SENTENZA N. 175
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 25 febbraio 1971, n. 110 (Interpretazione autentica dell'art. 15 della legge 9 ottobre 1957, n. 976, concernente provvedimenti per la salvaguardia del carattere storico, monumentale e artistico della città e del territorio di Assisi nonché per conseguenti opere di interesse igienico e turistico, e nuove norme per l'applicazione della legge stessa), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 26 febbraio 1972 dal pretore di Assisi nel procedimento penale a carico di Colussi Giacomo, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 134 del 24 maggio 1972;
2) ordinanza emessa il 12 aprile 1973 dal tribunale di Perugia nel procedimento civile vertente tra la società Eurolene e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 198 del 1 agosto 1973;
3) ordinanze emesse dal tribunale di Roma il 24 giugno 1972, il 16 novembre 1972, il 20 dicembre 1972 ed il 12 febbraio 1973 in 44 procedimenti civili vertenti tra la società Montesubasio ed altri e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritte nel registro ordinanze ai nn. 373 dell'anno 1972, da 7 a 15, da 32 a 34, da 72 a 81, da 114 a 127, 209, 210, 352, 364 e 365 dell'anno 1973, 27 e 28 dell'anno 1974 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21 del 24 gennaio 1973, n. 48 del 21 febbraio 1973, n. 62 del 7 marzo 1973, n. 95 dell'11 aprile 1973, n. 133 del 23 maggio 1973, n. 198 del 1 agosto 1973, n. 263 del 10 ottobre 1973, n. 276 del 24 ottobre 1973 e n. 62 del 6 marzo 1974.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione dell'Amministrazione delle finanze dello Stato;
visti gli atti di costituzione di Giacomo Colussi, del Banco di Napoli, della Banca nazionale del lavoro e delle società Biscotti Colussi, Montesubasio, Ci.Ro.Ghi., Equador, Le Assicurazioni d'Italia, Zoovit, Eurolene, Le Assicurazioni generali, Italia Assicurazioni, Assicuratrice industriale, Toro assicurazioni, Riunione adriatica di sicurtà, Reale mutua assicuratrice, Lloyd Italico e l'Ancora, l'Abeille e Italiana cauzioni;
udito nell'udienza pubblica del 30 aprile 1974 il Giudice relatore Edoardo Volterra;
uditi gli avvocati Massimo Severo Giannini, Enrico Allorio, Luigi Giacomo Scassellati Sforzolini, Giovanni Antonio Micheli, Aldo Sandulli, Giorgio Balladore Pallieri, Antonio Sorrentino, Ferruccio Carboni Corner, Gastone Piperno, Demetrio Nava, Arturo Dalmartello, Giulio d'Amelio, Salvatore Villari e Riccardo Capobianco, per le parti private;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione delle finanze dello Stato.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di 44 giudizi di opposizione ad ingiunzione fiscale, il tribunale di Roma, con ordinanze identicamente motivate, emesse il 24 giugno, il 16 novembre, il 20 dicembre 1972 e il 12 febbraio 1973, ha promosso questione di legittimità costituzionale della legge 25 febbraio 1971, n. 110, in riferimento agli artt. 53, primo comma, e 41, primo comma, della Costituzione.
La legge in esame, che si qualifica come interpretazione autentica dell'art. 15 della legge 9 ottobre 1957, n. 976, stabilisce che la sfera di applicazione della citata disposizione deve intendersi riferita ai seguenti tributi, afferenti il reddito prodotto dalle imprese artigiane o industriali che hanno istituito i loro impianti nel territorio di Assisi a norma del predetto articolo: 1) l'imposta sul reddito di ricchezza mobile; 2) l'imposta comunale sulle industrie, i commerci, le arti, le professioni e la relativa addizionale provinciale; 3) l'imposta di patente.
Secondo il tribunale, la legge impugnata, benché definita di interpretazione autentica della precedente legge del 1957, sarebbe, in realtà, una legge a contenuto innovativo e con effetto retroattivo.
A sostegno dell'assunto, le ordinanze rilevano, anzitutto, che il giudice non é vincolato alla definizione testuale della legge per coglierne l'intimo contenuto, ma deve condurre una indagine autonoma in tal senso. Compito delle leggi interpretative é quello di rimuovere situazioni di obbiettiva e ragionevole incertezza sulla legge interpretata. Secondo il tribunale, la legge del 1957 non presentava alcuna incertezza, poiché concedeva l'esonero da tutti i tributi, secondo la sua lettera; secondo la sua ratio, le finalità di incentivazione del territorio d'Assisi potevano raggiungersi mercé l'esenzione anche dei tributi indiretti. Dato che la legge n. 110 del 1971 ha imposto una diversa interpretazione della legge del 1957, essa ha carattere innovativo, e dovrebbe valere solo ex nunc. Invece la legge si applica anche alle situazioni pregresse.
In ciò sarebbero da ravvisare, ad avviso del tribunale, due possibili violazioni costituzionali:
- art. 53, primo comma, della Costituzione, in quanto, prendendo in considerazione situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, la legge n. 110 può spezzare il nesso tra capacità contributiva ed imposizione. Ipotesi del tutto verosimile, proseguono le ordinanze, poiché le imprese hanno tenuto conto, nei loro bilanci, delle già disposte esenzioni; né la legge del 1971, emanata a molti anni dalla legge del 1957, detta criteri per accertare il permanere della capacità contributiva degli imprenditori;
- art. 41, primo comma, della Costituzione, in quanto la legge del 1971, per effetto della sua retroattiva applicazione, avrebbe frustrato i calcoli degli imprenditori sulla convenienza di impiantare le industrie nel territorio di Assisi. Libero il legislatore di concedere, o meno, incentivi fiscali, é dubbio che li possa revocare, senza concretamente incidere sulla piena libertà di azione dell'imprenditore, con una sorta di sopravvenienza passiva a questi non imputabile.
