ORDINANZA N. 367
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 189 e 199 del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 12 ottobre 2000 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di T. C., iscritta al n. 151 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che con ordinanza del 12 ottobre 2000 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Padova ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 189 e 199 cod. pen. mil. pace, nella parte in cui non escludono la punibilità per il reato di insubordinazione con ingiuria o con minaccia "in ordine a fatti compiuti da un militare per cause estranee e non collegabili al servizio da lui prestato ma inerenti il servizio di pubblico ufficiale svolto dalla persona offesa dal reato";
che il rimettente premette che nel caso di specie il fatto oggetto del giudizio riguarda una persona che, in abiti civili e in compagnia di persone non militari, aveva apostrofato con parole oltraggiose e minacciose un maresciallo dei carabinieri in divisa, precisando che solo in un momento successivo era stato accertato che l’autore del fatto era un militare di leva in licenza; da detto accertamento ha preso avvio il procedimento penale, che – sottolinea il giudice a quo – "può dirsi almeno in parte dovuto al casuale accertamento dello status di militare del soggetto agente, in nessun modo collegato allo svolgimento dei fatti";
che nell’ordinanza il giudice di merito afferma che la disposizione dell’art. 199 cod. pen. mil. pace, nella parte in cui esclude l’applicabilità della fattispecie incriminatrice dell’art. 189 dello stesso codice qualora il fatto che configura il reato di insubordinazione con minaccia o ingiuria sia commesso, tra l’altro, "per cause estranee al servizio" e alla disciplina militare, sarebbe da riferire – alla stregua della "lettera della norma" nonchè dell’interpretazione "fatta propria dalla dottrina maggioritaria e da una costante giurisprudenza" - al solo servizio svolto dalla persona ingiuriata o minacciata, indipendentemente da ogni relazione con il servizio svolto dall’autore del fatto; che, pertanto, nel caso sottoposto al suo giudizio, poichè il maresciallo dell’arma dei carabinieri "é stato oggetto di frasi ingiuriose e minacciose proprio a causa del servizio da lui svolto e della divisa da lui indossata, non può escludersi l’applicabilità dell’art. 189 cod. pen. mil. pace", donde la rilevanza della questione sollevata;
che il giudice a quo, dopo aver svolto una disamina dei diversi orientamenti interpretativi registratisi a) circa la configurabilità del concorso formale fra il reato di insubordinazione con minaccia e ingiuria e il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, configurabilità di recente esclusa in ragione del principio di specialità, con applicazione dunque del solo reato (speciale) militare, e b) circa il divario nel trattamento sanzionatorio rispettivamente previsto per i due reati anzidetti, ritenuto non discriminatorio dalla giurisprudenza comune generalmente in base alla considerazione della maggiore gravità dell’illecito penale militare, fa richiamo a talune pronunce rese dalla giurisprudenza costituzionale, nelle quali la Corte, esaminando la materia in esame e in particolare i rapporti tra i reati militari e i reati comuni, ha parlato talora di gravità equiparabile fra le fattispecie (sentenza n. 188 del 1996), ma – sottolinea il rimettente - "pur sempre evidenziando che il rispetto del rapporto gerarchico militare é elemento aggiuntivo rispetto al disvalore espresso dai reati avverso pubblici ufficiali" (sentenza n. 278 del 1990);
che, ciò premesso, il rimettente muove dall’intervenuta abrogazione del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale a opera dell’art. 18 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), entrata in vigore anteriormente al fatto per cui egli procede, per affermare che, se da un lato ha perso di rilievo la questione del concorso formale fra oltraggio a pubblico ufficiale e insubordinazione con minaccia o ingiuria, dall’altro lato tale intervento legislativo ha radicalmente "ribaltato" l’assetto normativo valutato come non irragionevole dalla ricordata giurisprudenza;
che appunto l’abolitio criminis relativamente alla fattispecie comune - per molti aspetti assimilabile a quella militare - determina il rimettente a sollevare, in riferimento ai principi di uguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 189 e 199 cod. pen. mil. pace, nella parte in cui rendono possibile che siano sanzionate penalmente condotte di minaccia e di offesa all’onore di un superiore, causate dal servizio di pubblico ufficiale da quest’ultimo svolto, ma non collegate in alcun modo al servizio svolto dal (militare) soggetto attivo del reato;
