ORDINANZA N. 57
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettere d), e), f) e g), e 4, commi 5, 6, 7 e 8, della delibera legislativa n. 568 (Modifiche ed integrazioni alla normativa regionale in materia di appalti), approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 13/07/2010 promosso dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con ricorso notificato il 21 luglio 2010, depositato in cancelleria il 27 luglio 2010 e iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2010.
Udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2011 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, con ricorso notificato il 21 luglio 2010 e depositato in cancelleria il 27 luglio 2010, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha proposto questioni di legittimità costituzionale: a) delle lettere d) e f) del comma 1 dell’art. 3; b) della lettera e) del comma 1 dell’art. 3; c) della lettera g) del comma 1 dell’art. 3 e dei commi 5, 6, 7, 8 dell’art. 4 della delibera legislativa n. 568 (Modifiche ed integrazioni alla normativa regionale in materia di appalti), approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 13 luglio 2010;
che le questioni sono proposte in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e all’art. 14, lettera g), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana);
che, prima di prospettare le singole questioni, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana reputa necessario chiarire le linee fondamentali del riparto delle competenze legislative tra lo Stato e la Regione siciliana nella materia degli appalti pubblici, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 221 e n. 45 del 2010;
che, in proposito, l’art. 14, lettera g), dello statuto della Regione siciliana, attribuisce alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di «lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale»;
che, non contemplando il Titolo V della Parte seconda della Costituzione la materia «lavori pubblici», la citata disposizione dello statuto regionale deve ritenersi prevedere una forma di autonomia più ampia di quella attribuita dalla Costituzione alle Regioni a statuto ordinario, con la conseguenza della applicabilità di detta previsione statutaria ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2010, n. 3;
che, tuttavia, come affermato dalla Corte costituzionale (sono citate, a conferma di tale orientamento, le sentenze n. 411 e n. 322 del 2008 e n. 431 del 2007), ciò non implica che, relativamente alla disciplina dei contratti di appalto che incidono nel territorio regionale, la potestà legislativa regionale possa esplicarsi senza vincoli e che, in particolare, non trovino applicazione le disposizioni di principio dettate dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE);
che, infatti, l’alinea del citato art. 14 dello statuto regionale prevede che la competenza legislativa esclusiva della Regione nelle materie da esso contemplate è esercitata nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato e senza pregiudizio delle riforme economico-sociali;
che, in tale prospettiva, assumono rilievo i limiti derivanti dal necessario rispetto dei principi posti a tutela della concorrenza, strumentali ad assicurare le libertà comunitarie – principi che, secondo quanto chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 45 del 2010, vincolano la Regione siciliana anche ai sensi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione – e, quindi, le disposizioni del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture che costituiscono diretta attuazione delle prescrizioni dettate dall’Unione europea a tutela della concorrenza;
che nella nozione di concorrenza, che non può che riflettere quella operante in ambito comunitario, sono comprese le disposizioni legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia, strutturate in modo da assicurare «la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici» (il ricorrente cita, sul punto, la sentenza della Corte costituzionale n. 401 del 2007);
che, nello specifico settore degli appalti, vengono particolarmente in considerazione le disposizioni che disciplinano la fase prodromica alla stipulazione del contratto e che si qualificano per la finalità perseguita di assicurare la concorrenza “per” il mercato;
che, pertanto, la Regione siciliana, nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva attribuitale dallo statuto di autonomia in materia di lavori pubblici di interesse regionale, deve non di meno rispettare, con riferimento soprattutto alla disciplina della fase del procedimento amministrativo di evidenza pubblica, i principi di tutela della concorrenza strumentali ad assicurare le libertà comunitarie di circolazione delle merci, di stabilimento e di prestazione dei servizi e, quindi, le disposizioni del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture che costituiscono diretta attuazione delle prescrizioni poste a livello europeo (il ricorrente cita, al riguardo, al sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 2010);
che, sempre alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 45 del 2010, a detto Codice dei contratti pubblici deve essere riconosciuto anche il connotato sostanziale di norma fondamentale di riforma economico-sociale, avendo esso comportato una complessiva e profonda innovazione normativa in un settore che assume importanza nazionale e che richiede l’attuazione di principi uniformi in tutto il territorio nazionale;
che detti principi comportano, tra l’altro, l’omogeneità e la trasparenza delle procedure, l’uniforme qualificazione dei soggetti, la libera concorrenza degli operatori in un mercato senza restrizioni regionali (è citata ancora, sul punto, la sentenza n. 45 del 2010);