2. - Analoghe questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dal pretore di Assisi e dal tribunale di Perugia, con ordinanze emesse rispettivamente il 26 febbraio 1972 e il 12 aprile 1973.
I giudici a quo ravvisano anche una violazione dell'art. 3 della Costituzione da parte della legge n. 110 del 1971.
Infatti il pretore di Assisi osserva che la legge n. 976 del 1957 aveva, all'art. 16, concesso esenzione da ogni imposta e tributo erTimes New Romane anche ai nuovi impianti alberghieri. Lo scopo di tale legge sarebbe stato, quindi, quello di incentivare tutte quelle attività che potessero risollevare economicamente la zona di Assisi, concedendo agevolazioni tali da incrementare il turismo e l'industria, risolvendo anche il problema della disoccupazione e del sottosviluppo.
Con la legge n. 110, viceversa, si sarebbe ristretto il campo di applicazione dell'art. 15 lasciando immutato il successivo art. 16.
Ora mentre il pretore non dubita che il legislatore possa creare situazioni di favore diverse a seconda della qualifica imprenditoriale ed abrogare, per determinate categorie di operatori economici, benefici già concessi, a seconda delle esigenze del momento, ritiene però che tanto non possa farsi con una legge che si definisce interpretativa a meno di creare una diversità di trattamento lesiva del principio di uguaglianza. Non vi sarebbe dubbio, infatti, che gli artt. 15 e 16 della legge n. 976 siano di portata pressoché identica e per il contenuto e per gli scopi. Nel caso in esame la nuova normativa avrebbe creato una ingiustificata, arbitraria ed incostituzionale diversità di trattamento tra gli albergatori e gli altri industriali.
Il tribunale di Perugia rileva che la legge n. 110 del 1971 appare viziata di incostituzionalità, avendo derogato ad un principio generale dell'ordinamento (art. 11 disp. prel.) senza che sussista una valida ragione che possa giustificare la deroga a quel principio, e riservando agli imprenditori prima incentivati un trattamento arbitrariamente sfavorevole per il fatto di revocare ex tunc benefici fiscali inizialmente concessi onde indurli ad iniziative economiche che altrimenti non avrebbero intrapreso.
3. - Le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
Nei procedimenti é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si é costituito il Ministero delle finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato.
Nel chiedere che le questioni proposte vengano dichiarate infondate, l'Avvocatura osserva che l'art. 15 della legge n. 976 del 1957 non fu oggetto di alcuna discussione in sede parlamentare, sul tacito presupposto che si trattasse delle imposte dirette, inerenti alla attività dei nuovi stabilimenti industriali. Senonché, in sede di interpretazione giudiziaria, dopo oscillanti decisioni delle magistrature di merito, la Corte suprema di cassazione, con la sentenza 10 aprile 1968, stabilì che l'esenzione decennale di cui al citato art. 15 del 1957 si applicava a tutte le imposte, sia dirette che indirette.
Ma tuttavia la Corte, in un passo della motivazione, affermava che, se nella legge non era stata dettata alcuna specifica regolamentazione dei tributi indiretti, ciò si rappresentava "solo sotto l'aspetto di una deficienza di tecnica legislativa, la quale non autorizza l'interprete ad attribuire alla legge un significato diverso e più ristretto di quello che, secondo la loro connessione, le parole adoperate abbiano voluto esprimere in piena aderenza con la ratio della legge stessa e tanto meno a negarle la sua immediata efficacia".
Con l'interpretazione più larga adottata dalla Corte suprema si ebbe una vera e propria corsa alla esenzione nel territorio di Assisi, che funzionò come punto franco per l'importazione, e, molte volte, per il successivo smistamento delle merci nel restante territorio nazionale, libere da ogni tributo (comprese le imposte doganali).
Onde ovviare a questi gravissimi inconvenienti, che esponevano l'Italia anche nei confronti della CEE, furono presentate nella passata legislatura varie proposte di legge alla Camera che, unificate nella discussione, dopo un travagliato iter parlamentare, e col parere favorevole del Governo, diedero vita alla legge n. 110 del 1971.
I lavori preparatori mostrerebbero la reale intenzione del legislatore di rimediare al conflitto che si era creato tra Amministrazione finanziaria e Corte suprema di cassazione, nell'interpretazione della legge del 1957. Un conflitto che, peraltro, passava anche all'interno della stessa magistratura ordinaria, in quanto giudici di merito avevano in precedenza optato per la tesi sempre sostenuta dall'Amministrazione.
Ricorrevano, quindi, secondo l'Avvocatura, tutti i presupposti perché potesse farsi luogo ad una legge interpretativa.
Se la legge ha natura interpretativa, prosegue l'Avvocatura, il discorso sulla sua ragionevolezza ai fini del principio di eguaglianza, sulla capacità contributiva e sulla libertà di impresa, introdotto dal tribunale, non ha ragione di sussistere. Esso potrebbe avere una validità astratta, se si potesse parlare di retroattività di tal tipo di leggi, in senso proprio.
In conclusione: sarebbe un "naturale" della legge n. 110 del 1971 che essa faccia tutto un corpo con la legge n. 976 del 1957; conseguentemente non é la legge del 1971 che proietta i suoi effetti all'indietro, ma é la legge del 1957 che, interpretata autenticamente dalla legge del 1971, proietta i suoi effetti in avanti, secondo le regole ermeneutiche generali.
