Ordinanza n. 8/2003

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.8

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale:

- degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Marsala con ordinanza del 5 marzo 2002, iscritta al n. 273 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2002;

- dell’art. 459 del codice di procedura penale, promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Avellino con ordinanza del 25 gennaio 2002, dal Tribunale di Torre Annunziata con ordinanza del 7 marzo 2002, dal Tribunale di Avellino con due ordinanze del 5 giugno 2002, rispettivamente iscritte al n. 280, al n. 286, al n. 393 e al n. 394 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, n. 25 e n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Marsala (r.o. n. 273 del 2002) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, nella parte in cui "non prevedono che il giudice per le indagini preliminari anteriormente all'emissione del decreto penale di condanna debba consentire l'intervento della difesa sia pure sotto il profilo della produzione di memorie difensive e di documentazione";

che ad avviso del Tribunale la disciplina del procedimento per decreto "mal si concilia con il quadro di riferimento introdotto dalla recente normazione in materia di "giusto processo"", che tende ad assicurare la parità tra le parti processuali e una efficace tutela dell'imputato e dell'indagato a fronte della pretesa punitiva dello Stato;

che in particolare le norme censurate, non prevedendo che all'imputato venga notificata la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, violerebbero l'art. 3 Cost., in quanto determinano un'evidente disparità di trattamento tra colui nei cui confronti è emesso il decreto di condanna e l'imputato tratto a giudizio con le forme ordinarie, al quale, mediante l'avviso della conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis cod. proc. pen., viene data la possibilità di interloquire e di svolgere efficacemente la propria difesa in vista dell'esercizio dell'azione penale;

che tale disciplina violerebbe inoltre l'art. 111 Cost., ad avviso del rimettente applicabile anche alla fase delle indagini preliminari, dal momento che "la richiesta di emissione del decreto penale di condanna costituisce esercizio dell'azione penale e determina il sorgere della fase processuale in senso proprio, tant'è che l'indagato assume la qualità di imputato", cui vanno assicurate le garanzie del contraddittorio e della parità tra le parti previste dal secondo comma del parametro costituzionale evocato;

che il contraddittorio differito che si instaura a seguito dell'eventuale opposizione non vale ad escludere il contrasto con l'art. 111 Cost., posto che l'imputato opponente rimane comunque privato del diritto di vedere definita la sua posizione processuale senza dovere affrontare "i costi economici e morali" del pubblico dibattimento;

che le norme censurate violerebbero infine gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto privano irragionevolmente l'indagato della possibilità di presentare documenti o memorie al giudice per le indagini preliminari e di svolgere investigazioni difensive, dal momento che il condannato per decreto non è normalmente in condizione di conoscere anticipatamente che nei suoi confronti vengono svolte indagini;

che, quanto alla rilevanza, il rimettente precisa che l'accoglimento della questione, sollevata su eccezione della difesa, "comporterebbe una nullità di ordine generale del decreto penale di condanna opposto" con conseguente regressione del procedimento;

che il Tribunale di Avellino con tre ordinanze (r.o. n. 280, n. 393 e n. 394 del 2002) ha sollevato analoga questione, dubitando, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 459 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la difesa sia posta in condizione di contraddire, sia pure a livello meramente cartolare, sulla richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto di condanna;

che nelle tre ordinanze (le ultime due identiche) il Tribunale rimettente svolge sostanzialmente le medesime considerazioni, precisando, quanto alla rilevanza, che l'accoglimento delle questioni comporterebbe la nullità di ordine generale del decreto penale di condanna opposto, emesso inaudita altera parte, e la regressione del procedimento;

che, nel merito, il rimettente ritiene che la mancanza di ogni forma di contraddittorio e l'impossibilità della difesa di interloquire nella fase processuale successiva alla richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto penale di condanna, se potevano conciliarsi con il sistema processuale anteriore alla modifica dell'art. 111 Cost., si pongono ora in evidente contrasto con i principi del giusto processo;

che, in particolare, l'art. 459 cod. proc. pen., consentendo al giudice di emettere il decreto di condanna sulla base della sola richiesta del pubblico ministero, violerebbe l'art. 111 Cost., in quanto tale richiesta, integrando una delle possibili forme di esercizio dell'azione penale e comportando l'assunzione, da parte dell'indagato, della qualità di imputato, determina l'insorgere della fase processuale in senso stretto, nella quale deve in ogni caso essere garantito il contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità;

che la violazione dell'art. 111 Cost. sarebbe ancora più evidente ove si consideri che i poteri del giudice chiamato a decidere sulla emissione del decreto penale si estendono alla valutazione della sussistenza delle condizioni per un proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. o per la restituzione degli atti al pubblico ministero;

che, con riferimento a tale ventaglio di possibili epiloghi decisionali, la mancanza di contraddittorio lede anche il diritto di difesa dell'imputato, in quanto la decisione del giudice per le indagini preliminari - che potrebbe anche comportare il proscioglimento dell'imputato - viene presa senza alcuna considerazione delle eventuali ragioni di quest'ultimo, impossibilitato ad esprimerle nella fase iniziale dell'attuale procedimento per decreto;

