SENTENZA N.278
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 42, 228, comma secondo, e 198 del codice penale militare di pace in relazione all'art. 52 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1989 dal Tribunale militare di Padova, nel procedimento penale a carico di Aleci Mario, iscritta al n. 78 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1990.
Udito nella camera di consiglio del 3 maggio 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza 14 novembre 1989, il Tribunale militare territoriale di Padova sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 42 del codice penale militare di pace in relazione all'art. 52 del codice penale, e con riferimento agli artt. 2, 3 e 52 della Costituzione, nonchè degli artt. 228, comma secondo, e 198 codice penale militare di pace, in riferimento ai parametri predetti e all'art. 27, comma primo, della Costituzione.
La questione veniva sollevata al termine dell'istruttoria dibattimentale nel processo a carico del soldato Aleci Mario, imputato di insubordinazione con ingiuria, e insubordinazione con minaccia, aggravata e continuata (artt. 189, commi primo e secondo, codice penale militare di pace e 81, secondo comma, codice penale) per avere, in una camerata della Caserma di Villa Opicina, sede del 21 Gruppo squadroni meccanizzato "Piemonte Cavalleria", quale soldato del detto reparto, verso le ore 23 del 9 gennaio 1989 dapprima offeso, mediante volgari espressioni e in sua presenza, il prestigio, l'onore e la dignità del superiore caporale Damiano Gualdi (così viene corretta la rubrica all'esito dell'istruttoria dibattimentale), e subito dopo, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, minacciato allo stesso ingiusto danno gridandogli: "Ti spacco la testa, ti aspetto fuori".
Per dare giusta dimensione al grave episodio, l'ordinanza correttamente premette che il Gualdi, assieme ad altro collega caporale, tale Momenté, soleva da qualche tempo dedicarsi ad attività vessatorie nei confronti dei commilitoni dell'ultimo contingente, secondo quel malvezzo, chiamato "nonnismo", ben noto alla cronaca meno lusinghiera delle caserme.
I pretesti per le vessazioni erano - come suole - tra i più futili.
Quella notte il Gualdi, facendo seguito alle prepotenze delle notti precedenti, era entrato nella camerata, dove le reclute erano già in branda e molti anche già addormentati, protestando che nessuno dei più giovani si era offerto di rifare la branda ad un anziano. Per tale motivo, aiutato dal collega Momenté, andavo rovesciando dalle brande dormienti e non (cosiddetto "sbrandamento"). Dopodichè avevano costretto alcune reclute ad indossare certe speciali calzature militari (dette "anfibi") e a recarsi nei locali dei servizi igienici a pulire il pavimento, che essi stessi avevano a bella posta previamente insudiciato. Successivamente avevano scagliato contro un soldato, tale Crescenti che dormiva in branda, un sacchetto di plastica peno d'acqua (il cosiddetto "gavettone").
Il soldato Aleci, che rea fra le vittime, aveva dapprima, durante le operazioni di sbrandamento cui aveva resistito, pronunciato ingiurie nei confronti del caporale Gualdi. E quando poi questi, non pago della bella impresa, aveva promesso che nella stessa nottata o nella notte successiva, avrebbe ripetuto le vessazioni, intimando, fra l'altro, "dormite preoccupati", "piangerete", "scoppierete", "state muti", l'Aleci avrebbe anche pronunziato le minacce sopra riportate.
Va precisato, a questo punto, che anche i due caporali erano stati in un primo tempo imputati di concorso in violenza contro inferiore (art. 195, primo comma, codice penale militare di pace), nonchè di concorso in minaccia ad inferiore (art. 146 codice penale militare di pace).
Il Momenté, però, era stato poi prosciolto, al termine dell'istruttoria dall'imputazione di concorso in violenza, mentre per l'altra imputazione la rubrica era stata mutata nel reato di abuso innominato d'ufficio (art. 323 codice penale) e gli atti erano stati trasmessi al Pretore di Trieste per difetto do giurisdizione dell'Autorità giudiziaria militare a conoscere di quest'ultimo delitto.
Quanto al caporale Gualdi, questi aveva chiesto, prima dell'apertura del dibattimento, il giudizio abbreviato, incontrando l'assenso del pubblico ministero.
Il Tribunale lo aveva, perciò, disposto ordinando la separazione del procedimento.
Anche il soldato Crescenti era comparso in giudizio, imputato del reato di insubordinazione con minaccia ai danni del caporale Gualdi, ma a conclusione del dibattimento era stato assolto, con separata sentenza, per non essere emerse a suo carico prove di reità.
