Ordinanza n. 85 del 2007

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ORDINANZA N. 85

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                      Presidente

- Giovanni Maria       FLICK                    Giudice

- Francesco               AMIRANTE                "

- Ugo                               DE SIERVO                     "

- Romano                         VACCARELLA               "

- Paolo                      MADDALENA            "

- Alfio                      FINOCCHIARO            "

- Alfonso                  QUARANTA               "

- Franco                    GALLO                       "

- Luigi                      MAZZELLA                "

- Gaetano                  SILVESTRI                 "

- Sabino                    CASSESE                    "

- Maria Rita             SAULLE                      "

- Giuseppe                TESAURO                  "

- Paolo Maria            NAPOLITANO            "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2, secondo e quarto comma, del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295 (Ricupero dei crediti verso impiegati e pensionati e prescrizione biennale di stipendi, pensioni ed altri emolumenti), convertito in legge 2 giugno 1939, n. 739, promossi con ordinanze del 23 marzo, del 17 e del 4 maggio 2005 dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana rispettivamente iscritte ai nn. 412, 504 e 537 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 37, 41 e 45 prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visti l’atto di costituzione di Marino Nicola relativo al giudizio iscritto al n. 537 del registro ordinanze 2005 nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2007, relativamente al giudizio iscritto al n. 537 del registro ordinanze 2005, e nella camera di consiglio del 7 febbraio 2007, relativamente agli altri giudizi, il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato Paolo Guerra per Marino Nicola e l’avvocato dello Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con tre distinte ordinanze, del 23 marzo 2005 (r.o. n. 412 del 2005), del 17 maggio 2005 (r.o. n. 504 del 2005) e del 4 maggio 2005 (r.o. n. 537 del 2005), il Giudice unico delle pensioni della Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, ha sollevato – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, secondo e quarto comma, del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295 (Ricupero dei crediti verso impiegati e pensionati e prescrizione biennale di stipendi, pensioni ed altri emolumenti), testo vigente, convertito in legge 2 giugno 1939, n. 739,   «nella parte in cui prevede, secondo l’interpretazione costituente “diritto vivente” nell’ambito della giurisdizione contabile siciliana, che il termine prescrizionale per i ratei dell’indennità di contingenza o altre analoghe da corrispondersi sui trattamenti pensionistici decorra, se impedito dalla legge, dalla data di pubblicazione delle sentenze di illegittimità della Corte costituzionale»;

che, secondo quanto riferito nell’ordinanza di rimessione del 4 maggio 2005, il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso di un titolare di pensione privilegiata tabellare, concessa dal Ministero della difesa ed erogata dal Ministero delle finanze, il quale lamenta la mancata attribuzione sul predetto trattamento (in godimento dal 1° febbraio 1973) dell’indennità integrativa speciale nella misura intera e della tredicesima mensilità per il periodo di contemporaneo svolgimento di attività lavorativa presso l’ANIC di Gela, dal 3 marzo 1975 sino al 31 gennaio 2003, data del collocamento a riposo;

che, a fondamento del diritto invocato, il ricorrente, nel predetto giudizio, richiama le sentenze della Corte costituzionale n. 232 del 1992 e n. 566 del 1989, in tema di cumulo dell’indennità integrativa speciale e della tredicesima mensilità con trattamenti retributivi corrisposti per lo svolgimento di attività lavorativa, dichiarative dell’illegittimità costituzionale, rispettivamente, dell’art. 97, primo comma, e dell’art. 99, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, in quanto non viene legislativamente previsto un ragionevole limite oltre il quale i suddetti trattamenti non competono;

che, secondo il giudice a quo, a seguito di tali decisioni, non è controverso il diritto del ricorrente all’attribuzione dell’indennità integrativa speciale nella misura intera e della tredicesima mensilità, sussistendo, invece, la questione concernente la decorrenza del termine della prescrizione del diritto agli arretrati dell’indennità integrativa speciale, eccepita dall’Amministrazione convenuta;

che, ad avviso del rimettente, qualora fosse applicato alla fattispecie l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel caso di declaratoria di incostituzionalità di una norma ostativa al riconoscimento di un credito, il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla data di pubblicazione della relativa sentenza di questa Corte, il ricorrente dovrebbe percepire gli arretrati sin dal 3 marzo 1975, data in cui ha iniziato a cumulare il trattamento pensionistico privilegiato con il compenso per l’attività lavorativa;

che, peraltro, sempre ad avviso del rimettente, qualora fosse applicato il diverso orientamento giurisprudenziale secondo cui il termine di prescrizione inizia comunque a decorrere, per ogni credito o per ogni suo rateo, dalla data di maturazione, il diritto ai ratei arretrati potrebbe essere fatto valere solo a partire dal 20 marzo 1988 (cioè dai cinque anni antecedenti alla «domanda in via amministrativa» inviata dal ricorrente all’amministrazione erogante il trattamento pensionistico);

