Ordinanza n. 21 del 2015

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ORDINANZA N. 21

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                 CRISCUOLO                        Presidente

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                       Giudice

-           Giuseppe                    FRIGO                                           ”

-           Paolo                          GROSSI                                        ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Sergio                         MATTARELLA                            ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), di interpretazione autentica dell’art. 26, comma 4, terzo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Padova nel procedimento vertente tra l’Azienda Padova Servizi Spa e l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Padova 1, con ordinanza del 19 ottobre 2004, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 2015 il Giudice relatore Marta Cartabia.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso dalla società Azienda Padova Servizi spa contro il diniego del rimborso di ritenute su interessi maturati su conti correnti bancari e postali nel 1998, la Commissione tributaria provinciale di Padova, con ordinanza del 19 ottobre 2004 – pervenuta alla Corte il 17 dicembre 2013, restituita in pari data per difetti nelle notificazioni, nuovamente pervenuta il 1° agosto 2014 (r.o. n. 156 del 2014) – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53, 101, 102 e 108 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), nella parte in cui dispone con efficacia retroattiva che l’art. 26, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), deve intendersi nel senso che la ritenuta sugli interessi e sui redditi da capitale, prevista nello stesso art. 26, si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG);

che, secondo quanto espone la Commissione rimettente, la società ricorrente è stata costituita il 10 dicembre 1998 dal Comune di Padova mediante la trasformazione di una azienda speciale e il conferimento di altre due;

che, nel 1998, i redditi conseguiti dalle tre aziende speciali non erano soggetti all’IRPEG, giacché tali aziende godevano del regime fiscale transitorio di cui all’art. 66, comma 14, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 (Armonizzazione delle disposizioni in materia di imposte sugli oli minerali, sull’alcole, sulle bevande alcoliche, sui tabacchi lavorati e in materia di IVA con quelle recate da direttive CEE e modificazioni conseguenti a detta armonizzazione, nonché disposizioni concernenti la disciplina dei Centri autorizzati di assistenza fiscale, le procedure dei rimborsi di imposta, l’esclusione dall’ILOR dei redditi di impresa fino all’ammontare corrispondente al contributo diretto lavorativo, l’istituzione per il 1993 di un’imposta erariale straordinaria su taluni beni ed altre disposizioni tributarie), come sostituito, in sede di conversione, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427;

che, in virtù di tale regime transitorio, nei confronti delle aziende speciali valevano le disposizioni tributarie applicabili all’ente territoriale di appartenenza e, dunque, anche l’esclusione dall’IRPEG e da ogni forma sostitutiva di imposizione diretta, prevista per i Comuni dall’art. 88 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), come sostituito dall’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale), introdotto, in sede di conversione, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403;

che, pertanto, ad avviso del giudice a quo, gli interessi maturati sui conti correnti bancari e postali delle tre aziende speciali non avrebbero dovuto subire le ritenute di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, le quali ciononostante avevano avuto luogo in forza dell’inciso contenuto nel citato art. 26 – come sostituito dall’art. 12, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 (Riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi, a norma dell’articolo 3, comma 160, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) – al terzo periodo del comma 4, secondo cui tali ritenute «sono applicate a titolo d’imposta nei confronti dei soggetti esenti dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche ed in ogni altro caso»;

che, prosegue la Commissione rimettente, era poi intervenuta la legge n. 28 del 1999, il cui art. 14 prevede che l’art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, «riguardante l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti, deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche»;

che, secondo la giurisprudenza di legittimità citata dal giudice a quo, l’anzidetto art. 14 chiarisce che le ritenute in questione si applicano anche ai soggetti esclusi dall’IRPEG, oltre che a quelli esenti, e costituisce norma d’interpretazione autentica, per sua natura assistita da efficacia retroattiva;

che, ciò premesso, in punto di rilevanza la Commissione tributaria provinciale afferma che la soluzione della controversia sottoposta al suo esame dipende dall’applicazione della norma interpretativa, la quale osta al rimborso richiesto;

che il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale di tale norma, ritenendo che essa abbia, in realtà, carattere innovativo e retroattivo;

che, come ricorda la stessa Commissione rimettente, la Corte costituzionale, con ordinanza n. 174 del 2001, ha dichiarato manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, come interpretato autenticamente dall’art. 14 della legge n. 28 del 1999, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.; tuttavia, ad avviso della rimettente, tale pronuncia non ha affrontato «la questione di legittimità relativa alla portata retroattiva della disposizione interpretativa»;

