Ordinanza n. 299 del 2006

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ORDINANZA N. 299

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Franco                                            BILE                                        Presidente

- Giovanni Maria                              FLICK                                        Giudice

- Ugo                                                DE SIERVO                                     "

- Romano                                         VACCARELLA                               "

- Paolo                                              MADDALENA                                "

- Alfio                                              FINOCCHIARO                              "

- Alfonso                                          QUARANTA                                   "

- Franco                                            GALLO                                            "

- Luigi                                              MAZZELLA                                    "

- Gaetano                                         SILVESTRI                                      "

- Sabino                                            CASSESE                                          "

- Maria Rita                                      SAULLE                                           "

- Giuseppe                                        TESAURO                                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 18, primo comma, della legge della Regione Siciliana 3 maggio 1979, n. 73 (Soppressione del fondo di quiescenza, previdenza ed assistenza per il personale della Regione siciliana e trasferimento delle competenze alla Presidenza della Regione) e dell’art. 2, secondo comma, della legge della Regione Siciliana 28 maggio 1979, n. 114 (Riconoscimento di servizi al personale dell’Amministrazione regionale), promossi con ordinanze del 10 (n. 1 ordinanza), 22 (n. 10 ordinanze), 23 (n. 5 ordinanze), 24 (n. 3 ordinanze), 26 (n. 1 ordinanza) e 29 (n. 9 ordinanze) novembre 2004; del 1° (n. 4 ordinanze), 9 (n. 3 ordinanze), 13 (n. 2 ordinanze), 14 (n. 2 ordinanze) e 20 (n. 3 ordinanze) dicembre 2004; del 5 (n. 5 ordinanze), 10 (n. 1 ordinanza) e 11 (n. 8 ordinanze) gennaio 2005, emesse dal Giudice unico delle pensioni della Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, iscritte ai numeri da 364 a 410, da 413 a 421 e 435 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 34, 35, 36, 37 e 38, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visti gli atti di costituzione della Regione Siciliana;

udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2006 e nella camera di consiglio del 21 giugno 2006 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

udito l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione Siciliana.

Ritenuto che, con 57 distinte ordinanze motivate in modo identico in punto di diritto (iscritte nel registro ordinanze dell’anno 2005 ai numeri da 364 a 410, da 413 a 421 e al numero 435), il Giudice unico delle pensioni della Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 81 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, primo comma, della legge della Regione Siciliana 3 maggio 1979, n. 73 (Soppressione del fondo di quiescenza, previdenza ed assistenza per il personale della Regione siciliana e trasferimento delle competenze alla Presidenza della Regione) e dell’art. 2, secondo comma, della legge della Regione Siciliana 28 maggio 1979, n. 114 (Riconoscimento di servizi al personale dell’Amministrazione regionale), «nella parte in cui nel determinare l’applicazione ai dipendenti regionali ed ai loro aventi diritto delle disposizioni sulla ricongiunzione di periodi assicurativi ai fini pensionistici», previste dalla legge 7 febbraio 1979, n. 29 (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori ai fini previdenziali), «impongono l’applicazione dell’aliquota, nella misura del 2 per cento, per la determinazione della riserva matematica prevista dall’art. 2, terzo comma, della legge 7 febbraio 1979, n. 29 e della quota di pensione relativa ai periodi da ricongiungere», così come previsto dall’art. 4, primo comma, della legge 7 luglio 1980, n. 299 (Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 7 maggio 1980, n. 153, concernente norme per l’attività gestionale e finanziaria degli enti locali per l’anno 1980);

che tutti i giudizi a quibus riguardano controversie promosse da dipendenti della Regione Siciliana, i quali, avendo richiesto ed ottenuto in via amministrativa l’ammissione a ricongiunzione, presso la Regione medesima, dei periodi assicurativi di contribuzione precedenti all’assunzione, lamentano però «l’errata individuazione della quota pensione», contestando l’applicazione, da parte della amministrazione regionale, delle «aliquote annue del 3,33% fino a 15 anni di servizio e del 2,5% per ogni anno successivo, fino ad un massimo di 35 anni e non quella unica del 2% per anno come stabilito per gli impiegati dello Stato»;