che il contraddittorio, eventuale e differito, conseguente all'opposizione al decreto di condanna, non vale a sanare la precedente violazione del diritto di difesa, posto che l'indagato rimane comunque privato della possibilità di interloquire sulla richiesta del pubblico ministero al fine di ottenere un proscioglimento anticipato;

che un contraddittorio meramente cartolare, realizzabile mediante la concessione di un breve termine per la presentazione di memorie da parte della difesa, potrebbe adeguatamente bilanciare i diversi interessi in gioco, e non sarebbe incompatibile con le peculiarità dell'istituto del decreto penale di condanna, finalizzato alla rapida definizione di procedimenti concernenti reati "minori";

che censure nella sostanza analoghe sono state formulate, in termini più sintetici, dal Tribunale di Torre Annunziata (r.o. n. 286 del 2002) in riferimento agli artt. 24 e 111 [secondo comma] Cost.;

che nei giudizi instaurati a seguito delle ordinanze iscritte al n. 393 e al n. 394 del r.o. del 2002 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;

che, quanto alla questione sollevata nell'ordinanza iscritta al n. 394 del 2002, l'Avvocatura chiede che la Corte ne dichiari l'infondatezza, sottolineando che nella disciplina del procedimento per decreto - caratterizzata dall'estrema semplificazione e dall'evidente finalità della rapida definizione dei procedimenti concernenti i reati meno gravi, punibili in concreto con la sola pena pecuniaria – la garanzia del contraddittorio è assicurata, ove venga proposta opposizione, nella fase successiva all'emanazione del decreto di condanna, in perfetta aderenza con il dettato dell'art. 111 Cost., che prevede "obblighi a garanzia della difesa [...], ma non ne determina con criterio rigido la decorrenza con riferimento ad una specifica fase processuale";

che, quanto alla questione sollevata con l'ordinanza iscritta al n. 393 del 2002, l'Avvocatura chiede, in via principale, che sia dichiarata l'inammissibilità della questione e, in subordine, l'infondatezza, sulla base delle medesime considerazioni relative all'ordinanza iscritta al n. 394 del r.o. del 2002.

Considerato che tutti i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale della disciplina del procedimento per decreto, in quanto non consente alla difesa dell'imputato di interloquire sulla richiesta del pubblico ministero prima che il giudice emetta il decreto penale di condanna;

che, in particolare, il Tribunale di Marsala (r.o. n. 273 del 2002) censura gli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, nella parte in cui "non prevedono che il giudice per le indagini preliminari anteriormente all'emissione del decreto penale di condanna debba consentire l'intervento della difesa sia pure sotto il profilo della produzione di memorie difensive e di documentazione";

che il Tribunale di Avellino (r.o. n. 280, n. 393 e n. 394 del 2002) e il Tribunale di Torre Annunziata (r.o. n. 286 del 2002) sottopongono invece a scrutinio di legittimità costituzionale il solo art. 459 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la difesa sia posta in condizione di contraddire, a livello meramente cartolare, sulla richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto di condanna;

che i rimettenti ritengono violati:

- l'art. 3 Cost. (r.o. n. 273 del 2002), in quanto la disciplina censurata determinerebbe un'evidente disparità di trattamento tra l'imputato nei cui confronti è emesso il decreto di condanna e l'imputato tratto a giudizio con le forme ordinarie;

- gli artt. 3 e 24 Cost. (r.o. n. 273 del 2002), ovvero il solo art. 24 Cost. (r.o. nn. 280, 286, 393 e 394 del 2002), in quanto la mancanza di contraddittorio priverebbe l'imputato del diritto di interloquire sulla richiesta di decreto penale del pubblico ministero;

- l'art. 111 Cost., in quanto l'imputato sarebbe privato della possibilità di esporre le proprie ragioni sulla richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto di condanna e non gli sarebbe assicurata la possibilità di esercitare il contraddittorio in vista di una decisione di merito quale è quella del giudice per le indagini preliminari che deve valutare se emettere decreto di condanna, prosciogliere ex art. 129 cod. proc. pen. o restituire gli atti al pubblico ministero;

che, investendo le questioni la medesima disciplina ed essendo sollevate sulla base di censure sostanzialmente analoghe, va disposta la riunione dei relativi giudizi;

che, precedentemente all'entrata in vigore del nuovo art. 111 Cost., questa Corte, nell'affrontare in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. analoghe questioni di legittimità costituzionale della disciplina del procedimento per decreto, relative alla mancata previsione dell'interrogatorio dell'indagato, ovvero dell'avviso a presentarsi per l'interrogatorio prima della richiesta del pubblico ministero, ha avuto ripetute occasioni di affermare che la specificità del procedimento monitorio, configurato quale rito a contraddittorio eventuale e differito, improntato a criteri di economia processuale e di massima speditezza, non si pone in contrasto né con il principio di eguaglianza, né con il diritto di difesa;