Era, perciò, rimasto in causa il solo Aleci, la cui materiale responsabilità, in ordine alle imputazioni mossegli, era rimasta provata dall'istruttoria dibattimentale.
2.- Secondo l'ampia motivazione dell'ordinanza, l'Aleci in sostanza avrebbe pronunciato la minaccia nei riguardi del caporale Gualdi "a scopo difensivo, nel tentativo di indurre lo stesso superiore ad astenersi per il futuro da comportamenti del genere nei suoi confronti". Soggiunge, anzi, il Tribunale militare che "alla stregua della normativa penale comune, l'Aleci verrebbe senza dubbio assolto", perchè "la stessa ingiuria e soprattutto la minaccia dovrebbero qualificarsi legittima difesa a norma dell'art. 52 del codice penale".
Sulla base di tale premessa, l'ordinanza costruisce la tesi del contrasto dell'art. 42 del codice penale militare di pace con gli artt. 2 e 52, ultimo comma, della Costituzione perchè non consente, in via di principio, la difesa di diritti diversi da quelli concernenti la vita e l'integrità fisica.
Un contrasto che si riverberebbe altresì sull'art. 3 della Costituzione per le limitazioni che pone, nell'ambito dell'ordinamento militare, alla tutela dei diritti di cui il cittadino é portatore.
3.- Quanto poi all'insubordinazione con ingiuria, lamenta Tribunale che, a fronte di quanto compiuto dal caporale Gualdi, quell'ingiuria non trovi nel codice penale militare una scriminante pari alle situazioni previste dal codice penale comune, quando il fatto venga compiuto nello stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui (art. 559, comma primo, del codice penale), oppure come reazione al comportamento dei pubblico ufficiale, che abbia ecceduto con atti arbitrari i limiti delle sue funzioni (art. 4 del decreto luogotenenziale 14 settembre 1944 n. 288).
Secondo il Tribunale, l'esclusione dell'esimente della provocazione per il reato in esame sarebbe un unicum, che non acquisterebbe sufficiente razionalità per il fatto che nella fattispecie sia coinvolto il rapporto di gerarchia militare.
Resterebbe, infatti, pur sempre da spiegare la diversità di trattamento rispetto ad analoghe fattispecie del codice ordinario, dove pure l'offesa riguarda autorità e persone rivestite di pubbliche funzioni, così come dovrebbe essere chiarito perchè mai sia diverso il trattamento scriminante previsto nell'art. 228 codice penale militare di pace in ordine ai reati di cui agli artt. 226 e 227, rispetto a quello usato per il fatto contemplato nell'art. 189, secondo comma, codice penale militare di pace, il quale pure si sostanzia in un'ingiuria. Tanto più - si dice - che quando quest'ultimo fatto é compiuto nelle condizioni di cui all'art. 199 del codice penale militare di pace, la predetta disposizione penale resta esclusa, mentre ritorna applicabile quella dell'art. 226 e, se del caso, dell'art. 228 codice penale militare di pace.
A conclusione del ragionamento viene sollevata la questione di legittimità costituzionale in esame, dove però la denunzia investe gli artt. 228, comma secondo, e 198 codice penale militare di pace, nel senso, cioé, che si vorrebbe trasformata in scriminante la circostanza attenuante contemplata nell'art. 198 codice penale militare di pace, come quella prevista nell'art. 228, comma secondo.
Nessuno é intervenuto o si é costituito nel giudizio davanti alla Corte.
Considerato in diritto
1.-A fronte di gravi episodi vessatori (cosiddetto <nonnismo>) commessi da due caporali in ore notturne nella camerata delle reclute dell'ultimo contingente, uno dei soldati, vittima dei soprusi, ebbe a pronunciare ingiurie e minacce nei riguardi di uno dei caporali, definite nel processo come reato di insubordinazione mediante ingiurie e di insubordinazione mediante minacce, ai sensi dell'art. 189, commi primo e secondo, del codice penale militare di pace.
Lamenta il Tribunale che, quanto alle minacce (ma anche per le ingiurie), non sia applicabile l'istituto della legittima difesa prevista dall'art. 42 del codice penale militare di pace, per i reati militari, limitata, di norma, ad episodi di offesa mediante violenza. Ciò nel presupposto che le minacce pronunziate da] soldato rappresentino misura di difesa per indurre il superiore ad astenersi da analoghi futuri comportamenti, che il caporale aveva effettivamente minacciati: ed inoltre perchè si ritiene che gli episodi commessi dal caporale (e perciò anche quelli minacciati per un tempo successivo) non rivestano gli estremi della <violenza>, come contemplata nell'art. 43 del codice penale militare di pace, ma piuttosto di aggressione a diritti personali di diversa natura, quali l'integrità morale e la tranquillità psicologica.