che, in merito al citato art. 14, sul presupposto della sua natura innovativa e con riguardo alla sua efficacia retroattiva, la Commissione rimettente solleva diversi dubbi di legittimità costituzionale: a) per violazione dell’art. 53 Cost., a causa dello sfasamento temporale tra il presupposto impositivo, ossia la percezione degli interessi, e l’approvazione della norma in questione; b) per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto la stessa norma avrebbe operato una «lesione del principio dell’affidamento nella certezza del diritto», modificando retroattivamente il significato della disposizione interpretata, nel quale i contribuenti avevano riposto fiducia, e così sacrificando la loro posizione «in assenza di uno stato di necessità e/o di un contemperamento (ragionevole) degli interessi in gioco»; c) per violazione del principio di ragionevolezza sotto altro profilo, perché la norma in questione avrebbe legittimato a posteriori una imposizione indebita, nonché un rifiuto di rimborso non conforme ai dati normativi e sistematici del tempo; d) per violazione degli artt. 101, 102 e 108 Cost., «attraverso lesione di principi di autonomia ed indipendenza degli organi giurisdizionali»;

che, con atto depositato il 21 ottobre 2014, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata;

che, secondo la difesa erariale, la questione sarebbe inammissibile per insufficienza della motivazione sulla rilevanza, giacché il giudice a quo non avrebbe verificato la possibilità di decidere la controversia applicando non la norma interpretativa in questione, bensì semplicemente l’art. 26, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973 vigente nel periodo di riferimento per l’imposizione;

che, infatti, tale disposizione avrebbe contemplato le ritenute sui redditi da capitale nei confronti dei soggetti «esenti» dall’IRPEG e «in ogni altro caso»; la norma interpretativa sarebbe intervenuta solo a chiarire il significato della seconda clausola («in ogni altro caso»), ma non con riguardo alla fattispecie dei soggetti «esenti», rispetto alla quale la norma stessa sarebbe dunque irrilevante;

che, prosegue la difesa erariale, in alternativa la Commissione rimettente, qualora avesse preferito qualificare le aziende speciali come soggetti non «esenti», ma «esclusi» dall’IRPEG, avrebbe ugualmente potuto prescindere dalla norma interpretativa e applicare direttamente la clausola di chiusura («in ogni altro caso») di cui all’art. 26, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 461 del 1997, in vigore dal 1° luglio 1998;

che, nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato rileva che i dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge n. 28 del 1999 sarebbero già stati risolti negativamente dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 208 del 2001 e nell’ordinanza n. 428 del 2006; quest’ultima, in particolare, avrebbe escluso la lesione dell’affidamento dei contribuenti, l’illegittimità costituzionale della retroattività della norma, nonché l’interferenza con l’esercizio delle funzioni giudiziarie.

Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Padova, con ordinanza del 19 ottobre 2004 (r.o. n. 156 del 2014), dubita, in riferimento agli artt. 3, 53, 101, 102 e 108 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), nella parte in cui dispone con efficacia retroattiva che l’art. 26, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), deve intendersi nel senso che la ritenuta sugli interessi e sui redditi da capitale, prevista nell’art. 26 citato, si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG);

che la questione è stata sollevata nel corso di un giudizio, in cui la Commissione tributaria deve pronunciarsi sull’applicabilità o meno della predetta ritenuta agli interessi maturati nel 1998 sui conti correnti bancari e postali di tre aziende speciali del Comune di Padova, alle quali era succeduta una società per azioni costituita dallo stesso Comune;

che, ad avviso del giudice rimettente, per tali aziende speciali trovava applicazione, nel caso, il regime fiscale transitorio di cui all’art. 66, comma 14, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 (Armonizzazione delle disposizioni in materia di imposte sugli oli minerali, sull’alcole, sulle bevande alcoliche, sui tabacchi lavorati e in materia di IVA con quelle recate da direttive CEE e modificazioni conseguenti a detta armonizzazione, nonché disposizioni concernenti la disciplina dei Centri autorizzati di assistenza fiscale, le procedure dei rimborsi di imposta, l’esclusione dall’ILOR dei redditi di impresa fino all’ammontare corrispondente al contributo diretto lavorativo, l’istituzione per il 1993 di un’imposta erariale straordinaria su taluni beni ed altre disposizioni tributarie), come sostituito, in sede di conversione, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e, di conseguenza, lo stesso regime tributario applicabile al Comune, compresa l’esclusione dall’IRPEG e da ogni forma sostitutiva di imposizione diretta, ai sensi dell’art. 88 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), come sostituito dall’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale), introdotto, in sede di conversione, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403;