che, nel sollevare la questione, il giudice a quo osserva, anzitutto, che nei confronti dei dipendenti regionali devono essere estese, in base all’art. 18 della legge della Regione Siciliana n. 73 del 1979, «tutte le disposizioni relative al conseguimento del diritto alla pensione concernenti i dipendenti civili dello Stato in quanto più favorevoli», e, in forza dell’art. 2 della legge della Regione Siciliana n. 114 del 1979, «le disposizioni sulla ricongiunzione di periodi assicurativi ai fini pensionistici previste dalla legge 7 febbraio 1979, n. 29», così da riconoscersi «il diritto alla quota pensione conseguibile con la ricongiunzione richiesta mediante determinazione della riserva matematica con l’applicazione delle tabelle di cui al decreto del Ministro del lavoro del 27 gennaio 1964»;

che il rimettente sostiene altresì che «alla suddetta estensione» non possa sottrarsi «neppure la quantificazione dell’aliquota, nella misura del 2 per cento, per la determinazione della riserva matematica prevista dall’art. 2, terzo comma, della legge 7 febbraio 1979, n. 29 e della quota di pensione relativa ai periodi da ricongiungere», come stabilito dall’art. 4, primo comma, della legge 7 luglio 1980, n. 299 (Conversione in legge con modificazioni del d.l. 7 maggio 1980, n. 153, concernente norme per l’attività gestionale e finanziaria degli enti locali per l’anno 1980), applicabile ai dipendenti regionali in virtù del rinvio operato dalle sopra indicate leggi regionali; pertanto, non potrebbero trovare applicazione le aliquote «più onerose invece invocate dall’amministrazione regionale», giacché il legislatore regionale ha rinviato alle disposizioni di legge statale non già in quanto compatibili con il sistema pensionistico della Regione Siciliana, «ma in modo pieno ed assoluto, con effetto, quindi, derogatorio di ogni principio o norma regionale con esse incompatibili»;

che, proprio in siffatta prospettiva, il giudice a quo afferma di non poter condividere l’orientamento giurisprudenziale formatosi in sede di appello (Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, sentenza n. 63/A/03 del 22 aprile 2003), che avrebbe «“creato” in via pretoria parametri diversi» da quello del 2% di cui all’art. 4, primo comma, della legge n. 299 del 1980;

che il rimettente, nell’illustrare l’interpretazione del giudice del gravame, evidenzia che essa:

– ha ritenuto, anzitutto, che gli artt. 2 della legge n. 29 del 1979 e 4 della legge n. 299 del 1980 sarebbero norme «modulate tendenzialmente verso i pubblici dipendenti che fruiscono di un trattamento pensionistico assimilabile al combinato disposto» degli artt. 42 e 44 del d. P. R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), «in base al quale, partendo da una pensione del 35% della base pensionabile con 15 anni di anzianità, si perviene alla percentuale dell’80% con 40 anni di servizio (aggiungendo, cioè, l’1,80% per ogni anno successivo ai 15 anni)», secondo un meccanismo sostanzialmente coerente con la percentuale del 2% indicata nel primo comma dell’art. 4 della legge n. 299 del 1980;

– ha addotto, poi, che tale impostazione non sarebbe coerente con il sistema pensionistico del personale dipendente dalla Regione Siciliana, per il quale in base all’art. 4 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2 (Norme per il trattamento di quiescenza, previdenza ed assistenza del personale della Regione) – «la pensione è commisurata al 50% dell’ultima retribuzione annua qualora il dipendente sia collocato a riposo dopo 15 anni di servizio effettivo, con un aumento del 2,50% per ogni anno di servizio effettivamente prestato o riconosciuto utile e riscattato..., fino ad un massimo di 35 anni di servizio utile»;

– ha valorizzato, quindi, la ratio del criterio di calcolo della riserva matematica e della quota di pensione, la quale andrebbe individuata «nel creare un sistema di equilibrio contributivo-finanziario nell’ordinamento che dovrà poi erogare la pensione complessiva e definitiva», con la conseguenza che «tale equilibrio, pensato ed ipotizzato con un sistema pensionistico, potrebbe non funzionare con un sistema diverso come quello della Regione Siciliana in quanto, ove si dovesse ritenere indiscriminatamente applicabile l’aliquota del due per cento […], studiata per un sistema diverso e meno favorevole, tale criterio potrebbe non consentire di raggiungere l’equilibrio normativamente perseguito, necessitando di alcuni adattamenti nel momento in cui viene applicato nella Regione siciliana»;