Per quanto, poi, in particolare concerne le ingiurie, il Tribunale militare di Padova lamenta che per l'ingiuria contenuta nella fattispecie di cui all'art. 189 non sia prevista una scriminante come quella contemplata dall'art. 228 codice penale militare di pace per i delitti di cui agli artt. 226 e 227 dello stesso codice. In proposito, si riafferma che, secondo il codice penale comune, il soldato dovrebbe essere sicuramente assolto, quanto meno in applicazione dell'art. 4 del decreto legislativo n. 288 del 1944, mentre non troverebbe sufficiente giustificazione razionale il diverso trattamento stabilito per i fatti di cui all'art. 189 del codice penale militare di pace solo perchè vi è coinvolto il rapporto di gerarchia.
Di qui la denunzia degli artt. 228, comma secondo, e 198 codice penale militare di pace, in quanto, non comportando essi una scriminante anche per il reato di cui all'art. 189 codice penale militare di pace, entrerebbero in contrasto con gli artt. 2, 3, 27, comma primo, e 52, ultimo comma, della Costituzione.
2. - Le questioni sollevate non possono essere accolte.
Va esaminata innanzitutto la questione concernente l'art. 42, primo comma, codice penale militare di pace (legittima difesa militare), che il Tribunale solleva principalmente in ordine all'art. 189, comma primo, codice penale militare di pace (insubordinazione con minaccia).
É vero che l'ordinanza sembra voler accomunare, peraltro senza alcuna motivazione, anche l'episodio ingiurioso nella stessa scriminante, ma è evidente la non prospettabilità di una situazione di legittima difesa mediante ingiuria essendo semmai questione di altra scriminante, di cui si tratterà al paragrafo successivo. Il Tribunale, comunque, solleva la questione perchè vorrebbe che la scriminante ex art. 42 del codice penale militare di pace fosse estesa - come nel codice penale comune - anche alla tutela di altri beni, come l'integrità morale e la tranquillità psicologica. Ma la questione è inammissibile, in quanto irrilevante sotto un duplice profilo. Perchè nella specie c'è stata vera e propria <violenza> nei sensi di cui all'art. 43 del codice penale militare di pace, sub specie dei <maltrattamenti>, e perchè, ad ogni modo, l'ordinanza stessa dà atto a chiare lettere che nella specie non sussistevano gli estremi della legittima difesa dato che la violenza si era ormai esaurita, e l'agente intendeva soltanto reagire alla minaccia di un male futuro ed eventuale.
3.-Passando alla questione concernente il delitto di insubordinazione con ingiuria (art. 189, secondo comma, codice penale militare di pace), va ricordato che il Tribunale denuncia gli articoli 228, secondo comma, e 198 codice penale militare di pace, perchè incompatibili con i parametri di cui agli artt. 2, 3, 52 ultimo comma e 27, primo comma, della Costituzione.
In realtà, ciò che il Tribunale auspica è che la scriminante contemplata nell'art. 228, secondo comma, del codice penale militare (che riguarda l'ingiuria e la diffamazione fra militari) venga estesa anche alle ipotesi dell'art. 198, stesso codice, il quale invece prevede soltanto una diminuente per chi, nello stato d'ira determinato dal fatto ingiusto del superiore o dell'inferiore, e subito dopo di esso, abbia commesso uno dei reati previsti nei capi terzo e quarto: fra cui anche l'insubordinazione con ingiuria e con minaccia.
Ma non si vede come si possa estendere ad altri reati la scriminante di cui all'art. 228, secondo comma, codice penale militare di pace, sotto pretesto di adeguamento al codice penale comune, quando anche questo limita la scriminante ai delitti di ingiuria e diffamazione (art. 598, terzo comma, codice penale), esattamente com'è previsto dall'art. 228 del codice penale militare di pace.
É ben vero che poi l'art. 4 del decreto legislativo 14 settembre 1944, ripristinando una scriminante già prevista dal codice Zanardelli, ha statuito l'inapplicabilità delle disposizioni concernenti gli oltraggi tutti, anche con violenza o minaccia, dall'art. 336 all'art. 343 incluso, quando il pubblico ufficiale (o l'incaricato di un pubblico servizio o il pubblico impiegato) abbia dato causa al fatto, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni.