Considerando l'ipotesi messa a base delle ordinanze, cioè la natura innovativa della legge denunciata, o comunque la natura innovativa della sua interpretazione, con effetti anche sulle situazioni pregresse, si osserva in relazione all'art. 3 Cost. che le ordinanze non denunciano, in realtà, la violazione di disposizioni costituzionali ma la violazione dell'art. 11 delle "preleggi", che ha forza di legge ordinaria, e perciò non può essere utilmente invocata come termine di raffronto.
Invocare l'"irragionevolezza" e l'"arbitrarietà" della deroga al principio di irretroattività della legge non sarebbe sufficiente a configurare una violazione del principio di eguaglianza, se non si individui in che cosa si verifichi la disuguaglianza.
Se si vuole ravvisare la disuguaglianza nella diversità delle aree normative, quella del 1957 e quella del 1971, può rilevarsi che la legge "sperequante" era quella del 1957, mentre quella del 1971 non ha fatto altro che ricondurre nell'alveo della pur condicio gli imprenditori di Assisi.
Quanto all'art. 53 Cost. il richiamo sarebbe viziato da un equivoco di fondo: l'avere confuso la situazione base da cui il legislatore desume la capacità contributiva del soggetto con la capacità stessa.
In materia di imposte indirette, la capacità contributiva sarebbe insita nel compimento degli atti tassati (acquisto e vendita di materie prime impiegate nelle lavorazioni degli stabilimenti).
E nella specie il presupposto sarebbe appunto l'atto di importazione, che determina l'obbligo del pagamento del diritto doganale. In altri termini, dal momento in cui l'operatore importa e fa passare alla merce la linea doganale, dimostra di avere la capacità contributiva all'atto che compie: all'opposto, la mancanza di quella capacità potrebbe essere solo dimostrata dal mancato compimento dell'atto di importazione (ma allora non si verificherebbe il presupposto del tributo).
La legge in esame, su di un piano più generale, avrebbe operato un'unificazione della situazione tributaria nel territorio di Assisi, rispetto a tutte le altre regioni e a tutti gli altri contribuenti in Italia. Si tratterebbe, cioè, non già di compressione, sibbene dell'eliminazione di un ostacolo alla naturale corsa di espansione dell'art. 53 della Costituzione.
In ordine al preteso contrasto della legge impugnata col principio della libertà di impresa, sarebbe chiaro che la denuncia delle ordinanze si fonda su di una interpretazione non giuridica dell'art. 41, primo comma, Cost., ma su di una interpretazione permeata esclusivamente di dati economici e di mero fatto, perciò indifferenti per il giurista.
Le diverse interpretazioni date dai giudici di merito all'art. 15 sarebbero sufficienti a dimostrare che gli operatori economici sapevano a quale rischio andavano incontro sperando solo nella interpretazione più liberale, tanto più quando era fermamente emersa l'interpretazione più rigida dell'Amministrazione finanziaria. Quindi non ci sarebbe stata alcuna sorpresa né violazione della buona fede o delle legittime aspettative degli interessati. Ché anzi, come é ritenuto in dottrina, nell'interpretazione delle c.d. norme di prelievo non può parlarsi della sussistenza di diritti quesiti, ma solo di interessi semplici.
4. - Nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale si sono costituiti il sig. Giacomo Colussi e la società Biscotti Colussi, rappresentati e difesi dagli avvocati Allorio, Carboni Corner e Scassellati Sforzolini, la società Montesubasio, rappresentata e difesa dagli avvocati Massimo Severo Giannini e Gastone Piperno, la società Ci.Ro.Ghi., rappresentata e difesa dall'avv. Scassellati Sforzolini, la società Equador, rappresentata e difesa dagli avvocati Demetrio Nava e Gastone Piperno, il Banco di Napoli, rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo Capobianco, la società Le Assicurazioni d'Italia, rappresentata e difesa dagli avvocati Alberto Marinelli e Giovanni Antonio Micheli, le società Zoovit e Eurolene, rappresentate e difese dagli avvocati Aldo Sandulli e Arnaldo Messina, le società Le Assicurazioni generali, Italia Assicurazioni, Assicuratrice industriale, Toro Assicurazioni, Riunione Adriatica di sicurtà, Reale mutua assicuratrice, Lloyd italico e L'Ancora, L'Abeille, rappresentate e difese dagli avvocati Arturo Dalmartello e Giulio d'Amelio, la società Italiana cauzioni, rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Villari, la Banca nazionale del lavoro, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Sorrentino.
Le parti private costituitesi chiedono che la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale della legge n. 110 del 1971, in base a considerazioni in parte analoghe.
Premettono tutte che la legge denunziata si prospetta erroneamente come d'interpretazione autentica dell'art. 15 della legge n. 976 del 1957, articolo che in base all'interpretazione grammaticale, logica, sistematica, storica e teleologica chiaramente estendeva ad ogni imposta e sovraimposta diretta e indiretta (ivi compresa la tariffa doganale comune e i diritti speciali di prelievo) le esenzioni fiscali.
Essa in realtà sarebbe invece legge innovativa rispetto alla legislazione precedente e con efficacia sicuramente retroattiva, diretta da un lato a riparare a quello che si considerava errore politico derivante dall'emanazione della legge sulla città d'Assisi (soprattutto in vista delle complicazioni in sede CEE), dall'altro a "punire" gli imprenditori che in base alla legge n. 976 avevano installato i propri impianti fidando nelle esenzioni ivi previste.
Ciò posto, ribadiscono la irragionevolezza e quindi il contrasto con l'art. 3 Cost., della legge denunziata, sia perché discrimina gli imprenditori della città di Assisi distinguendo tra l'altro fra imprenditori alberghieri e industriali, sia perché, derogando al normale regime delle fonti, introduce retroattivamente delle nuove imposte.
