SENTENZA N.
24
ANNO 2014
Commenti alla decisione di
I. Gianmaria Pisanelli, La
sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2014 in materia di segreto di
Stato, in Federalismi.it
II. Carlo Bonzano, "La
Consulta alza il ‘sipario nero’: alla ribalta la deprecabile confusione
normativa tra prova e fatto”, in Archivio
penale
III.
Tomaso F. Giupponi, Il
segreto di Stato ancora davanti alla Corte (ovvero del bilanciamento
impossibile), in Diritto
penale contemporaneo e Forum
di Quaderni Costituzionali
IV.
Alessandro Pace, Le due Corti
e il caso Abu Omar, in questa
Rivista
V.
Alessia Caprio, L’"ultimo atto” della vicenda Abu Omar: cala il sipario ma
qualche dubbio resta sulla scena, in Forum di Quaderni
Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO
"
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi per conflitti
di attribuzione tra poteri dello Stato sorti a seguito della sentenza della
Corte di cassazione, quinta sezione penale, del 19 settembre 2012, n. 46340,
delle ordinanze della Corte d’appello di Milano, quarta sezione penale, del 28 gennaio 2013 e del 4 febbraio
2013 e della sentenza della Corte d’appello di Milano, quarta sezione penale,
del 12 febbraio 2013, n. 985, promossi dal Presidente del Consiglio dei
ministri con ricorsi notificati il 24 aprile ed il 24 ottobre 2013, depositati
in cancelleria il
9 maggio e il
31 ottobre 2013 ed iscritti ai numeri 4 e 8 del registro conflitti tra
poteri dello Stato 2013, fase di merito.
Udito nell’udienza
pubblica del 14 gennaio 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli
avvocati dello Stato Massimo Giannuzzi e Raffaele Tamiozzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con
ricorso depositato, per la fase di ammissibilità, l’11 febbraio 2013, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura
generale dello Stato, ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato nei confronti della Corte di cassazione in riferimento alla
sentenza n. 46340 del 19 settembre 2012, con la quale la quinta sezione penale
della medesima Corte – in accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore
generale presso la Corte d’appello di Milano e, parzialmente, dalle parti
civili – ha annullato con rinvio la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello
di Milano il 15 dicembre 2010, con la quale era stata confermata la declaratoria
di improcedibilità della azione penale, ai sensi dell’art. 202 del codice di
procedura penale, nei confronti di Pollari Nicolò, Di Troia Raffaele, Ciorra Giuseppe, Mancini Marco e Di Gregori Luciano. La
sentenza della Corte di cassazione viene censurata anche nella parte in cui – puntualizza il
ricorso – aveva annullato «le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con cui la
Corte d’appello di Milano aveva ritenuto l’inutilizzabilità delle dichiarazioni
rese dagli allora indagati Ciorra, Di Troia, Di Gregori
e Mancini nel corso degli interrogatori cui erano stati sottoposti nella fase
delle indagini preliminari».
Il ricorso
viene proposto anche contro la Corte d’appello di Milano, quale giudice di
rinvio, in riferimento, anzitutto, alla ordinanza emessa il 28 gennaio 2013,
con la quale è stata accolta la richiesta di produzione dei verbali degli
interrogatori resi dai predetti imputati, avanzata dalla locale Procura
generale, in ossequio alla sentenza della Corte di cassazione di cui si è
detto, ammettendo altresì la produzione, da parte della difesa dell’imputato
Mancini, della nota dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) del 25
gennaio 2013, prot. n. 15631/2.24/GG.02, recante la
comunicazione al predetto imputato del contenuto della nota del Dipartimento
informazioni della sicurezza (DIS). In tale nota – sottolinea il ricorrente –,
il DIS aveva rappresentato che il Presidente del Consiglio dei ministri aveva
rilevato «la perdurante vigenza del segreto di Stato, così come apposto,
opposto e confermato nel corso del procedimento penale avente ad oggetto il
fatto storico del sequestro di Abu Omar dai Presidenti del Consiglio dei
ministri pro tempore, su tutti gli
aspetti attinenti a qualsiasi rapporto intercorso tra Servizi di intelligence nazionali e stranieri,
ancorché in qualche modo collegati o collegabili con il fatto storico
costituito dal sequestro in questione, nonché agli interna corporis, intesi quali modalità
organizzative ed operative».
Rievocate
le articolate vicende che avevano contrassegnato l’iter del procedimento penale, il ricorrente osserva come tanto la
sentenza della Corte di cassazione quanto l’ordinanza pronunciata dalla Corte
d’appello di Milano, quale giudice di rinvio, il 28 gennaio 2013 (nella parte
in cui ha ammesso la produzione degli atti di cui era stata disposta la
restituzione al Procuratore generale da parte della stessa Corte con le
ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010) nonché l’ordinanza con cui, il 4 febbraio
2013, la medesima Corte territoriale ha omesso di procedere all’interpello del
Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di
Stato opposto dagli imputati, a norma dell’art. 41 della legge 3 agosto 2007,
n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina
del segreto), risulterebbero «gravemente lesive delle attribuzioni del
Presidente del Consiglio dei ministri, quale autorità preposta all’apposizione,
alla tutela ed alla conferma del segreto di Stato, ai sensi dell’art. 1, comma
1, lettere b) e c) della legge
n. 124/2007».
Da qui il
ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto per
violazione degli artt. 1,
5, 52, 94 e 95 della Costituzione
e con riguardo agli artt. 1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40
(sostitutivo dell’art. 202 cod. proc. pen.) e 41 della
richiamata legge n.
124 del 2007.
In punto di
ammissibilità, il ricorrente rievoca la giurisprudenza della Corte
costituzionale in tema di legittimazione attiva del Presidente del Consiglio dei
ministri, mentre, quanto alla legittimazione delle altre parti del conflitto –
certamente competenti a manifestare in via definitiva la volontà del potere cui
appartengono –, si sottolinea la funzione costituzionale della Corte di
cassazione come organo di ultima istanza cui è deputato il controllo della
legittimità delle sentenze e dei provvedimenti in materia di libertà personale,
e la competenza della Corte d’appello ad adottare provvedimenti istruttori
destinati a diventare definitivi.
Quanto alla
ammissibilità del ricorso sotto il profilo oggettivo, si rivendica il ruolo del
Presidente del Consiglio dei ministri in tema di sicurezza dello Stato – nella
specie concretizzatosi nella apposizione del segreto di Stato e nella conferma
di esso con riferimento ai rapporti tra i Servizi italiani e la Central intelligence agency (CIA) nonché
agli interna corporis
del Servizio, anche in ordine al fatto storico del sequestro di Nasr Osama Mustafà, alias Abu Omar – che nella specie
sarebbe stato leso dai provvedimenti giurisdizionali oggetto di censura.
