Sentenza n. 118 del 1957
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SENTENZA N. 118

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 29 maggio 1956, n. 500, promossi con le seguenti ordinanze:

1) Ordinanza 18 novembre 1956 del Pretore di Perugia, emessa nella causa civile vertente tra Scorpioni Marsilio e Rizzoli Franca, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 del 12 gennaio 1957 ed iscritta al n. 341 del Registro ordinanze 1956;

2) Ordinanza 5 dicembre 1956 del Pretore di Città di Castello, emessa nella causa civile vertente tra Marziali Giuseppe e Taffini Giovanni, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 del 12 gennaio 1957 ed iscritta al n. 344 del Reg. ord. 1956;

3) Ordinanza 2 novembre 1956 del Pretore di Perugia, emessa nella causa civile vertente tra Tedeschi Lorenzo e Baldelli Dante, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.27 del 30 gennaio 1957 ed iscritta al n. 5 del Reg. ord. 1957;

4) Ordinanza 31 gennaio 1957 del Tribunale di Arezzo, emessa nella causa civile vertente tra Frangipani Domenico e Randellini Luigi ed altri, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 90 del 6 aprile 1957 ed iscritta al n. 37 del Reg. ord. 1957;

5) Ordinanza 20 febbraio 1957 del Pretore di Gubbio, emessa nella causa civile vertente tra Martini Ubaldo e Fagioli Guido Gregorio ed altri, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 13 aprile 1957 ed iscritta al n. 41 del Reg. ord. 1957;

6) Ordinanza 22 febbraio 1957 del Pretore di Gubbio, emessa nella causa civile vertente tra Rosini Mariano e Caseti Domenico, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 13 aprile 1957 ed iscritta al n. 42 del Reg. ord. 1957;

7) Ordinanza 22 marzo 1957 del Pretore di Città della Pieve, emessa nella causa civile vertente tra Tassini Umberto e Cini Aristodemo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 13 aprile 1957 ed iscritta al n. 49 del Reg. ord. 1957.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 5 giugno 1957 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi gli avvocati Giovanni Clementi, Arturo Carlo Jemolo, Giuseppe Ferri e Giuseppe Guarino per i concedenti, gli avvocati Gaetano Salciarini, Carlo Furno e Sandro Diambrini Palazzi per i mezzadri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con atto di citazione notificato il 13 ottobre 1956 Tedeschi Lorenzo, già mezzadro di Baldelli Dante nel periodo 1942-1950, citava quest'ultimo innanzi alla Pretura di Perugia per sentirlo condannare al pagamento di L. 108.330, in applicazione dell'art. 2 della legge 29 maggio 1956, n. 500 (c. d. legge Salari).

Tale legge si intitola: "Norme interpretative in materia di consegna e riconsegna delle scorte vive nei contratti di mezzadria". Essa dispone: "Art. 1: Quando nei contratti di mezzadria le scorte vive sono state conferite dal concedente e consegnate al mezzadro a stima in base ai prezzi di mercato, in caso di scioglimento del contratto il mezzadro ha diritto a percepire dal concedente la metà della differenza tra il valore delle scorte al momento della consegna, calcolato in base ai prezzi allora correnti, ed il valore delle stesse calcolato in base ai prezzi correnti all'atto della riconsegna". Art. 2: Il mezzadro ha diritto a percepire dal concedente la metà della differenza dei valori previsti dall'articolo precedente anche quando sia avvenuto lo scioglimento del contratto anteriormente alla entrata in vigore della presente legge e le parti non abbiano comunque definito i loro rapporti in ordine alle scorte vive".

Nel rapporto di mezzadria tra il Baldelli e il Tedeschi il concedente aveva all'inizio del rapporto, nel 1942, consegnato al Tedeschi scorte vive a stima, per un valore che dal libretto colonico risulta essere di L. 9.800. Nel 1950, il concedente Baldelli, allo scadere del rapporto di mezzadria, aveva - secondo l'assunto dell'attore - prelevato dal "capitale colonico comune" (e cioè dal capitale d'esercizio) il cosiddetto "plusvalore" delle scorte vive (consistente nella differenza di valore tra il 1942 e il 1950, in conseguenza della svalutazione monetaria, delle scorte consegnate al mezzadro nel 1942). Per tal modo il Tedeschi, alla chiusura dei conti, era rimasto debitore del Baldelli di L. 32.838. Col riferito atto di citazione il Tedeschi chiedeva invece - in applicazione della legge Salari - l'attribuzione a sé della metà del c.d. "plusvalore", e pertanto la condanna del Baldelli alla restituzione di L. 108.330, oltre gli interessi dal 1950.

Il convenuto sollevò in giudizio eccezione di incostituzionalità della legge Salari, sotto vari profili.

Su tale eccezione il Pretore di Perugia si pronunciò con ordinanza 2-24 novembre 1956.

Esclusa la natura interpretativa della legge in questione rispetto all'art. 2163 Cod. civ. e alle norme corporative, ma escluso a un tempo che solo per ciò la legge potesse, in quanto retroattiva, esser considerata incostituzionale; e ritenuta quindi manifestamente infondata la questione sollevata al riguardo dal convenuto, come pure l'altra questione circa la violazione del principio di divisione dei poteri, inerente al preteso intento legislativo di eludere la giurisprudenza affermatasi in materia, il Giudicante - pur escludendo la violazione degli artt. 3 e 23 Cost., affermata dal convenuto - ritenne di dover rimettere alla Corte costituzionale l'altra questione sollevata dal convenuto, riflettente la violazione dell'art. 42 Costituzione. Ciò in quanto l'aver disposto che tra gli incrementi di valore del bestiame da prendere a base della ripartizione tra concedente e mezzadro vadano compresi anche quelli inerenti alla svalutazione monetaria tra il momento della consegna del bestiame al mezzadro e quello della riconsegna da parte di costui, si risolverebbe in una espropriazione, senza indennizzo, della metà di una ricchezza (il valore effettivo - intrinseco - delle scorte a suo tempo conferite dal concedente) di pertinenza esclusiva del concedente.

