ORDINANZA N. 69
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della sentenza della Corte di cassazione, sezione quinta penale, del 29 novembre 2012, n. 46340 e delle ordinanze della Corte di appello di Milano, sezione quarta penale, del 28 gennaio 2013 e del 4 febbraio 2013, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, depositato in cancelleria l’11 febbraio 2013 ed iscritto al n. 4 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2013, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 26 marzo 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Corte di cassazione, in riferimento alla sentenza n. 46340 del 29 novembre 2012, con la quale la quinta sezione penale della medesima Corte, in accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano e dalle parti civili, ha annullato con rinvio la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Milano il 15 dicembre 2010, con la quale era stata confermata la declaratoria di improcedibilità della azione penale, ai sensi dell’art. 202 del codice di procedura penale, nei confronti di Pollari Nicolò, Di Troia Raffaele, Ciorra Giuseppe, Mancini Marco e Di Gregori Luciano;
che il ricorso è inteso a sollecitare l’annullamento della indicata sentenza della Corte di cassazione anche nella parte in cui detta pronuncia ha, a sua volta, annullato «le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con cui la Corte di appello di Milano aveva ritenuto l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli allora indagati Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini nel corso degli interrogatori cui erano stati sottoposti nella fase delle indagini preliminari»;
che il ricorso in questione è stato proposto anche nei confronti della Corte di appello di Milano, quale giudice di rinvio, in riferimento alla ordinanza emessa il 28 gennaio 2013, con la quale è stata accolta la richiesta di produzione dei verbali degli interrogatori resi dai predetti imputati, avanzata dalla locale Procura generale, in ossequio alla sentenza della Corte di cassazione di cui innanzi si è detto, ammettendo altresì la produzione, da parte della difesa dell’imputato Mancini, della nota dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Estera (AISE) del 25 gennaio 2013, prot. n. 13631/2.2/4/GG.02, recante la comunicazione al predetto imputato del contenuto della nota del Dipartimento Informazioni della Sicurezza (DIS), nella quale era stato rappresentato che il Presidente del Consiglio dei ministri aveva rilevato la «perdurante vigenza del segreto di Stato, così come apposto, opposto e confermato nel corso del procedimento penale avente ad oggetto il fatto storico del sequestro Abu Omar dai Presidenti del Consiglio pro tempore, su tutti gli aspetti attinenti a qualsiasi rapporto intercorso tra servizi di intelligence nazionali e stranieri, ancorché in qualche modo collegati o collegabili con il fatto storico costituito dal sequestro in questione, nonché agli interna corporis, intesi quali modalità organizzative ed operative»;
che a tal proposito, rievocate le articolate vicende che hanno contrassegnato l’iter del procedimento penale, il ricorrente osserva come tanto la sentenza della Corte di cassazione quanto la richiamata ordinanza pronunciata dalla Corte di appello di Milano quale giudice di rinvio, nonché l’ordinanza con cui la medesima Corte territoriale ha omesso di procedere all’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati, a norma dell’art. 41 della legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), risulterebbero «gravemente lesive delle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, quale autorità preposta all’opposizione, alla tutela ed alla conferma del segreto di Stato, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettere b) e c) della legge n. 124/2007»;
che, di conseguenza, a parere del ricorrente, risulterebbero violati gli artt. 1, 5, 52, 94 e 95 della Costituzione, in riferimento agli artt. 1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40 (sostitutivo dell’art. 202 cod. proc. pen.) e 41 della richiamata legge n. 124 del 2007;
che, in punto di ammissibilità, il ricorrente rammenta la giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di legittimazione attiva, mentre, quanto alla legittimazione delle altre parti del conflitto – certamente competenti a manifestare in via definitiva la volontà del potere cui esse appartengono –, sottolinea la funzione costituzionale della Corte di cassazione come organo di ultima istanza cui è deputato il controllo della legittimità delle sentenze e dei provvedimenti in materia di libertà personale, e la competenza della Corte di appello ad adottare provvedimenti istruttori destinati a diventare definitivi;
che, ancora in punto di ammissibilità, quanto alla sussistenza del requisito oggettivo del conflitto, il ricorrente rivendica le prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri in tema di sicurezza dello Stato – nella specie concretizzatesi nella apposizione del segreto di Stato e nella conferma di esso con riferimento ai rapporti tra i Servizi italiani e la Central intelligence agency (CIA) nonché agli interna corporis del Servizio, anche in ordine al fatto storico del sequestro Abu Omar – che sarebbero state lese dai provvedimenti giurisdizionali impugnati;