Nel merito,
si osserva come, a far tempo dalla sentenza n. 86 del
1977, la Corte costituzionale, nell’evidenziare il livello supremo dei
valori tutelabili con il presidio del segreto di Stato, ha individuato nel
Presidente del Consiglio dei ministri il titolare del potere, di natura
squisitamente politica, di segretazione: la strumentalità di tale potere alla
salvaguardia dei valori supremi per la salus rei publicae giustifica, poi, la «non segretabilità
dei fatti eversivi dell’ordine costituzionale». Di ciò è espressione la legge
n. 124 del 2007 che, all’art. 1, attribuisce appunto al Presidente del
Consiglio dei ministri la responsabilità generale della politica della
informazione per la sicurezza ed il compito di apporre e tutelare il segreto di
Stato e di confermarne la opposizione. Il
ricorrente puntualizza, poi, il contenuto degli artt. 39, 40 e 41 della stessa
legge, segnalandone i profili di rilevanza agli effetti dell’oggetto del ricorso.
Ebbene,
alla luce del richiamato quadro normativo, la Corte di cassazione, mentre
afferma correttamente – secondo quanto precisato dalla Corte costituzionale
nella sentenza
n. 106 del 2009 – che il segreto di Stato è stato apposto su documenti e
notizie riguardanti i rapporti tra Servizi italiani e stranieri e sugli interna corporis,
anche se relativi alla vicenda delle renditions e del
sequestro di Abu Omar, erra nel ritenere che il segreto sia limitato ai
rapporti tra Servizi che si siano estrinsecati nella realizzazione di
operazioni comuni, dal momento che una simile conclusione non può fondarsi
sulla circostanza – risultante da una nota dell’11 novembre 2005 – della
assoluta estraneità del Governo italiano e del Servizio al sequestro di Abu
Omar. Sarebbe dunque arbitrario circoscrivere il segreto alle sole operazioni
cogestite dai Servizi e legittimamente approvate dai vertici dei Servizi
italiani, con conseguente lesione della sfera delle attribuzioni spettanti in
materia al Presidente del Consiglio dei ministri, in particolare per ciò che
attiene alla determinazione in concreto dell’ambito di operatività del segreto
di Stato.
Risulterebbe
a sua volta lesivo di tali prerogative, ancorché sotto altro profilo, anche
l’annullamento delle statuizioni con cui la Corte d’appello di Milano aveva
dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale esercitata nei confronti degli
imputati italiani che avevano opposto il segreto di Stato, nonché delle
ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con le quali la medesima Corte d’appello
aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese, quali indagati, da
Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori, malgrado il
segreto di Stato da loro opposto fosse stato confermato; annullamento cui ha
fatto seguito, da parte del giudice del rinvio, la pronuncia della ordinanza
del 28 gennaio 2013, con la quale è stata ammessa la produzione di tali
dichiarazioni. Ciò avrebbe determinato la arbitraria esclusione della
operatività del segreto in ordine ai rapporti tra Servizio italiano e CIA e in
merito alle direttive impartite dal direttore del SISMI circa il fatto storico
del sequestro di Abu Omar, dal momento che era precluso per l’autorità
giudiziaria utilizzare, anche indirettamente, le notizie coperte dal segreto.
Non sarebbe corretta l’affermazione – contenuta nella richiamata ordinanza del
28 gennaio 2013 – secondo la quale la restituzione dei verbali degli
interrogatori resi nel corso delle indagini sarebbe stata disposta in quanto
irrilevanti ai fini del decidere: ciò riguarderebbe, infatti, le sole
circostanze che nel caso specifico non fossero coperte da segreto di Stato, nei
termini innanzi detti e ricostruiti dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 106 del 2009, la cui vigenza – ribadita dal
Presidente del Consiglio dei ministri in sede di interpello formulato dal
Giudice della udienza preliminare – è stata da ultimo riaffermata dalla nota
AISE prodotta dalla difesa di Mancini nel corso della udienza del 28 gennaio
2013.
La sentenza
della Corte di cassazione – puntualizza ancora il ricorrente – sarebbe
censurabile anche nella parte in cui afferma la tardività dell’apposizione del
segreto agli atti ed ai documenti acquisiti in riferimento al sequestro di Abu
Omar, essendo una simile affermazione in contrasto con la citata sentenza n.
106 del 2009. La Cassazione, infatti, avrebbe stravolto il significato di tale
ultima pronuncia, nel senso che, avendo i soggetti tenuti alla opposizione del
segreto formulato tale opposizione solo successivamente alla acquisizione dei
documenti da parte della autorità giudiziaria, gli atti, essendo stati
legittimamente acquisiti, non sarebbero inutilizzabili, ma comporterebbero
l’uso di cautele atte ad impedire la divulgazione del segreto. La Corte
costituzionale, infatti, pur avendo negato la portata di una retroattiva
demolizione della attività di indagine, aveva puntualizzato come l’opposizione
del segreto successiva alla acquisizione non fosse una evenienza
processualmente indifferente: tanto che si dichiarò che non spettava alla
autorità procedente porre i documenti non "omissati” a fondamento della
richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio. Ciò
risulterebbe anche da altro passo della sentenza della
Corte costituzionale n. 106 del 2009, ove si è puntualizzato come anche la
legittima acquisizione di elementi di prova – nella specie riferita alle
intercettazioni telefoniche disposte "a tappeto” su utenze intestate al SISMI –
non escludesse la necessità di non utilizzare quegli elementi che dovessero
risultare coperti dal segreto, posto che questo funge da «sbarramento al potere
giurisdizionale, nel senso di "inibire all’Autorità giudiziaria di acquisire e
conseguentemente di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti
dal segreto”».
Da qui lo
iato tra la sentenza della Corte di cassazione ed i princípi
affermati dalla Corte costituzionale, con conseguente lesione delle prerogative
del ricorrente, «mantenendo all’interno del circuito divulgativo del processo
documenti in relazione ai quali era stato opposto e confermato il segreto di
Stato».
La sentenza
della Corte di cassazione sarebbe censurabile anche laddove ha limitato
l’inutilizzabilità delle testimonianze, delle dichiarazioni e degli altri
elementi di prova sugli interna corporis, facendo salva la utilizzabilità di quegli
elementi in relazione alle condotte poste in essere a titolo individuale dagli
agenti del Servizio, al di fuori di operazioni riconducibili al SISMI. Ciò
risponde, infatti, alla già confutata tesi secondo la quale il segreto avrebbe
coperto soltanto le operazioni approvate dal Servizio.
