Sentenza n. 410 del 1995

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SENTENZA N. 410

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 11, commi 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 21 aprile 1994 dalla Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere sul ricorso proposto da Francesco Ventrone in proprio e n.q. ed altro, iscritta al n. 576 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1994;

2) ordinanza emessa il 1° febbraio 1994 dalla Commissione tributaria di primo grado di Firenze sui ricorsi riuniti proposti da Giorgio Beretta ed altro contro l'Intendenza di finanza di Firenze, iscritta al n. 92 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1995 il Giudice relatore Massimo Vari;

udito l'Avvocato dello Stato Carlo Bafile per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.-- Con ordinanza emessa il 21 aprile 1994 (R.O. n. 576 del 1994), nel giudizio sul ricorso proposto da Francesco Ventrone, in proprio e quale procuratore generale di Raffaela Cappabianca, nonchè Antonio Ventrone, avverso il silenzio rifiuto dell'Intendenza di finanza di Caserta in ordine all'istanza di rimborso della ritenuta operata sulle somme da essi percepite nell'anno 1992 a titolo di indennità di esproprio, indennità di occupazione ed interessi, la Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, commi 5, 6, 7, 8, e 9 della legge 30 dicembre 1991, n. 413.

Rilevato che, nella legge delega della riforma tributaria (art. 2 della legge 9 ottobre 1971, n. 825), era prevista "l'inclusione nel computo del reddito complessivo delle plusvalenze realizzate dalle persone fisiche a seguito di operazioni effettuate con fini speculativi su beni non relativi alla impresa commerciale", il giudice a quo osserva che tale scelta, tenuta presente sia dall'art. 76 del d.P.R. n. 597 del 1973, sia dall'art. 81 del d.P.R. n. 917 del 1986, verrebbe ora disattesa nel caso di tassazione di indennità percepita a seguito di esproprio, dove non sembra legittimo ipotizzare l'insorgenza del fine speculativo.

Secondo il remittente, "la tassazione dell'indennità di occupazione e la tassazione degli interessi sulle plusvalenze derivanti dalla percezione di indennità di esproprio di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi, nonchè di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni d'urgenza divenute illegittime" (commi 5 e 6 dell'art. 11 della legge n. 413 del 1991) violerebbero l'art. 53, in relazione all'art. 3 della Costituzione, in quanto verrebbero a colpire somme che "non rappresentano ricchezza nuova, nè plusvalore, ma un semplice ristoro a fronte dello spossessamento effettuato dalla P.A. su un bene privato".

L'art. 53, in relazione all'art. 3 della Costituzione, sarebbe altresì violato sotto il profilo della non attualità della capacità contributiva presa in considerazione, riferendosi il prelievo a situazioni già esaurite: l'obbligato "potrebbe non essere più nella disponibilità dell'indennità, data anche la possibilità che l'acquisizione della stessa sia avvenuta in un tempo notevolmente remoto, in cui non era neppure prevedibile la istituzione dell'imposta".

2.-- Nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

In primo luogo, l'Avvocatura sostiene che l'eccezione relativa ai comma 5 e 6 sarebbe infondata in quanto oggetto dell'imposizione è una plusvalenza ex art. 81, comma 1, lettera b) del testo unico delle imposte sui redditi, cioè non la intera indennità, ma la differenza tra i corrispettivi percepiti e il prezzo di acquisto in un tempo anteriore (art. 82 del t.u. n. 917 del 1986).

L'Avvocatura evidenzia, inoltre, come l'indicazione contenuta nella legge delega della riforma non sia un principio costituzionale e come, già con l'art. 81 del testo unico n. 917 del 1986, il legislatore abbia regolato l'imposizione delle plusvalenze a presupposti che non implicano un intento di speculazione.

La seconda eccezione, sul comma 9, (già decisa con sentenza n. 315 del 20 luglio 1994) sarebbe irrilevante, tenuto conto che il pagamento dell'imposta, con la relativa ritenuta, è avvenuto il 25 agosto 1992, dopo l'entrata in vigore della legge.

3.-- Con ordinanza emessa il 1° febbraio 1994 (R.O. n. 92 del 1995) la Commissione tributaria di primo grado di Firenze, nel giudizio instaurato su separati ricorsi dei sigg. Giorgio Beretta e Mario Beretta avverso il silenzio rifiuto dell'Intendenza di finanza di Firenze in ordine alla istanza di rimborso dell'imposta sull'indennità percepita in seguito a procedure espropriative e di occupazione di urgenza su vari appezzamenti di terreni, ha del pari sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, commi 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, in riferimento agli artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione.