che, nel merito, il ricorrente osserva come, a far tempo dalla sentenza n. 86 del 1977, la Corte costituzionale, nell’evidenziare il livello supremo dei valori tutelabili col presidio del segreto di Stato, ha individuato nel Presidente del Consiglio dei ministri il titolare del potere, di natura squisitamente politica, di segretazione, strumentale alla salvaguardia di valori essenziali per la salus rei publicae; il tutto, ormai, recepito a livello normativo ad opera della citata legge n. 124 del 2007, la quale attribuisce, appunto, al Presidente del Consiglio dei ministri la responsabilità generale della politica della informazione per la sicurezza ed il compito di apporre il segreto di Stato e di confermarne la opposizione;
che, a fronte di tale contesto, la Corte di cassazione, mentre affermerebbe correttamente – secondo quanto puntualizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 106 del 2009, con la quale sono stati definiti vari conflitti promossi sul medesimo tema del segreto di Stato nell’ambito dello stesso procedimento – che il segreto di Stato è stato apposto su documenti e notizie riguardanti i rapporti tra Servizi italiani e stranieri e sugli interna corporis, anche se relativi alla vicenda delle renditions e del sequestro di Abu Omar, errerebbe, invece, nel ritenere che il segreto sia limitato ai rapporti tra Servizi che si siano estrinsecati nella realizzazione di operazioni comuni, dal momento che una simile conclusione non potrebbe fondarsi sulla circostanza (risultante da una nota dell’11 novembre 2005) della assoluta estraneità tanto del Governo che del Servizio italiani al sequestro di Abu Omar;
che sarebbe dunque arbitrario, a parere del ricorrente, circoscrivere la portata del segreto alle sole operazioni cogestite dai Servizi italiani e stranieri e legittimamente approvate dai vertici dei Servizi italiani, determinandosi, per l’effetto, una lesione della sfera delle attribuzioni spettanti in materia al Presidente del Consiglio dei ministri, in particolare per ciò che attiene alla determinazione in concreto dell’ambito di operatività del segreto di Stato;
che risulterebbe a sua volta lesivo di tali prerogative, ancorché sotto diverso profilo, anche l’annullamento delle statuizioni con cui la Corte di appello di Milano aveva dichiarato la improcedibilità dell’azione penale esercitata nei confronti degli imputati italiani che avevano opposto il segreto di Stato, nonché delle ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con le quali la medesima Corte di appello aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese, quali indagati, da Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori, malgrado il segreto di Stato da loro opposto fosse stato confermato; annullamento cui ha fatto seguito, da parte del giudice del rinvio, la pronuncia della ordinanza del 28 gennaio 2013, con la quale è stata, invece, ammessa la produzione di tali dichiarazioni;
che, attraverso l’adozione di tali atti, si sarebbe determinata la arbitraria esclusione della operatività del segreto in ordine ai rapporti tra Servizio italiano e CIA nonché in merito alle direttive impartite dal direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI) circa il fatto storico del sequestro Abu Omar, dal momento che era precluso per l’autorità giudiziaria utilizzare, anche indirettamente, le notizie coperte dal segreto;
che neppure sarebbe corretta l’affermazione, contenuta nella richiamata ordinanza del 28 gennaio 2013, secondo la quale la restituzione dei verbali degli interrogatori resi nel corso delle indagini sarebbe stata disposta in quanto irrilevanti ai fini del decidere, dal momento che ciò riguarderebbe le sole circostanze che nel caso specifico non fossero coperte da segreto di Stato, nei termini innanzi detti e ricostruiti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 106 del 2009, e la cui vigenza – ribadita dal Presidente del Consiglio dei ministri in sede di interpello formulato dal Giudice dell’udienza preliminare – è stata da ultimo riaffermata dalla nota dell’AISE prodotta dalla difesa del Mancini nel corso dell’udienza del 28 gennaio 2013;
che la sentenza della Corte di cassazione sarebbe censurabile anche nella parte in cui afferma la tardività dell’apposizione del segreto agli atti ed ai documenti acquisiti in riferimento al sequestro Abu Omar, essendo una simile affermazione in contrasto con la richiamata sentenza n. 106 del 2009;
che la Corte di cassazione, infatti, avrebbe stravolto il significato della pronuncia della Corte costituzionale, nel ritenere che, essendo stata formulata opposizione del segreto soltanto in un momento successivo alla acquisizione dei documenti da parte della autorità giudiziaria, gli atti stessi, in quanto legittimamente acquisiti, non sarebbero inutilizzabili, ma comporterebbero l’uso di cautele atte ad impedire la divulgazione del segreto;
che al contrario, pur avendo la Corte costituzionale, nella richiamata sentenza, negato che la opposizione del segreto successiva alla acquisizione documentale potesse assumere portata demolitoria ex tunc della pregressa attività di indagine, essa ha tuttavia sottolineato come la opposizione stessa non fosse una evenienza processualmente indifferente: tanto che dichiarò che non spettava alla autorità giudiziaria procedente porre i documenti non “omissati” a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio;