Da tutto
ciò, la lesione delle prerogative del ricorrente, anche in relazione alla
ordinanza del 28 gennaio 2013, con la quale la Corte d’appello aveva accolto,
proprio in ossequio alla sentenza della Corte di cassazione, la produzione dei
verbali di interrogatorio degli indagati già menzionati, trattandosi di fonti
di prova certamente coperte da segreto di Stato. Lesione che si lamenta anche
in relazione alla ordinanza del 4 febbraio 2013, con la quale la Corte milanese
ha omesso di chiedere la conferma del segreto di Stato, opposto dagli imputati,
senza conseguentemente sospendere ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia
oggetto di segreto, consentendo così al Procuratore generale di svolgere la
propria requisitoria, ripresa dagli organi di informazione, utilizzando
ampiamente le fonti di prova coperte dal segreto di Stato.
Conclusivamente,
viene formulata istanza di sospensione della sentenza della Corte di cassazione
e del giudizio di rinvio, al fine di non aggravare la lesione delle
attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri.
Il
ricorrente chiede, dunque, dichiararsi che:
a) non
spettava alla Corte di cassazione annullare i proscioglimenti degli imputati
Pollari, Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini
nonché le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con le quali la Corte d’appello
di Milano aveva ritenuto l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli
indagati nel corso delle indagini preliminari, sul presupposto che il segreto
di Stato apposto in relazione alla vicenda del sequestro di Abu Omar
concernerebbe solo i rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonché gli interna corporis
che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che
attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione, e che sarebbe
tutt’ora utilizzabile la documentazione legittimamente acquisita dall’autorità
giudiziaria nel corso del procedimento avente ad oggetto il sequestro in
questione, sulla quale era stato successivamente opposto il segreto di Stato;
b) non
spettava alla Corte d’appello di Milano né ammettere la produzione, da parte
della Procura generale, dei verbali relativi agli interrogatori resi nel corso
delle indagini da Mancini, Ciorra, Di Troia e Di
Gregori – atti dei quali era stata disposta la restituzione al Procuratore
generale da parte della stessa Corte d’appello con ordinanze del 22 e 26
ottobre 2010 – né omettere l’interpello del Presidente del Consiglio dei
ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati
Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nel
corso della udienza del 4 febbraio 2013, invitando il Procuratore generale a
concludere, consentendogli in tal modo di svolgere la sua requisitoria
utilizzando fonti di prova coperte dal segreto di Stato.
Correlativamente,
si domanda l’annullamento, in parte qua,
previa sospensione della relativa efficacia, della sentenza della Corte di
cassazione n. 46340 del 2012, nonché, previa sospensione della relativa
efficacia, delle ordinanze pronunciate dalla Corte d’appello di Milano in data
28 gennaio 2013 e 4 febbraio 2013, in riferimento ai profili e per le parti
innanzi indicate.
1.1.– Il ricorso è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 69
del 2013 e poi nuovamente depositato presso la cancelleria di questa Corte,
dopo le rituali notifiche, il 9 maggio 2013.
2.– Con ricorso depositato, per la fase di ammissibilità,
il 3 luglio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha proposto conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Corte d’appello di
Milano, in persona del Presidente pro
tempore, in riferimento alla sentenza n. 985 del 12 febbraio 2013, con la
quale la medesima Corte (nel processo penale a carico di Pollari Nicolò, Di
Troia Raffaele, Ciorra Giuseppe, Mancini Marco e Di
Gregori Luciano, per sequestro di persona in danno di Abu Omar), pur resa
edotta dell’intervenuto deposito in data 11 febbraio 2013 di un ricorso per
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ha affermato la
responsabilità di detti imputati, non ravvisando la sussistenza di una causa di
sospensione del processo in corso.
Rievocate le articolate vicende che hanno contrassegnato
l’iter del procedimento penale in
esame, il ricorrente osserva che anche la sentenza della Corte d’appello di
Milano risulterebbe «gravemente lesiva delle attribuzioni del Presidente del
Consiglio dei ministri, quale autorità preposta all’opposizione, alla tutela ed
alla conferma del segreto di Stato, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettere b) e c)
della legge
n. 124/2007»; per cui risulterebbero violati gli artt. 1, 5, 52, 94 e 95 Cost., in
riferimento agli artt. 1, comma 1, lettere b)
e c), 39, 40 (sostitutivo dell’art.
202 cod. proc. pen.) e 41 della richiamata legge
n. 124 del 2007.
In punto di ammissibilità, il ricorrente – richiamata la
giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di legittimazione attiva e
passiva –, quanto alla sussistenza del requisito oggettivo del conflitto,
rivendica le prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri in tema di
sicurezza dello Stato – nella specie concretizzatesi nella apposizione del segreto
di Stato e nella conferma di esso con riferimento ai rapporti tra i Servizi
italiani e la CIA nonché agli interna corporis del Servizio, anche in ordine al fatto storico
del sequestro di Abu Omar – che sarebbero state lese dai provvedimenti
giurisdizionali impugnati.
Nel merito, il ricorrente – rilevato come da molto tempo
la giurisprudenza costituzionale abbia evidenziato il livello supremo dei
valori tutelabili col presidio del segreto di Stato, individuando nel
Presidente del Consiglio dei ministri il titolare del potere di segretazione,
di natura squisitamente politica – ha osservato come a questo orientamento si
conformi la ricordata legge n. 124 del 2007, dei cui articoli 39, 40 e 41
segnala i profili di rilevanza agli effetti del thema decidendum.
Secondo il Presidente del Consiglio la sentenza impugnata
con il presente ricorso è affetta da illegittimità derivata, in primo luogo in
quanto ha applicato alla fattispecie concreta i criteri seguiti dalla Corte di
cassazione nella sentenza del 19 febbraio 2012, impugnata con il già menzionato
ricorso per conflitto di attribuzione, depositato l’11 febbraio 2013 (ammesso
da questa Corte con ordinanza n. 69 del
2013).
Alla luce del richiamato quadro normativo, la Corte di
cassazione avrebbe correttamente affermato che il segreto di Stato è stato
apposto su documenti e notizie riguardanti i rapporti tra Servizi italiani e
stranieri e sugli interna corporis, anche se relativi alla vicenda delle renditions e del
sequestro di Abu Omar; e avrebbe, invece, errato nel ritenere il segreto
limitato ai rapporti tra Servizi, tendenti alla realizzazione di operazioni
comuni. Proprio questo, infatti, sarebbe all’origine della lesione della sfera
delle attribuzioni spettanti al Presidente del Consiglio dei ministri, in
particolare per ciò che attiene alla determinazione del concreto ambito di
operatività del segreto.
Si ribadisce altresì che risulterebbe, a sua volta,
lesivo di tali prerogative, ancorché sotto altro profilo, anche l’annullamento
delle statuizioni con cui la Corte d’appello di Milano aveva dichiarato
l’improcedibilità dell’azione penale esercitata nei confronti degli imputati
italiani che avevano opposto il segreto di Stato, nonché delle ordinanze del 22
e 26 ottobre 2010, con le quali la medesima Corte d’appello aveva ritenuto
inutilizzabili le dichiarazioni rese, quali indagati, da Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori, malgrado il segreto di Stato
da loro opposto fosse stato confermato; annullamento cui ha fatto seguito, da
parte del giudice del rinvio, la pronuncia della ordinanza del 28 gennaio 2013,
con la quale è stata ammessa la produzione di tali dichiarazioni.
