ORDINANZA N.302
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1-bis, del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania – Misure per la raccolta differenziata), comma aggiunto dalla legge di conversione 6 dicembre 2006, n. 290 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263, recante misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania), promossi dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con ordinanze del 6 maggio e del 4 marzo 2008, rispettivamente iscritte al n. 346 del registro ordinanze 2008 e al n. 54 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2008 e n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione di Mauro Giovanni Salvatore ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 2009 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che, con ordinanza del 6 maggio del 2008, il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 24, 32, 35, 36, 77, comma secondo, 97, 101, 102 e 104 della Costituzione, dell’art. 6, comma 1-bis, del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania – Misure per la raccolta differenziata), comma aggiunto dalla legge di conversione 6 dicembre 2006, n. 290 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263, recante misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania);
che la fattispecie oggetto del giudizio a quo, secondo quanto riportato dal rimettente nell’intestazione dell’ordinanza, riguarderebbe il riconoscimento, a favore dei soggetti ricorrenti nell’ambito del giudizio principale (tutti componenti del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco), «del diritto alla restituzione all’Ente previdenziale dei contributi sospesi per “l’emergenza Etna 2002” nei limiti e con le modalità di cui all’art. 5, comma 2», dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2002, n. 3254 (Primi interventi urgenti diretti a fronteggiare i danni conseguenti ai gravi fenomeni eruttivi connessi all’attività vulcanica dell’Etna nel territorio della provincia di Catania ed agli eventi sismici concernenti la medesima area);
che tale comma prevede un piano di recupero dei contributi sospesi nella misura di otto volte i mesi interi di durata della sospensione (nel caso di specie 128 mesi, secondo quanto indica il rimettente), diversamente da quanto previsto dal piano di recupero attuato dall’Amministrazione di appartenenza, stabilito, invece, in un arco temporale di 24 rate, del quale, pertanto, i ricorrenti chiedono che il TAR adito dichiari l’illegittimità;
che, però, lo stesso TAR rimettente – in contraddizione con l’iniziale identificazione del thema decidendum oggetto del giudizio principale limitato alla «declaratoria di illegittimità del piano di recupero» – viene successivamente ad affermare, nel “Fatto”, che il medesimo giudizio avrebbe ad oggetto l’accertamento del diritto dei ricorrenti alla corresponsione delle somme derivanti dall’applicazione del beneficio della sospensione delle ritenute previdenziali ed assistenziali, nonché l’immediata restituzione di quelle già trattenute sullo stipendio 2002, ai sensi dell’art. 4 del decreto-legge 4 novembre 2002, n. 245 (Interventi urgenti a favore delle popolazioni colpite dalle calamità naturali nelle regioni Molise, Sicilia e Puglia, nonché ulteriori disposizioni in materia di protezione civile, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, legge 27 dicembre 2002, n. 286), in combinato disposto con l’art. 5 della citata o.P.C.m. n. 3254 del 2002;
che, quanto al requisito della rilevanza, il giudice a quo osserva come il ricorso in argomento, in applicazione della normativa di cui all’art. 6, comma 1-bis, del d.l. n. 263 del 2006, che vieta ai dipendenti dei datori di lavoro pubblici, tra i quali rientrano i soggetti ricorrenti nell’ambito del giudizio a quo, l’applicazione del beneficio di cui al combinato disposto dell’art. 4 del d.l. n. 245 del 2002, e dell’art. 5 dell’o.P.C.m. n. 3254 del 2002, dovrebbe essere respinto con declaratoria di inammissibilità;
che la prima delle due norme, ricorda il rimettente, stabilisce, in ragione dell’emergenza connessa all’eruzione dell’Etna, la sospensione dei termini «anche previdenziali», mentre la seconda, più specificatamente, prevede la sospensione, nei confronti dei soggetti residenti, aventi sede legale od operativa nel territorio di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 ottobre 2002, dei versamenti dei contributi di previdenza e di assistenza sociale e dei premi per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, ivi compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti;