Ma è evidente che la ratio di una siffatta disposizione è diversa da quella dell'art. 598, terzo comma, codice penale ed è espressa nel contesto di altro bene giuridico: proprio per ciò, si è dovuto ricorrere ad apposita norma, essendo manifestamente inestensibile quella ora richiamata.
Mentre, infatti, l'art. 598 del codice penale si riferisce a delitti contro l'onore nell'ambito dei reati contro la persona, e perciò riguarda i rapporti fra cittadini, quella speciale disposizione del 1944 riguarda invece il prestigio del pubblico ufficiale nell'esercizio od a causa delle sue funzioni, nell'ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione: e, perciò, riguarda il rapporto fra il cittadino e l'autorità.
Conseguentemente è diversa anche la struttura delle due fattispecie, in quanto quella del decreto luogotenenziale non esige lo stato d'ira (anche se di fatto è possibile che accompagni la condotta scriminata), ma si limita a prendere atto di una situazione oggettiva di reazione (anche se non irosa) ad un atto arbitrario del pubblico ufficiale, eccedente i limiti delle sue attribuzioni. In realtà, è proprio quest'ultima situazione che rende immeritevole il pubblico ufficiale della particolare tutela che gli è accordata quale persona fisica che rappresenta la pubblica amministrazione, in quanto è egli stesso a lederne il prestigio commettendo atti arbitrari.
Ebbene, trasferendo questi rilievi nell'ambito del diritto penale militare, è altrettanto evidente l'impossibilità di estendere la scriminante di cui all'art. 228, secondo comma, codice penale militare di pace, che è prevista nel contesto di delitti contro la persona (ingiuria e diffamazione), e che riguarda, perciò, rapporti personali fra militari, a situazioni che, come il delitto di insubordinazione, coinvolgono il bene giuridico della disciplina militare.
Non può essere apprezzato, a tale proposito, il tentativo dell'ordinanza di parificare l'ingiuria contenuta nel delitto di insubordinazione (art. 189, secondo comma) a quella prevista dall'art. 226 codice penale militare di pace, proprio perchè, anche qui come nel codice penale comune, diverso è il bene giuridico tutelato. Perciò, l'ingiuria che sostanzia l'insubordinazione è in realtà un'offesa (oltre che all'onore personale del superiore) al prestigio e alla dignità che gli provengono dall'essere espressione dell'autorità militare, nell'ambito del rapporto gerarchico disciplinare che intercorre, in quell'ordinamento, tra inferiore e superiore.
Quest'ultima notazione mette poi in luce la ragione per cui non pub essere semplicemente estesa all'ordinamento penale militare la scriminante dell'art. 4 del decreto luogotenenziale del 1944. La prospettiva di quest'ultima, infatti, è il rapporto del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, al cui rappresentante è dovuta, al più, la deferenza di civiltà che il costume comporta nei confronti di chi ne esercita le funzioni. Ma nell'ordinamento militare vi si aggiunge il rispetto del rapporto gerarchico-disciplinare cui ogni militare è soggetto nei confronti del superiore in grado: e si tratta di un bene irrinunciabile (la disciplina militare) che è alla base dell'ordinamento militare, senza del quale si verifica la sovversione dell'ordinamento stesso.
Dal che discende poi la grave punizione prevista per il superiore che commetta uno dei reati di cui al Capo IV (Titolo III, libro II).
Nè l'art. 228, secondo comma, pertanto, e tanto meno l'art. 198 del codice penale militare di pace, posseggono alcuna capacità offensiva dei parametri costituzionali invocati.
4. -Merita, comunque comprensione il tentativo di identificare nel l'ordinamento una norma che consenta di scriminare chi ha reagito, senza violenza, ad una situazione ormai intollerabile, per la quale l'opinione pubblica è grandemente allarmata e che dovrebbe essere radicalmente stroncata; e, prima ancora, resa impraticabile mediante opportuni provvedimenti di prevenzione nell'organizzazione delle caserme.
Ma questo è compito del Giudice di merito: il quale-ove ritenga -potrà anche considerare se, argomentando ex art. 199 del codice penale militare di pace (cui la motivazione dell'ordinanza accenna incidentalmente) la questione non possa essere utilmente riproposta.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42 del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 52 del codice penale, con riferimento agli artt. 2, 3 e 52, ultimo comma, della Costituzione, sollevata dal Tribunale militare territoriale di Padova con ordinanza 14 novembre 1989;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 228, comma secondo e 198, codice penale militare di pace, con riferimento agli artt. 2, 3, 52, ultimo comma e 27, primo comma, della Costituzione, sollevata con la stessa ordinanza dal Tribunale militare territoriale di Padova.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/05/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Ettore GALLO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 31/05/90.