Risulterebbero, infatti, così, esclusi dall’operatività del segreto i rapporti
tra Servizio italiano e CIA e le direttive impartite dal direttore del SISMI
circa il fatto storico del sequestro di Abu Omar, essendo precluso all’autorità
giudiziaria utilizzare, anche indirettamente, le notizie coperte dal segreto.
Né sarebbe corretta l’affermazione secondo cui la restituzione dei verbali
degli interrogatori resi nel corso delle indagini sarebbe stata disposta sul
presupposto che questi fossero irrilevanti ai fini del decidere: ciò
riguarderebbe, infatti, soltanto le circostanze, nel caso specifico, non
coperte dal segreto di Stato, nei termini innanzi detti.
La sentenza impugnata sarebbe inoltre censurabile nella
parte in cui riafferma (in conformità a quanto statuito dalla Corte di
cassazione) la tardività della apposizione del segreto di Stato agli atti ed ai
documenti acquisiti in riferimento al sequestro di Abu Omar, essendo una simile
affermazione in contrasto con la sentenza n. 106 del
2009. La Cassazione, infatti, avrebbe stravolto il significato della
pronuncia della Corte costituzionale, nel senso che, avendo i soggetti tenuti
alla opposizione del segreto formulato tale opposizione solo successivamente
alla acquisizione dei documenti da parte della autorità giudiziaria, gli atti,
essendo stati legittimamente acquisiti, non sarebbero inutilizzabili, ma
comporterebbero l’uso di cautele atte ad impedire la divulgazione del segreto.
In realtà la Corte costituzionale, pur avendo negato la portata di una retroattiva
demolizione della attività di indagine, aveva puntualizzato come l’opposizione
del segreto successiva alla acquisizione non fosse una evenienza
processualmente indifferente. Su questa base, del resto, si affermò che il
segreto funge da «sbarramento al potere giurisdizionale, nel senso di "inibire
all’Autorità giudiziaria di acquisire e conseguentemente utilizzare gli
elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto”».
Sarebbe altresì censurabile la decisione impugnata là
dove ha limitato l’inutilizzabilità delle testimonianze, delle dichiarazioni e
degli altri elementi di prova sugli interna
corporis, facendo salva la utilizzabilità di
quegli elementi in relazione alle condotte poste in essere a titolo individuale
dagli agenti del Servizio, al di fuori di operazioni riconducibili al SISMI,
giacché ciò risponderebbe alla già confutata tesi secondo la quale il segreto
avrebbe coperto soltanto le operazioni approvate dal Servizio.
La sentenza, ancora, sarebbe viziata per effetto della
illegittimità della ricordata ordinanza del 28 gennaio 2013 e parimenti lesiva
risulterebbe l’ordinanza del 4 febbraio 2013, con la quale la Corte milanese ha
omesso di chiedere la conferma del segreto di Stato, opposto dagli imputati,
consentendo di utilizzare ampiamente le fonti di prova coperte dal segreto di
Stato.
Infine, il ricorrente lamenta la violazione del principio
di leale collaborazione tra poteri dello Stato (al quale non sfugge neppure
l’ordine giudiziario: sentenze n. 87 del 2012,
n. 149 del 2007,
n. 110 del 1998
e n. 403 del
1994), in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello di Milano, per avere
omesso di sospendere il procedimento penale in corso di celebrazione, in attesa
della decisione del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato, del cui deposito presso la cancelleria della Corte costituzionale, la
Corte d’appello era stata informata dall’Avvocatura dello Stato il giorno prima
della emissione della sentenza impugnata.
Viene, altresì, formulata istanza di sospensione della
impugnata sentenza della Corte d’appello di Milano, al fine di non aggravare la
lesione delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei
ministri.
Il ricorrente chiede, dunque, dichiararsi che:
a) non spettava alla Corte d’appello di Milano affermare
la penale responsabilità degli imputati del fatto-reato costituito dal
sequestro di Abu Omar, sul presupposto che il segreto di Stato apposto dal
Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla vicenda del sequestro
di Abu Ornar, concernerebbe solo i rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonché
gli interna corporis
che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che
attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione, e che sarebbe
tuttora utilizzabile la documentazione legittimamente acquisita dall’autorità
giudiziaria, nel corso del relativo procedimento, sulla quale era stato
successivamente apposto il segreto di Stato, nonché tutti gli elementi di prova
ritenuti coperti dal segreto di Stato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 106 del
2009;
b) non spettava alla Corte d’appello di Milano emettere
la sentenza impugnata in questa sede sulla base dell’utilizzazione dei verbali
relativi agli interrogatori resi dagli allora indagati nel corso delle indagini
preliminari Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori –
di cui era stata disposta la restituzione al Procuratore generale da parte
della stessa Corte d’appello con ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010 – senza che
si sia dato corso all’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai
fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati Pollari,
Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nel corso
dell’udienza del 4 febbraio 2013, essendosi invitato il Procuratore generale a
concludere, in modo tale da consentirgli di svolgere la sua requisitoria
utilizzando fonti di prova coperte dal segreto di Stato;
c) non spettava alla Corte d’appello di Milano emettere
la sentenza impugnata in questa sede, senza aver sospeso il processo penale in
questione fino alla definizione del giudizio sul conflitto di attribuzione.
Chiede altresì che si annulli – previa sospensione dell’efficacia
della sentenza n. 985 del 2013 della Corte d’appello di Milano e conseguente
sospensione del processo penale attualmente pendente dinanzi alla Corte di
cassazione – la predetta sentenza della Corte ambrosiana.
2.1. – Il ricorso è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 244
del 2013 e poi nuovamente depositato presso la cancelleria di questa Corte,
dopo la rituale notifica, il 31
ottobre 2013.
2.2.– La Corte di cassazione
e la Corte d’appello di Milano non si sono costituite in giudizio.
Considerato in diritto
1.– I
ricorsi proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri – la cui
ammissibilità va preliminarmente confermata –, ancorché indirizzati contro
distinti atti giurisdizionali – assunti come lesivi delle prerogative
costituzionali del ricorrente in tema di esercizio delle attribuzioni relative
al segreto di Stato e alla determinazione in concreto del relativo ambito di
operatività – presentano un nucleo comune, riguardando entrambi la stessa
vicenda processuale e fondandosi su censure in larga parte convergenti.