che il giudice rimettente ritiene pertanto che l’applicazione della disposizione censurata debba estendersi a tutti i provvedimenti che trovino il loro presupposto giuridico nella legge n. 225 del 1992 e che tale novella imponga di interpretare i provvedimenti amministrativi o normativi generali (quali, appunto, quelli contenuti nella citata o.P.C.m. n. 3254 del 2002) nel senso di escludere dal relativo ambito di operatività i soggetti diversi dai datori di lavoro privati e dai relativi dipendenti;
che, per altro verso, il giudice a quo ritiene che l’art. 4 del d.l. n. 245 del 2002 non possa neppure essere considerato come idoneo a fondare (autonomamente rispetto alla legge n. 225 del 1992, così come reinterpretata alla luce dell’art. 6, comma 1-bis, del d.l. n. 263 del 2006) il conferimento del beneficio previdenziale, ritenendo che tale ultima previsione, avendo contenuto inconciliabile con l’art. 4 del d.l. 4 novembre 2002, n. 245, ne abbia determinato l’abrogazione in parte qua;
che il TAR di Catania ritiene l’esplicita formulazione della disposizione censurata non compatibile con interpretazioni correttive o adeguatrici della medesima previsione che possano determinarne una diversa lettura, dato che, in applicazione della norma di cui all’art. 6, comma 1-bis, del d.l. n. 263 del 2006, l’o.P.C.m. del 29 novembre 2002 deve far ritenere applicabile ai soli datori di lavoro privati la sospensione dei contributi previdenziali che in essa trova fondamento;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che la previsione impugnata violerebbe, primariamente, gli artt. 2 e 3 della Costituzione, in quanto l’esclusione dal beneficio della sospensione degli adempimenti contributivi di una categoria di lavoratori (quelli dipendenti da datori di lavoro pubblici) comporta che a questi ultimi venga negata la solidarietà sociale della comunità nazionale;
che la stessa disposizione violerebbe anche l’art. 32 della Costituzione, «interpretato alla luce dell’art. 9 della Cost.», in quanto, avendo l’amministrazione – tramite la sospensione dei termini di versamento dei contributi di natura assistenziale e previdenziale – «realizzato, senza diretta spesa, ma assumendo l’onere di una minore entrata, un accrescimento in termini di valore monetario delle retribuzioni dei lavoratori, i quali hanno così percepito una utilità rivolta a consentire loro di adeguatamente fare fronte alle esigenze di tutela del proprio benessere (e di quello dei familiari a carico), a fronte di un evento per definizione tale da incidere sui livelli di vita precedenti, tramite l’alterazione improvvisa e sensibile dell’ambiente territoriale inciso dal fenomeno eruttivo che ne ha compromesso l’ordinaria vivibilità», si sarebbe determinata la diminuzione, per la categoria dei lavoratori esclusi dal beneficio, «dei livelli collettivi di assistenza sanitaria invece riconosciuti ai dipendenti di datori di lavoro privati»;
che, inoltre, sempre a detta del rimettente, la norma censurata verrebbe a violare gli artt. 4, 35 e 36 della Costituzione, perché, «abrogando» il beneficio economico ed assistenziale di cui all’o.P.C.m. del 29 novembre 2002, avrebbe determinato una (sia pure temporanea) ingiustificata riduzione del livello retributivo che era stato potenziato con l’intervento di protezione civile operato con la predetta ordinanza;
che ugualmente violato dalla norma censurata sarebbe il principio della tutela dell’affidamento, in quanto, secondo il giudice a quo, ai soggetti ricorrenti nell’ambito del giudizio principale, dipendenti da un datore di lavoro pubblico, sarebbe stata sottratta una disponibilità retributiva, originariamente loro conferita, venendo in tal modo ad incidere sia su situazioni che avevano ricevuto un chiaro e definitivo riconoscimento giurisprudenziale, sia sulla «adeguatezza» della retribuzione in relazione allo specifico momento e contesto emergenziale;
che, quindi, risulterebbe violato anche l’art. 3 della Costituzione, in ragione della disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione e lavoratori dipendenti da imprese private, disparità che, secondo il giudice a quo, non è giustificata da alcuna ragione sostanziale, risultando, in entrambe le fattispecie, analoga l’incidenza dell’evento naturale sull’esecuzione della prestazione lavorativa, data la comune natura delle difficoltà che tutti i lavoratori, sia pubblici che privati, hanno dovuto sostenere per continuare a prestare la propria attività a servizio delle rispettive Amministrazioni o aziende private;
