ORDINANZA N. 230
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell'ordinanza 19 marzo 2008 del Tribunale ordinario di Milano - Sezione IV penale - giudice monocratico, che revoca l'ordinanza di sospensione del procedimento penale nei confronti di funzionari del SISMi, di agenti della CIA e di altri (emessa il 18 giugno 2007 e confermata il 31 ottobre 2007) e che ne dispone la riapertura, nonché dell'ordinanza 14 maggio 2008 della stessa autorità giudiziaria, che dispone l'ammissione dei capitoli di prova indicati dal pubblico ministero, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, depositato in cancelleria il 30 maggio 2008 ed iscritto al n. 14 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 25 giugno 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con ricorso depositato in cancelleria il 30 maggio 2008, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato «nei confronti del Tribunale di Milano - sez. IV penale - giudice monocratico», finalizzato all'annullamento delle ordinanze istruttorie dallo stesso emesse il 19 marzo ed il 14 maggio 2008, nell'ambito del process o avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità penale di numerosi «funzionari del SISMi (tra cui il suo direttore), di agenti di un Servizio straniero (CIA) e di altri», relativamente al sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, meglio noto come Abu Omar;
che, in limine, il ricorrente rammenta come in relazione alla descritta vicenda giudiziaria la Corte costituzionale risulti già investita di altri tre ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (rispettivamente iscritti ai numeri 2, 3, 6 del relativo registro generale per l'anno 2007);
che, pertanto, reputa necessario riassumere tale vicenda nei suoi passaggi essenziali;
che, quindi, evidenzia come la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Milano, procedendo nelle indagini relative all'ipotesi di reato ex art. 605 del codice penale perpetrato in danno del citato Abu Omar, fosse divenuta ben presto consapevole che la propria attività investigativa «sarebbe necessariamente entrata in contatto con aree coperte dal segreto di Stato»;
che, difatti, con nota emessa l'11 maggio 2005 dal Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore (nota nella quale, peraltro, si sottolineava «energicamente l'assoluta estraneità del Governo e del SISMi al sequestro in danno di Abu Omar») sarebbero state confermate, si legge nel presente ricorso, le disposizioni tradizionalmente impartite in materia di segreto di Stato, «in particolare per quanto attiene alle "relazioni dei Servizi (.) con organi informativi di altri Stati"»;
che l'apposizione del segreto di Stato, già implicita - si sottolinea ancora nell'odierno ricorso - nel richiamo alla direttiva del 30 luglio 1985 n. 2001.5/707, contenuto in quella prima nota, sarebbe stata, inoltre, «ancora reiterata dal Presidente del Consiglio dei ministri»;
che, con nuova nota del 26 luglio 2006, in risposta alla richiesta del Procuratore della Repubblica di Milano di trasmettere «ogni comunicazione o documento» concernenti il sequestro di persona oggetto di indagine, si ribadiva «che su detta comunicazione risulta effettivamente apposto il segreto di Stato»;
che nondimeno, evidenzia sempre l'odierno ricorrente, avendo la Procura milanese provveduto sia al sequestro integrale di documentazione del SISMi (solo in seguito sostituita con altra, recante taluni omissis, giacché «parzialmente oscurata per la tutela del segreto»), che allo svolgimento di «intercettazioni telefoniche effettuate "a tappeto" su utenze "di servizio" del SISMi» stesso, nonché, infine, all'acquisizione, «dagli indagati e dai testimoni», di «notizie coperte dal segreto di Stato», si sarebbe reso necessario, da parte del medesimo Presidente del Consiglio dei ministri, promuovere due distinti ricorsi per conflitto di attribuzione;
che gli stessi risultano finalizzati all'annullamento, rispettivamente, della richiesta e del corrispondente decreto di rinvio a giudizio, emessi dalla Procura milanese e dal Giudice dell'udienza preliminare sulla scorta di quegli elementi acquisiti, asseritamente, in violazione della disciplina sul segreto di Stato;