Tenuto
conto dei profili di evidente connessione soggettiva ed oggettiva, appare
necessario procedere alla trattazione congiunta dei relativi giudizi: gli
stessi vanno pertanto riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia.
2.– A
proposito della sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione il 19 settembre
2012, il ricorrente reputa essersi realizzata – attraverso la pronuncia di
annullamento con rinvio delle statuizioni di proscioglimento adottate dai
giudici di entrambi i gradi di merito, che avevano, al contrario, riconosciuto
l’esistenza di una preclusione processuale derivante dal vincolo del segreto,
secondo le puntualizzazioni offerte, nell’ambito dello stesso procedimento,
dalla sentenza
di questa Corte n. 106 del 2009 – una menomazione del munus spettante al Presidente del
Consiglio dei ministri in tema di segreto di Stato, sotto più profili ed in
rapporto a diversi punti del decisum.
Sarebbe
infatti anzitutto arbitrario, e dunque invasivo delle prerogative del
ricorrente, l’assunto – centrale agli effetti della decisione rescindente –
secondo il quale il vincolo del segreto dovrebbe intendersi circoscritto alle
sole operazioni che avessero coinvolto ufficialmente i Servizi nazionali e
stranieri, legittimamente approvate dai vertici dei Servizi italiani: una
simile affermazione – fondata esclusivamente su una nota dell’11 novembre 2005,
con la quale era stata affermata la assoluta estraneità del Governo italiano e
del Servizio al sequestro di Abu Omar – finirebbe per incidere direttamente sul
potere di determinazione di quale fosse il reale àmbito dei fatti e delle
notizie coperte dal segreto, da parte di un organo diverso da quello cui è
riservato detto cómpito.
Strettamente
collegata a tale rivendicazione è quella che deduce il medesimo vulnus anche in riferimento
all’annullamento della sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Milano il
15 dicembre 2010 (con la quale era stata confermata la declaratoria di
improcedibilità della azione penale nei confronti degli imputati italiani che
avevano opposto il segreto di Stato), nonché delle ordinanze pronunciate il 22
e 26 ottobre 2010, nelle quali la medesima Corte territoriale aveva ritenuto
inutilizzabili le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da
Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori.
Considerato,
dunque – assume il ricorrente – che non spettava alla Corte di cassazione
reputare che il segreto fosse limitato alle sole operazioni ufficiali dei
Servizi, e che pertanto non si potesse ritenere estraneo all’oggetto del
segreto il tema dei rapporti tra il Servizio italiano e la CIA e degli interna corporis
ove non riconducibili ad attività regolarmente approvate dai vertici dei
Servizi, risulterebbe illegittima la decisione anche nella parte in cui ha
limitato la inutilizzabilità delle testimonianze e delle altre acquisizioni in
merito agli interna corporis,
affermando la utilizzabilità processuale di quegli elementi in relazione alle
condotte poste in essere a titolo individuale, in quanto realizzate senza
l’approvazione del SISMI.
Sarebbe per tale ragione lesiva delle
prerogative del ricorrente anche l’ordinanza pronunciata, in sede di giudizio
di rinvio, dalla Corte d’appello di Milano il 28 gennaio 2013, con la quale –
aderendo ai dicta
della Corte di cassazione – era stata accolta la produzione dei verbali di
interrogatorio resi nel corso delle indagini dagli imputati di cui si è detto,
trattandosi di fonti certamente coperte dal segreto.
Detta lesione viene denunciata anche in
riferimento alla ordinanza del 4 febbraio 2013, con la quale la Corte milanese
aveva omesso di chiedere la conferma del segreto di Stato opposto dagli
imputati, senza sospendere ogni attività volta ad acquisire la notizia oggetto
di segreto, permettendo così la discussione, diffusa dagli organi di
informazione, nel corso della quale il Procuratore generale ampiamente
utilizzava fonti di prova coperte dal segreto di Stato.
Si ritiene
infine menomativo delle attribuzioni del ricorrente
anche l’assunto secondo il quale la sentenza n. 106 del
2009 di questa Corte andrebbe interpretata nel senso che non era inibita la
utilizzazione processuale degli atti successivamente coperti da "omissis”, salva l’adozione delle
opportune cautele volte ad impedire la divulgazione delle parti occultate:
reputa, infatti, il ricorrente che una simile affermazione consentirebbe
comunque di mantenere – in contrasto con quanto affermato da questa Corte nella
richiamata sentenza – «all’interno del circuito divulgativo del processo
documenti in relazione ai quali era stato opposto e confermato il segreto di Stato».
3.–
L’intera gamma delle censure è stata poi ripresa anche nel secondo ricorso,
rivolto contro la sentenza pronunciata all’esito del giudizio di rinvio dalla
Corte d’appello di Milano il 12 febbraio 2013 e con la quale gli imputati
Pollari, Di Troia, Ciorra, Mancini e Di Gregori erano
stati condannati per il sequestro Abu Omar, nonché contro le già richiamate
ordinanze con le quali erano stati acquisiti gli interrogatori resi dagli
imputati nel corso delle indagini, senza procedere all’interpello del
Presidente del Consiglio dei ministri per la conferma del segreto di Stato
opposto dagli imputati medesimi nel corso della udienza del 4 febbraio 2013.
L’unica
censura nuova, posta a base di tale secondo ricorso, ha riguardato la pretesa
violazione del principio di leale collaborazione, che sarebbe stata posta in
essere dalla Corte d’appello di Milano laddove aveva omesso di sospendere il
procedimento in corso di celebrazione, in attesa della decisione sul primo
ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal
Presidente del Consiglio dei ministri, e del cui deposito presso la cancelleria
di questa Corte era stata data contezza al giudice procedente, da parte della
Avvocatura dello Stato, il giorno prima della pronuncia della sentenza
impugnata.
4.– Il nucleo centrale delle doglianze proposte dal ricorrente in entrambi
i ricorsi ruota, dunque, essenzialmente, attorno all’assunto cui
conclusivamente è pervenuta la Corte di cassazione, nella parte in cui ha
pronunciato, in parte qua, l’annullamento
con rinvio della sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Milano il 15
dicembre 2010 (con la quale veniva fra l’altro – e per ciò che qui interessa –
confermata la sentenza di primo grado nella parte in cui , nei confronti degli
imputati di cui si è detto, veniva dichiarata la improcedibilità della azione
penale a norma dell’art. 202 cod. proc. pen. per la sussistenza del segreto di Stato) sul rilievo che
«l’opposizione e la conferma del segreto avevano creato una sorta di indecidibilità perché sul materiale
probatorio raccolto era calato un "sipario nero”» (pag. 16 della sentenza della
Corte di cassazione).
È del tutto evidente, infatti, che le "conclusioni” cui è pervenuta la
Corte di cassazione nella pronuncia rescindente, hanno poi costituito il
"principio di diritto” al quale si è conformata la Corte d’appello di Milano
quale giudice di rinvio nell’adottare le ordinanze e la sentenza di condanna,
parimenti oggetto di ricorso.
