Ordinanza n. 201 del 2004

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ORDINANZA N. 201

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto  CAPOTOSTI

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo   MADDALENA        

- Alfio FINOCCHIARO        

- Alfonso QUARANTA         

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 15 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, dal Giudice di pace di Bari con ordinanze del 27 marzo e 8 aprile 2003, dal Giudice di pace di Altamura con ordinanza del 9 aprile 2003 e dal Giudice di pace di Frosinone con ordinanza del 5 maggio 2003, iscritte al n. 410, al n. 450, al n. 564 e al n. 1192 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, n. 28 e n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2003, e n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 aprile 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che i Giudici di pace di Bari (r.o. n. 410 e n. 1192 del 2003), di Altamura (r.o. n. 450 del 2003) e di Frosinone (r.o. n. 564 del 2003) hanno sollevato su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che nel procedimento dinanzi al giudice di pace sia dato avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell’art. 415-bis del codice di procedura penale;

che, ad avviso dei rimettenti, la mancata previsione dell’avviso di conclusione delle indagini si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. per la irragionevole disparità di trattamento che si determina in danno dell’imputato citato a giudizio dinanzi al giudice di pace rispetto alla persona sottoposta ad indagini nel procedimento dinanzi al "giudice ordinario";

che, al riguardo, i rimettenti sottolineano che l’imputato viene a conoscenza del procedimento a suo carico solo a seguito della citazione a giudizio e che tale disciplina comporta "una negazione del diritto di difesa ante causam", in contrasto con l’art. 24 Cost. in quanto l’indagato non può "verificare" gli elementi di prova raccolti dal pubblico ministero durante la fase delle indagini preliminari ed è quindi impossibilitato a svolgere adeguatamente la sua difesa, optando se lo ritiene per la definizione anticipata del procedimento;

che sarebbe inoltre violato l’art. 111, terzo comma, Cost., in quanto la disciplina censurata viola il principio secondo cui "nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa";

che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che siano dichiarate inammissibili le questioni sollevate con le ordinanze iscritte al n. 1192 del registro ordinanze del 2003 (per omessa indicazione della norma censurata, mancata descrizione della fattispecie e difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della questione) e al n. 450 del registro ordinanze del 2003 (per assoluta carenza di motivazione sulla rilevanza, in particolare in ordine alla individuazione delle opportunità difensive in concreto sottratte all’indagato), e manifestamente infondate le altre;

che, nel merito, l’Avvocatura ritiene che i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dai rimettenti devono essere esaminati avendo riguardo alla particolare struttura del procedimento dinanzi al giudice di pace, come delineato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 231 del 2003;

che, in particolare, per quanto riguarda la fase delle indagini preliminari, con una scelta di segno opposto a quella che caratterizza il procedimento ordinario, il decreto legislativo n. 274 del 2000 ha individuato il fulcro delle indagini nelle investigazioni di polizia giudiziaria (art. 11) e non ha riprodotto la figura del giudice per le indagini preliminari (art. 19);

che, in sintesi, manca "tutto quell’apparato processuale che giustifica una ponderazione delle indagini compiute dagli organi inquirenti", in quanto "l’istruzione del caso avviene, sostanzialmente, in sede dibattimentale".

Considerato che tutti i rimettenti dubitano, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 15 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che nel procedimento dinanzi al giudice di pace sia dato avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari a norma dell’art. 415-bis del codice di procedura penale;

che, stante la sostanziale identità delle questioni, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che secondo i rimettenti la disciplina censurata determina una irragionevole disparità di trattamento tra l’imputato dinanzi al giudice di pace, che viene a conoscenza del procedimento a suo carico solo attraverso la citazione a giudizio (e che quindi, trovandosi nell’impossibilità di conoscere gli elementi di prova raccolti durante le indagini preliminari, non potrebbe svolgere le sue difese prima del dibattimento), e la persona sottoposta alle indagini nel procedimento davanti al 'giudice ordinario', destinataria dell’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen.;

che la disciplina censurata si porrebbe inoltre in contrasto con l’art. 111, terzo comma, Cost., nella parte in cui dispone che la persona accusata sia informata nel più breve tempo possibile dell’accusa sollevata a suo carico e disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la difesa;

che le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura dello Stato non possono essere accolte: anche se nel dispositivo dell’ordinanza iscritta al n. 1192 del registro ordinanze del 2003 non sono indicati la norma censurata e i parametri costituzionali evocati, tali elementi sono desumibili dal contesto della parte motiva dell’ordinanza; quanto all’ordinanza iscritta al n. 450 del registro ordinanze del 2003, emerge chiaramente che le opportunità difensive, di cui l’indagato sarebbe privato e che il rimettente avrebbe omesso di esporre al fine di valutare la rilevanza della questione, sono quelle menzionate nell’art. 415-bis cod. proc. pen.;