4.-- Il remittente, premesso che la normativa in questione "ha introdotto con efficacia retroattiva al 31 dicembre 1988 un prelievo di carattere fiscale di importo non indifferente (20%) non prevedibile dal contribuente al momento in cui accettò l'importo dell'indennità di esproprio in sede bonaria, determinandosi alla stipula del contratto di cessione", ritiene che la retroattività dell'imposizione fiscale (art. 11, comma 9) appare censurabile per violazione dell'art. 3 della Costituzione:

a) per il deteriore "regime giuridico cui sono sottoposti i cittadini che hanno percepito somme in conseguenza di atti anche volontari o provvedimenti emessi nel periodo anzidetto, a causa di un non prevedibile prelievo fiscale di importo non indifferente del quale non hanno potuto perciò tener conto nel determinarsi alla cessione rispetto a tutti gli altri cittadini che siano stati interessati da procedure espropriative prima della data del 31 dicembre 1988 o che lo siano stati dopo l'entrata in vigore della legge n. 413 del 1991";

b) per il diverso importo concretamente percepito da parte dei diversi espropriandi, a seconda del periodo in cui è venuto a maturazione il relativo diritto;

c) per la previsione di un'imposizione retroattiva solo a carico del soggetto che "si è visto espropriare suo malgrado jussu principis" un cespite e non del soggetto che detto cespite volontariamente aliena.

Sussisterebbe, poi, violazione oltre che dell'art. 3, dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione in quanto, da un lato, la norma, riducendo con efficacia retroattiva un indennizzo già fissato, non rispetterebbe il principio della "effettività" ed "adeguatezza" della riparazione.

La norma sarebbe, ulteriormente, censurabile per violazione dell'art. 53 della Costituzione in quanto:

a) "l'espropriato potrebbe non avere più disponibile la indennità percetta in passato, con la conseguenza che la capacità contributiva attuale potrebbe essere notevolmente ridotta o attualmente inesistente";

b) l'indennizzo ricevuto a seguito di cessione bonaria del bene nel corso e/o a causa di una procedura espropriativa non sarebbe indice effettivo di capacità contributiva, "giacchè, come noto, nel patrimonio dell'espropriando non entra una somma di danaro corrispondente al valore dell'immobile bensì un semplice ristoro per la privazione del bene".

"Difficilmente comprensibile" sarebbe inoltre "l'alternativa tra tale imposizione e quella INVIM, prevista dall'art. 11, comma 9, della legge n. 413 del 1991": l'INVIM non trova applicazione nel caso di espropriazione o di cessione allo espropriante, in caso di espropriazione per pubblica utilità.

Quanto poi alla tassazione dell'indennizzo per occupazione temporanea si verificherebbe "duplicazione di imposta con violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione nonchè di ogni canone di ragionevolezza", in quanto il titolare del fondo occupato, mantenendo la proprietà dello stesso durante l'occupazione e per tale titolo continuando a pagare IRPEF ed ILOR sui redditi dominicali ed agrari, verrebbe, dopo l'entrata in vigore dell'art. 11, comma 6, della legge n. 413 del 1991, colpito con efficacia retroattiva da nuova imposizione per l'indennità di occupazione.

5.-- È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

L'Avvocatura osserva preliminarmente che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, commi 5, 6, 7, 8 e 9, della legge n. 413 del 1991 verte, per come proposta, in realtà sul solo comma 9 e fugacemente sul 6, senza affatto menzionare, salvo che nel dispositivo dell'ordinanza, i commi 5 e 7 i quali sono estranei alla controversia principale.

Sottolinea inoltre che la questione relativa al comma 9 è stata già decisa con sentenza n. 315 del 1994 e con ordinanza n. 473 del 1994 e che le argomentazioni nuove contenute nell'ordinanza sono infondate.

