzata a combattere la
penetrazione della malavita nelle commesse pubbliche.
6.– In ragione della stretta ed
inscindibile connessione con le norme sopra richiamate, delle quali
presuppongono l’applicazione, deve essere dichiarata, ai sensi dell’art. 27
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale in via
consequenziale dell’art. 2, comma 3, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008.
7.– Ogni ulteriore profilo di censura
rimane assorbito.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge della
Regione siciliana 20 novembre 2008, n. 15 (Misure di contrasto alla criminalità
organizzata);
2) dichiara
in via consequenziale – ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) –
l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione
siciliana n. 15 del 2008.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2015.