ORDINANZA N. 212
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso dalla Commissione tributaria regionale della Liguria, nel procedimento vertente tra Trattoria Bar Nuova Centrale s.n.c. (recte: Trattoria Bar Nuovo Centrale s.n.c.) e Agenzia delle entrate - Ufficio di Chiavari, con ordinanza del 4 giugno 2009, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2011 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che – nel corso di un giudizio, avente ad oggetto la richiesta di annullamento dell’atto di irrogazione di sanzioni amministrative emesso dall’Agenzia delle entrate, Ufficio di Chiavari, a seguito dell’accertamento di impiego di lavoratori irregolari, non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatorie – la Commissione tributaria regionale della Liguria, con ordinanza del 4 giugno 2009 (pervenuta alla Corte il 3 gennaio 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 24 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413);
che la rimettente – rilevato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 130 del 2008, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del predetto d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche là dove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria – deduce che la norma censurata, mentre impone al giudice tributario di rilevare, anche d’ufficio, il proprio difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo, nulla statuisce in ordine alla conservazione degli effetti della domanda nel nuovo processo che la parte è onerata di promuovere davanti al giudice munito di giurisdizione, con la conseguenza che, qualora nel corso del giudizio si consumino i termini di legge per agire davanti alla autorità giudiziaria avente giurisdizione, si determina una lesione del diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale;
che, pertanto, secondo la Commissione tributaria, la questione di legittimità costituzionale – rilevante nel giudizio a quo essendo decorsi i termini di legge affinché la parte possa rivolgersi al Giudice ordinario – appare non manifestamente infondata in relazione ai princìpi già espressi sulla medesima questione da questa Corte (con la sentenza n. 77 del 2007), seppure rispetto ad una diversa norma di legge (e precisamente all’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, recante «Istituzione dei tribunali amministrativi regionali»);
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità della sollevata questione: a) per mancanza di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione, in mancanza di specificazione dell’iter del giudizio principale, nonché del contenuto della sentenza di primo grado e dei motivi di appello; b) per mancanza di rilevanza, dal momento che i paventati effetti negativi per la ricorrente si verificherebbero (e rileverebbero) solo in sede di (eventuale) riassunzione del giudizio davanti al giudice ordinario; c) per omessa considerazione del diritto vivente, che – indipendentemente dalla mancanza previsione espressa – riconosce la possibilità di proseguire la causa davanti al giudice dotato di giurisdizione con salvezza dei diritti acquisiti; d) per non aver tentato una interpretazione costituzionalmente compatibile della norma censurata;
che, ad ogni modo – rilevato che l’art. 59 della sopravvenuta legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), ha dettato una espressa disciplina della translatio iudicii – l’Avvocatura dello Stato chiede che gli atti vengano restituiti alla rimettente per una nuova valutazione della rilevanza della questione.
Considerato che la Commissione tributaria regionale della Liguria censura l’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), che impone al giudice tributario di rilevare, anche d’ufficio, il proprio difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo, senza nulla statuire in ordine alla conservazione degli effetti della domanda, nel nuovo processo che la parte è onerata di promuovere davanti al giudice munito di giurisdizione;
che la rimettente denuncia la violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione, poiché, qualora nel corso del giudizio si consumino i termini di legge per agire davanti alla giurisdizione competente, si determinerebbe una lesione del diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale;
che la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;
che questa Corte, con la sentenza n. 77 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione, si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice di questa munito;