che a tale iniziativa - ricorda sempre l'odierno ricorrente - corrispondeva, simmetricamente, quella assunta dalla Procura milanese, la quale, oltre a censurare il fatto che l'apposizione del segreto investirebbe «fatti eversivi dell'ordine costituzionale», ha anche denunciato l'esistenza «dei vizi di eccesso di potere, violazione di legge e violazione altresì del principio di obbligatorietà dell'azione penale», che inficerebbero le già menzionate note emesse dal Presidente del Consiglio dei ministri;
che, tuttavia, nelle more dei giudizi per conflitto di attribuzione, il giudice monocratico del Tribunale milanese, innanzi al quale risulta pendente il dibattimento relativo alla vicenda sopra riassunta, dopo aver inizialmente disposto - con ordinanza del 18 giugno 2007 - la sospensione del processo ai sensi dell'art. 479 del codice di procedura penale (avendo ravvisato un nesso di pregiudizialità tra la decisione dei ricorsi per conflitto di attribuzione e la definizione del giudizio sottoposto al suo esame), adottava i due provvedimenti oggetto del presente conflitto;
che il predetto giudice monocratico, infatti, preso atto dell'esistenza di trattative finalizzate ad una soluzione concordata dei conflitti, disponeva, in accoglimento di altrettante richieste del pubblico ministero, dapprima la revoca dell'ordinanza di sospensione del giudizio e la sostituzione, nel fascicolo del dibattimento, «dei documenti omissati con quelli non omissati» (ordinanza del 19 marzo 2008) e, successivamente, l'ammissione della prova testimoniale così come richiesta dal rappresentante dell'accusa, autorizzando l'escussione di tutti i testi da esso citati anche sulle circostanze indicate ai numeri da 45 a 65 della lista depositata a norma dell'art. 46 8 cod. proc. pen. (ordinanza del 14 maggio 2008);
che, ritenute entrambe tali ordinanze lesive di proprie prerogative costituzionali, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso il presente conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che il ricorrente, previamente richiamati a sostegno dell'ammissibilità del conflitto i «precedenti specifici» costituiti dalle ordinanze numeri 124 e 125 del 2007 della Corte costituzionale, deduce, quale primo motivo di doglianza, che, anche nel caso in esame, la lesione delle proprie attribuzioni costituirebbe una «automatica conseguenza della pregressa violazione operata a monte» dai provvedimenti adottati dal pubblico ministero e dal Giudice dell'udienza preliminare a norma, rispettivamente, degli artt. 416 e 429 cod. proc. pen.;
che ripropone, pertanto, sul punto, le considerazioni svolte nei già promossi conflitti di attribuzione;
che, così, il Presidente del Consiglio dei ministri torna, in primo luogo, a sottolineare come l'istituto del segreto di Stato, malgrado si ponga come eccezione al principio tipico delle «democrazie avanzate» secondo cui «il governo della cosa pubblica ha per regola la trasparenza», risulta, nondimeno, giustificato - secondo la giurisprudenza costituzionale - dalla necessità di garantire «la salus rei publicae» (è richiamata la sentenza n. 86 del 1977);
che, inoltre, in quanto espressione «di una discrezionalità puramente politica», l'atto di apposizione del segreto non può che spettare al Presidente del Consiglio dei ministri «quale responsabile della "suprema" attività politica (art. 95 Cost.)»; ovviamente, l'esercizio di tale potere - si sottolinea nel ricorso - non è sottratto a qualsiasi limite, giacché, da un lato, esso soggiace «all'istituzionale controllo del Parlamento (art. 94 Cost.), dinnanzi al quale il Governo (ed il suo Capo) è responsabile politicamente», e, dall'altro, non può avvenire «in contraddizione con il valore da proteggere», vale a dire «l'integrità dello Stato democratico», ciò che comporta la «non segretabilità dei fatti eversivi dell'ordine costituzionale» ;
che a questi principi si è attenuta la stessa disciplina legislativa come risultante, dapprima, dalla legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato), nonché, di seguito, dalla legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), disciplina che confermerebbe come «il livello "supremo" dei valori tutelabili con il presidio del segreto di Stato» implichi «la resistenza di tale presidio anche rispetto ad altri valori, funzioni ed interessi, pur tutelati dalla Costituzione, quali il valore della giustizia e la funzione giurisdizionale»;