Secondo i giudici di legittimità,
dunque, il segreto di Stato sarebbe stato apposto «su documenti e notizie che
riguardino i rapporti tra i Servizi italiani e quelli stranieri […] e sugli interna corporis
del Servizio, ovvero sulla organizzazione dello stesso e sulle direttive impartite
dal direttore dei Servizi, anche se relative alla vicenda delle renditions e del
sequestro di Abu Omar» (pag. 121 della sentenza).
Il segreto, peraltro, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di
merito, non sarebbe stato apposto «sull’operato di singoli funzionari che abbiano agito al di fuori delle proprie
funzioni» (pag. 122 della sentenza). Considerato, dunque, che il Presidente
del Consiglio dei ministri aveva proclamato, nella propria nota dell’11
novembre 2005, la
estraneità del Governo e del SISMI ai fatti relativi al sequestro di Abu Omar,
se ne doveva concludere che la partecipazione di agenti del Servizio a quella
azione era avvenuta «a titolo personale» (pag. 123 della sentenza in esame ).
Da ciò il corollario per il quale «sulle fonti di prova afferenti ad
eventuali singole e specifiche condotte criminose poste in essere da agenti del
SISMI, anche in accordo con appartenenti a Servizi stranieri, ma al di fuori
dei doveri funzionali ed in assenza di autorizzazione da parte dei vertici del
SISMI non [sarebbe] stato apposto alcun segreto, che, invece, riguardava i
rapporti tra Servizi italiani e stranieri e gli scambi di informazione e gli
atti di reciproca assistenza posti in essere in relazione a singole e
specifiche operazioni, dovendosi intendere per operazioni le azioni legittimamente approvate dai vertici del
SISMI» (pagg. 123-124 della sentenza).
Contro tale tesi – che, come già si è detto, ha costituito la "base” della
pronuncia di annullamento con rinvio, refluendo, poi, sulle consequenziali
decisioni adottate in sede "rescissoria” – la Presidenza del Consiglio dei
ministri insorge contestandone il fondamento.
Si sottolinea, infatti, la circostanza che la sentenza n. 106 del
2009 ha correttamente riferito il segreto di Stato ai rapporti tra SISMI e
CIA, anche se relativi alle extraordinary renditions, con la conseguenza che risulterebbe
arbitrario circoscrivere l’ambito di operatività del segreto «ai soli rapporti
tra Servizi che si siano estrinsecati nella partecipazione ad operazioni
gestite da entrambi i Servizi, legittimamente approvate dai vertici del
Servizio italiano». L’autorità giudiziaria avrebbe, in tal modo, finito per
sostituirsi «all’autorità politica nella concreta determinazione di ciò che
costituisce oggetto del segreto di Stato in relazione alla vicenda del
sequestro Abu Omar».
5.– L’assunto del ricorrente è fondato. Come, infatti, puntualmente ricordato
dalla difesa erariale, nella sentenza n. 106 del
2009 – con la quale (va nuovamente rammentato) sono stati decisi ben cinque
conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato sollevati da varie autorità
giudiziarie e dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento
alla medesima vicenda processuale – questa Corte ha avuto modo di sottolineare
come dovesse affermarsi la perdurante attualità dei princípi
tradizionalmente enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, a far tempo
dalla sentenza
n. 86 del 1977, in materia di segreto di Stato, pur a seguito della
introduzione delle nuove disposizioni di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 124
(Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina
del segreto). In particolare, si è ribadito che la disciplina del segreto
involge il supremo interesse della sicurezza dello Stato-comunità alla propria
integrità ed alla propria indipendenza, interesse che trova espressione
nell’art. 52 della Costituzione in relazione agli artt. 1 e 5 della medesima
Carta. D’altra parte, tenuto conto della ampiezza e della intensità del vincolo
che consegue alla apposizione e conferma di tale particolare figura di segreto,
scaturiscono necessariamente dal relativo regime profili di interferenza con
altri princípi costituzionali, inclusi quelli che
reggono la funzione giurisdizionale. In questo specifico àmbito, si è più volte
osservato, da parte di questa Corte, come l’apposizione del segreto da parte
del Presidente del Consiglio dei ministri – cui spetta in via esclusiva
l’esercizio della relativa attribuzione di rango costituzionale (salve le
attribuzioni di cui agli artt. 30 e seguenti e 41 della legge n. 124 del 2007),
in quanto afferente la tutela della salus rei publicae, e, dunque, tale da coinvolgere un interesse
preminente su qualunque altro, perché riguardante «la esistenza stessa dello
Stato, un aspetto del quale è la giurisdizione» (sentenza n. 86 del
1977) – non può impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di
reato, ma può inibire all’autorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare gli elementi
di conoscenza coperti dal segreto. Un àmbito, questo, nel quale il Presidente
del Consiglio dei ministri gode di un ampio potere discrezionale, sul cui
esercizio è escluso qualsiasi sindacato dei giudici comuni, poiché il giudizio
sui mezzi idonei a garantire la sicurezza dello Stato ha natura politica.
D’altra
parte, quando pure la fonte di prova segretata risultasse essenziale e
mancassero altre fonti di prova – con conseguente applicabilità (come
correttamente avevano ritenuto i giudici, tanto di primo che di secondo grado)
delle disposizioni che impongono la pronuncia di una sentenza di non doversi
procedere per l’esistenza del segreto di Stato, a norma degli artt. 202, comma
3, cod. proc. pen. e 41, comma 3, della legge n. 124
del 2007 – non potrebbe scorgersi in ciò alcuna antinomia con i concorrenti princípi costituzionali, proprio perché un tale esito –
espressamente previsto dalla legge – non è altro che il portato della già
evidenziata preminenza dell’interesse della sicurezza nazionale, alla cui
salvaguardia il segreto di Stato è preordinato, rispetto alle esigenze
dell’accertamento giurisdizionale (sentenza n. 40 del
2012).
Il
fatto-reato resta, dunque, immutato in tutta la sua intrinseca carica di
disvalore, così come inalterato resta il potere-dovere del pubblico ministero
di svolgere le indagini in vista dell’eventuale esercizio della azione penale:
ciò che risulta inibito agli organi della azione e della giurisdizione è
l’espletamento di atti che incidano – rimuovendolo – sul perimetro tracciato
dal Presidente del Consiglio dei ministri, nell’atto o negli atti con i quali
ha indicato l’«oggetto» del segreto; un oggetto che, come è evidente, soltanto
a quell’organo spetta individuare, senza che altri organi o poteri possano
ridefinirne la portata, adottando comunque comportamenti nella sostanza elusivi
dei vincoli che dal segreto devono – in relazione a quello specifico "oggetto”
– scaturire, anche nell’àmbito della pur doverosa persecuzione dei fatti
penalmente rilevanti.