Sottolineano il contrasto con l'art. 53 Cost. facendo presente che nella specie la capacità contributiva non potrebbe essere distinta dal presupposto d'imposta, presupposto che si sarebbe esaurito fin dal lontano 1957 e comunque in epoca molto antecedente al 1971, insistendo nel sostenere che riguardo alle imposte indirette una legge retroattiva violerebbe in ogni caso il principio della capacità contributiva.
Quanto all'art. 41 Cost., rilevano che l'esenzione accordata dalla legge del 1957 rientrava sicuramente nelle incentivazioni che il legislatore apprestava ai sensi della disposizione costituzionale citata. La circostanza che la legge denunciata elimina con effetto retroattivo l'incentivazione già concessa, avrebbe ripercussioni disastrose sulle imprese della città di Assisi, le quali, venendo oggi a pagare i diritti speciali di prelievo, si troverebbero ad avere acquistato merce a prezzi estremamente maggiori di quelli nei quali erano esitate nell'area CEE, con evidente violazione retrospettiva della libertà d'iniziativa economica privata.
5. - Le parti costituite hanno successivamente presentato memorie ampiamente ribadendo le considerazioni svolte.
Considerato in diritto
1. - I quarantasei giudizi di cui alle ordinanze dei giudici a quo vanno riuniti e decisi con un'unica sentenza, stante che sollevano analoghe ed in parte connesse questioni di legittimità costituzionale in ordine alla legge n. 110 del 1971.
2. - Le questioni di legittimità costituzionale sottoposte alla Corte in ordine alla legge citata sono le seguenti:
a) L'art. 1 della legge n. 110 del 1971 contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione in quanto con una legge che si definisce interpretativa avrebbe creato una arbitraria diversità di trattamento lesiva del principio di uguaglianza fra albergatori e gli altri industriali operanti nel territorio di Assisi (pretore di Assisi, tribunale di Perugia). Per il tribunale di Perugia la legge impugnata sarebbe viziata di incostituzionalità in riferimento al citato art. 3 in quanto avrebbe derogato al principio generale dell'ordinamento disposto dall'art. 11 delle disposizioni preliminari senza che sussistesse una valida ragione che potesse giustificare la deroga a quel principio, riservando agli imprenditori prima incentivati un trattamento arbitrariamente sfavorevole per il fatto di revocare ex tunc benefici fiscali inizialmente concessi per indurli ad iniziative economiche che altrimenti non avrebbero intrapreso.
b) La legge n. 110 del 1971 contrasterebbe con l'art. 53 della Costituzione in quanto, introducendo un debito d'imposta che, in virtù della legge n. 976 del 1957, non sarebbe esistito nel territorio di Assisi, avrebbe valutato situazioni di fatto verificatesi nel passato e quindi non costituenti un indice attendibile di potenzialità contributiva attuale, nonché avrebbe preso in considerazione, al fine di assoggettarli a tributi, singoli atti economici posti in essere dall'imprenditore in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge, con riferimento a situazioni pregresse, che per la più gran parte avrebbero esaurito nel tempo la loro funzione economica. Mancherebbe pertanto la necessaria connessione fra il presupposto d'imposta e la capacità contributiva dell'obbligato, dovendo questa porsi in relazione non con una generica ed assoluta idoneità del soggetto ad eseguire la prestazione, ma, specificatamente, con la particolare situazione che ha determinato l'insorgere del rapporto. Aggiungono ancora i giudici a quo che gli atti dell'imprenditore assoggettati all'imposta avrebbero conchiuso nell'ambito dell'impresa il loro iter economico e quindi avrebbero esaurito gli effetti positivi e negativi che vi erano collegati (pretore di Assisi, tribunale di Roma, tribunale di Perugia).
c) La legge denunziata contrasterebbe, inoltre, con l'art. 41, primo comma, Cost., in quanto la precedente n. 976 del 1957 aveva carattere di incentivazione, allo scopo di sollecitare e confermare iniziative artigiane e industriali onde incoraggiare con tale mezzo l'evoluzione e lo sviluppo di attività rilevanti per l'economia essendo il fine ultimo della legge la salvaguardia del carattere storico, monumentale e artistico della città e del territorio di Assisi. Secondo i giudici a quo le somme di denaro che nell'ipotesi della vigenza del tributo avrebbero dovuto essere corrisposte all'erario, sarebbero state invece, nella previsione degli imprenditori, destinate a far fronte alle spese dei nuovi impianti e alle strutture organizzative delle aziende. Pertanto il legislatore, una volta disposto questo incentivo in favore della libera iniziativa economica, non potrebbe più revocare con efficacia retroattiva i benefici concessi "abbattendo", come affermano le ordinanze, "indiscriminatamente le previsioni e i frutti già conseguiti dall'imprenditore che ha realizzato l'iniziativa stimolata dal legislatore stesso". Sembra di conseguenza ai giudici a quo "che l'atteggiamento tenuto dal legislatore possa ferire il precetto costituzionale nel punto in cui questo intende tutelare la libertà d'iniziativa economica del privato" (tribunale di Roma, tribunale di Perugia).
3. - Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle ordinanze in epigrafe partono necessariamente dal presupposto che la legge n. 110 del 1971 non sia, malgrado la sua intitolazione, una legge di interpretazione autentica e ciò per i seguenti motivi:
1) La legge impugnata non si porrebbe, rispetto ad un testo legislativo già esistente come strumentale e quindi accessoria, al fine di sciogliere dubbi e riserve che siano sorti o che possano sorgere nella lettura di esso, lasciando intatta la sostanza della norma cui accede, limitandosi a chiarire ed a spiegare il suo effettivo significato senza modificare od alterare il contenuto della norma interpretata, ma esprimendone i veri intenti già presenti e reperibili nella sua formulazione originaria.