che, invero, si sottolinea sempre nel presente ricorso, entrambi i menzionati testi legislativi stabiliscono, non casualmente, che, nell'ipotesi di rituale apposizione del segreto di Stato, sebbene le notizie coperte da segreto «siano essenziali per la definizione del processo penale, detto processo non può che concludersi che con sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere»;
che l'apposizione del segreto fungerebbe, dunque, da «sbarramento al potere giurisdizionale stesso» (sono citate le sentenze della Corte costituzionale n. 110 del 1998 e n. 86 del 1977);
che tanto premesso in termini generali, si evidenzia che, nel caso in esame, il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe «a due riprese affermato e confermato l'esistenza di un segreto di Stato», precisando, la prima volta, «che il segreto copriva i rapporti del SISMi con i Servizi stranieri», nonché, la seconda, che esso investiva «tutti gli atti, documenti e informative relativi alle pratiche delle c.d. renditions»;
che promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri i due ricorsi già illustrati (ric. n. 2 e 3 del 2007), la scelta del giudice monocratico del Tribunale ordinario di Milano di «procedere oltre nel dibattimento senza attendere l'esito del giudizio sul conflitto di attribuzione» già incardinato lederebbe, «di per sé», le attribuzioni costituzionali del ricorrente «in quanto il principio di leale collaborazione sembrerebbe imporre al giudice del dibattimento il dovere di attendere l'esito del conflitto prima di utilizzare fonti di prova potenzialmente inutilizzabili perché coperte da segreto di Stato»;
che, d'altra parte, in senso contrario, non potrebbe addursi - come, invece, avrebbe fatto il giudice monocratico, nella prima delle sue ordinanze - quella che il ricorrente definisce come una «motivazione di matrice esclusivamente processualpenalistica» (giacché basata unicamente sugli artt. 47 e 479 cod. proc. pen.) enunciata a sostegno della revoca del provvedimento di sospensione in precedenza adottato;
che il contegno del giudicante milanese nemmeno potrebbe essere giustificato attraverso il «richiamo al valore costituzionalmente garantito della ragionevole durata del processo», posto che la tutela del segreto di Stato - come emergerebbe dalla giurisprudenza costituzionale (sono citate, nuovamente, le sentenze n. 110 del 1998 e n. 86 del 1977) - costituisce un «interesse essenziale», dotato di «assoluta preminenza su ogni altro», in quanto concernente «l'esistenza stessa dello Stato»;
che irrilevante, infine, sarebbe anche «la ventilata possibilità di una soluzione concordata», essendo difficile ritenere - secondo il ricorrente - che essa valga «da sola a depotenziare il processo costituzionale pregiudicante»;
che per quanto concerne poi, in particolare, l'ordinanza del 14 maggio 2008, la scelta del giudicante di ammettere l'assunzione della prova testimoniale richiesta dal pubblico ministero, secondo le modalità dal medesimo indicate, si presenterebbe lesiva delle attribuzioni costituzionali del ricorrente, in quanto nella specie non sussisterebbe, a dire del Presidente del Consiglio dei ministri, idonea garanzia per la salvaguardia del segreto di Stato, segreto da ritenersi sicuramente apposto sulle circostanze oggetto della deposizione;
che la scelta compiuta dal giudicante di ammettere l'escussione dei testi su tutte le circostanze indicate dal rappresentante dell'accusa, salvo riservarsi - ma solo nel corso dell'esame - l'esclusione di quelle domande che dovessero risultare «tese a ricostruire la tela dei più ampi rapporti CIA/SISMi» (consentendo, invece, quelle relative «a specifici rapporti tra soggetti appartenenti a detti organismi se ed in quanto volte ad individuare "ambiti di responsabilità personali collegati alla dinamica dei fatti di causa", in quanto per i gravi reati per i quali si procede "non era e non è prevista alcuna immunità"»), equivarrebbe a sancire - si legge ancora nel ricorso - un principio non in linea con gli enunciati della giurisprudenza costituzionale in tema di segreto di Stato;
che, difatti, l'ordinanza del 14 maggio 2008 finirebbe per affermare - secondo il Presidente del Consiglio dei ministri - che «il segreto di Stato non può mai coprire una fonte di prova nell'accertamento di un reato», principio che «è esattamente l'opposto» di quello enunciato dalla legge (art. 202 cod. proc. pen.) e ribadito dalla giurisprudenza costituzionale (sono citate le sentenze nn. 410 e 110 del 1998 e la sentenza n. 86 del 1977);