– ha pertanto concluso che «l’equilibrio finanziario-contributivo nella Regione Siciliana non si può perseguire mutuando per intero un meccanismo calibrato per un sistema diverso (e meno favorevole)», bensì applicando le «percentuali di progressione della pensione regionale in relazione all’anzianità di servizio» (e cioè l’aliquota del 3,33% sino a 15 anni di servizio e l’aliquota del 2,50% per ogni anno successivo al quindicesimo);

che, ad avviso del giudice a quo, tale soluzione giurisprudenziale sarebbe però «in palese e testuale quanto inconciliabile contrasto» con il disposto di cui agli artt. 18, primo comma, della legge regionale n. 73 del 1979 e 2, secondo comma, della legge regionale n. 114 del 1979, in quanto dette norme deporrebbero «per l’automatica ed integrale applicazione ai dipendenti della Regione siciliana di tutte le disposizioni statali dettate nella materia»;

che il rimettente, nonostante ribadisca di non «potere prestare acquiescenza» alla predetta giurisprudenza, sostiene, tuttavia, che «proprio l’iter interpretativo seguito dai giudici d’appello […] per le norme in questione appare conducente per evidenziare fondati dubbi di legittimità costituzionale delle medesime, nella lettura che questo giudice, ritiene, invece, che ne debba essere fatta» e cioè quella per cui dovrebbe trovare applicazione la percentuale indicata nell’art. 4, primo comma, della legge 7 luglio 1980, n. 299 (2 per cento) e non le percentuali, «frutto di autonoma elaborazione, del 3,33 e 2,50 per cento decise dall’amministrazione e condivise dal giudice d'appello»;

che in definitiva, secondo il giudice a quo, le disposizioni denunciate, che «prevedono l’automatico ed integrale recepimento della normativa statale», sarebbero censurabili «sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della copertura della spesa e della tutela dell'equilibrio finanziario del sistema pensionistico regionale (art. 81 Cost.)»; e ciò in quanto «l’equilibrio finanziario-contributivo nella Regione Siciliana non si può perseguire mutuando per intero un meccanismo calibrato per un sistema diverso (e meno favorevole)», bensì applicando «le percentuali di progressione della pensione regionale in relazione all’anzianità di servizio o, comunque, attraverso l’elaborazione di meccanismi alternativi, la cui determinazione rientra nell’ambito della discrezionalità del legislatore, però idonei a garantire l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico della Regione Siciliana»;

che nei giudizi iscritti nel registro ordinanze dell’anno 2005 ai numeri 364, 376, 389, 408 e 435 si è costituita la Regione Siciliana, concludendo per l’inammissibilità ovvero l’infondatezza della questione;

che, quanto all’inammissibilità, essa andrebbe ravvisata, secondo la Regione, oltre che nella carente specificazione dei termini della prospettata questione di costituzionalità ed in un difetto di motivazione sulla rilevanza, nel fatto che il giudice a quo «chiede un avallo a una sua interpretazione delle disposizioni impugnate al fine di preservare la stessa da un futuro giudizio di appello, posto che la Corte dei Conti – sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana ha fornito un’interpretazione idonea ad attribuire alle norme regionali censurate il significato che essa ritiene conforme a Costituzione»;

che, nel merito, la difesa regionale argomenta sulla non fondatezza della questione mutuando le proprie ragioni dall’orientamento giurisprudenziale, richiamato anche dal giudice a quo, espresso dalla sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana della Corte dei conti, da intendersi quale interpretazione conforme a Costituzione.

Considerato che, con 57 distinte ordinanze dalla identica motivazione in punto di diritto, il Giudice unico delle pensioni della Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, primo comma, della legge della Regione Siciliana 3 maggio 1979, n. 73 (Soppressione del fondo di quiescenza, previdenza ed assistenza per il personale della Regione siciliana e trasferimento delle competenze alla Presidenza della Regione) e dell’art. 2, secondo comma, della legge della Regione Siciliana 28 maggio 1979, n. 114 (Riconoscimento di servizi al personale dell’Amministrazione regionale), «nella parte in cui nel determinare l’applicazione ai dipendenti regionali ed ai loro aventi diritto delle disposizioni sulla ricongiunzione di periodi assicurativi ai fini pensionistici», previste dalla legge 7 febbraio 1979, n. 29 (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori ai fini previdenziali), «impongono l’applicazione dell’aliquota, nella misura del 2 per cento, per la determinazione della riserva matematica prevista dall’art. 2, terzo comma, della legge 7 febbraio 1979, n. 29 e della quota di pensione relativa ai periodi da ricongiungere», così come previsto dall’art. 4, primo comma, della legge 7 luglio 1980, n. 299 (Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 7 maggio 1980, n. 153, concernente norme per l’attività gestionale e finanziaria degli enti locali per l’anno 1980);