Secondo l'Avvocatura, non sarebbe sostenibile una disparità di trattamento tra il soggetto che ha convenuto la misura dell'indennità senza poter tener conto della imposta successivamente istituita con effetto retroattivo e il soggetto che dopo l'entrata in vigore delle norme può comportarsi tenendo in considerazione nelle proprie determinazioni l'imposta, in quanto le due situazioni non sono identiche e in genere il principio di uguaglianza non può operare fra due situazioni diverse perchè l'una anteriore e l'altra posteriore all'emanazione di una norma. Inoltre "l'imposta diretta, quale quella in questione, non può essere trasferita, sicchè è da escludere che nel determinare l'indennità la somma corrispondente al valore del bene possa essere aumentata dell'ammontare dell'imposta". "L'alternativa tra imposta sulla plusvalenza e imposta INVIM che si verifica per l'INVIM decennale sulle persone giuridiche" non riguarderebbe la situazione in discussione.

"La modifica dell'art. 81 lettera b) del testo unico delle imposte sui redditi trova applicazione, secondo le regole generali, in forza del principio di cassa; evidentemente diversa è la materia della espropriazione che ha suggerito una disciplina sua propria".

Infine, secondo la memoria, non sarebbe vero che "la tassazione della indennità di occupazione temporanea (comma 6), dà luogo ad una duplicazione con i redditi fondiari di cui il titolare rimane soggetto passivo". L'imposta sui redditi fondiari, presupponendo il "possesso" del reddito stesso (artt. 1, 23 e arg. 28 del t.u. n. 917 del 1986), non sarebbe dovuta durante lo spossessamento.

6.-- In prossimità dell'udienza, l'Avvocatura ha presentato una unica memoria illustrativa, ribadendo sostanzialmente quanto già sottolineato negli atti di intervento.

In particolare si evidenzia che la questione relativa alla retroattività della norma impositiva è stata già affrontata dalla Corte; che sarebbe errato il rilievo secondo cui l'indennizzo colpito dall'imposta sarebbe non un reddito ma una riparazione dell'ablazione del diritto di proprietà "perchè l'imposta grava non sull'intero indennizzo ma solo sulla plusvalenza". Quanto all'ordinanza della Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere (R.O. n. 576 del 1994) si osserva che essa "è pronunciata su un ricorso concernente la percezione di un indennizzo avvenuto dopo l'entrata in vigore della legge rispetto alla quale la questione di illegittimità del nono comma è irrilevante". Ribadito, inoltre, che la presunta disparità di trattamento evidenziata nell'ordinanza dalla Commissione tributaria di primo grado di Firenze (R.O. n. 92 del 1995) non sussiste, si deduce l'irrilevanza della questione della alternativa tra l'imposta sulla plusvalenza e INVIM che "ipoteticamente si porrebbe solo per le persone giuridiche (INVIM decennale) in quanto le espropriazioni sono esenti dall'INVIM sui trasferimenti (art. 2 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643)". Tornando poi ai rilievi della Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere, si osserva che "gli indirizzi della legge delega non hanno rilevanza costituzionale sicchè una legge ordinaria ben può essere derogata da altra legge ordinaria". Infine, si assume che la questione sollevata dalla Commissione tributaria di Firenze sui commi 5, 6, 7, 8 e 9, verterebbe in realtà solo sui commi 5 e 6 e che, peraltro, il rilievo sul comma 6 sarebbe inconsistente non verificandosi duplicazione tra tassazione dell'indennità di occupazione temporanea e imposizione sul reddito fondiario in quanto "l'imposta sul reddito presuppone il possesso del reddito (art. 1, 23 e arg. 28 del testo unico n. 917/1986) e di conseguenza non è dovuta durante lo spossessamento del bene produttivo del reddito".

Considerato in diritto

1.-- Le ordinanze in epigrafe, emesse dalle Commissioni tributarie di primo grado di Santa Maria Capua Vetere e di Firenze, denunciano l'illegittimità costituzionale di varie disposizioni contenute nell'art. 11, commi 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzione dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale).

2.-- Poichè le questioni sollevate sono in parte analoghe e in parte connesse, i giudizi possono essere riuniti per essere decisi con una unica sentenza.

3. -- Va esaminata, anche in ragione della sua portata di principio, anzitutto la questione che entrambe le ordinanze sollevano nel porre in dubbio l'idoneità delle somme conseguite a vario titolo, in occasione dei procedimenti occupativi ed ablatori, a porsi quali situazioni espressive di capacità contributiva e quindi quali indici rappresentativi di quella ricchezza che costituisce il presupposto dell'imposizione fiscale.