A cura della cancelleria della Pretura l'ordinanza venne notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e di essa venne data comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento. A istanza del Presidente della Corte costituzionale essa venne pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 gennaio 1957.

Nei termini di rito si sono costituiti nella cancelleria di questa Corte l'attore e il convenuto del giudizio pendente innanzi al Pretore di Perugia, sostenendo, rispettivamente, la insussistenza e la sussistenza della illegittimità costituzionale rilevata dal Pretore. É altresì intervenuto, nei termini, il Presidente del Consiglio dei Ministri, negando qualsiasi illegittimità costituzionale.

2. - Analogo giudizio venne promosso innanzi alla Pretura di Perugia, con atto di citazione notificato il 7 novembre 1956, dal mezzadro Scorpioni Marsilio, il quale, asserendo non definiti alla fine della mezzadria i rapporti con le concedenti signore Fiorita e Franca Rizzoli, e dichiarando di non conoscere il recapito della prima di esse, trasferitasi in Inghilterra, conveniva a in giudizio la seconda per sentirla condannare - ai sensi della legge Salari - al pagamento di L. 129.537, costituente il "credito colonico a stime reali".

Il Pretore ritenne preminente sulla necessità di ordinare la integrazione del contraddittorio l'eccezione di incostituzionalità sollevata dalla convenuta. Eppertanto, con ordinanza 18 novembre 1956, riferiti dettagliatamente i profili di incostituzionalità da essa esposti, sospese il giudizio, ordinando la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione delle seguenti questioni di legittimità costituzionale della legge Salari: a) L'art. 2 violerebbe gli artt. 24, 25, 101, 102, 104 Cost., in quanto con esso il legislatore si sarebbe venuto a sostituire ai giudici nella decisione di controversie in atto o in grado di insorgere sulla base di norme preesistenti, ledendo in tal modo sia il principio della divisione dei poteri, sia il diritto dei cittadini di agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi, sia il loro diritto alla difesa in giudizio. Per giunta, non risultando conforme alla realtà l'esposizione dello stato attuale della giurisprudenza fatta nelle relazioni parlamentari, l'ordinanza osserva che potrebbe altresì configurarsi un eccesso di potere del legislatore, sia sotto il profilo dello sviamento che sotto quello dell'errore di fatto. b) L'art. 2 della legge Salari - pur prescindendo dall’ artificio sità della definizione di legge interpretativa, attribuitasi dalla legge stessa - violerebbe il principio dell'irretroattività della legge, il quale risulterebbe indirettamente affermato attraverso gli artt. 24, 25, 75 e 136 Cost., e si presenterebbe comunque come principio sicuro in relazione a tutte le leggi abrogatrici e modificatrici di precedenti situazioni di diritto. Gli artt. 24 e 25 Cost. solleverebbero comunque il problema della irretroattività della legge, quanto meno rispetto alle materie in cui predominano l'autonomia della volontà privata e l'interesse dei singoli. c) L'art. 1 della legge Salari incorrerebbe in violazione dell'art. 42 Cost., ponendo in essere "un trasferimento coattivo di ricchezza, che é del tutto autonomo rispetto al rapporto fondamentale di mezzadria, e che non può trovare in questo la sua causa"; infatti, "nel suo risultato pratico", disporrebbe che "il concedente, il quale abbia conferito il bestiame a stima, sia spogliato d'autorità della metà della differenza tra il valore delle scorte consegnate e il valore delle scorte riconsegnate, e cioè della proprietà del bestiame o della somma corrispondente, nella misura che corrisponde alla incidenza della svalutazione monetaria, in modo del tutto indipendente dal lavoro del mezzadro, e comunque oltre quella misura che, per aver il mezzadro provveduto al mantenimento delle scorte, potrebbe spettargli". E l'espropriazione in tal modo realizzata sarebbe in contrasto con l'art. 42 Cost. perché: 1) nella specie non si ravviserebbero i richiesti motivi di interesse generale; 2) mancherebbe il giusto indennizzo; 3) la espropriazione sarebbe realizzata dalla legge stessa e non mediante atto applicativo della legge. d) La legge Salari incorrerebbe infine in violazione degli artt. 23, 3 e 41 Costituzione. Del primo, in quanto, in base a questo, l'imposizione di una prestazione patrimoniale (quale - una volta escluso il carattere espropriativo - sarebbe quella posta a carico dei concedenti dalla legge Salari) potrebbe aver luogo soltanto nei limiti in cui sia indispensabile per il soddisfacimento dell'interesse pubblico, e soltanto in base a disposizioni generali e astratte - condizioni che entrambe non ricorrerebbero per gli artt. 1 e 2 della legge Salari; inoltre sarebbe da esaminare se le prestazioni ammesse dall'art. 23 Cost. possono essere imposte retroattivamente. Dell'art. 3, in quanto la legge Salari, col considerare soltanto i diritti del mezzadro verso il concedente, e non anche quelli del concedente verso il mezzadro, tratterebbe in modo disuguale le due categorie di partecipanti al rapporto mezzadrile; e, d'altro canto, col considerare soltanto i conferimenti di scorte vive a stima, e non anche quelli fatti con altri sistemi, determinerebbe sperequazioni rispettivamente tra gli stessi mezzadri e tra gli stessi proprietari concedenti. Dell'art. 41, il quale garantirebbe la libertà contrattuale e la autonomia privata, consentendo quindi al legislatore "di disciplinare il tipo astratto dei contratti", ma interdicendogli - salvo "circostanze eccezionali, ovvero per la tutela della sicurezza, della libertà e della dignità umana" - di "obbligare il singolo a stipulare un determinato contratto, di cui già siano stati determinati il contenuto, la controparte e il prezzo": di tale articolo la legge Salari, - la quale considererebbe il bestiame "come se fosse stato venduto per metà dal conferente al mezzadro al prezzo di mercato corrente al momento della consegna" - costituirebbe violazione in quanto in realtà "implicherebbe, rispetto agli effetti, l'obbligo di una vendita; ed operando retroattivamente (art. 2), determinerebbe in modo cogente tutti gli elementi di tale contratto: contenuto, prezzo, venditore e compratore". In questo modo l'autonomia privata risulterebbe violata, pur non ricorrendo le condizioni richieste dall'art. 41 della Costituzione.