che, conclusivamente, le norme del Codice che attengono, da un canto, alla scelta del contraente e, d’altro canto, al perfezionamento del vincolo negoziale e alla sua esecuzione, costituiscono un limite alla potestà legislativa esclusiva in materia di «lavori pubblici» della Regione, la quale ultima non può quindi adottare, per quanto attiene alla tutela della concorrenza, una disciplina con contenuti difformi da quella dettata, in attuazione delle prescrizioni dettate dall’Unione europea, dal legislatore statale con il d.lgs. n. 163 del 2006 (il ricorrente cita, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 221 del 2010);
che la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, implica infine che il legislatore statale può dettare una disciplina delle procedure di gara e dei criteri di aggiudicazione integrale e dettagliata, nonché inderogabile da parte del legislatore regionale;
che, alla luce di tali considerazioni, il ricorrente impugna anzitutto le lettere d) e f) del comma 1 dell’art. 3, le quali, col prevedere che, ai soli fini della determinazione dell’importo da porre a base d’asta, «non è soggetto a ribasso d’asta il costo del lavoro» (lettera d) e che, ai medesimi fini di quanto disposto dalla lettera d), «sono altresì escluse giustificazioni inerenti ai costi del lavoro» (lettera f), violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e l’art. 14, lettera g), del r. d. lgs. n. 455 del 1946, ponendosi in contrasto con l’art. 87, comma 2, lettera g), del d. lgs. n. 163 del 2006, il quale stabilisce che le giustificazioni dell’offerente in caso di offerta anormalmente bassa possono riguardare il costo del lavoro;
che una seconda censura ha a oggetto la lettera e) del comma 1 dell’art. 3, la quale, prevedendo che, in tema di valutazione delle offerte anormalmente basse, le giustificazioni siano presentate dai concorrenti già in sede di gara, violerebbe anch’essa l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e l’art. 14, lettera g), del r. d.lgs. n. 455 del 1946, ponendosi «palesemente» in contrasto con l’art. 86 del d.lgs. n. 163 del 2006 e con l’art. 55 della direttiva 31 marzo 2004, n. 2004/18/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi);
che con una terza censura il ricorrente impugna infine la lettera g) del comma 1 dell’art. 3 e i commi 4, 5, 6, 7, 8 dell’art. 4 in quanto tali disposizioni, sebbene sostanzialmente riproduttive delle norme statali di cui all’art. 7, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34 (Regolamento recante istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, ai sensi dell’art. 8 della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni) e all’art. 11, commi 9, 10, 10-bis e 10-ter del d.lgs. n. 163 del 2006, come modificato dal d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53 (Attuazione della direttiva 2007/66/CE che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici) – in tema, rispettivamente, di requisiti per la qualificazione degli esecutori di lavori pubblici e di fasi delle procedure di affidamento dei contratti pubblici – essendo riconducibili alla materia della tutela della concorrenza di competenza esclusiva dello Stato «preclus[a] a qualsiasi forma d’intervento del legislatore regionale», violerebbero anch’esse l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e l’art. 14, lettera g), del r. d.lgs. n. 455 del 1946;
che infatti – afferma ancora il ricorrente – il legislatore regionale, essendo privo di competenza nella materia «tutela della concorrenza», non potrebbe «operare un sostanziale recepimento» delle disposizioni dettate dallo Stato nella medesima materia senza prevedere al contempo un rinvio dinamico alla legislazione statale che venisse successivamente eventualmente introdotta «e ciò al fine di evitare che in tale ipotesi possano essere in vigore normative difformi “medio tempore” in attesa del necessario adeguamento alla nuova disciplina»;
che la Regione siciliana non si è costituita nel giudizio costituzionale;
che, come rappresentato anche dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana nella memoria depositata il 4 gennaio 2011, successivamente alla proposizione del ricorso, l’impugnata delibera legislativa n. 568 è stata promulgata e pubblicata come legge della Regione siciliana 3 agosto 2010, n. 16 (Modifiche ed integrazioni alla normativa regionale in materia di appalti), con omissione di tutte le disposizioni oggetto di censura.
Considerato che il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha proposto questioni di legittimità costituzionale – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e all’art. 14, lettera g), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) – delle lettere d), e), f), g) del comma 1 dell’art. 3 e dei commi 5, 6, 7, 8 dell’art. 4 della delibera legislativa n. 568 (Modifiche ed integrazioni alla normativa regionale in materia di appalti), approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 13 luglio 2010;
che, successivamente all’impugnazione, la predetta delibera legislativa è stata promulgata e pubblicata come legge della Regione siciliana 3 agosto 2010, n. 16 (Modifiche ed integrazioni alla normativa regionale in materia di appalti), con omissione di tutte le disposizioni oggetto di censura;
che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’intervenuto esaurimento del potere promulgativo, che si esercita necessariamente in modo unitario e contestuale rispetto al testo deliberato dall’Assemblea regionale siciliana, preclude definitivamente la possibilità che le parti della legge impugnate ed omesse in sede di promulgazione acquistino o esplichino una qualche efficacia, privando così di oggetto il giudizio di legittimità costituzionale» (ordinanza n. 212 del 2010; nello stesso senso, ex plurimis, ordinanze n. 183 del 2010, n. 175 del 2010, n. 304 del 2008, n. 229 del 2007 e n. 147 del 2006);
che si è determinata, pertanto, la cessazione della materia del contendere.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara cessata la materia del contendere in ordine al ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 2011.