Secondo l'ordinanza emessa dalla Commissione tributaria di Santa Maria Capua Vetere le disposizioni censurate -- nel sottoporre a tassazione l'indennità di occupazione, gli interessi sulle plusvalenze derivanti dalla percezione di indennità di esproprio nonchè le somme percepite a seguito di cessione volontaria nel corso di procedimenti espropriativi e le somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime -- contrasterebbero con l'art. 53, in relazione all'art. 3 del la Costituzione, in quanto verrebbero a colpire somme che rappresentano un semplice ristoro a fronte dello spossessamento effettuato dalla pubblica amministrazione su un bene privato.

Analogamente, la Commissione tributaria di primo grado di Firenze, dubita che le disposizioni stesse violino l'art. 53 in quanto l'indennizzo ricevuto a seguito di cessione bonaria del bene nel corso e/o a causa di una procedura espropriativa non sarebbe indice effettivo di capacità contributiva, entrando nel patrimonio dell'espropriando un semplice ristoro per la privazione del bene.

4.-- Le questioni non sono fondate.

In proposito, la Corte ritiene di prendere le mosse dalle argomentazioni svolte nella prima delle ordinanze menzionate che evoca, da un canto, il criterio direttivo contenuto nella legge delega della riforma tributaria del 1971, della tassazione delle sole plusvalenze conseguite per fini speculativi e rileva, dall'altro, la mancanza nelle somme qui in esame del carattere di "novella ricchezza".

Con detti rilievi, l'ordinanza stessa sembra implicitamente supporre che, dal sistema fiscale, sia desumibile una nozione di reddito che, in quanto espressiva in sè del principio di capacità contributiva, possa costituire una sorta di archetipo al quale raffrontare le varie ipotesi di tassazione che il legislatore viene mano a mano introducendo, qualificandole come fattispecie di imposizione sul reddito. A tale prospettazione che richiama un risalente e mai sopito dibattito, del quale v'è talora traccia anche nella giurisprudenza della Corte (sentenza n. 200 del 1987), circa la possibilità o meno di costruire una nozione generale di reddito a fini fiscali, in corrispondenza delle due antitetiche prospettazioni del reddito-prodotto e del reddito- entrata, può obiettarsi, anzitutto, che il criterio del fine speculativo delle plusvalenze, ancorchè recepito in un primo momento nel d.P.R. n. 597 del 1973 (art. 76), è stato successivamente abbandonato con l'art. 81 del d.P.R. n. 917 del 1986. In via ancor più generale può, altresì, opporsi che l'esame della normativa sulle imposte sui redditi non offre elementi significativi di una univoca opzione, da parte del legislatore, nell'uno ovvero nell'altro dei sensi sopra indicati. Il Testo unico del 1986 -- seguendo un criterio che appare piuttosto quello descrittivo e classificatorio delle fattispecie -- dopo aver stabilito (artt. 1 e 86) che presupposto dell'imposta è il possesso di redditi rientranti nelle categorie indicate nell'art. 6, specifica, in quest'ultima norma, le categorie stesse, non senza prevedere nella disposizione dell'art. 81, dedicata ai redditi diversi, la delimitazione dei residuali casi d'imposizione tributaria. È lecito perciò affermare che, attualmente, ai fini della nozione giuridica di reddito occorre far capo a ciò che viene, nei limiti della ragionevolezza, qualificato per tale dal legislatore. Ciò significa, pertanto, che per dichiarare tassabile un provento occorre accertare in quale delle ipotesi normative tipiche esso rientri. Peraltro, poichè la prospettazione delle ordinanze di rimessione può ben essere intesa come espressione di una esigenza di coerenza fra le nuove ipotesi di tributo e quelle già disciplinate nel d.P.R. n. 917 del 1986 -- verifica questa che parrebbe del resto suggerita dal fatto stesso che il legislatore riconduce le varie somme conseguite in occasione dei procedimenti ablatori nelle categorie dell'art. 81 del Testo unico -- la Corte osserva, quanto all'indennità corrisposta per l'espropriazione del bene, che oggetto dell'imposizione fiscale è in questo caso non l'indennità in sè, bensì la plusvalenza vale a dire la differenza tra il corrispettivo percepito e il prezzo di acquisto in un tempo anteriore (art. 82 del predetto Testo unico) e cioè quel vantaggio economico che, con riferimento anche ad altre ipotesi di cessione è considerato reddito tassabile dallo stesso art. 81. Nè implausibile, nell'ambito del generale quadro normativo sopra delineato, si appalesa anche la tassazione della indennità di occupazione, in quanto riconducibile ad una funzione di ristoro per il mancato godimento del bene (arg., altresì, ex art. 6, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986) come pure quella degli interessi, anch'essi corrispondenti ad una categoria economica già nota al sistema dell'imposizione tributaria.