6.– Ebbene, la affermazione della Corte di cassazione, secondo la quale il
segreto non coprirebbe le condotte "extrafunzionali” che sarebbero state poste
in essere dagli agenti del SISMI, in quanto l’operazione Abu Omar non sarebbe
riconducibile né al Governo né al SISMI medesimo alla luce della predetta nota
dell’11 novembre 2005, equivale ad una sostanziale modifica (di contenuto e di
portata) di quello che, al contrario, era stato il perspicuo "oggetto” del
segreto. Considerato, infatti, che il segreto era stato apposto su documenti e
notizie riguardanti i rapporti tra i Servizi italiani e quelli stranieri,
nonché sugli interna corporis
del Servizio, ovvero sulla organizzazione dello stesso e sulle direttive
impartite dal direttore dei Servizi, anche se relative alla vicenda delle renditions e del
sequestro di Abu Omar, nessuna limitazione poteva derivare in ordine a tali
"fatti” in dipendenza di una riconducibilità o meno degli stessi a formali
"deliberazioni” governative o dei vertici dei Servizi, posto che – a tacer
d’altro – l’esistenza o meno di tali deliberazioni avrebbe, a fortiori, formato oggetto essa stessa
di segreto.
D’altra parte, la tesi secondo la quale il segreto non opererebbe, in quanto
gli imputati avrebbero agito «a titolo personale», e non nell’àmbito di un
collegamento funzionale con il Servizio, risulta contraddetta dal fatto che nei
confronti degli stessi è stata contestata e ritenuta l’aggravante di cui
all’art. 605, secondo comma, n. 2), del codice penale (sequestro di persona
aggravato se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, con abuso di poteri
inerenti alle sue funzioni): come emerge dal capo di imputazione, l’aggravante
stessa è stata, infatti, configurata in ragione proprio del fatto che il
delitto era stato commesso con abuso dei poteri inerenti alle funzioni di
appartenenti al SISMI.
Prospettare, poi, la estraneità del Servizio ai fatti oggetto del
procedimento penale, appare, allo stesso modo, intimamente contraddetto dalle
circostanze evocate nel capo di imputazione, ove si formula un espresso
riferimento, non soltanto alle qualità soggettive dei singoli imputati e al
ruolo concretamente svolto in collegamento con la rete CIA in Italia, ma,
anche, all’utilizzo, per la relativa operazione, di una struttura del SISMI,
oltre che dell’apparato logistico di cui disponeva la rete CIA.
Sembra opportuno, del resto, sottolineare un ulteriore profilo sul quale la
sentenza della Corte di cassazione non pare essersi soffermata. A proposito
della cosiddetta immunità funzionale degli appartenenti ai Servizi, l’art. 204,
comma 1-bis, del codice di procedura
penale (inserito dall’art. 40 della legge n. 124 del 2007, successiva al
fatto-reato ma di gran lunga antecedente alla sentenza di primo grado)
stabilisce che non possono formare oggetto del segreto i fatti, le notizie o i
documenti relativi alle condotte poste in essere da appartenenti ai Servizi di
informazione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale
causa di giustificazione prevista per l’attività del personale dei Servizi di
informazione per la sicurezza. Puntualizza la norma che «si considerano
violazioni della predetta disciplina le condotte per le quali, essendo stata
esperita l’apposita procedura prevista dalla legge, risulta esclusa l’esistenza
della speciale causa di giustificazione».
Ebbene, l’art. 18 della stessa legge n. 124 del 2007, nello stabilire le
«procedure di autorizzazione delle condotte previste dalla legge come reato»,
espressamente prevede, al comma 6, che «nei casi in cui la condotta prevista
dalla legge come reato sia stata posta in essere in assenza ovvero oltre i
limiti delle autorizzazioni previste dal presente articolo, il Presidente del
Consiglio dei ministri adotta le misure necessarie e informa l’autorità
giudiziaria senza ritardo».
Il divieto di segreto sulle attività "illecite” poste in essere dagli
agenti dei Servizi in assenza ovvero oltre i limiti tracciati dalle direttive autorizzatorie – con il correlativo obbligo di informativa,
come si è appena osservato, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri
– avrebbe dovuto, dunque, imporre – ove l’assunto della Corte di cassazione
fosse considerato corretto – una condotta del tutto antitetica rispetto a quella
mantenuta nella vicenda da parte del ricorrente: la ribadita e confermata
sussistenza del segreto, invece, ed il correlativo promovimento dei vari
conflitti, attestano, di per sé, la implausibilità
della tesi che vorrebbe ricondurre i fatti nel quadro di una iniziativa
adottata "a titolo personale” dai vari imputati; e comunque escludono, anche
sul piano logico, la possibilità che lo spazio operativo del segreto possa
essere "interpretato” nei sensi additati dalla Corte di cassazione.
D’altra parte, la portata "oggettiva” del segreto risulta già univocamente
tracciata, con riferimento alla vicenda di specie, dalla più volte ricordata sentenza n. 106 del
2009. In essa si è, fra l’altro, ricordato (punto 12.3. del Considerato in diritto), che il segreto
di Stato non aveva mai avuto, appunto, ad oggetto «il reato di sequestro in sé,
accertabile dall’Autorità giudiziaria competente nei modi ordinari, bensì, da
un lato, i rapporti tra i Servizi segreti italiani e quelli stranieri e,
dall’altro, gli assetti organizzativi ed operativi del SISMI, con particolare
riferimento alle direttive e agli ordini che sarebbero stati impartiti dal suo
Direttore agli appartenenti al medesimo organismo, pur se tali rapporti,
direttive ed ordini fossero in qualche modo collegati al fatto di reato stesso;
con la conseguenza […] dello "sbarramento” al potere giurisdizionale derivante
dalla opposizione e dalla conferma, ritualmente intervenuti, del segreto di Stato».
In tale prospettiva, quindi, pare arduo negare che la copertura del segreto
– il cui effettivo àmbito non può, evidentemente, che essere tracciato dalla
stessa autorità che lo ha apposto e confermato e che è titolare del relativo munus – si
proietti su tutti i fatti, notizie e documenti concernenti le eventuali
direttive operative, gli interna corporis di carattere organizzativo e operativo, nonché
i rapporti con i Servizi stranieri, anche se riguardanti le renditions ed il sequestro di Abu
Omar. Ciò, ovviamente, a condizione che gli atti e i comportamenti degli agenti
siano oggettivamente orientati alla tutela della sicurezza dello Stato.