Ciò non si verificherebbe nella specie in quanto, secondo i giudici a quo, l'art. 15 della legge n. 976 del 1957 non avrebbe ammesso alcuna incertezza né obbiettiva né ragionevole in ordine all'esonero di tutti gli imprenditori, che si fossero trovati in una particolare situazione, da tutti indistintamente i tributi (erTimes New Romani, provinciali, comunali) e dalle relative sovraimposte che su di essi sarebbero gravati in base all'ordinamento in conseguenza delle attività artigianali e industriali poste in essere (tribunale di Roma).
2) Al medesimo risultato si dovrebbe giungere anche tenendo conto delle specifiche finalità d'incentivazione che la normativa del 1957 si proponeva di raggiungere. Fra gli strumenti scelti per sollevare il territorio di Assisi da una situazione di depressione economica vi fu quello dell'esenzione degli imprenditori da ogni onere fiscale. Secondo il giudice a quo, tra queste agevolazioni non avrebbe potuto mancare l'esonero dei tributi indiretti in quanto questi riguardavano specificatamente la natura delle attività artigianali e industriali che la norma si proponeva di incoraggiare e di sostenere (tribunale di Roma).
3) Il significato grammaticale e logico dell'art. 15 della citata legge n. 976 del 1957 farebbe ritenere che l'esenzione concessa alle imprese artigiane e industriali nel territorio di Assisi si riferiva a tutte le imposte erTimes New Romani sia dirette che indirette. Pertanto, la legge n. 110 del 1971, imponendo un'interpretazione dell'art. 15 della legge n. 976 del 1957, diversa dal senso suo proprio e prospettando, invece, una certezza che non troverebbe riscontro nel precedente testo legislativo, avrebbe apportato innovazioni nel limitare a tre soltanto i tributi per i quali veniva concessa l'esenzione. Ciò escluderebbe la natura interpretativa della legge impugnata.
4. - L'impostazione logica dell'indagine porta ad esaminare in primo luogo la questione relativa alla natura della legge impugnata, n. 110 del 1971, se cioè essa sia effettivamente, come si qualifica nel titolo, una legge d'interpretazione autentica dell'art. 15 della legge n. 976 del 1957, avente pertanto come oggetto l'eliminazione di dubbi o riserve circa l'intendimento e la portata del predetto art. 15, ovvero sia una legge innovativa, statuente cioè una nuova normativa, diversa da quella che il legislatore aveva effettivamente voluto stabilire con il citato art. 15.
Tale indagine porta necessariamente ad esaminare se, come affermano i giudici a quo e le difese delle parti private costituite in giudizio, la formulazione letterale dell'art. 15 della legge n. 976 del 1957 fosse tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla portata e l'estensione del disposto che essa esprime. Vale a dire se le parole usate in esso articolo non potessero essere interpretate altrimenti che nel senso di esentare da tutte le imposte dirette e indirette le imprese artigiane e industriali che avessero eseguito il trasferimento o il nuovo impianto nelle zone destinate dal Comune di Assisi in forza dell'art. 14 della richiamata legge del 1957, oppure se a queste medesime parole potesse ragionevolmente darsi un diverso significato e conseguentemente attribuire al disposto che esse esprimono una differente estensione.
La Corte non ritiene che possa accogliersi l'affermazione dei giudici a quo e delle difese delle parti private circa l'univocità dell'intendimento dell'art. 15 della legge n. 976 del 1957 e circa l'assoluta certezza del suo significato quale da essi dichiarato cioè che l'esenzione disposta da esso articolo comprendesse tutte le imposte.
Varie sentenze di autorità giudiziarie avevano dato differenti e contrastanti interpretazioni dell'art. 15 della legge n. 976 del 1957, onde risultava che all'interno della stessa autorità vi era dissenso sull'intendimento della norma.
La Corte di appello di Perugia con sentenza 9 marzo 1966, ampiamente motivata, in riforma della sentenza del tribunale di Perugia 25 agosto 1965, aveva, applicando criteri ermeneutici letterali, logici e sistematici, interpretato la predetta norma nel senso che l'esenzione fosse limitata alle sole imposte dirette.
Viceversa la Corte di cassazione con sentenza 10 aprile 1968, n. 1079, basandosi sull'interpretazione letterale e grammaticale delle parole usate nell'art. 15, affermava che l'esenzione da questo disposta era comprensiva anche delle imposte indirette, senza proporsi il problema del conflitto fra la norma così intesa e altre norme dell'ordinamento giuridico, osservando però che la stessa formulazione dell'articolo presentava una deficienza di tecnica legislativa in quanto non era stata dettata alcuna specifica e particolareggiata regolamentazione circa la esenzione di tributi indiretti, il che, aggiungeva, "non autorizza l'interprete ad attribuire alla legge un significato diverso e più ristretto di quello che, secondo la loro connessione, le parole adoperate abbiano voluto esprimere in piena aderenza con la ratio della legge stessa, e tanto meno a negarle la sua immediata efficacia". Con ciò, rilevando la deficiente formulazione tecnica della legge, ammetteva implicitamente l'opportunità di un intervento interpretativo e chiarificativo del legislatore.
Successivamente infatti, emanata la legge n. 110 del 1971 di interpretazione autentica dell'art. 15 della legge n. 976 del 1957, la medesima Corte di cassazione con sentenza 23 settembre 1973, n. 534, ne riconosceva la natura interpretativa a tutti gli effetti, cassando una sentenza della Corte di appello di Perugia 9 marzo 1971.
Quanto precede mostra che la stessa dizione letterale dell'art. 15 della legge n. 976 del 1957 dava adito a dubbi e a intendimenti contrastanti e non consentiva una sicura interpretazione lessicale e grammaticale in senso così estensivo.