5.-- Ambedue le ordinanze sollevano, poi, sempre in riferimento agli artt. 53 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale sotto il profilo della non attualità della capacità contributiva presupposta dal legislatore, anche in ragione della non prevedibilità dell'imposizione e del fatto che l'interessato potrebbe non avere più la disponibilità della somma percepita. Peraltro, mentre la Commissione tributaria di primo grado di Firenze riferisce espressamente la questione al comma 9 dell'art. 11 della legge n. 413 del 1991, nessuna puntuale indicazione sulla disposizione che si intende denunciare risulta dall'ordinanza della Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere. Eccepisce, d'altro canto, l'Avvocatura dello Stato, sul presupposto che la disposizione denunciata sia il menzionato comma 9, che la questione sarebbe irrilevante in quanto, nella specie, le somme risultano percepite dai contribuenti nel 1992 e cioè dopo l'entrata in vigore della legge.

A dire il vero, l'ordinanza da ultimo menzionata, pur non specificando la disposizione che intende censurare, ricomprende tra le disposizioni che, in via generale, denunzia anche detto comma 9. Nonostante la non puntuale formulazione della questione si può, quindi, ritenere che la censura avanzata dal giudice a quo sia da riferire a detta ultima disposizione; disposizione che, altrimenti, il remittente non avrebbe avuto nessun motivo di menzionare fra quelle sottoposte al vaglio della Corte.

Ciò premesso, occorre considerare che, in effetti, la norma conferisce retroattività all'imposizione fiscale, relativamente alle somme che, nel periodo che va dal 1° gennaio 1989 al 31 dicembre 1991, siano state percepite per effetto di provvedimenti o atti intervenuti nello stesso periodo. La fattispecie all'esame della Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere, riguardando somme percepite nel 1992, è da ritenere estranea a quella disciplinata dal comma 9. Di ciò dà conferma, del resto, la medesima ordinanza di rimessione, dalla quale risulta che le modalità seguite, nel caso di specie, per la tassazione, sono state quelle previste dal comma 7 dell'art. 11. La questione sollevata sul comma 9 dell'art. 11 è pertanto manifestamente inammissibile.

Per il resto, e quanto alla questione proposta dall'ordinanza della Commissione tributaria di primo grado di Firenze su quest'ultima disposizione, va osservato che essa ha già formato oggetto di esame da parte di questa Corte che l'ha ritenuta non fondata, in ragione della sussistenza di un elemento di prevedibilità dell'imposta, non privo di significato quanto alla verifica della permanenza della capacità contributiva, unitamente all'altro elemento, di non minor peso, del breve lasso di tempo entro il quale il legislatore ha stabilito che tale retroattività è destinata ad operare (sentenza n. 315 del 1994 e ordinanza n. 14 del 1995).

La questione viene ora riproposta, senza che siano introdotti nuovi profili ed argomentazioni, tali da indurre a diverso avviso.

6.-- La Commissione tributaria di primo grado di Firenze solleva, poi, sempre in ragione della retroattività conferita alla tassazione, questione di legittimità del predetto comma 9 dell'art. 11 sotto ulteriori profili e cioè per contrasto con l'art. 3 della Costituzione:

a) risultando deteriore il regime giuridico cui sono sottoposti i cittadini che hanno percepito somme in conseguenza di atti anche volontari o provvedimenti emessi nel periodo considerato dalla disposizione denunciata, a causa di un non prevedibile prelievo fiscale di importo non indifferente del quale non hanno potuto perciò tener conto nel determinarsi alla cessione, rispetto ai cittadini che siano stati interessati da procedure espropriative prima della data del 31 dicembre 1988 o dopo l'entrata in vigore della legge n. 413 del 1991;

b) per il diverso importo concretamente percepito da parte dei diversi espropriandi, a seconda del periodo in cui è venuto a maturazione il relativo diritto;

c) per essere prevista un'imposizione retroattiva solo a carico del soggetto che "si è visto espropriare suo malgrado jussu principis" un cespite e non del soggetto che detto cespite volontariamente aliena.