che la sentenza della Corte di cassazione sarebbe censurabile anche là dove ha limitato l’inutilizzabilità delle testimonianze, delle dichiarazioni e degli altri elementi di prova sugli interna corporis, facendo salva la utilizzabilità di quegli elementi in relazione alle condotte poste in essere a titolo individuale dagli agenti del servizio, al di fuori di operazioni riconducibili al SISMI, giacché ciò risponderebbe alla già confutata tesi secondo la quale il segreto avrebbe coperto soltanto le operazioni approvate dal Servizio;
che le prerogative del ricorrente sarebbero lese anche dall’ordinanza del 28 gennaio 2013, con la quale la Corte milanese aveva accolto, proprio in ossequio alla sentenza della Corte di cassazione, la produzione dei verbali di interrogatorio degli indagati già menzionati, trattandosi di fonti di prova certamente coperte da segreto di Stato;
che identica lesione si lamenta anche in relazione all’ordinanza del 4 febbraio 2013, con la quale la stessa Corte di appello ha omesso di chiedere la conferma del segreto di Stato, opposto dagli imputati, senza conseguentemente sospendere ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto di segreto, consentendo così al Procuratore generale di svolgere la propria requisitoria, ripresa dagli organi di informazione, con ampio utilizzo delle fonti di prova coperte dal segreto di Stato;
che, conclusivamente, il ricorrente, nel sollecitare la declaratoria di sospensione della efficacia dei provvedimenti censurati e la conseguente «sospensione del processo penale attualmente pendente dinanzi alla Corte di appello di Milano», stante «l’esigenza di evitare l’aggravamento della lesione delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri», chiede dichiararsi che: a) non spettava alla Corte di cassazione annullare i proscioglimenti degli imputati Pollari, Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini nonché le ordinanze del 22 e del 26 ottobre 2010 con le quali la Corte di appello di Milano aveva ritenuto l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli indagati nel corso delle indagini preliminari, sul presupposto che il segreto di Stato apposto in relazione alla vicenda del sequestro Abu Omar concernerebbe solo i rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonché gli interna corporis che riguardano operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione, e che sarebbe tuttora utilizzabile la documentazione legittimamente acquisita dall’autorità giudiziaria nel corso del procedimento avente ad oggetto il sequestro in questione, sulla quale era stato successivamente opposto il segreto di Stato; b) non spettava alla Corte di appello di Milano né ammettere la produzione, da parte della Procura generale, dei verbali relativi agli interrogatori resi nel corso delle indagini dagli indagati Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori – atti dei quali era stata disposta la restituzione al procuratore generale da parte della stessa Corte di appello con le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, poi annullate dalla Corte di cassazione – né omettere l’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nel corso dell’udienza del 4 febbraio 2013, invitando il Procuratore generale a concludere, consentendogli in tal modo di svolgere la sua requisitoria con l’utilizzo di fonti di prova coperte dal segreto di Stato.
Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), a delibare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esista «la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», sussistendone i requisiti soggettivo ed oggettivo, fermo restando il potere, a seguito del giudizio, di pronunciarsi su ogni aspetto del conflitto, compreso quello relativo alla ammissibilità;
che il Presidente del Consiglio dei ministri è legittimato a promuovere il presente conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base a quanto previsto, dapprima dalla legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato) e, poi, dalla legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), ma anche alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni (in tal senso, da ultimo, ordinanze n. 376 del 2010 e n. 425 del 2008);
che la legittimazione a resistere nel conflitto della Corte di cassazione, in riferimento alla sentenza di annullamento oggetto di censura, e della Corte di appello di Milano, quale giudice del rinvio nel procedimento di cui innanzi si è detto, deve essere affermata avuto riguardo alla costante giurisprudenza di questa Corte che riconosce ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono (da ultimo, ordinanza n. 25 del 2013);
che, quanto al profilo oggettivo del conflitto, è lamentata dal ricorrente la lesione di attribuzioni costituzionalmente garantite, essendo devoluta alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il controllo del Parlamento, la tutela del segreto di Stato quale strumento destinato alla salvaguardia della sicurezza dello Stato medesimo (in tal senso, e con riferimento alla stessa vicenda qui all’esame, ordinanza n. 230 del 2008).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Corte di cassazione e della Corte di appello di Milano con l’atto indicato in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri;
b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati alla Corte di cassazione ed alla Corte di appello di Milano, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, presso la cancelleria della Corte entro il termine di trenta giorni previsto dall’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2013.