che il giudice rimettente afferma in particolare che, una volta venuta meno la norma incriminatrice di cui all’art. 341 cod. pen., "condotte identiche risultano penalmente irrilevanti o sanzionate con la reclusione militare sino a tre anni, a seconda della qualità di civile o di militare del soggetto agente, indipendentemente da ogni effettiva offesa del bene giuridico della disciplina militare", e che ciò comporterebbe la lesione del principio di uguaglianza;
che la suddetta diversità di disciplina, collegata alla sola appartenenza alle forze armate dell’autore del fatto, sarebbe ancor meno giustificabile – ancora secondo il giudice a quo – se rapportata alla recente tendenza del legislatore, manifestatasi anche nei più recenti provvedimenti di depenalizzazione, a non ritenere la mera qualifica di pubblico ufficiale quale ragione idonea a giustificare, di per sè, una più rigorosa tutela penale, nel quadro di un più generale ripensamento quanto alla struttura e alle funzioni delle forze armate;
che, alla stregua di questo mutato assetto normativo, conclude il rimettente, non appare ragionevole collegare alla sola qualità di militare un differenziato e deteriore trattamento penale "a tutela di una nozione formale e generalistica di disciplina militare, invasiva di ogni momento della vita del militare, in servizio o fuori servizio, anche in assenza di ogni effettiva lesione o collegamento con i rapporti gerarchici inerenti il servizio svolto" dall’autore del fatto.
Considerato che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Padova solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, degli artt. 189 e 199 cod. pen. mil. pace, nella parte in cui non escludono la punibilità per insubordinazione con ingiuria o con minaccia relativamente a fatti compiuti da un militare per cause estranee e non collegabili al servizio da lui prestato ma inerenti al servizio di pubblico ufficiale svolto dalla persona offesa dal reato;
che l’art. 199 citato esclude l’applicabilità dell’art. 189, che prevede come reato l’insubordinazione con minaccia o ingiuria, quando il fatto "é commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare" e che il giudice rimettente afferma che tale clausola di esclusione del reato di insubordinazione opera con riguardo soltanto alla condizione in cui in concreto si trova la persona ingiuriata o minacciata, essendo irrilevante l’eventuale inesistenza di una correlazione col servizio militare della situazione in cui si é trovato ad agire l’autore del fatto;
che la questione di costituzionalità si basa su quest’interpretazione ed é indirizzata a ottenere da questa Corte una pronuncia che, in forza del principio di uguaglianza e di ragionevolezza alla luce dell’avvenuta abrogazione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 18 della legge 25 giugno 1999, n. 205), impedisca per l’appunto tale interpretazione, escludendo la punibilità del fatto quando l’ingiuria o la minaccia siano bensì indirizzate a un militare in servizio, ma da parte di un militare non in servizio;
che l’interpretazione che il giudice rimettente pone a base della questione di costituzionalità che egli solleva sarebbe – secondo le sue espressioni - indotta dalla lettera della disposizione censurata e sarebbe comunque fatta propria dalla dottrina maggioritaria e da una costante giurisprudenza;
che, al contrario di quanto affermato, la lettera della legge non conduce a un’interpretazione obbligata nel senso dianzi detto, un’interpretazione che il giudice rimettente intende avvalorare col riferimento agli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza: orientamenti ai quali - qualora anche essi fossero (e nella specie non sono) univoci - non può assegnarsi un valore limitativo dell’autonomia interpretativa del giudice;
che l’iniziativa del giudice rimettente si configura dunque, impropriamente, come strumento rivolto a promuovere un’interpretazione della legge alla quale non é precluso al giudice stesso di pervenire, nell’esercizio di poteri interpretativi che gli sono propri e che non richiedono alcun avallo costituzionale;
che pertanto, indipendentemente dalla valutazione circa la legittimità costituzionale della norma sottoposta all’esame di questa Corte, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 189 e 199 del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Padova, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2001.