che, per il giudice a quo, quest’ultimo orientamento è quello accolto dalla Corte di cassazione, secondo la quale il vizio di legittimità costituzionale, non ancora dichiarato da questa Corte, non configura un impedimento legale all’esercizio del diritto, ma costituisce una mera difficoltà di fatto, che non incide sulla decorrenza della prescrizione;

che, secondo il rimettente, questo principio, da lui condiviso, è stato affermato anche dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti di altre Regioni, nonché dalle sezioni riunite della Corte dei conti;

che, invece, la sezione giurisdizionale di appello della Corte dei conti per la Regione Siciliana, con giurisprudenza ormai assolutamente costante, ha fatto proprio il primo indirizzo, ritenendo che la prescrizione decorra dalla data di pubblicazione della sentenza che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma;

che, per il rimettente, in considerazione della struttura del processo pensionistico innanzi alla Corte dei conti, che non prevede ulteriori gravami alle sezioni riunite, deve considerarsi acquisito come “diritto vivente” l’orientamento della Sezione giurisdizionale di appello per la Regione Siciliana, sia pure con riferimento ai soli giudizi pensionistici relativi ai ricorrenti residenti in Sicilia;

che, sempre ad avviso del rimettente, tale orientamento determinerebbe una situazione di palese disparità di trattamento sotto un duplice profilo: l’uno intrinseco alla norma censurata e l’altro “di sistema”;

che, quanto al primo profilo, la norma denunciata, come viene interpretata secondo il “diritto vivente siciliano”, sarebbe in contrasto con i principi fatti propri sul punto dalla giurisprudenza di tutte le giurisdizioni, concernenti anche i crediti da lavoro dipendente, nonché di quelli pensionistici di competenza, in sede di appello, delle altre sezioni della Corte dei conti, con conseguente disparità di trattamento tra i titolari di crediti pensionistici, a seconda che siano o meno residenti nella Regione siciliana;

che, quanto al secondo profilo, c.d. “di sistema”, l’applicazione di due diversi e contrastanti “diritti viventi” violerebbe l’art. 3 Cost., poiché la  individuazione della competenza risulterebbe predeterminabile dall’interessato, essendo stabilita con riguardo alla residenza del ricorrente al momento della proposizione del ricorso;

che si è costituito il ricorrente del giudizio principale, concludendo per la manifesta inammissibilità della questione, in quanto il rimettente non ha sperimentato la possibilità di un’interpretazione della norma conforme a Costituzione;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile;

che, secondo la difesa erariale, il giudice rimettente non ha assolto l’onere di verificare la concreta possibilità di attribuire alla norma censurata un significato tale da superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale, verifica non impedita dalla asserita esistenza di un “diritto vivente” di segno contrario (ordinanza n. 395 del 2004);

che, d’altro canto, la Corte costituzionale ha chiarito che, di fronte ad un’alternativa interpretativa, spetta al giudice a quo risolverla dando alla norma, prima di sollevare una questione di legittimità costituzionale, il significato conforme a Costituzione;

che, nel giudizio di cui all’ordinanza di rimessione n. 412 del 2005, il rimettente è chiamato a decidere sul ricorso di sei pensionate statali, cumulanti un ulteriore trattamento di quiescenza indiretto o di reversibilità a carico della Regione Siciliana, le quali lamentano la mancata percezione, sul trattamento di quiescenza regionale, dell’indennità di contingenza di cui alla Tabella O, lettera B), annessa alla legge Regione Siciliana 29 ottobre 1985, n. 41 (Nuove norme per il personale dell’Amministrazione regionale);

che, nel giudizio di cui all’ordinanza di rimessione n. 504 del 2005, il giudice a quo è investito dell’esame del ricorso degli eredi di un pensionato regionale –  che cumulava, in vita, un trattamento di quiescenza diretto a carico della Regione Siciliana con altro trattamento di quiescenza privilegiato tabellare statale – i quali lamentano la mancata percezione, sul trattamento di quiescenza regionale, dell’indennità di contingenza di cui alla citata Tabella O, lettera B), annessa alla legge regionale n. 41 del 1985;

che, in entrambi i giudizi, i ricorrenti principali, a fondamento del diritto invocato, hanno richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 516 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la Tabella O, lettera B), terzo comma, della legge regionale n. 41 del 1985, nella parte in cui non determina la misura del trattamento complessivo, oltre il quale diventi operante, per i titolari di pensione ed assegni vitalizi, il divieto di cumulo dell’indennità di contingenza ed indennità similari;

che, secondo i giudici a quibus, pur essendo i ricorsi fondati, l’amministrazione regionale convenuta ha eccepito la prescrizione quinquennale invocando l’art. 2 del r.d.l. n. 295 del 1939, con la conseguenza che è controverso se il diritto alla corresponsione degli arretrati decorra dalla data di pubblicazione della sentenza di incostituzionalità n. 516 del 2000, per tutti i ratei maturati in data antecedente, ovvero se esso decorra, per ogni rateo, dalla data di maturazione, anche se precedente alla citata sentenza;

che entrambi i rimettenti censurano l’art. 2, secondo e quarto comma, del r.d.l. n. 295 del 1939, per i profili e con argomentazioni identici a quelli svolti nell’ordinanza n. 537 del 2005, sottolineando, altresì, la rilevanza delle sollevate questioni ai fini del decidere, in quanto l’opzione interpretativa circa il significato della norma denunciata determina una diversa quantificazione degli arretrati spettanti ai ricorrenti;

che, in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, riproponendo le argomentazioni svolte nell’atto di intervento relativo all’ordinanza n. 537 del 2005.