che in forza di tali rilievi il ricorrente ha concluso affinché la Corte costituzionale - previo accoglimento dei ricorsi precedentemente proposti, e rigetto di quello del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano - dichiari che non spetta al Tribunale di Milano - Sezione IV penale - giudice monocratico, «né ammettere, né acquisire, né utilizzare atti, documenti e fonti di prova coperti da segreto di Stato e su tale base procedere ad istruttoria dibattimentale, così offrendo tali documenti e fonti di prova ad ulteriore pubblicità»;
che il ricorrente, inoltre, ha chiesto che la Corte, «in ogni caso», dichiari che non spetta al predetto Tribunale «procedere oltre nel dibattimento», nella perdurante pendenza dei giudizi per conflitto di attribuzione nei quali «si discuta della utilizzabilità di atti istruttori e/o documenti perché compiuti od acquisiti in violazione del segreto di Stato»;
che, infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che venga «comunque» dichiarato che «non spetta al Tribunale di Milano procedere oltre nell'istruttoria dibattimentale enunciando come regola di cautela per rispetto del segreto di Stato sui rapporti tra SISMi e CIA il principio che tale segreto avrebbe ad oggetto "la tela dei più ampi rapporti CIA/SISMi" ma mai "specifici rapporti" idonei ad individuare "ambiti di responsabilità personale" con ciò capovolgendo la regola del rapporto esistente tra segreto di Stato e funzione giurisdizionale ed affermando la prevalenza del potere giudiziario all'accertamento del reato rispetto al potere presidenziale di segretare fonti di prova».
Considerato che in questa fase la Corte è chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a delibare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esista «la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», sussistendone i requisiti soggettivo ed oggettivo, fermo restando il potere della Corte, a seguito del giudizio, di pronunciarsi su ogni aspetto del conflitto, ivi compresa la sua ammissibilità;
che il Presidente del Consiglio dei ministri è legittimato a promuovere il presente conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base a quanto previsto, dapprima dalla legge 24 ottobre 1977, n. 801 e poi dalla legge 3 agosto 2007, n. 124, ma anche alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni (in tal senso, da ultimo, le ordinanze n. 125 e n. 124 del 2007);
che la legittimazione a resistere nel conflitto del giudice monocratico presso il Tribunale ordinario di Milano, titolare del dibattimento relativo alla vicenda giudiziaria sopra meglio riassunta, deve essere affermata, avuto riguardo alla giurisprudenza di questa Corte che riconosce ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell'esercizio delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono;
che, quanto al profilo oggettivo del conflitto, è lamentata dal ricorrente la lesione di attribuzioni costituzionalmente garantite, essendo devoluta alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il controllo del Parlamento, la tutela del segreto di Stato quale strumento destinato alla salvaguardia della sicurezza dello Stato medesimo (così, da ultimo, e con riferimento alla stessa vicenda anche oggi in esame, le citate ordinanze n. 125 e n. 124 del 2007);
che, pertanto, il conflitto promosso col presente ricorso deve ritenersi ammissibile, ai sensi dell'art. 37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservato ogni definitivo giudizio,
dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Tribunale ordinario di Milano - Sezione IV penale - giudice monocratico, con l'atto indicato in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione, al ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri, della presente ordinanza;
b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Tribunale ordinario di Milano - Sezione IV penale - giudice monocratico, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell'avvenuta notifica, presso la cancelleria della Corte entro il termine di venti giorni fissato dall'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2008.