La norma sarebbe ancora in contrasto con:

-- l'art. 42, terzo comma, della Costituzione in quanto, riducendo con efficacia retroattiva un indennizzo già fissato, non rispetterebbe i principi della "effettività" e dell'"adeguatezza" della riparazione;

-- gli artt. 3 e 53 della Costituzione in quanto il titolare del fondo occupato, mantenendo la proprietà dello stesso durante l'occupazione e per tale titolo continuando a pagare IRPEF ed ILOR sui redditi dominicali ed agrari, verrebbe, dopo l'entrata in vigore dell'art. 11, comma 6, della legge n. 413 del 1991, colpito con efficacia retroattiva da nuova imposizione per l'indennità di occupazione.

7.-- Anche dette questioni non sono fondate.

Fermo quanto già detto in punto di prevedibilità dell'imposta, si rileva, circa la lamentata disparità di trattamento, a seconda dell'epoca in cui si è avuta l'espropriazione, che trattasi di effetti connaturati alla successione delle leggi nel tempo, che non per questo concretano violazione dell'art. 3 della Costituzione (sentenze nn. 618 del 1987 e 38 del 1984).

In ordine poi al diverso trattamento fiscale riservato al soggetto espropriato rispetto a colui che aliena volontariamente il bene, si rammenta che anche detta questione ha già formato oggetto di esame da parte della Corte (sentenza n. 14 del 1995), che ha rinvenuto la spiegazione di tale diverso trattamento nella circostanza che, alla data dell'entrata in vigore della legge n. 413 del 1991, le plusvalenze derivanti da cessione negoziale privatistica erano (come, del resto, sono tuttora sia pure nei limiti di cui all'art. 17 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504) soggette all'imposta sull'incremento di valore degli immobili, mentre quelle realizzate a seguito di procedimenti espropriativi erano e sono escluse da tale imposizione (art. 2, ultimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643). La retroattività della norma trova, quindi, la sua giustificazione nella assenza dell'altra imposta sul plusvalore immobiliare in capo al dante causa, come è testimoniato dallo stesso tenore della norma impugnata: infatti il comma 9 dell'art. 11, dispone sì retroattivamente, in ordine alle somme percepite in conseguenza di atti anche volontari o provvedimenti emessi successivamente al 31 dicembre 1988, ma soltanto "se l'incremento di valore non è stato assoggettato all'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili".

Non diversa sorte merita la questione relativa alla dedotta violazione dell'art. 42, per la incidenza negativa che la tassazione retroattiva spiegherebbe sull'entità dell'indennizzo conseguito a seguito dell'espropriazione. Stabilita la legittimità dell'imposizione retroattiva della plusvalenza in quanto reddito, nessun rilievo, dal punto di vista dell'indennizzo garantito dall'art. 42 della Costituzione, può avere il fatto che, da un punto di vista meramente economico, l'imposizione stessa possa comportare una decurtazione di quanto conseguito a titolo di indennità di esproprio.

8.-- Neppure fondata è, infine, la questione della duplicazione di imposta alla quale verrebbe assoggettato il titolare del fondo il quale avendo già pagato l'imposta personale sul reddito domini cale e sul reddito agrario, si vedrebbe di nuovo fiscalmente colpito, dopo l'entrata in vigore dell'art. 11, comma 6, con effetto retroattivo sull'indennità di occupazione. L'ipotesi prospettata di una duplicazione di imposta non sussiste, in quanto differenti sono i presupposti della tassazione del reddito fondiario di cui agli artt. 23 e seguenti del d.P.R. n. 917 del 1986 rispetto a quelli della tassazione dell'indennità di occupazione che la stessa legge n. 413 del 1991 riconduce ai redditi diversi di cui all'art. 81.

A ben vedere, la questione che, in realtà, si può porre è quella dei limiti in cui, a fronte dell'avvenuta occupazione in sè, sia dato ugualmente imputare al proprietario il reddito fondiario medesimo. Ma non è problema che interessi il presente giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 9 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, non chè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzione dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere con l'ordinanza di epigrafe;

dichiara non fondate le altre questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, commi 5, 6, 7, 8 e 9 della predetta legge, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere e, in riferimento agli artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Firenze, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 luglio 1995.