Considerato che, con tre distinte ordinanze di identico contenuto, il Giudice unico delle pensioni della Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, dubita – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 2, secondo e quarto comma, del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295 (Ricupero dei crediti verso impiegati e pensionati e prescrizione biennale di stipendi, pensioni ed altri emolumenti), testo vigente, convertito in legge 2 giugno 1939, n. 739, «nella parte in cui prevede, secondo l’interpretazione costituente “diritto vivente” nell’ambito della giurisdizione contabile siciliana, che il termine prescrizionale per i ratei dell’indennità di contingenza o altre analoghe da corrispondersi sui trattamenti pensionistici decorra, se impedito dalla legge, dalla data di pubblicazione delle sentenze di illegittimità della Corte costituzionale»;

che, ad avviso del rimettente, la disposizione denunciata violerebbe l’art. 3 della Costituzione, in quanto determinerebbe una situazione di manifesta disparità di trattamento sotto un duplice profilo: l’uno intrinseco alla norma interpretata e l’altro definito “di sistema”;

che, per il giudice a quo, quanto al primo profilo, la norma censurata, nell’interpretazione datane dal “diritto vivente siciliano”, sarebbe in contrasto con i principi fatti propri sul punto dalla giurisprudenza di tutte le giurisdizioni, concernenti anche i crediti da lavoro dipendente, nonché quelli pensionistici, ma di competenza, in sede di appello, delle  sezioni della Corte dei conti non aventi sede nella Regione Siciliana;

che, inoltre, quanto al secondo profilo, c.d. “di sistema”, la medesima disposizione recherebbe vulnus all’art. 3 Cost., anche in quanto la competenza risulterebbe predeterminabile dall’interessato, in quanto individuata avuto riguardo alla  residenza del ricorrente al momento della proposizione del ricorso;

che, in ragione dell’identità della norma denunciata e delle censure svolte, i giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia; 

che il rimettente sottolinea come l’interpretazione della sezione giurisdizionale d’appello della Corte dei conti per la Regione Siciliana,  secondo cui, qualora il credito azionato sia condizionato dalla declaratoria di incostituzionalità di una norma ostativa al suo riconoscimento, il termine prescrizionale inizia a decorrere dalla data di pubblicazione della pronuncia, e non da quella di maturazione del credito, si ponga in insuperabile contrasto con la diversa interpretazione, condivisa anche dalla Corte di cassazione, secondo cui il termine di prescrizione non inizia a decorrere dalla data di pubblicazione delle sentenze di illegittimità costituzionale ma dalla data di maturazione del credito, in quanto il vizio di legittimità non ancora dichiarato dal giudice delle leggi costituisce una mera difficoltà di fatto;

 che – sempre a giudizio del rimettente – quanto sopra evidenziato comporterebbe l’illegittimità costituzionale della norma impugnata in quanto determinerebbe una disparità di trattamento tra i ricorrenti sottoposti alla giurisdizione della sezione regionale d’appello della Corte dei conti per la Regione Siciliana, per i quali la suddetta interpretazione, isolata ma radicata in quanto costantemente seguita nei giudizi pensionistici di competenza di tale giudice d’appello, costituirebbe “diritto vivente”, ed i ricorrenti residenti nel restante territorio nazionale, dove costituirebbe “diritto vivente” la diversa interpretazione;

che le modalità di prospettazione della questione, con le quali viene evidenziata la autorevole presenza di un indirizzo giurisprudenziale che interpreta la denunciata disposizione nel senso auspicato dal rimettente, rendono palese che l’invocata declaratoria di incostituzionalità non risulta  diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma costituisce piuttosto un improprio tentativo di ottenere un avallo a favore di una determinata interpretazione della normativa censurata (ex multis, ordinanza n. 299 del 2006);

che questa Corte ha, altresì, più volte affermato che «in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» (sentenze n. 301 del 2003 e n. 356 del 1996);

che, pertanto, la questione è manifestamente inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, secondo e quarto comma, del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295 (Ricupero dei crediti verso impiegati e pensionati e prescrizione biennale di stipendi, pensioni ed altri emolumenti), convertito in legge 2 giugno 1939, n. 739, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice unico delle pensioni della Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, palazzo della Consulta, il 5 marzo 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2007.