che tale parametro sarebbe parimenti violato in ragione dell’asserita irragionevolezza della previsione censurata, in considerazione, secondo il rimettente, del fatto che il legislatore – in presenza di una dimensione di emergenza riguardante tutto il territorio interessato all’eruzione dell’Etna, (e dunque relativa a tutti i soggetti che sono stati chiamati a prestare attività lavorativa nelle proibitive condizioni ambientali che l’eruzione medesima ha determinato) – avrebbe irragionevolmente scelto di assistere una sola categoria di lavoratori, individuata con un criterio che, pur se oggettivo, sarebbe del tutto slegato da qualsiasi collegamento fattuale o funzionale con l’emergenza da affrontare;
che l’irragionevolezza della previsione impugnata deriverebbe anche, sempre secondo il TAR rimettente, dalla ulteriore considerazione che la stessa non sarebbe intervenuta per dirimere un’originaria ambiguità interpretativa, essendo la norma di cui all’o.P.C.m. del 29 novembre 2002 chiara nel non differenziare, tra i vari beneficiari della misura in esame, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni;
che il giudice a quo ritiene, infine, la previsione abnorme, perché, allo scopo di discriminare nell’ambito della medesima situazione i vari destinatari potenziali degli interventi emergenziali, avrebbe operato una modifica legislativa con effetto retroattivo che non inciderebbe sulla legge, ma «sull’esercizio dei poteri di amministrazione demandati alla Protezione civile»;
che la norma impugnata violerebbe altresì l’art. 97 della Costituzione, in quanto la retroattività della previsione censurata, nell’incidere senza alcuna giustificazione, plausibile o evidente, sulle situazioni consolidate, avrebbe determinato – revocando i benefici già concessi – un grave vulnus alla immagine dello Stato ed alla credibilità delle istituzioni, vanificando il rapporto di assistenza e sostegno che sia lo Stato che le istituzioni avevano creato con i consociati colpiti dalle calamità naturali;
che, inoltre, l’art. 97 della Costituzione risulterebbe ulteriormente violato poiché la disposizione censurata avrebbe prodotto un motivo di grave inefficienza nell’esercizio dell’azione dei pubblici poteri, avendo costretto gli uffici preposti alla trattazione dei relativi affari ad un rinnovato esercizio delle relative funzioni;
che sarebbe violato anche il principio di separazione dei poteri, per l’invasione, da parte del legislatore, dell’ambito di competenza proprio del potere esecutivo, con conseguente, sostanziale disordine nell’attività della pubblica amministrazione;
che l’articolo censurato sarebbe, altresì, in contrasto con gli artt. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, poiché esso, assumendo un contenuto avente natura provvedimentale, vincolerebbe il giudice all’adozione di determinate decisioni in controversie già pendenti, venendo così a violare il giudicato, nei suoi aspetti esterni, formatosi sulle pronunce del medesimo organo rimettente (peraltro, confermate in appello), che avevano annullato l’o.P.C.m. n. 3442 del 2005, e ripristinando, pertanto, in via legislativa, un regime che – sul piano dell’esercizio del potere esecutivo – era stato ritenuto illegittimo con pronunce passate in giudicato;
che, infine, a parere del rimettente, la citata disposizione sarebbe censurabile anche in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, sia perché non sussisterebbero i presupposti di necessità ed urgenza, sia perché la norma censurata sarebbe stata inserita nella fase di conversione di un decreto-legge differente ratione materiae dall’ambito di operatività della stessa (avendo il decreto in questione ad oggetto l’emergenza dei rifiuti in Campania);
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata irrilevante, inammissibile o, comunque, manifestamente infondata;
che la difesa erariale – nel premettere che su questioni analoghe alla presente questa Corte si è già pronunciata nel senso dell’infondatezza (sentenza n. 325 del 2008) – rileva come il testo della norma sospettata di incostituzionalità porti «inequivocabilmente» a ritenere «che essa sia rivolta direttamente ed esclusivamente ai datori di lavoro e non ai lavoratori», datori di lavoro i quali «non possono che essere quelli privati», e che da ciò discenderebbe l’irrilevanza della questione;