A cura della cancelleria della Pretura l'ordinanza venne notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e di essa venne data comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento. A istanza del Presidente della Corte costituzionale, essa venne pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 12 gennaio 1957.

Nei termini di rito si sono costituiti nella cancelleria di questa Corte l'attore e la convenuta del giudizio pendente innanzi al Pretore di Perugia, sostenendo, rispettivamente, l'insussistenza e la sussistenza della illegittimità costituzionale denunciata dal Pretore. É altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, negando qualsiasi illegittimità costituzionale.

3. - Anche il Pretore di Città di Castello ha sottoposto a questa Corte la questione della legittimità costituzionale della legge Salari.

Innanzi a tale Pretura, con atto notificato il 25 ottobre 1956, Marziali Giuseppe, già mezzadro di Taffini Giovanni dal 1946 al 1952, assumendo che alla cessazione del rapporto egli risultava, dal libretto colonico, debitore di L. 72.849 verso il concedente, e ciò unicamente perché il conto relativo al bestiame (conferito dal concedente all'inizio del rapporto) "é stato effettuato con stime di comodo (L. 945.000) anziché con le stime reali (lire 1.400.000)", e che pertanto a esso Marziali "devono essere accreditate L. 227.500 rappresentanti la metà della differenza fra la stima reale e quella di comodo, dato che non può esser fatta alcuna riduzione a titolo di plusvalore bestiame", citava il Taffini per sentirlo condannare al pagamento di L. 154.651 "per mancato accredito utile bestiame". Il convenuto, rilevato che l'attore invocava sostanzialmente l'applicazione della legge Salari, ne eccepiva la incostituzionalità. E il Pretore - ritenuta inesatta l'affermazione del carattere interpretativo della legge, ed escluso che essa fosse incostituzionale a causa del suo carattere retroattivo, come pure che violasse il principio di uguaglianza, il diritto di difesa, il principio della divisione dei poteri nei confronti del potere giudiziario, la libertà di iniziativa economica, e comunque ledesse i precetti degli artt. 3, 23, 24, 41, 43, 101, 102 e 104 Cost. - giudicò peraltro meritevole di considerazione la questione relativa alla conformità della legge all'art. 42 Cost.; e ciò, non tanto sotto il profilo che la legge importi la espropriazione senza indennizzo, a favore del mezzadro, della metà circa del capitale bestiame conferito a suo tempo dal concedente - espropriazione e mancanza di indennizzo delle quali non sarebbe lecito dubitare -, quanto sotto il profilo che l'art. 42 Cost. consentirebbe soltanto espropriazioni a favore della pubblica Amministrazione, e non anche a favore dei privati. Eppertanto, considerata rilevante la questione di costituzionalità ai fini del decidere, con ordinanza 5 dicembre 1956 sospese il giudizio, ordinando la trasmissione degli atti a questa Corte.

A cura della cancelleria della Pretura l'ordinanza venne notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. A istanza del Presidente della Corte costituzionale essa é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 12 gennaio 1957.

Nei termini di rito si é costituito nella cancelleria di questa Corte il solo Taffini, sostenendo la tesi della illegittimità costituzionalità della legge Salari. É intervenuto, nei termini, nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri negando l'illegittimità costituzionale.

4. - Un altro giudizio di legittimità costituzionale nei confronti della legge Salari é stato promosso dal Tribunale di Arezzo.

Innanzi a quella Giustizia Frangipani Domenico, già mezzadro fino al gennaio 1955 dei sigg. Randellini Luigi, Francesco, Assunta, Pietro, Olinto e Marco, premesso che, alla cessazione del rapporto, in sede di accettazione del saldo colonico, aveva fatto salva "ogni azione di recupero" in ordine alla "rivalutazione bestiame" (vale a dire al c. d. "plusvalore" delle scorte vive conferite dal concedente all'inizio della mezzadria), con atto di citazione notificato il 6 giugno 1956 conveniva i Randellini per sentirli condannare alla restituzione di quanto a lui dovuto in relazione al fatto che al termine del rapporto mezzadrile "non doveva essere applicato alcun coefficiente di svalutazione sulle scorte vive".

I Randellini, costituitisi in giudizio, eccepirono in via principale che la legge Salari, della quale l'attore chiedeva l'applicazione, vale soltanto nei casi di ripartizione delle scorte tra mezzadro e concedente ai sensi dell'art. 2163 Cod. civ., e non anche nei casi nei quali - come nella specie - la ripartizione andava fatta ai sensi della carta della mezzadria (norme deliberate dal Consiglio naz. delle corporazioni, sezione agricoltura, e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale 6 dicembre 1933, n. 282). In via di ipotesi deducevano inoltre l'incostituzionalità della legge: 1) per aver voluto modificare, retroattivamente, gli effetti di uno stato di diritto già in atto, sottraendo al magistrato controversie sorte sulla base di una legge preesistente, e privando altresì il cittadino del diritto di difesa (artt. 24, 25, 101, 102, 104 Cost.); 2) per aver disposto una espropriazione senza che ricorressero ragioni di interesse generale e senza indennizzo, e avere per di più violato l'autonomia privata configurando il conferimento iniziale delle scorte da parte del concedente come volto a instaurare immediatamente un rapporto di comproprietà (artt. 41 e 42 Cost.); 3) per avere imposto ai concedenti una prestazione che avrebbe potuto essere imposta solo con legge generale e astratta, creando per giunta notevoli disuguaglianze tra mezzadri e concedenti (attraverso la previsione della svalutazione e non anche quella della rivalutazione monetaria), tra mezzadri e mezzadri (attraverso la considerazione dei soli casi di conferimento delle scorte a stima da parte del concedente), e tra concedenti e concedenti (per l'identica ragione, considerata dal punto di vista dei concedenti) (artt. 23 e 3 Cost.).