che, secondo la Commissione tributaria provinciale, a norma dell’art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, la ritenuta sugli interessi e sui redditi da capitale di cui al medesimo art. 26 era applicabile solo nei confronti dei soggetti esenti, e non di quelli esclusi dall’IRPEG; pertanto, assoggettando anche tale seconda categoria di enti alla ritenuta, l’art. 14 della legge n. 28 del 1999 – che pure si qualifica, anche nella rubrica, come interpretazione autentica del citato art. 26, comma 4, terzo periodo del d.P.R. n. 600 del 1973 – in realtà avrebbe innovato rispetto a quanto previsto in tale disposizione;

che, stabilendo tale innovazione con efficacia anche retroattiva, l’art. 14 della legge n. 28 del 1999, ad avviso del giudice a quo, si porrebbe in contrasto con l’art. 53 Cost., per lo sfasamento temporale tra il presupposto dell’imposizione, vale a dire la percezione degli interessi, e l’approvazione della norma impositiva; con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., sia per aver leso l’affidamento dei cittadini, sia per avere legittimato a posteriori un’imposizione non conforme alle norme vigenti nel momento in cui essa aveva avuto luogo; con gli artt. 101, 102 e 108 Cost., «attraverso lesione di principi di autonomia ed indipendenza degli organi giurisdizionali»;

che l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione per insufficienza della motivazione sulla rilevanza, in quanto il giudice a quo non avrebbe verificato la possibilità di decidere la controversia, comunque nel senso del rigetto del ricorso, applicando non la norma interpretativa in questione, bensì direttamente la disposizione interpretata;

che l’eccezione va respinta, poiché la Commissione rimettente ha argomentato in ordine alla ritenuta impossibilità di definire il processo principale indipendentemente dalla soluzione della questione sollevata e la Corte può interferire su tale valutazione solo se essa, a prima vista, appare assolutamente priva di fondamento (sentenze n. 106 del 2013 e n. 242 del 2011);

che, tuttavia, l’ordinanza di rimessione – trasmessa, come già rimarcato, con patologico ritardo – muove da premesse ermeneutiche che questa Corte già da tempo, più volte, ha chiarito di non condividere (ordinanze n. 428 del 2006 e n. 313 del 2002);

che, infatti, questa Corte ha ritenuto non implausibile la tesi secondo cui gli enti pubblici, compresi i Comuni, non soggetti all’IRPEG ai sensi dell’art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986, come sostituito dall’art. 4, comma 3-bis, del d.l. n. 310 del 1990, introdotto, in sede di conversione, dalla legge n. 403 del 1990, erano da qualificare come soggetti esenti, e non esclusi, dall’imposta; e, di conseguenza, nei loro confronti – oltre che «in ogni altro caso», rispetto a quelli specificamente menzionati nel comma 4 dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 – l’applicazione della ritenuta a titolo di imposta era legittima in base al terzo periodo del citato comma 4;

che analoghe considerazioni valgono con riguardo al comma quarto del citato art. 26, nel testo anteriore alla novella di cui all’art. 12, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 (Riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi, a norma dell’articolo 3, comma 160, della legge 23 dicembre 1996, n. 662);

che pure si è affermato che, pertanto, il censurato art. 14 della legge n. 28 del 1999 è intervenuto a chiarire che la ritenuta di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 era applicabile ai Comuni – nonché alle aziende speciali a essi appartenenti, in quanto soggette alle medesime disposizioni tributarie – sia che li si qualificasse come enti esenti dall’IRPEG, sia che li si qualificasse come enti esclusi; tale orientamento è stato condiviso anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha altresì affermato il carattere interpretativo della disposizione in questione;

che, pertanto, data l’obiettiva incertezza della disposizione interpretata e la plausibilità dell’interpretazione recata dalla norma censurata, quest’ultima, quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., non ha leso alcun affidamento dei contribuenti, né ha legittimato un’imposizione che, in precedenza, potesse univocamente ritenersi indebita, né tantomeno, quanto alla dedotta violazione degli artt. 101, 102 e 108 Cost., ha determinato interferenze con l’esercizio della funzione giudiziaria, giacché ha posto una disciplina generale e astratta sull’interpretazione di una disposizione anteriore, operando su un piano diverso da quello dell’applicazione giudiziale delle norme (ordinanza n. 428 del 2006);

che, per le stesse ragioni, accertata la natura interpretativa della norma denunciata, non può ritenersi violato l’art. 53 Cost. (sentenza n. 175 del 1974), manifestando anzi l’intervento legislativo in questione, nel quadro della complessiva vicenda normativa richiamata, un carattere di prevedibilità che, come ritenuto in altre occasioni da questa Corte (sentenze n. 410 e n. 14 del 1995, n. 315 del 1994), può considerarsi un indice significativo del permanere della capacità contributiva;

che, pertanto, le questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Padova sono manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 53, 101, 102 e 108 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Padova, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2015.