L'intendimento restrittivo del medesimo articolo nel senso che l'esenzione concernesse le sole imposte dirette era avvalorato dal successivo art. 16 della legge, il quale dispone per gli impianti alberghieri nuovi o ampliati "l'esenzione da ogni imposta o tributo erTimes New Romane", norma questa che avrebbe costituito un'inutile ripetizione ove l'art. 15 avesse effettivamente concesso l'esenzione anche per le imposte indirette, tenendo conto che nella dizione "imprese artigiane o industriali" usata da questo articolo rientravano sicuramente quelle alberghiere. All'art. 16 doveva necessariamente quindi attribuirsi una normativa diversa da quella dell'articolo precedente e questa non poteva logicamente essere altra che l'estensione dell'esenzione fiscale alle imposte indirette, diversamente da quanto disposto per le altre imprese artigiane e industriali, per le sole imprese alberghiere che avessero disposto nel territorio di Assisi nuovi impianti o avessero ampliato quelli esistenti.
Esaminando poi sul piano logico e su quello sistematico la norma enunciata nell'art. 15, coordinandola con le varie disposizioni della legge n. 976 del 1957 e in relazione ai principi del sistema tributario vigente, risultava ragionevole interpretare la volontà del legislatore nel senso di concedere l'esenzione delle sole imposte erTimes New Romani dirette alle imprese artigiane e industriali indicate nel suddetto articolo che non fossero quelle alberghiere contemplate invece nell'art. 16.
La stessa precisa intestazione della legge indicava chiaramente e dettagliatamente gli scopi di essa, scopi ai quali apparivano subordinati, in relazione di mezzo al fine, le disposizioni concedenti i benefici alle imprese artigiane e industriali.
Dal complesso delle disposizioni della legge risultava, come evidenziato anche nei lavori preparatori della legge interpretativa del 1971, che il legislatore con la legge del 1957 non si era proposto l'industrializzazione di Assisi (il che sarebbe stato in contrasto con i fini dichiarati nel titolo della legge n. 976 del 1957), ma aveva inteso emanare provvedimenti per la salvaguardia del carattere storico, monumentale e artistico della città e del territorio di Assisi nonché per conseguenti opere di interesse igienico e turistico, il che era confermato dalla limitazione a un decennio degli aiuti finanziari dello Stato quali disposti negli artt. 9 e 10, ed indennizzare indirettamente, mediante esenzioni fiscali, gli imprenditori che avessero operato il trasferimento o il nuovo impianto delle loro imprese in zone designate dal Comune di Assisi d'intesa con la sovraintendenza locale dei monumenti per l'Umbria nelle quali fosse possibile, come indicava testualmente l'art. 14, il libero sviluppo della loro attività "senza deturpare il carattere storico e monumentale e il paesaggio della città e del territorio di Assisi", zone cioé periferiche e non ancora urbanizzate.
Ed era evidente altresì che la legge non considerava determinante a questi fini la produzione industriale che essa non mirava a favorire e ad incrementare mediante una facilitazione di tutto il processo produttivo: pertanto era logicamente da ritenere che le esenzioni indicate nell'art. 15 non potessero riferirsi ai tributi indiretti strettamente collegati ai fatti economici, tanto da costituire elementi dei costi di produzione e che inevitabilmente si sarebbero trasferiti sui consumatori, incidendo su questi e non sui produttori.
Questa constatazione era del resto avvalorata dalla normativa dell'art. 15, la quale non disciplinava direttamente gli atti e i fatti economici e la produzione industriale ed artigiana, ma conteneva disposizioni miranti a favorire gli imprenditori mediante agevolazioni fiscali, senza chiaramente individuare, specificare e regolare i rapporti oggetto dell'imposizione e, conseguentemente, dell'esenzione.
La mancanza della specificazione la quale risponde ad una esigenza concreta legislativamente riconosciuta nel sistema fiscale italiano, come può dedursi, fra le altre, dalle disposizioni dell'art. 4 della legge n. 762 del 1940, degli artt. 77 e 78 della legge n. 1598 del 1947, avrebbe dovuto indurre ragionevolmente l'interprete ad escludere che il predetto articolo contemplasse nell'esenzione anche le imposte indirette, in quanto in tal modo si sarebbe posta in essere una situazione che, rispetto alla normativa tributaria, sarebbe stata anomala ed assurda. Tutti i possibili atti economici compiuti dagli operatori sarebbero stati esentati dalle imposte indirette senza limite alcuno e senza alcuna possibilità di controllo da parte degli organi dello Stato in guisa che, in luogo di realizzare i fini voluti dal legislatore nell'interesse della collettività, si sarebbe resa possibile la più sfrenata speculazione a vantaggio di singoli privati, il che effettivamente, con l'estesa interpretazione data all'art. 15, si é verificato con le gravissime conseguenze che saranno in appresso indicate.
5. - Un ulteriore elemento per dubitare ragionevolmente che l'art. 15 potesse disporre un'esenzione così ampia era fornito dalla considerazione che l'interpretazione di una norma giuridica non può in alcun modo prescindere dal sistema legislativo di cui essa inscindibilmente fa parte e dall'assoluta esigenza della compenetrazione e della fusione di ogni norma con l'intero sistema di un dato ordinamento: l'interpretazione deve pertanto essere condotta in guisa da attribuire alle parole del legislatore che esprimono la disposizione un significato ed una portata che sia conforme ed armonica all'organicità del sistema, nel senso che la norma non contrasti con altre vigenti nel medesimo ordinamento e non violi le prescrizioni di queste.