Il Tribunale non si occupò della eccezione principale, relativa all'applicabilità della legge Salari nel caso in questione, e, in motivazione, affermata la sussistenza di una manifesta infondatezza delle eccezioni di incostituzionalità, dichiarava "argomenti apprezzabili" quelli relativi alla "rispondenza o meno della legge 29 maggio 1956, n. 500, ai criteri di astrattezza e generalità che si assumono necessari in una legge impositiva di una prestazione come si sostiene esser quella in esame, la quale, per contro, sarebbe intesa nella sostanza a costituire un privilegio"; come pure gli argomenti che "siasi sanzionata una disuguaglianza dei cittadini, regolando solo un aspetto economico, favorevole al mezzadro, e non anche l'aspetto opposto". "Ciò a prescindere da particolari considerazioni su quei motivi, che al Tribunale sembrano irrilevanti, e che avrebbero portato il potere legislativo ad un eccesso di potere, consistito nella statuizione di norme contrastanti con la giurisprudenza ormai consolidata", ma "non senza tener presente che il dibattito sulla costituzionalità della legge così detta Salari, si é già esteso anche al campo dottrinario con opinioni contrastanti". Così motivando, esso, sul presupposto che "il giudizio non può esser definito indipendentemente dalla risoluzione della sollevata questione di legittimità costituzionale della legge 29 maggio 1956, n. 500", con ordinanza 31 gennaio 1957 disponeva "il deferimento alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale della legge 29 maggio 1956, n. 500", sospendendo il giudizio civile in corso.

Avvenuti gli adempimenti di rito, si costituivano, nei termini, innanzi alla Corte costituzionale i convenuti Randellini, e interveniva - sempre in termini - il Presidente del Consiglio dei Ministri, sostenendo, rispettivamente, la tesi dell'incostituzionalità e quella della costituzionalità della ripetuta legge.

5. - Anche innanzi al Pretore di Gubbio venne sollevata la questione di incostituzionalità della stessa legge.

Appellandosi a quest'ultima, con atto di citazione 27 ottobre 1956 Martini Ubaldo, mezzadro fino all'ottobre 1955, conveniva in giudizio gli eredi del fu Fagioli Luigi, sigg. Fagioli Guido Gregorio, Marco Emilio, Vercellone Pia Clotilde ved. Fagioli, nonché Fagioli Armando Ermanno, Carlo Maria e Maria Grazia, chiedendo il riconoscimento del proprio credito relativo alla metà del c.d. "plusvalore" delle scorte vive a suo tempo conferite dal proprietario, e la condanna dei convenuti al pagamento di L. 188.081, con gli interessi legali.

Anche in questo giudizio, i convenuti eccepirono che la legge Salari: a) violava gli artt. 24, 25, 101, 102, 104 Cost. e il principio della divisione dei poteri; b) violava il principio della irretroattività della legge (desumibile dagli artt. 24 e 25 Cost.), e pretendeva mascherare come legge interpretativa una legge innovativa; c) violava l'art. 42 Cost., realizzando delle espropriazioni in contrasto coi principi enunciati in tale articolo; d) violava gli artt. 23, 3, 41 Cost., imponendo illegittimamente prestazioni ad alcuni cittadini nei confronti di altri, ledendo in tal modo anche il principio di uguaglianza.

II giudicante considerò, in motivazione, non manifestamente infondate le seguenti questioni: a) se il nostro ordinamento costituzionale ammetta la possibilità di leggi interpretative, e in particolare se con una legge sia possibile dare la interpretazione autentica di consuetudini e di norme corporative; b) se sia consentito al legislatore - senza invadere la sfera del potere giudiziario - formulare una interpretazione autoritativa in contrasto con la interpretazione giurisprudenziale consolidata, e per di più sia possibile - e compatibile con l'art. 3 Cost. - formulare una simile interpretazione avendo di mira la posizione di una sola delle parti interessate (e perciò favorendola); c) se, nonostante che non realizzi sul piano giuridico una vera e propria espropriazione (in quanto non attribuisce al mezzadro metà della proprietà del bestiame conferito dal concedente, ma soltanto un diritto di credito a metà del valore di quel bestiame) la legge Salari possa considerarsi lesiva dell'art. 42 Cost., sotto il profilo che, dal punto di vista economico, si risolve in una vera e propria espropriazione, sia pur mascherata dal punto di vista giuridico.

Pertanto con ordinanza 20 febbraio 1957 il Pretore deferì alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale della legge Salari, e sospese il giudizio in corso.

Avvenuti gli adempimenti di rito, si costituivano, nei termini, innanzi a questa Corte, le parti del giudizio civile, e interveniva, sempre nei termini, il Presidente del Consiglio dei Ministri, sostenendo quest'ultimo e l'attore del giudizio civile la piena costituzionalità della legge; e i convenuti del giudizio civile la incostituzionalità di essa.

