ORDINANZA N. 245
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giuseppe TESAURO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 17 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, promossi dal Giudice di pace di Viterbo con due ordinanze del 20 dicembre 2013, iscritte ai nn. 39 e 40 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15 prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 settembre 2014 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.
Ritenuto che, con due ordinanze di analogo tenore, emesse il 20 dicembre 2013 nell’ambito di distinti procedimenti penali, il Giudice di pace di Viterbo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 17 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, «nella parte in cui prevede che il Decreto di citazione possa essere emesso in difetto di istruttoria e comunque di avviso della conclusione delle indagini preliminari» ai sensi dell’art. 415-bis del codice di procedura penale;
che il giudice a quo riferisce che, alla prima udienza dibattimentale, il difensore dell’imputato aveva eccepito la nullità della citazione a giudizio, in quanto il suo assistito non era stato preventivamente «ascoltato» dal pubblico ministero, deducendo, a tal fine, l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 del d.lgs. n. 274 del 2000;
che, ad avviso del rimettente, la questione sarebbe rilevante, giacché la sua risoluzione si porrebbe in rapporto di «strumentalità necessaria» rispetto alla pronuncia sull’eccezione della difesa;
che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva che, in forza dell’art. 11 del d.lgs. 274 del 2000, la polizia giudiziaria compie di propria iniziativa tutti gli atti di indagine relativi ai reati di competenza del giudice di pace, riferendone al pubblico ministero, il quale, a sua volta, ai sensi del successivo art. 15, se non dispone l’archiviazione, esercita l’azione penale;
che, a norma dell’art. 20 del medesimo decreto legislativo, così come modificato dall’art. 17 del d.l. n. 144 del 2005, il pubblico ministero cita, quindi, l’imputato davanti al giudice di pace (compito in precedenza affidato alla polizia giudiziaria);
che, nel prevedere l’immediata citazione a giudizio della persona che è stata sottoposta ad indagini, la norma censurata violerebbe il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), ponendo l’indagato per reati di competenza del giudice di pace in posizione deteriore rispetto all’indagato per reati di competenza del giudice ordinario;
che nel procedimento davanti al tribunale trova, infatti, applicazione l’art. 415-bis cod. proc. pen., in forza del quale il pubblico ministero, qualora non debba chiedere l’archiviazione, è tenuto far notificare all’indagato e al suo difensore – a pena di nullità del successivo decreto di citazione a giudizio – l’avviso di conclusione delle indagini preliminari;
che la medesima disposizione riconosce, altresì, all’indagato la facoltà di prendere visione della documentazione relativa agli atti di indagine e, nei venti giorni successivi alla notifica dell’avviso, di presentare memorie, produrre documenti e chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, ovvero di essere ascoltato: facoltà delle quali resta privo l’indagato per reati di competenza del giudice di pace;
che tale disparità di trattamento non troverebbe una ragionevole giustificazione nelle esigenze di celerità e di semplificazione, proprie del procedimento dinanzi al giudice di pace, determinando, al contrario, la celebrazione di un gran numero di processi che potrebbero essere definiti prima del dibattimento, qualora l’indagato si vedesse riconosciuta la possibilità di prospettare elementi idonei a determinare l’archiviazione, ovvero di accordarsi, già nella fase delle indagini, con la persona offesa per ottenere la remissione della querela;
che sarebbe violato, inoltre, l’art. 24 Cost., giacché l’indagato si vedrebbe negata la possibilità di preparare le proprie difese e di instaurare un contraddittorio con l’accusa già prima dell’inizio del processo: garanzia da reputare «fondamentale», anche e prima di tutto nella prospettiva di evitare «un’inutile e gravosa fase dibattimentale»;
che, in entrambi i giudizi, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata.
Considerato che le due ordinanze di rimessione sollevano identiche questioni, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;
che malgrado il concorrente riferimento all’art. 11 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), presente nel dispositivo delle ordinanze – dovuto verosimilmente ad un errore materiale, come si desume anche dall’impiego del verbo al singolare nella formula «nella parte in cui prevede» – deve ritenersi che il giudice a quo abbia inteso sottoporre a scrutinio, in entrambi i casi, il solo art. 20 del medesimo decreto legislativo: il che emerge tanto dalla preliminare indicazione dell’oggetto della questione che figura nella motivazione delle ordinanze stesse, quanto dal tenore delle censure, riferite costantemente e in modo esclusivo al citato art. 20;
che tale notazione vale a superare l’eccezione di parziale inammissibilità delle questioni formulata dall’Avvocatura dello Stato, sul rilievo che nessun supporto argomentativo è stato offerto dal rimettente alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 11;
che, ciò posto, il giudice a quo si duole, in sostanza, del fatto che nel procedimento penale davanti al giudice di pace la citazione a giudizio non debba essere preceduta dalla notificazione all’indagato (e al suo difensore) dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, ai sensi dell’art. 415-bis del codice di procedura penale, ravvisando in ciò una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), in rapporto alle maggiori garanzie accordate all’indagato per i reati di competenza del tribunale, nonché del diritto di difesa (art. 24 Cost.);
che questa Corte ha già dichiarato, in più occasioni, manifestamente infondate questioni sostanzialmente analoghe, ancorché riferite a diversa norma (l’art. 15 del d.lgs. n. 274 del 2000) (ordinanze n. 415 e n. 85 del 2005, n. 349 e n. 201 del 2004);
che – sulla premessa che le forme di esercizio del diritto di difesa possono essere variamente modulate dal legislatore in relazione alle caratteristiche dei singoli riti e ai criteri che li ispirano – si è, infatti, rilevato che il procedimento penale davanti al giudice di pace configura un modello di giustizia autonomo, non comparabile con il procedimento per i reati di competenza del tribunale, in quanto ispirato a finalità di snellezza, semplificazione e rapidità;
che l’omessa previsione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari si rivela, in particolare, coerente con il ruolo marginale che, nel procedimento in questione, è assegnato alla fase delle indagini, le quali si sostanziano in una fase investigativa affidata in via principale alla polizia giudiziaria: ruolo marginale che, a sua volta, rispecchia tanto le esigenze di massima semplificazione tipiche di tale procedimento, quanto la vocazione conciliativa della giurisdizione onoraria, la quale trova la sua sede naturale di esplicazione nell’udienza di comparizione, ove avviene il primo contatto tra le parti e il giudice;
che le esigenze di informazione dell’imputato prima di tale udienza sono comunque assicurate dall’avviso, contenuto nella citazione a giudizio, della facoltà di prendere visione e di estrarre copia del fascicolo relativo alle indagini preliminari, depositato presso la segreteria del pubblico ministero, nonché dall’indicazione, contenuta nel medesimo atto, delle fonti di prova di cui il pubblico ministero chiede l’ammissione (art. 20, comma 1, lettere f e c, del d.lgs. n. 274 del 2000);
che la questione deve essere dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 17 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Viterbo con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2014.
F.to:
Giuseppe TESAURO, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2014.