L'interpretazione dell'art. 15 della legge n. 976 del 1957 nel senso di ritenere l'esenzione da questo concessa comprensiva di ogni specie di imposta diretta e indiretta contrastava con il Trattato di Roma 25 marzo 1957 istitutivo della CEE, reso esecutivo in Italia con la legge 14 ottobre 1957, n. 1203 e precisamente: 1) con gli artt. da 19 a 29 relativi alle tariffe doganali degli Stati comunitari e alla loro applicazione nell'ambito di questi; 2) con la normativa dei medesimi articoli in ordine ai diritti speciali di prelievo e in ordine alle importazioni da paesi fuori dall'area comunitaria particolarmente privilegiati sotto il profilo economico; 3) con gli artt. 92 e 93, i quali, prevedendo che uno Stato comunitario possa concedere aiuti per favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, stabilisce però che lo Stato concedente sia soggetto all'autorizzazione del Consiglio della Comunità e alla revisione annuale dell'autorizzazione medesima.
La Corte con sentenza n. 183 del 1973 ha confermato gli obblighi derivanti per l'Italia dal Trattato di Roma e da tali obblighi derivava che una corretta interpretazione dell'art. 15 della citata legge n. 976 del 1957 doveva logicamente escludere che le parole ivi usate avessero il significato di disporre l'esenzione da tutte le imposte indirette in quanto una siffatta esenzione sarebbe stata in insanabile contrasto con il Trattato e in quanto l'Italia, quale Stato membro della Comunità, non avrebbe avuto il potere di concedere e di mantenere una siffatta esenzione. Né va taciuta la circostanza che la legge 14 ottobre 1957, n. 1203, la quale rendeva esecutivo al 1 gennaio 1958 il Trattato di Roma 25 marzo 1957 era di soli cinque giorni successiva alla citata legge per Assisi, nel deliberare la quale il legislatore non poteva non tenere presenti gli obblighi ai quali l'Italia si sarebbe assoggettata con la imminente citata legge di esecuzione.
Sotto un altro profilo s'imponeva all'interprete di negare che all'art. 15 della legge n. 976 del 1957 potesse essere attribuita la concessione di un'esenzione estesa anche a tutte le imposte indirette e in particolare ai dazi doganali in quanto ad una siffatta disposizione avrebbe dovuto necessariamente accompagnarsi l'indispensabile fissazione del contingentamento delle materie destinate ad entrare nel territorio oggetto dell'esenzione medesima, così come era stato attuato con la legge 1 dicembre 1948, n. 1438, istituente una zona franca in parte del territorio della provincia di Gorizia, costituendo altrimenti la norma citata un beneficio di inusitata estensione rispetto ad altri casi di esenzione fiscale e tale da essere incompatibile con l'ordinamento vigente e in contrasto con i principi fissati dagli artt. 3, 41 e 53 della Costituzione.
6. - La difficoltà di estendere l'art. 15 della legge n. 976 del 1957 nel senso che esso disponesse la esenzione anche di tutte le imposte indirette e il contrasto di questa interpretazione con la normativa esistente nel territorio nazionale, con il sistema fiscale italiano, con gli stessi principi costituzionali, nonché con la ratio della legge citata e con gli scopi che questa intendeva realizzare sono confermati in modo evidente dalla constatazione sul piano pratico delle conseguenze gravissime che si erano verificate per effetto di tale interpretazione e per il conseguente impedimento opposto all'amministrazione finanziaria di esigere la riscossione delle imposte indirette dalle imprese di cui al citato art. 15, conseguenze denunciate ufficialmente in Parlamento e risultanti dai lavori parlamentari relativi alla preparazione e formulazione della legge denunziata, dagli atti dei giudici a quo, dalle ordinanze di rimessione, dalla documentazione prodotta dall'Avvocatura dello Stato.
In seguito all'applicazione dell'estesa interpretazione del citato art. 15 erano state create in Assisi, in violazione anche alle stesse convenzioni internazionali, delle vere e proprie zone franche di nuovo tipo, nelle quali affluiva, senza limitazioni e senza essere assoggettata a contingentamenti di sorta, merce importata in esenzione di oneri fiscali e di diritti comunitari di prelievo, destinata ad essere inviata e venduta in altra parte del territorio nazionale o anche fuori di esso senza neppure il correttivo di sottoporre i prodotti ottenuti da lavorazioni di materie prime o le merci provenienti dall'estero all'intero tributo doganale nel caso di immissioni di essi al consumo fuori di Assisi, attuando in tal modo una delle più gravi, estese e ingiustificate speculazioni che si siano mai verificate in Italia.
É fin troppo evidente che questo risultato realizzato in seguito all'intendimento così ampio del citato art. 15, era in netto contrasto con la ratio della legge n. 976 del 1957, sorta col fine dichiarato di salvaguardare "il carattere storico, monumentale e artistico della città e del territorio di Assisi, nonché per conseguenti" (e quindi necessariamente indirizzate al conseguimento della salvaguardia indicata) "opere di interesse igienico e turistico" e non certo per creare un'attività anomala di importazione e trasformazione favorita da una franchigia indiscriminata e per far sorgere una situazione di privilegio fiscale anomala rispetto all'ordinamento tributario nazionale che era chiaramente in contrasto con gli stessi principi di cui agli artt. 3, 41 e 53 della Costituzione. Si dava luogo infatti ad una evidente disparità di condizione fra gli imprenditori di Assisi e gli altri cittadini, disparità che appariva ingiustificata e irrazionale rispetto al fine che si proponeva la legge del 1957 e che violava apertamente l'obbligo costituzionale di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva.
