Ordinanza n. 257 del 2009
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ORDINANZA N. 257

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco        AMIRANTE               Presidente

- Ugo                DE SIERVO                 Giudice

- Paolo              MADDALENA                 “

- Alfio               FINOCCHIARO               “

- Alfonso           QUARANTA                    “

- Franco            GALLO                            “

- Gaetano          SILVESTRI                      “

- Sabino            CASSESE                         “

- Maria Rita       SAULLE                          “

- Giuseppe         TESAURO                        “

- Paolo Maria     NAPOLITANO                 “

- Giuseppe         FRIGO                             “

- Alessandro      CRISCUOLO                   “

- Paolo              GROSSI                           “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art 37 del codice di procedura civile promosso dalla Corte d’appello di Genova, nel procedimento vertente tra l’Istituto Tartarini RX s.r.l. e l’I.N.P.S. ed altra, con ordinanza del 20 giugno 2008, iscritta al n. 1 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di costituzione dell’Istituto Tartarini RX s.r.l. e dell’I.N.P.S., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 giugno 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che la Corte di appello di Genova, sezione controversie di lavoro, con ordinanza del 20 giugno 2008, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 del codice di procedura civile;

che, come il rimettente riferisce, il giudizio a quo ha per oggetto l’opposizione proposta dall’Istituto Tartarini RX s.r.l. avverso una cartella di pagamento, emessa dalla San Paolo Riscossioni di Genova s.p.a. su istanza dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (d’ora in avanti, INPS), per il recupero di contribuzione dovuta al Servizio sanitario nazionale, della quale è stato accertato l’omesso pagamento con verbale ispettivo del 10 giugno 1996;

che l’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), come sostituito dall’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), demanda le controversie aventi ad oggetto il contributo per il Servizio sanitario nazionale alla giurisdizione delle commissioni tributarie;

che l’art. 37 cod. proc. civ., mentre impone al giudice ordinario di rilevare, anche d’ufficio, il proprio difetto di giurisdizione nei confronti dei giudici speciali, «nulla statuisce in ordine alla conservazione degli effetti della domanda, nel nuovo processo che la parte è onerata di promuovere davanti al giudice munito di giurisdizione»;

che qualora, nel corso del giudizio, si consumino i termini di legge per agire davanti al detto giudice, si verifica una lesione del diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale;

che la questione di legittimità costituzionale è – ad avviso del rimettente – non manifestamente infondata, in relazione ai principi espressi da questa Corte con la sentenza n. 77 del 2007, peraltro con riguardo a diversa norma di legge (art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 – Istituzione dei tribunali amministrativi regionali);

che, inoltre, la questione è detta rilevante, in quanto è interamente decorso il termine di legge affinché la parte possa rivolgersi al giudice tributario competente in materia (art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992);

che nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituito l’Istituto Tartarini RX s.r.l., chiedendo che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 37 cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda, proposta al giudice ordinario privo di giurisdizione, si conservino – a seguito di pronuncia declinatoria della giurisdizione – nel processo proseguito davanti al giudice di essa munito, nel termine indicato dal primo giudice;

che, ad avviso della parte privata, in base al tenore letterale dell’art. 37 cod. proc. civ., il giudice rimettente avrebbe dovuto limitarsi a declinare la propria giurisdizione, senza fissare alcun termine per la riassunzione, non essendo prevista la translatio iudicii, con conseguente venir meno degli effetti sostanziali e processuali della precedente domanda dal medesimo Istituto formulata, sicché questo non avrebbe alcuna possibilità di far valere i propri diritti, essendo scaduti i termini per proporre opposizione alla cartella;

che anche l’art. 367 cod. proc. civ. prevede la riassunzione del processo soltanto per l’ipotesi in cui la Corte di cassazione dichiari la giurisdizione del giudice ordinario e non quando essa sia riconosciuta appartenente al giudice speciale, mentre, nell’ipotesi di difetto di competenza, l’art. 50 cod. proc. civ. prevede la prosecuzione del processo, se riassunto davanti al giudice competente, nel termine fissato dal giudice a quo e, in mancanza, in quello di sei mesi;

che tale differenza di trattamento è stata sottoposta a critica, sia dalla dottrina, sia dalla giurisprudenza (Cass., SS.UU. civili, sentenza n. 4109 del 2007), mentre questa Corte, con sentenza n. 77 del 2007, pur mostrando di non condividere la citata decisione del giudice di legittimità, ha tuttavia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della legge n. 1034 del 1971, nella parte in cui non prevede che gli effetti sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti a giudice che di essa è munito;

che la suddetta sentenza n. 77 del 2007 – aggiunge la parte costituita – è pervenuta a tale conclusione sia in forza degli artt. 24 e 111 Cost., i quali hanno assegnato all’intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, sia rilevando che l’esistenza di una pluralità di giudici (ordinari e speciali) non può risolversi in una vanificazione della tutela giurisdizionale;

che, pertanto, nel caso di specie, sarebbe necessario un intervento chiarificatore di questa Corte, unico organo deputato a suggerire, con il proprio intervento interpretativo, la corretta lettura delle norme alla luce del contenuto della Costituzione, o a dichiararne l’illegittimità costituzionale a fronte del loro tenore letterale;

che, nel presente giudizio, si è costituito anche l’INPS, chiedendo che questa Corte dichiari inammissibile o manifestamente infondata la questione sollevata dalla Corte genovese, sia per insufficiente descrizione della fattispecie, sia per assenza di qualsiasi riferimento alle ragioni poste a base della non manifesta infondatezza, oggetto soltanto di un richiamo per relationem alla sentenza di questa Corte n. 77 del 2007, con la conseguenza che l’ordinanza del giudice a quo non sarebbe autosufficiente;

che ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, rilevando che analoga questione è stata già esaminata da questa Corte con la menzionata sentenza n. 77 del 2007 e che anche la giurisprudenza di legittimità (Cass., SS.UU. civili, sentenza n. 4109 del 2007) si è pronunciata in punto di translatio iudicii e di conservazione degli effetti della domanda;

che, in prossimità della camera di consiglio, l’Istituto Tartarini RX s.r.l. ha depositato una memoria illustrativa, con la quale ha ripreso gli argomenti già svolti nell’atto di costituzione ed ha contestato le eccezioni sollevate dall’INPS e dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato che la Corte di appello di Genova, sezione controversie di lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 37 del codice di procedura civile, osservando che detta norma, «mentre impone al giudice ordinario di rilevare, anche d’ufficio, il proprio difetto di giurisdizione nei confronti dei giudici speciali, in qualunque stato e grado del processo, nulla statuisce in ordine alla conservazione degli effetti della domanda, nel nuovo processo che la parte è onerata di promuovere davanti al giudice munito di giurisdizione», con la conseguenza che, «qualora, nel corso del giudizio, si consumino i termini di legge per agire dinanzi alla giurisdizione competente, si determina una lesione del diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale»;

che la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;

che questa Corte, con sentenza n. 77 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione, si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice di questa munito;

che, a fondamento di tale pronuncia, questa Corte ha posto (tra gli altri) i seguenti rilievi di carattere generale: a) il principio della incomunicabilità dei giudici appartenenti ad ordini diversi, comprensibile in altri momenti storici, «è certamente incompatibile, nel momento attuale, con fondamentali valori costituzionali»; b) la Costituzione, fin dalle origini, ha assegnato con l’art. 24 (ribadendolo con l’art. 111) all’intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi; c) questa essendo l’essenziale ragion d’essere dei giudici, ordinari e speciali, la loro pluralità non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale: ciò che avviene quando la disciplina dei loro rapporti è tale per cui l’erronea individuazione del giudice munito di giurisdizione (o l’errore del giudice in tema di giurisdizione) può risolversi nel pregiudizio irreparabile della possibilità stessa di un esame nel merito della domanda di tutela giurisdizionale; d) una disciplina siffatta, in quanto potenzialmente lesiva del diritto alla tutela giurisdizionale e, comunque, tale da incidere sulla sua effettività, è incompatibile con il principio fondamentale dell’ordinamento, il quale riconosce bensì l’esistenza di una pluralità di giudici, ma la riconosce affinché venga assicurata, sulla base di distinte competenze, una più adeguata risposta alla domanda di giustizia, non già affinché sia compromessa la possibilità stessa che a tale domanda venga data risposta; e) al principio per cui le disposizioni processuali non sono fini a se stesse, ma funzionali alla miglior qualità della decisione di merito, si ispira pressoché costantemente il vigente codice di procedura civile, ed in particolare vi si ispira la disciplina che all’individuazione del giudice competente non sacrifica il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa; f) al medesimo principio gli artt. 24 e 111 Cost. impongono che si ispiri la disciplina dei rapporti tra giudici appartenenti ad ordini diversi, allorché una causa, instaurata presso un giudice, debba essere decisa, a seguito di declinatoria della giurisdizione, da altro giudice;

che i principi ora riassunti sono stati ribaditi da questa Corte con ordinanza n. 363 del 2008;

che anche la giurisprudenza di legittimità (Cass., SS.UU. civili., sentenze n. 2871 del 2009, n. 13048 e n. 4109 del 2007) ha ammesso la translatio iudicii tra giudice ordinario e giudici speciali;

che, pertanto, in base ai principi affermati da questa Corte e al diritto vivente formatosi nella giurisprudenza di legittimità, devono ormai ritenersi presenti nel vigente sistema del diritto processuale civile, sia il principio di prosecuzione del processo davanti al giudice munito di giurisdizione, in caso di pronuncia declinatoria della giurisdizione da parte del giudice inizialmente adito, sia il principio di conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, della domanda proposta a giudice privo di giurisdizione, restando affidata al giudice della controversia l’individuazione degli strumenti processuali per renderli operanti (con riguardo alla disciplina che regola l’istituto della riassunzione della causa);

che i suddetti principi sono stati recepiti anche dall’art. 59 della recentissima legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) che, per quanto non applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis (art. 58), rivela la volontà del legislatore di dare ad essi continuità;

che il giudice a quo, pur non ignorando la citata sentenza di questa Corte n. 77 del 2007, non si è fatto carico d’individuare, alla luce delle statuizioni della giurisprudenza costituzionale e di legittimità sopra richiamate, un’interpretazione della norma censurata idonea a superare i dubbi di costituzionalità, in ossequio al principio secondo cui una disposizione di legge può essere dichiarata costituzionalmente illegittima solo quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione;

che, per giurisprudenza costante di questa Corte, la mancata utilizzazione dei poteri interpretativi, che la legge riconosce al giudice rimettente, e la mancata esplorazione di diverse soluzioni ermeneutiche, al fine di far fronte al dubbio di costituzionalità ipotizzato, integrano omissioni tali da rendere manifestamente inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale (ex plurimis, ordinanze n. 363, n. 341, n. 268, n. 205 del 2008 nonché n. 85 del 2007);

che ogni altro profilo d’inammissibilità resta assorbito.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 24 e 113 della Costituzione, dalla Corte di appello di Genova, sezione controversie del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 luglio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2009.