6. - In data 22 febbraio 1957 lo stesso Pretore di Gubbio ebbe a rimettere a questa Corte nei medesimi termini la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal convenuto nel giudizio promosso da Rosini Mariano, mezzadro di Caseti Domenico fino all'ottobre 1951, al fine di ottenere da quest'ultimo il pagamento della metà del c.d. "plusvalore" (inerente alla svalutazione monetaria) delle scorte vive a suo tempo conferite dal concedente Caseti.

In quel giudizio l'attore aveva dedotto l'inammissibilità e l'irrilevanza della questione di costituzionalità, essendosi il convenuto, con una scrittura del 1953, impegnato, per quanto riguarda il plusvalore, ad attenersi alle emanande disposizioni legislative. Ma il giudicante osservò che tale impegno non importava rinuncia a far valere la legittimità costituzionale delle disposizioni che sarebbero intervenute. Richiamandosi alla motivazione dell'ordinanza emessa il 20 febbraio nel giudizio Martini - Fagioli, il Pretore ritenne pertanto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale inerenti alla legge Salari e relative: a) alla compatibilità delle leggi interpretative col principio della separazione dei poteri e con gli artt. 102 e 104 Cost.; b) alla ammissibilità che una legge dia l'interpretazione autentica di norme consuetudinarie e corporative; c) alla compatibilità con l'art. 3 Cost. di una legge che consideri il fenomeno delle fluttuazioni monetarie a favore di una sola delle parti contrattualmente contrapposte; d) alla compatibilità con l'art. 42 Cost. di una legge che dal punto di vista economico (anche se non da quello giuridico) realizzi una espropriazione senza osservare i precetti contenuti nel citato articolo.

Sospeso il giudizio civile, e avvenuti, da parte della cancelleria della Pretura, gli adempimenti di rito, si costituivano innanzi a questa Corte le parti del giudizio civile. Interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri. Quest'ultimo e l'attore sostengono la tesi della piena legittimità costituzionale della legge Salari. Il convenuto sostiene la tesi contraria.

7. - Con ordinanza 22 marzo 1957, infine, anche il Pretore di Città della Pieve rimetteva a questa Corte la questione relativa alla legittimità costituzionale della legge Salari.

Innanzi a quella Pretura Tassini Umberto, ex mezzadro, fino all'ottobre 1955, di Cini Aristodemo, aveva convenuto quest'ultimo con atto 8 settembre 1956. Premesso che alla definizione dei conti era risultato debitore di L. 129.202, mentre in effetti doveva esser considerato creditore della differenza tra la metà del "plusvalore" delle scorte vive e detta somma - differenza pari a L. 164.282 - egli chiedeva la condanna dell'ex concedente, Cini, al pagamento di quest'ultima somma, oltre gli interessi. Il convenuto eccepì l'illegittimità costituzionale della legge Salari, sulla quale l'attore fondava la propria pretesa, assumendo che essa: 1) violerebbe i principi fondamentali dello stato di diritto, in quanto qualifica come interpretative delle norme a contenuto innovativo; 2) violerebbe il principio della separazione dei poteri, e in particolare la sovranità del potere giudiziario, in quanto avrebbe "posto nel nulla" la giurisprudenza consolidatasi nel senso della spettanza dell'intero "plusvalore" al concedente; 3) violerebbe gli artt. 3 e 42, terzo comma, Cost., da un lato, trattando in modo difforme i proprietari e i mezzadri, e, dall'altro operando nei confronti dei primi e a vantaggio dei secondi (e perciò nell'interesse privato) una espropriazione senza indennizzo.

Il Pretore, ritenuto che "da un rapido esame l'impugnativa in questione appare fondata", ordinava la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospendeva il giudizio.

Avvenuti gli adempimenti di rito, si costituiva innanzi a questa Corte, mediante atto d'intervento depositato nei termini, soltanto il Presidente del Consiglio dei Ministri, deducendo la piena conformità della legge Salari alla Costituzione.

8. - A tutte le riferite censure, le difese dei mezzadri, nonché l'Avvocatura dello Stato, nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri, oppongono in sintesi, questi argomenti:

Da nessun elemento si può desumere che le leggi interpretative siano oggi vietate dalla nostra Costituzione. La legge Salari é una legge interpretativa, giustificata dai gravi elementi di obiettiva incertezza che presentava la precedente disciplina del rapporto di mezzadria in ordine all'assegnazione, al termine del rapporto, delle scorte conferite a stima. Essa ha interpretato le norme del Codice civile, uniformandosi alla pratica consuetudinaria secondo cui la stima iniziale delle scorte veniva assunta come base per la determinazione degli utili e delle perdite, senza applicare alcun correttivo per tener conto delle oscillazioni monetarie. I coefficienti di correzione, previsti dall'ordinanza corporativa del 1931 e dall'art. 32 della Carta di mezzadria, si erano dimostrati in pratica inapplicabili e non avevano potuto perciò formare oggetto dei necessari accordi sindacali. Né il fatto che la giurisprudenza prevalente (ma non unanime) avesse riconosciuto la spettanza del plusvalore al concedente, poteva essere di ostacolo all'emanazione della legge.

É proprio delle leggi interpretative, d'altra parte, applicarsi anche ai rapporti già in atto: perciò nemmeno sotto questo profilo é censurabile, per quanto superflua, la disposizione contenuta nell'art. 2 della legge.

Anche se le si volesse, poi, riconoscere carattere innovativo, la legge non avrebbe violato nessun principio costituzionale, perché la Costituzione non vieta che le leggi civili possano essere retroattive e l'art. 11 delle disposizioni preliminari al Codice civile contiene solo un canone d'interpretazione.