che, in particolare, la Corte ha osservato che, stante la peculiarità del procedimento per decreto, "l'esigenza di garantire la conoscenza dell'indagine [...] si trasferisce [...] sulla fase processuale, conseguente all'esercizio dell'opposizione, operando il decreto solo quale mezzo di contestazione dell'accusa definitiva [...], che è essenziale per garantire il diritto di difesa", e che "il decreto penale costituisce una decisione preliminare soggetta a opposizione, cosicché l'esperimento dei mezzi di difesa, con la stessa ampiezza dei procedimenti ordinari, si colloca nel vero e proprio giudizio che segue all'opposizione" (v. ordinanza n. 432 del 1998 e i precedenti ivi menzionati, nonché le successive ordinanze n. 325, n. 326 e n. 458 del 1999);

che tali conclusioni si innestano sul consolidato principio (v. di recente ordinanza n. 203 del 2002 ed i precedenti ivi richiamati) secondo cui l'esercizio del diritto di difesa è suscettibile di essere regolato in modo diverso per essere adattato alle esigenze delle specifiche caratteristiche dei singoli procedimenti, purché di tale diritto siano assicurati lo scopo e la funzione;

che le censure prospettate dai rimettenti in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. non contengono argomentazioni tali da indurre la Corte a discostarsi dalle conclusioni raggiunte nelle precedenti decisioni in materia;

che in riferimento all'art. 111, secondo e terzo comma, Cost. - premesso che in sostanza i rimettenti denunciano la violazione del principio audiatur et altera pars prima dell'emissione del decreto penale e lamentano che all'indagato sia quindi preclusa la possibilità di interloquire al fine di ottenere un proscioglimento anticipato ex art. 129 cod. proc. pen. ovvero la restituzione degli atti al pubblico ministero – si deve rilevare che il dettato costituzionale, da un lato, non impone che il contraddittorio si esplichi con le medesime modalità in ogni tipo di procedimento e, soprattutto, che debba sempre essere collocato nella fase iniziale del procedimento stesso, dall'altro non esclude che il diritto dell'indagato di essere informato nel più breve tempo possibile dei motivi dell'accusa a suo carico possa essere variamente modulato in relazione alla peculiare struttura dei singoli riti alternativi;

che nel procedimento per decreto, ove venga proposta opposizione, il contraddittorio tra accusa e difesa si esplica da quel momento in modo pieno, con le medesime modalità e garanzie previste nel procedimento ordinario, in un contesto in cui la notificazione del decreto viene a svolgere la mera funzione di informazione dei motivi dell'accusa;

che il decreto penale, al di là della denominazione formale di "decreto di condanna", costituisce dunque una sorta di decisione "preliminare", destinata ad essere posta nel nulla in caso di opposizione ed a trasformarsi in pronuncia definitiva di condanna solo nel caso in cui l'imputato, non opponendosi, vi presti acquiescenza;

che in tale logica si iscrive il rilievo centrale che assume la peculiare disciplina della notificazione del decreto penale, finalizzata a renderne effettiva la conoscenza ed a consentire quindi l'instaurazione del contraddittorio tra accusa e difesa, posto che, a differenza di quanto previsto in via generale dall'art. 159, comma 1, cod. proc. pen. (notificazione dell'atto all'imputato irreperibile mediante consegna al difensore), l'art. 460, comma 4, cod. proc. pen. stabilisce che, se non è possibile eseguire la notificazione per irreperibilità dell'imputato, il giudice revoca il decreto e restituisce gli atti al pubblico ministero;

che la garanzia rappresentata da un regime della notificazione ancorato all'effettiva conoscenza del decreto è stata rafforzata da questa Corte con la sentenza n. 504 del 2000, che ha esteso la previsione della revoca del decreto e della restituzione degli atti al pubblico ministero anche al caso in cui non sia possibile eseguire la notificazione nel domicilio dichiarato a norma dell'art. 161 cod. proc. pen.;

che, al fine di assicurare l'assistenza della difesa tecnica all'imputato che deve operare la scelta tra proporre opposizione o accettare la condanna per decreto, l'art. 460, comma 3, cod. proc. pen., così come sostituito dalla legge 6 marzo 2001, n. 60, prevede inoltre che copia del decreto sia notificata anche al difensore d'ufficio o al difensore di fiducia eventualmente nominato;

che, a fronte delle cautele predisposte per rendere effettiva la conoscenza del decreto e per porre l'imputato nelle condizioni di operare una scelta consapevole tra l'opposizione e l'acquiescenza al decreto, l'omessa previsione di un avviso all'indagato prima della notificazione del decreto penale non si traduce in un sacrificio, costituzionalmente rilevante, del diritto al contraddittorio, che l'imputato potrà pienamente esercitare ove decida di proporre opposizione;

che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata in relazione a tutti i parametri evocati dai rimettenti.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 459 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dai Tribunali di Avellino e di Torre Annunziata, nonché degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Marsala, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2003.