7. - Quanto precede dimostra l'infondatezza della premessa da cui partono le ordinanze in epigrafe per negare che la legge impugnata n. 110 del 1971 costituisca interpretazione autentica dell'art. 15 della legge n. 976 del 1957, in quanto questo ultimo articolo non avrebbe ammesso per il suo significato grammaticale e logico alcuna incertezza né obiettiva né ragionevole in ordine all'esenzione, a favore delle imprese artigiane e industriali ivi indicate, di tutte le imposte, anche di quelle indirette e dimostra altresì l'infondatezza della tesi sostenuta dalle difese delle parti private costituite in giudizio circa "l'assoluta mancanza di dubbi da dirimere in sede di interpretazione" della citata legge del 1957.
Sussistevano invece i presupposti e l'imprescindibile esigenza di interpretare autenticamente l'art. 15 della medesima legge in modo da dare ad esso un senso normativo unitario ed esclusivo.
La mancanza di determinazione precisa della sfera di applicazione del predetto art. 15, le diverse decisioni degli organi giudiziari in ordine alla sua estensione, la necessità di uniformare l'intendimento del precetto al sistema dell'ordinamento vigente nonché di escludere, eliminando i dubbi, la possibilità di una pluralità di interpretazioni divergenti e di contrasti con altre norme e con principi costituzionali, l'esigenza di assicurare la certezza del diritto, la coerenza legislativa, l'uguaglianza nel trattamento giuridico di specie analoghe hanno indotto il legislatore ad emanare la legge n. 110 del 1971 dichiarata espressamente nel titolo essere legge interpretativa del citato art. 15.
La Corte ritiene che, dati i presupposti indicati e il fine cui tende la legge impugnata, non possa ad essa negarsi la concreta ed effettiva natura di interpretazione autentica dell'art. 15 della precedente legge n. 976 del 1957.
Tale natura é stata del resto riconosciuta ed esplicitamente dichiarata dalla richiamata sentenza 23 febbraio 1973, n. 534 della Corte di cassazione, la quale, a differenza dei giudici a quo, non ha sollevato alcuna eccezione di incostituzionalità della legge medesima, affermando invece non essere dubbio che essa é interpretativa con efficacia retroattiva per molteplici e concorrenti motivi e precisamente per la qualificazione espressamente data alla legge, per la sua ratio, per il suo contenuto. La medesima sentenza ha precisato che "con tali disposizioni il legislatore, senza modificare il precetto di legge, ha specificato a quali imposte sono riferibili le agevolazioni concesse con l'art. 15 della legge n. 976 del 1957. Non ha rilievo, ai fini della qualificazione della legge in questione, la circostanza che, per effetto di essa, l'ambito della norma originaria sia stato modificato con esclusione di fattispecie varie astrattamente ipotizzabili: questo é proprio l'effetto della legge interpretativa che vuole appunto evitare l'applicazione della norma ai casi che l'interpretazione autentica esclude".
8. - Accertata la indubbia natura interpretativa della legge denunziata, si palesa l'infondatezza delle eccezioni sollevate, le quali si basano tutte sul presupposto necessario del carattere innovativo della legge n. 110 del 1971.
Ed infatti - ribadito il principio della piena legittimità costituzionale dell'interpretazione autentica da parte del legislatore e della relativa efficacia delle leggi interpretative, principio affermato da questa Corte sin dalla sentenza n. 118 del 1957 - la pretesa violazione dell'art. 53 Cost., consistente nella dissociazione tra presupposto di imposta e capacità contributiva, non sussiste, perché il legislatore non ha introdotto retroattivamente nuovi tributi, ma ha semplicemente indicato quali imposte erano ricomprese nell'esenzione accordata dall'art. 15 della legge n. 976 del 1957.
Ciò vale anche a proposito della ritenuta violazione del principio di libertà di iniziativa economica privata di cui all'art. 41 della Costituzione. La Corte ritiene di non dovere affrontare il problema degli eventuali limiti che il legislatore può incontrare nel disporre modifiche anche retroattive di incentivazione economica, poiché, come si é detto, l'incentivazione accordata riguardava fin dall'inizio solo i tributi elencati nell'art. 1 della legge n. 110 del 1971 e non indistintamente ogni imposta diretta e indiretta.
Infine, per quel che attiene all'art. 3 Cost., da un lato la legge non ha affatto derogato al normale regime dell'efficacia delle fonti nel tempo, previsto comunque dall'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile e pertanto non assurto a rango costituzionale, se non per materia penale (art. 25 della Costituzione), dall'altro non ha revocato retroattivamente le agevolazioni accordate in danno dei soli imprenditori industriali a differenza di quelli alberghieri, perché tale differenza rimonta alla disciplina contenuta nella legge n. 976 del 1957. La disparità, comunque, é del tutto razionale e si giustifica con la diversa natura delle attività e col loro oggetto in coerenza con i fini che si propone la legge del 1957 e con la circostanza oggettiva che l'attività degli esercenti di alberghi posti nelle zone di cui all'art. 14 della predetta legge si esplica esclusivamente nel territorio indicato senza che comporti il compimento fuori di questo di atti di commercio sottoposti a imposte indirette.
9. - Devesi pertanto dichiarare l'infondatezza delle eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate dalle ordinanze in epigrafe della legge 25 febbraio 1971, n. 110, in riferimento agli artt. 3, 41, primo comma, e 53 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge 25 febbraio 1971, n. 110 (Interpretazione autentica dell'art. 15 della legge 9 ottobre 1957, n. 976, concernente provvedimenti per la salvaguardia del carattere storico, monumentale e artistico della città e del territorio di Assisi nonché per conseguenti opere di interesse igienico e turistico, e nuove norme per l'applicazione della legge stessa), sollevate dalle ordinanze in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 41, comma primo, e 53 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 giugno 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 19 giugno 1974.