Quanto al suo contenuto sostanziale, la legge trova piena giustificazione, tanto sul piano giuridico, che su quello economico. Sul piano giuridico, perché col conferimento "a stima", nella mezzadria, il valore del bestiame viene espresso in moneta; e il valore espresso in moneta é sempre considerato dalla legge invariabile (principio nominalistico), salvo espressa disposizione in contrario. Sul piano economico, in primo luogo, perché l'interdipendenza di numerosi e complessi fattori sull'andamento del mercato del bestiame non consente mai di distinguere le variazioni di prezzo dovute ad oscillazioni del potere di acquisto della moneta o ad altre cause contingenti, da quelle strettamente dovute ad aumento del valore intrinseco del capitale; in secondo luogo, perché l'attribuzione di metà del cosiddetto "plusvalore" al mezzadro si traduce pure in un corrispettivo per i rischi relativi al bestiame ricevuto in consegna, che gli si accollano per metà, secondo la consuetudine, anche dal concedente che si é riservato per intero la proprietà degli animali.

Di qui l'infondatezza delle censure relative a pretese violazioni degli artt. 23, 41 e 42 della Costituzione.

Né si può parlare, infine, di violazione del principio di uguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione, perché la legge non fa alcuna delle discriminazioni vietate da tale articolo. Essa disciplina astrattamente situazioni che interessano una generalità di persone (nulla rilevando che questa sia più o meno estesa), ed é ovvio, malgrado la sua unilaterale formulazione, che deve applicarsi così a vantaggio come a danno di ciascuna parte nel rapporto mezzadrile: cioè tanto in caso di svalutazione che di rivalutazione monetaria.

9. - Le ragioni, hinc inde, sono state poi illustrate dalle parti in ampie memorie e nella diffusa discussione orale.

 

Considerato in diritto

 

I. - Si discute della legittimità costituzionale di un'unica legge; e le questioni rimesse alla Corte dalle varie ordinanze dei giudici di merito sono in buona parte comuni. La Corte ritiene perciò opportuno riunire i sette giudizi indicati in epigrafe, decidendoli con unica sentenza.

II. - L'art. 1 della legge denunciata dispone: "Quando nei contratti di mezzadria le scorte vive sono state conferite dal concedente e consegnate al mezzadro a stima in base ai prezzi di mercato, in caso di scioglimento del contratto il mezzadro ha diritto a percepire dal concedente la metà della differenza tra il valore delle scorte al momento della consegna, calcolato in base ai prezzi allora correnti, ed il valore delle stesse calcolato in base ai prezzi correnti all'atto della riconsegna". E l'art. 2 fa retroagire tale precetto, disponendo che esso operi "anche quando sia avvenuto lo scioglimento del contratto anteriormente alla entrata in vigore della presente legge e le parti non abbiano comunque definito i loro rapporti in ordine alle scorte vive".

1. - Si tratta di legge interpretativa; e tale qualifica, espressamente enunciata nel titolo di essa, é stata a torto, da alcune delle ordinanze di rimessione, considerata usurpata.

Il problema se, alla fine del rapporto mezzadrile, nel caso di conferimento a stima, da parte del solo concedente, delle scorte vive, il mezzadro avesse diritto a partecipare anche degli incrementi di valore dovuti allo svilimento della moneta - e, correlativamente, quello se, in caso di rivalutazione della moneta, fosse tenuto a subire lo svantaggio delle conseguenti diminuzioni di valore - diede sempre luogo, in passato, a controversie tra gli interessati, a discussioni dottrinali e a divergenze giurisprudenziali. Al fine di evitare utili e perdite "apparenti" se ne occuparono anche alcune norme a carattere direttivo (deliberazione Corporazione agricoltura 13 marzo 1931 e deliberazione Consiglio nazionale delle corporazioni, sezione agricoltura, 13 maggio 1933, nota col nome di Carta della mezzadria), sollecitando che l'utile e le perdite da dividere venissero commisurati a valori "resi confrontabili" mediante opportune variazioni, "da concordare" nei patti collettivi. La direttiva però non venne seguita, mancando nei patti disposizioni inequivoche nei sensi raccomandati.

Il problema tornò attuale in occasione dell'imponente svalutazione monetaria conseguente al secondo conflitto mondiale. Come già in passato, anche stavolta, dopo qualche esitazione, la giurisprudenza si venne decisamente orientando - a partire dal 1952 - nel senso che il concedente abbia diritto alla reintegrazione del conferimento secondo il valore attuale del bestiame, e non secondo quello del momento del conferimento. Prima che la giurisprudenza potesse dirsi consolidata in tali sensi già era stata presentata però al Parlamento una proposta di legge destinata a far considerare il diritto del concedente limitato alla medesima somma a suo tempo da lui erogata pel conferimento (proposta del senatore Varriale, presentata al Senato il 15 settembre 1952, doc. n. 2607). Decaduta quella proposta per fine della legislatura, analoga proposta venne presentata nell'attuale legislatura dal senatore Salari il 30 aprile 1954 (doc. 509), e divenne la legge di cui ora si discute.

In presenza dei vivaci dibattiti tra le parti, tra gli studiosi, e nella stessa giurisprudenza, che la questione ha sempre suscitato e suscita, e in presenza dell'intento legislativo di rendere obbligatoria una particolare interpretazione dei precetti della materia, non può ritenersi esatta l'affermazione che l'attributo di legge interpretativa sia usurpato dalla legge in esame.

Né é esatto che la vigente Costituzione escluda la possibilità di leggi interpretative, e in quanto tali retroattive. Manca nella Carta costituzionale qualsiasi limitazione di ordine generale al riguardo. Si tratta, del resto, di un istituto comunemente ammesso da altri ordinamenti statali, che posseggono i caratteri di Stato di diritto e di Stato democratico.

Né é esatto che l'emanazione di leggi interpretative incida necessariamente sul principio della divisione dei poteri, interferendo necessariamente nella sfera del potere giudiziario. Non diversamente dalle altre leggi, anche la legge interpretativa innova all'ordine legislativo preesistente: il quid novi che essa introduce in tale ordine consiste nell'attribuire a certe norme anteriori un significato obbligatorio per tutti (con conseguente esclusione di ogni altra possibile interpretazione). Altra é la funzione del potere giudiziario: la quale consiste nella adozione di decisioni vincolate all'ordinamento normativo.