che, ad avviso del giudice a quo, le disposizione denunciate violerebbero gli artt. 3 e 81 della Costituzione, «sotto il profilo della ragionevolezza e della copertura della spesa e della tutela dell’equilibrio finanziario del sistema pensionistico regionale»;

che, in ragione dell’identità delle questioni sollevate dal medesimo rimettente, i giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

che la premessa da cui muove il giudice a quo è che le norme oggetto di censura non possano, in ragione del loro tenore letterale, essere applicate, per determinare la quota di pensione a carico del dipendente regionale ai fini della ricongiunzione dei periodi assicurativi presso l’amministrazione della Regione Siciliana, in base all’orientamento seguito dalla sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana della Corte dei conti, così da rendere operanti, in luogo dell’aliquota del 2% di cui all’art. 4, primo comma, della legge n. 299 del 1980, le aliquote annue del 3,33% sino al 15° anno di servizio e del 2,5% per ogni anno successivo;

che, tuttavia, secondo il rimettente, le ragioni addotte dal giudice del gravame a fondamento della predetta soluzione interpretativa sarebbero, comunque, tali da concretare i motivi del dubbio di costituzionalità sulla normativa denunciata, posto che l’aliquota del 2% fissata dalla legge statale non sarebbe coerente con il sistema pensionistico del personale dipendente dalla Regione Siciliana e che, dunque, «l’equilibrio finanziario-contributivo nella Regione Siciliana non si può perseguire mutuando per intero un meccanismo calibrato per un sistema diverso (e meno favorevole)», come quello statale, bensì applicando le predette «percentuali di progressione della pensione regionale in relazione all’anzianità di servizio», ricavabili dall’art. 4 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2 (Norme per il trattamento di quiescenza, previdenza ed assistenza del personale della Regione), o, comunque, attraverso «l’elaborazione di meccanismi alternativi, la cui determinazione rientra nell’ambito della discrezionalità del legislatore, però idonei a garantire l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico della Regione Siciliana»;

che proprio siffatta indicazione di plurimi rimedi per ricondurre a legittimità costituzionale la normativa censurata – rimedi che, peraltro, si assumono nella piena discrezionalità del legislatore regionale – rendono anzitutto evidente che il giudice a quo non chiede a questa Corte una pronuncia additiva a contenuto costituzionalmente obbligato, con conseguente manifesta inammissibilità del proposto incidente di costituzionalità (si vedano, da ultimo, ordinanze n. 210 e n. 185 del 2006);

che, sotto altro profilo, la complessiva prospettazione della questione, a fronte di un indirizzo giurisprudenziale che interpreta le denunciate disposizioni nel medesimo senso auspicato dal rimettente con la invocata declaratoria di incostituzionalità, non risulta in ogni caso diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma appare piuttosto un improprio tentativo di ottenere un avallo a favore di una determinata interpretazione della normativa censurata (tra le altre, ordinanze n. 155 del 2003 e n. 367 del 2001);

che, del resto, l’attività interpretativa rimessa al giudice di merito deve svolgersi, come in più occasioni affermato da questa Corte, tenendo presente che «in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» (così sentenze n. 65 del 1999 e n. 356 del 1996);

che, dunque, la questione, così come proposta, deve essere comunque dichiarata manifestamente inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, primo comma, della legge della Regione Siciliana 3 maggio 1979, n. 73 (Soppressione del fondo di quiescenza, previdenza ed assistenza per il personale della Regione siciliana e trasferimento delle competenze alla Presidenza della Regione) e dell’art. 2, secondo comma, della legge della Regione Siciliana 28 maggio 1979, n. 114 (Riconoscimento di servizi al personale dell’Amministrazione regionale), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 81 della Costituzione, dal Giudice unico delle pensioni della Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2006.

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2006.