7.– Alla stregua dei riferiti rilievi deve pertanto essere dichiarato che non
spettava alla Corte di cassazione annullare il proscioglimento degli imputati
Pollari, Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini e di
annullare le ordinanze pronunciate il 22 ed il 26 ottobre 2010, con le quali la
Corte d’appello di Milano aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese
dagli indagati nel corso delle indagini preliminari. Conseguentemente, va pure
dichiarato che non spettava alla Corte d’appello di Milano, in sede di giudizio
di rinvio, affermare – in ottemperanza ai dicta della sentenza di
annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione – la penale responsabilità
degli imputati anzidetti in relazione al sequestro di Abu Omar; così come non
spettava – tenuto conto della esistenza del segreto di Stato – pronunciare la
condanna sulla base della utilizzazione processuale dei verbali relativi agli
interrogatori resi dagli imputati nel corso delle indagini (dei quali era stata
disposta la restituzione al Procuratore generale della Repubblica presso la
medesima Corte con le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, poi annullate dalla Corte
di cassazione, senza che fosse dato corso all’interpello del Presidente del
Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato, opposto
dagli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e
Di Gregori nella udienza del 4 febbraio 2013: udienza nel corso della quale il
Procuratore generale era stato invitato a rassegnare le proprie conclusioni,
utilizzando fonti di prova coperte dal segreto di Stato).
A questa
dichiarazione di non spettanza consegue l’annullamento, in parte qua, dei corrispondenti atti giurisdizionali, menomativi
delle attribuzioni del ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri in
materia di apposizione del segreto di Stato. Parimenti menomativa
deve intendersi anche la surricordata condotta omissiva della Corte d’appello
di Milano, laddove ha mancato di procedere all’interpello del Presidente del
Consiglio dei ministri in ordine alla conferma del segreto di Stato opposto da
taluni imputati.
8.– Non
appare, per contro, fondata la censura
secondo la quale la Corte d’appello di Milano, quale giudice del rinvio,
avrebbe violato il principio di "leale collaborazione” tra poteri dello Stato,
per aver omesso di sospendere il procedimento penale in attesa della decisione
della Corte costituzionale sul conflitto già proposto in riferimento alla
sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione, e del cui
deposito la Corte d’appello era stata informata il giorno prima di quello in
cui aveva emesso la sentenza qui censurata.
Da un lato,
infatti, il principio di leale collaborazione non impone, di per sé, in linea
generale, la paralisi nell’esercizio delle attribuzioni contestate; dall’altro,
la sospensione del processo da parte della autorità giudiziaria procedente non
è prevista per tale ipotesi di "contenzioso”; con la conseguenza che la stessa
– ove disposta – si sarebbe tradotta in un provvedimento praeter legem, se non, addirittura, contra legem,
avuto riguardo al regime tassativo che disciplina i casi di sospensione del
processo e che automaticamente coinvolgono, fra l’altro, la disciplina di
diritto sostanziale della prescrizione del reato.
9.– All’accertamento dell’avvenuta lesione delle attribuzioni del Presidente
del Consiglio dei ministri segue l’annullamento degli atti che hanno integrato
la menomazione, nella parte e per i profili che qualificano ciascuna
dichiarazione di "non spettanza”.
Competerà,
poi, alla autorità giudiziaria valutare le conseguenze che, sul piano
processuale, scaturiscono dalla pronuncia di annullamento.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara
1) che non
spettava alla Corte di cassazione annullare – con la sentenza n. 46340/12 del
19 settembre 2012 – il proscioglimento degli imputati Pollari Nicolò, Ciorra Giuseppe, Di Troia Raffaele, Di Gregori Luciano e
Mancini Marco, nonché le ordinanze emesse il 22 ed il 26 ottobre 2010, con le
quali la Corte d’appello di Milano aveva ritenuto inutilizzabili le
dichiarazioni rese dagli indagati nel corso delle indagini preliminari, sul
presupposto che il segreto di Stato apposto in relazione alla vicenda del
sequestro Abu Omar concernerebbe solo i rapporti tra il Servizio italiano e la
CIA, nonché gli interna corporis che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal
Servizio, e non anche al fatto storico del sequestro in questione;
2) che non
spettava alla Corte d’appello di Milano, quale giudice del rinvio, ammettere –
con l’ordinanza del 28 gennaio 2013 – la produzione, da parte della Procura
generale della Repubblica presso la medesima Corte, dei verbali relativi agli
interrogatori resi nel corso delle indagini da Mancini, Ciorra,
Di Troia e Di Gregori – atti dei quali era stata disposta la restituzione al
Procuratore generale da parte della stessa Corte d’appello con le ordinanze del
22 e 26 ottobre 2010, poi annullate dalla Corte di cassazione con la sentenza
innanzi indicata;
3) che non
spettava alla Corte d’appello di Milano – in riferimento alla ordinanza
pronunciata il 4 febbraio 2013 – omettere l’interpello del Presidente del
Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto
dagli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e
Di Gregori nel corso della udienza dello stesso 4 febbraio 2013, invitando il
Procuratore generale a concludere e a svolgere la sua requisitoria con
l’utilizzo di fonti di prova coperte da segreto di Stato;
4) che non
spettava alla Corte d’appello di Milano – in relazione alla sentenza n. 985 del
12 febbraio 2013 – affermare la penale responsabilità degli imputati Pollari Nicolò,
Di Troia Raffaele, Ciorra Giuseppe, Mancini Marco e
Di Gregori Luciano, in ordine al fatto-reato costituito dal sequestro di Abu
Omar, sul presupposto che il segreto di Stato apposto dal Presidente del
Consiglio dei ministri, in relazione alla relativa vicenda, concernerebbe solo
i rapporti tra il Servizio italiano e la CIA, nonché gli interna corporis che hanno tratto ad
operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che attengono comunque
al fatto storico del sequestro in questione;
5) che non
spettava alla Corte d’appello di Milano emettere la sentenza innanzi indicata
sulla base dell’utilizzazione dei verbali relativi agli interrogatori resi
dagli imputati nel corso delle indagini preliminari – di cui era stata disposta
la restituzione al Procuratore generale da parte della stessa Corte d’appello
con le ricordate ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010 – senza che si fosse dato
corso all’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della
conferma del segreto di Stato opposto dagli anzidetti imputati nel corso della
udienza del 4 febbraio 2013, essendosi invitato il Procuratore generale a
concludere, in modo tale da consentirgli di svolgere la sua requisitoria
utilizzando fonti di prova coperte dal segreto di Stato;
6) che
spettava alla Corte d’appello di Milano non sospendere il procedimento penale a
carico degli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di
Troia e Di Gregori in pendenza del giudizio per conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato;
annulla, nelle corrispondenti parti, la sentenza della Corte
di cassazione e quella della Corte d’appello di Milano, innanzi indicate,
nonché le ordinanze anzidette, anch’esse nelle rispettive parti.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI,
Presidente
Paolo GROSSI,
Redattore
Gabriella MELATTI,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 13 febbraio 2014.