Il fatto della emanazione di una legge interpretativa non rappresenta dunque, di per sé sola, una interferenza nella sfera del potere giudiziario. É certo comunque che non può esser considerata lesiva di tale sfera una legge interpretativa che rispetti i giudicati (la legge in esame fa salvi i rapporti "definiti") e non appaia mossa dall'intento di interferire nei giudizi in corso.

Non é fondata dunque la censura che il carattere interpretativo della legge in esame ferisca i precetti degli artt. 101, 102, 104 Costituzione. E neanche essa vulnera le garanzie predisposte dal primo e dal secondo comma dell'art. 24 e dal primo comma dell'art. 25 Cost., attinenti rispettivamente alla facoltà di agire in giudizio a tutela delle proprie posizioni soggettive considerate e protette dal l'ordinamento, al diritto inviolabile di difendersi innanzi ai giudici, nonché al diritto di non esser distolti dal giudice naturale.

2. - Come si é visto, la legge 29 maggio 1956, n. 500, ha carattere interpretativo.

Pur ammesso però che essa non potesse esser classificata tra le leggi interpretative, e dovesse esser considerata legge innovativa, non per questo sarebbe incostituzionale a causa della sua efficacia retroattiva.

Il principio generale della irretroattività delle leggi - attualmente enunciato nell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale - rappresenta un'antica conquista della nostra civiltà giuridica. Esso però non é mai assurto nel nostro ordinamento alla dignità di norma costituzionale; né vi é stato elevato dalla vigente Costituzione, se non per la materia penale (vano é appellarsi in contrario - come fa taluna delle ordinanze di rimessione - a precetti, quali gli artt. 136 e 75 Cost., che hanno tutt'altro oggetto, e perciò non appaiono in alcun modo incompatibili con l'emanazione di leggi retroattive). Per le materie diverse da quella penale, l'osservanza del tradizionale principio é dunque rimessa - così come in passato - alla prudente valutazione del legislatore, il quale peraltro - salvo estrema necessità - dovrebbe a esso attenersi, essendo, sia nel diritto pubblico che in quello privato, la certezza dei rapporti preferiti (anche se non definiti in via di giudicato, transazione, ecc.) uno dei cardini della tranquillità sociale e del vivere civile.

Con ciò non si vuole escludere che in singole materie, anche fuori di quella penale, l'emanazione di una legge retroattiva possa rivelarsi in contrasto con qualche specifico precetto costituzionale. Si vuole semplicemente affermare il concetto che nel nostro ordinamento il principio della irretroattività della legge non assurge, nella sua assolutezza, a precetto costituzionale. E si vuole in particolare escludere - con specifico riguardo al campo della presente controversia - che sia ricavabile dagli artt. 23, 24 e 25 Cost. (come si assume in talune delle ordinanze di rimessione) un precetto costituzionale che escluda la possibilità di leggi retroattive destinate comunque a incidere nella sfera degli interessi privati, sacrificandoli, o nella sfera dell'autonomia privata, comprimendola. Come pure si vuole escludere che possa essere considerato lesivo della sfera del potere giudiziario (e in particolare degli artt. 101, 102 e 104 Cost.) il fatto che da una legge retroattiva derivi ai giudici l'obbligo di applicarla in relazione a rapporti sorti nel passato, e magari conclusi (ma non definiti), tanto più quando - come nel caso in esame - la legge non appaia mossa dall'intento di influire sui giudizi in corso.

3. - Si può ora passare a considerare quelle censure che, prescindendo dal carattere interpretativo e retroattivo della legge 29 maggio 1956, n. 500, denunciano il contrasto del contenuto precettivo di essa con singoli articoli della Costituzione.

a) Viene prospettato dalla più parte delle ordinanze, che hanno promosso il presente giudizio di costituzionalità, che l'art. 1 si risolverebbe in una espropriazione in danno del concedente di una parte del capitale d'esercizio da lui a suo tempo conferito. In sede di assegnazione delle scorte al termine della mezzadria, l'identificare, in tempi di svalutazione monetaria, la quota che egli ha il diritto di prelevare prima che si proceda alla ripartizione degli utili, in quella esattamente corrispondente alla quantità di moneta in cui venne a suo tempo stimato il bestiame da lui conferito, si risolverebbe in una vera e propria eversione patrimoniale. La quale non sarebbe consentita se non alle condizioni richieste dall'art. 42 Costituzione.

La censura non ha fondamento, in quanto non ne é esatta la premessa. Espropriare significa trasferire autoritativamente un bene da un soggetto a un altro. Il disposto dell'articolo in esame (... "il mezzadro ha diritto a percepire dal concedente...") non realizza nulla di tutto ciò; ma si limita a disciplinare - non importa se innovando o non rispetto al regime preesistente - un rapporto sinallagmatico, definendo un certo profilo delle obbligazioni delle parti (ciò che il mezzadro ha il diritto di ricevere alla fine del rapporto). L'art. 42 Cost. non viene dunque in questione. Non occorre perciò soffermarsi sulle censure attinenti alla mancata osservanza da parte del legislatore delle condizioni richieste da tale articolo per le espropriazioni.

b) In talune delle ordinanze di rimessione si osserva che, una volta escluso che l'art. 1 operi una espropriazione, occorrerebbe quanto meno riconoscere che esso viene a imporre al concedente una prestazione patrimoniale a favore del mezzadro. Nel qual caso la disposizione sarebbe del pari illegittima, per inosservanza di principi, che si assumono inerenti all'art. 23 Costituzione.

