Ordinanza n. 155 del 2003

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ORDINANZA N.155

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Riccardo                     CHIEPPA                                                  Presidente

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                                        Giudice

- Valerio                        ONIDA                                                              “

- Carlo                           MEZZANOTTE                                                “

- Fernanda                     CONTRI                                                            “

- Guido                         NEPPI MODONA                                            “

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                                                     “

- Annibale                     MARINI                                                            “

- Franco                         BILE                                                                  “

- Giovanni Maria           FLICK                                                               “

- Ugo                             DE SIERVO                                                      “

- Romano                      VACCARELLA                                               “

- Paolo                           MADDALENA                                                 “

- Alfio                           FINOCCHIARO                                               “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 303, comma 1, lettera b-bis), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 22 aprile 2002 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, iscritta al n. 308 del registro ordinanze e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 29 gennaio 2003 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che, con ordinanza in data 22 aprile 2002, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 303, comma 1,  lettera b-bis), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede in relazione al giudizio abbreviato [e analogamente a quanto previsto dal numero 3-bis, della lettera b), dello stesso comma per il giudizio ordinario] che “qualora si proceda per i delitti di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), i termini di cui ai numeri 1), 2), e 3) sono aumentati fino a sei mesi. Tale termine è imputato a quello della fase precedente ove non completamente utilizzato, ovvero ai termini di cui alla lettera d), per la parte eventualmente residua. In quest’ultimo caso i termini di cui alla lettera d), sono proporzionalmente ridotti”;

che il remittente, chiamato a decidere sulla richiesta di declaratoria di inefficacia  della  misura  cautelare - applicata a tre persone per il reato di cui agli artt. 73 e 80,  comma 2,  del  d.P.R. n. 309 del 1990 - il  cui termine [nove mesi ex art. 303, comma 1, lettera b-bis), numero 3, cod. proc. pen.], non era trascorso alla data della decisione dell’instaurato rito abbreviato, riferisce che, nell’esaminare la posizione di altri coimputati, aveva già statuito che il termine semestrale, decorrente dalla  instaurazione del giudizio abbreviato e prorogabile, ex art. 303, comma 1, lettera b), numero 3-bis, cod. proc. pen., di altri sei mesi, non fosse decorso, poiché non era stato completamente utilizzato il termine della fase precedente, dovendosi applicare anche al giudizio abbreviato la disciplina dei termini di custodia cautelare stabilita per il giudizio ordinario;

che tuttavia, prosegue il giudice a quo, tale interpretazione non era stata accolta dal tribunale del riesame, il quale ha affermato che la disciplina prevista dall’art. 303, comma 1, lettera b), numero 3-bis, cod. proc. pen. si applica al solo giudizio ordinario e non può essere estesa al giudizio abbreviato;

che il remittente, pur dichiarandosi consapevole del principio affermato da questa Corte, secondo cui il giudice ha l’onere di ricercare e privilegiare le possibili ipotesi interpretative che consentano di adeguare la disposizione di legge ai parametri costituzionali, afferma di ritenere che l’interpretazione corretta, in assenza di pronunce di legittimità, sia quella del tribunale del riesame, in ragione della sua posizione istituzionale rispetto al giudice per le indagini preliminari, e conseguentemente solleva la suindicata questione di costituzionalità;

che quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva che la violazione dell’art. 3 della Costituzione sarebbe evidente, per essere state disciplinate diversamente situazioni uguali: la disposizione di cui all’art. 303, comma 1, lettera b), numero 3-bis, cod. proc. pen., nell’introdurre termini di custodia più ampi di quelli ordinariamente previsti, prescinderebbe, infatti, dalla maggiore o minore complessità di celebrazione del giudizio ordinario rispetto a quello abbreviato, e avrebbe unicamente riguardo alla tipologia dei reati di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., ritenuti dal legislatore tali da destare maggiore allarme sociale e di più difficile accertamento;

che l’esigenza della equiparazione a questi fini dei due riti, ordinario e abbreviato, ad avviso del remittente, sarebbe confermata sia dalle disposizioni di cui all’art. 304, commi 1, lettera c-bis), e 2, cod. proc. pen., le quali parificano, quanto alla possibilità di sospensione dei termini di custodia cautelare, il giudizio ordinario e quello abbreviato, sia dalla nuova disciplina del giudizio abbreviato, la quale, nell’interpretazione dello stesso remittente, imporrebbe al giudice, a fronte di richieste non condizionate e ove ritenga necessarie integrazioni probatorie, pur incompatibili con le finalità del rito, di procedere ugualmente alla sua celebrazione;

che quanto alla rilevanza della questione, il remittente ne afferma la sussistenza in relazione all’interesse degli imputati alla declaratoria di inefficacia parziale del titolo detentivo;

che è intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha concluso chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;

che la difesa erariale, rilevato che lo stesso remittente sostiene una interpretazione della disposizione censurata che eliminerebbe il prospettato dubbio di legittimità costituzionale, richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il giudice può sollevare questione di legittimità costituzionale solo nel caso in cui sia impossibile pervenire ad una interpretazione conforme a Costituzione, e non anche per prevenire l’opposta interpretazione di altro giudice anche se sovraordinato.

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli dubita, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 303, comma 1, lettera b-bis), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede in relazione al giudizio abbreviato, allorquando si proceda per i reati di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), dello stesso codice, che i termini di custodia cautelare sono prorogati di sei mesi, secondo quanto disposto dal numero 3-bis, della lettera b), dello stesso comma per il giudizio ordinario e con la disciplina ivi prevista;

che lo stesso remittente ha premesso che, in relazione alla posizione di altri coindagati nel medesimo procedimento, ha già interpretato la disposizione censurata nel senso che dovrebbe risultare dall’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale;

che  tuttavia tale interpretazione, secondo quanto riferito dal medesimo giudice a quo, è stata disattesa dal tribunale del riesame, sicché il remittente, pur dichiarandosi consapevole del principio affermato da questa Corte, secondo cui il giudice ha l’onere di adottare, tra più soluzioni interpretative possibili, quella conforme a Costituzione, ritiene che l’interpretazione corretta sia quella fatta propria dal giudice del riesame “in ragione della sua posizione istituzionale”;

che, alla luce di tale motivazione, risulta chiaro che la questione sottoposta all’esame di questa Corte non è volta a rimuovere un dubbio di legittimità costituzionale che il remittente ha mostrato di poter risolvere in via interpretativa, ma è finalizzata a proteggere l’emananda pronuncia dall’alea dell’eventuale annullamento da parte del giudice dell’appello;

che, poiché una finalità siffatta è estranea alla logica del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 303, comma 1, lettera b-bis), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2003.