che, nel merito, non vi è dubbio che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l’istituto disciplinato dall’art. 415-bis cod. proc. pen., pur non essendo compreso tra le disposizioni elencate nell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 274 del 2000, non è applicabile al procedimento davanti al giudice di pace;

che, quanto alle censure prospettate con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questa Corte ha già avuto modo di affermare, decidendo su questioni relative al giudizio immediato e al procedimento per decreto, che l’omessa previsione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari non è costituzionalmente illegittima, in base al rilievo che le forme di esercizio del diritto di difesa possono essere modulate in relazione alle caratteristiche dei singoli riti speciali ed ai criteri di massima celerità e semplificazione che li ispirano (v., rispettivamente, ordinanze n. 203 del 2002 e n. 32 del 2003);

che, tenendo conto delle peculiarità del procedimento davanti al giudice di pace, analoghe considerazioni valgono a maggior ragione in relazione alle questioni sollevate dagli attuali rimettenti;

che mediante il procedimento penale davanti al giudice di pace il legislatore ha inteso delineare un modello di giustizia caratterizzato da forme particolarmente snelle, di per sé non comparabile con il procedimento per i reati di competenza del tribunale (v., al riguardo, ordinanza n. 290 del 2003);

che, per quanto riguarda la fase precedente al dibattimento, il procedimento penale davanti al giudice di pace è connotato dal ruolo marginale assegnato alle indagini preliminari, che si sostanziano in una fase investigativa affidata in via principale alla polizia giudiziaria, alla quale è anche attribuito il compito di disporre la citazione a giudizio;

che la sostanziale svalutazione della fase delle indagini è coerente con le esigenze di massima semplificazione "rese necessarie dalla competenza" riconosciuta al giudice di pace (v. art. 17, comma 1, della legge 24 novembre 1999, n. 468, contenente, tra l’altro, la delega al Governo in materia di competenza penale di tale giudice) e con la 'finalità conciliativa' che costituisce il principale obiettivo della giurisdizione penale del giudice di pace (enunciato dall’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 274 del 2000 e richiamato dall’art. 29, comma 4, del medesimo decreto, in attuazione dell’art. 17, comma 1, lettera g, della legge n. 468 del 1999), posto che la sede idonea per promuovere la conciliazione e per verificare la praticabilità di altre possibili alternative al giudizio è l’udienza di comparizione, ove avviene appunto il primo contatto tra le parti e il giudice (v. ordinanze numeri 231 del 2003; 10, 11, 55, 56 e 57 del 2004);

che, quanto alla censura proposta con riferimento all’art. 111, terzo comma, Cost., questa Corte ha affermato, relativamente al procedimento per decreto, che "il dettato costituzionale, da un lato, non impone che il contraddittorio si esplichi con le medesime modalità in ogni tipo di procedimento e, soprattutto, che debba essere sempre collocato nella fase iniziale del procedimento stesso, dall’altro non esclude che il diritto dell’indagato di essere informato nel più breve tempo possibile dei motivi dell’accusa a suo carico possa essere variamente modulato in relazione alla peculiare struttura dei singoli riti alternativi" (v. ordinanza n. 8 del 2003, nonché ordinanze numeri 32, 131, 132 e 257 del 2003, e in precedenza ordinanza n. 432 del 1998);

che nel procedimento davanti al giudice di pace le esigenze di informazione dell’imputato prima dell’udienza di comparizione sono comunque assicurate dall’avviso, contenuto nella citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria, che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato presso la segreteria del pubblico ministero e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia, nonché dall’indicazione, contenuta sempre nel medesimo atto, delle fonti di prova di cui il pubblico ministero chiede l’ammissione e, ove venga chiesto l’esame di testimoni, delle circostanze su cui deve vertere l’esame (art. 20, comma 1, lettere f e c, del decreto legislativo n. 274 del 2000);

che l’innesto della disciplina dell’avviso di conclusione delle indagini snaturerebbe la struttura del procedimento davanti al giudice di pace, introducendo una procedura incidentale incompatibile con i caratteri di particolare snellezza e rapidità del rito e una garanzia incongrua con le finalità di questa particolare forma di giurisdizione penale;

che le questioni devono pertanto essere dichiarate manifestamente infondate in relazione a tutti i parametri costituzionali evocati dai rimettenti.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, della Costituzione, dai Giudici di pace di Bari, Altamura e Frosinone, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2004.

F.to:

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2004.