Anche questa censura non ha fondamento. La funzione dell'art. 1 non é quella di prevedere prestazioni coattive a carico del concedente, bensì - come si é visto - quella di disciplinare un rapporto sinallagmatico: in tale spirito esso contribuisce a definire l'ambito dei diritti del mezzadro verso la controparte. L'art. 23 Cost. non é dunque interessato.

É peraltro da aggiungere - e l'osservazione vale anche in ordine alle censure mosse alla legge specificamente per aver preteso di operare sui rapporti in atto, e anzi persino su quelli esauriti (ma non definiti) - che, pur ammesso che potesse esser considerata come volta a introdurre prestazioni coattive, del genere di quelle cui si riferisce l'art. 23 Cost., la legge sarebbe nondimeno costituzionalmente legittima, null'altro vietando la citata disposizione della Carta fondamentale, se non la imposizione di prestazioni fatta non sulla base di una legge, sufficientemente dettagliata nei limiti, che espressamente la preveda (vedansi le sentenze di questa Corte 16 gennaio 1957, n. 4, 23 gennaio 1957, n. 30, e 11 marzo 1957, n. 47): legge che nel caso in questione vi fu, e fu appunto quella di cui si discute, in ordine alla specificità del contenuto della quale non é stato sollevato alcun dubbio.

Quanto all'osservazione della mancanza in essa del carattere della generalità, senza affrontare qui il problema se tale carattere sia effettivamente necessario per le leggi cui si riferisce l'art. 23 (che, a differenza degli artt. 16 e 21, non ne afferma espressamente l'esigenza), sarà sufficiente osservare che esso ben é presente nella legge in esame: la quale - volta com'é a regolare indiscriminatamente tutti i possibili rapporti da essa previsti - non può esser considerata lex in privos lata, non soltanto per ciò che riguarda la disciplina dei rapporti futuri, ma anche per ciò che riguarda la disciplina dei rapporti in corso o esauriti. Per quanto attiene poi alla mancanza, nella legge, del carattere dell'astrattezza - che sarebbe da lamentare nei confronti dei rapporti già sorti, e in particolare per quelli esauriti (i quali sarebbero tutti, appunto perché già in atto, concretamente individuabili) - il discorso può essere ancor più breve, dato che, diversamente che per quello della generalità (al quale attribuisce una certa rilevanza), la Costituzione in nessuna norma si riferisce a esso come a requisito della legge.

c) Difetta parimenti di base la censura di violazione dell'art. 41 Cost., sotto il profilo che la legge denunciata, configurando - e per di più anche pel passato - come vendita di bestiame ciò che dalle parti sarebbe stato voluto come semplice affidamento dello stesso, sarebbe venuta a manomettere - oltre che l'art. 42 (del quale già si é discusso) - il principio dell'autonomia privata.

É inesatto infatti l'assunto, secondo il quale la legge in discussione si sarebbe proposta o avrebbe comunque realizzata la trasformazione in vendita del rapporto istituito tra concedente e mezzadro col conferimento del bestiame da parte del primo. Senza in alcun modo modificare la natura del rapporto, la legge si é limitata a regolare l'aspetto quantitativo delle obbligazioni delle parti.

d) Neanche sussistono le denunciate lesioni del principio di uguaglianza, garantito dall'art. 3 della Costituzione.

Non é necessario indugiarsi a vedere se l'aver la legge considerato soltanto il caso di posizione creditoria del mezzadro in relazione alla differenza di valore nominale delle scorte tra il momento di consegna e quello di riconsegna, e non anche l'ipotesi inversa, importi o non che in quest'ultima ipotesi si applichi - secondo quanto richiederebbe l'equità, e secondo quanto nelle relazioni parlamentari si mostrò di ritenere - il medesimo criterio del riferimento ai valori nominali. Pur ammesso che la necessità di tale applicazione, per la seconda ipotesi, non risulti dalla legge e (ciò che é più difficile ammettere) non risulti dal sistema, non per questo il principio enunciato nell'art. 3 Cost. ne resterebbe vulnerato. Che le leggi si uniformino all'equità é regola di buona e sana legislazione, la cui osservanza é rimessa alla saggezza del legislatore; ma non é precetto costituzionale. Il precetto del primo comma dell'art. 3 della Carta fondamentale ha ben altro contenuto, attinente alla esclusione di privilegia e di disposizioni discriminatorie. Allorquando - come nel caso in esame - una legge sia destinata ad essere applicata indistintamente nei confronti di tutti gli appartenenti a una data categoria, essa certamente non viola tale precetto. Il perché della applicazione dei criteri ispiratori della legge a certe categorie e non ad altre attiene poi alla scelta politica del legislatore; e - come questa Corte ha più volte ritenuto (sentenze 16 gennaio 1957, n. 3, e 22 gennaio 1957, n. 28) non può formare oggetto di sindacato di costituzionalità.

Quanto precede vale ad escludere che la legge incriminata sia incorsa in violazione del primo comma dell'art. 3 Cost. anche sotto il profilo dell'aver introdotto un regime differenziato sia pei mezzadri, sia pei concedenti, a seconda che il conferimento delle scorte da parte di questi ultimi abbia avuto luogo "a stima" o "per specie e qualità". E ciò a prescindere dalla considerazione che, diversa essendo nei due casi la situazione presupposta, sarebbero mancate le condizioni per la necessità di un'identica disciplina legislativa.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza nei giudizi riuniti indicati in epigrafe:

dichiara non fondate le questioni proposte con le ordinanze indicate in epigrafe, sulla legittimità costituzionale della legge 29 maggio 1956, n. 500, contenente "Norme interpretative in materia di consegna e riconsegna delle scorte vive nei contratti di mezzadria", in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 25, 41, 42, 75, 101, 102, 104, 136 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1957.

Gaetano AZZARITI – Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA – Aldo SANDULLI.

 

Depositata in Cancelleria il 8 luglio 1957.