che, a fondamento di tale pronuncia, questa Corte ha posto (tra gli altri) i seguenti rilievi di carattere generale: a) il principio della incomunicabilità dei giudici appartenenti ad ordini diversi, comprensibile in altri momenti storici, «è certamente incompatibile, nel momento attuale, con fondamentali valori costituzionali»; b) la Costituzione, fin dalle origini, ha assegnato con l’art. 24 (ribadendolo con l’art. 111) all’intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi; c) questa essendo l’essenziale ragion d’essere dei giudici, ordinari e speciali, la loro pluralità non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale: ciò che avviene quando la disciplina dei loro rapporti è tale per cui l’erronea individuazione del giudice munito di giurisdizione (o l’errore del giudice in tema di giurisdizione) può risolversi nel pregiudizio irreparabile della possibilità stessa di un esame nel merito della domanda di tutela giurisdizionale; d) una disciplina siffatta, in quanto potenzialmente lesiva del diritto alla tutela giurisdizionale e, comunque, tale da incidere sulla sua effettività, è incompatibile con il principio fondamentale dell’ordinamento, il quale riconosce bensì l’esistenza di una pluralità di giudici, ma la riconosce affinché venga assicurata, sulla base di distinte competenze, una più adeguata risposta alla domanda di giustizia, non già affinché sia compromessa la possibilità stessa che a tale domanda venga data risposta; e) al principio per cui le disposizioni processuali non sono fini a se stesse, ma funzionali alla miglior qualità della decisione di merito, si ispira pressoché costantemente il vigente codice di procedura civile, ed in particolare vi si ispira la disciplina che all’individuazione del giudice competente non sacrifica il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa; f) al medesimo principio gli artt. 24 e 111 Cost. impongono che si ispiri la disciplina dei rapporti tra giudici appartenenti ad ordini diversi, allorché una causa, instaurata presso un giudice, debba essere decisa, a seguito di declinatoria della giurisdizione, da altro giudice;
che i princìpi ora riassunti sono stati ribaditi da questa Corte con le ordinanze n. 110 del 2010, n. 257 del 2009 e n. 363 del 2008;
che anche la giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, Sezioni unite civili, sentenze n. 24421, n. 23596, n. 15981, n. 14828 e n. 2716 del 2010; n. 2871 del 2009; n. 28044, n. 17765, n. 14831, n. 10454, n. 9040 e n. 5431 del 2008; n. 13048 e n. 4109 del 2007) ha ammesso la translatio iudicii tra giudice ordinario e giudici speciali e viceversa;
che, pertanto, in base a quanto affermato da questa Corte e al diritto vivente formatosi nella giurisprudenza di legittimità, devono ormai ritenersi presenti nel vigente sistema del diritto processuale civile, sia il principio di prosecuzione del processo davanti al giudice munito di giurisdizione, in caso di pronuncia declinatoria della giurisdizione da parte del giudice inizialmente adito, sia il principio di conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, della domanda proposta al giudice privo di giurisdizione, restando affidata al giudice della controversia l’individuazione degli strumenti processuali per renderli operanti (con riguardo alla disciplina che regola l’istituto della riassunzione della causa);
che, d’altro canto, i suddetti princìpi sono stati recepiti anche dall’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) che, per quanto non applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis (ex art. 58), rivela la volontà del legislatore di dare ad essi continuità;
che la Commissione tributaria regionale rimettente, pur non ignorando la citata sentenza n. 77 del 2007 di questa Corte – ed anche a voler ritenere rilevante la problematica della operatività della translatio iudicii nel giudizio a quo, considerato che, proprio in tale pronuncia, viene sottolineato che «la conservazione degli effetti prodotti dalla domanda originaria discende non già da una dichiarazione del giudice che declina la propria giurisdizione, ma direttamente dall’ordinamento» (ordinanza n. 31 del 2011) – non s’è fatta carico d’individuare, alla luce delle statuizioni della giurisprudenza costituzionale e di legittimità sopra richiamate, un’interpretazione della norma censurata idonea a superare i dubbi di costituzionalità, in ossequio al principio secondo cui una disposizione di legge può essere dichiarata costituzionalmente illegittima solo quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione;
che, per giurisprudenza costante di questa Corte, la mancata utilizzazione dei poteri interpretativi, che la legge riconosce al giudice rimettente, e la mancata esplorazione di diverse soluzioni ermeneutiche, al fine di far fronte al dubbio di costituzionalità ipotizzato, integrano omissioni tali da rendere manifestamente inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale (ex plurimis, ordinanze n. 101 e n. 15 del 2011; n. 322 e n. 192 del 2010);
che ogni altro profilo d’inammissibilità resta assorbito.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata – in riferimento agli articoli 24 e 113 della Costituzione – dalla Commissione tributaria regionale della Liguria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA , Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2011.