che, inoltre, secondo l’Avvocatura, la questione proposta risulterebbe parimenti irrilevante in ragione della circostanza che la sospensione dei contributi sarebbe relativa solo al versamento delle ritenute, le quali, indipendentemente dall’effettuazione di tale adempimento, dovrebbero comunque essere effettuate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti;
che tale irrilevanza risulterebbe ulteriormente dimostrata dalla circostanza che, ove fosse riconosciuta a favore dei lavoratori la sospensione del versamento, la stessa avrebbe ad oggetto solo il periodo novembre 2002–marzo 2004 e, pertanto, alla data odierna, la sospensione dovrebbe comunque ritenersi cessata;
che, inoltre, quanto all’asserita violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, connessa alla denunciata disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati, la difesa erariale sostiene che il confronto sarebbe stato condotto rispetto a situazioni del tutto disomogenee, poiché la pubblica amministrazione non avrebbe fini lucrativi e la prestazione di lavoro si svolgerebbe secondo regole e parametri sui quali sarebbero ininfluenti gli avversi fenomeni naturali e le condizioni ambientali eccezionali, mentre, al contrario, il datore di lavoro privato, che opera in un determinato territorio, sarebbe significativamente esposto a tutti quegli accadimenti che incidono sulla dimensione organizzativa dell’impresa e sulla sua possibilità di un esercizio caratterizzato da molteplici fattori di tipo economico;
che da tali considerazioni discenderebbe, altresì, secondo l’Avvocatura dello Stato, oltre alla disomogeneità delle posizioni poste a confronto, anche l’assoluta ragionevolezza della scelta legislativa volta a limitare il beneficio ai soli datori di lavoro privati che, a differenza della pubblica amministrazione, non sempre disporrebbero di una capacità organizzativa e di risorse idonee a consentire di fronteggiare in modo adeguato le situazioni di emergenza originate da eventi calamitosi;
che, in sostanza, secondo la difesa erariale, la sospensione dell’obbligo contributivo, particolarmente gravoso per i datori di lavoro, può essere letta come un mezzo per liberare risorse da sfruttare per la produzione di beni e servizi, in modo da non alterare pesantemente il flusso di creazione di ricchezza a livello regionale, e dunque il prodotto interno lordo relativo a quel territorio;
che, peraltro – osserva ancora la difesa pubblica – se questa viene ad essere la ratio posta alla base della scelta legislativa, verrebbe ad avere rilievo marginale l’effetto che la stessa avrebbe determinato in favore dei soli lavoratori privati, considerato, tra l’altro, che la quota di contribuzione dagli stessi dovuta (e normalmente prelevata dal datore di lavoro nella sua qualità di sostituto) è modesta e la maggior retribuzione è comunque fiscalizzata;
che secondo l’Avvocatura dello Stato sarebbero poi inammissibili le censure relative alla violazione degli artt. 4, 32, 35 e 36 della Costituzione per inconferenza dei parametri invocati, così come ugualmente inconferente sarebbe la censura relativa alla pretesa violazione degli artt. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, poiché la norma impugnata «attiene al piano sostanziale della disciplina dei rapporti […] e non a quello processuale della tutela dei diritti»;
che, infine, per l’Avvocatura, manifestamente infondate risulterebbero le censure relative agli artt. 77, comma secondo, e 97 della Costituzione, dato che esse sarebbero destituite di ogni fondamento;
che si sono costituiti nel procedimento i soggetti ricorrenti nell’ambito del giudizio principale, i quali, con ampie argomentazioni, hanno aderito alle censure di legittimità costituzionale prospettate dal giudice a quo, sostenendo sia l’irragionevolezza della previsione censurata, sia la violazione del principio dell’affidamento e del divieto di discriminazione, sia la natura sostanzialmente innovativa della stessa e, conseguentemente, negandone la natura interpretativa;
che, in prossimità dell’esame in camera di consiglio, la difesa delle parti private ha presentato memoria con cui ha ribadito quanto sostenuto nell’atto di costituzione, in ordine alla violazione del principio di separazione dei poteri dello Stato e di violazione dell’art. 97 della Costituzione;
che, in particolare, sotto questo profilo, le parti private ritengono che la norma sospettata di illegittimità costituzionale avrebbe determinato, di fatto, l’esercizio da parte del potere legislativo anche della potestà amministrativa, in quanto la norma di legge avrebbe determinato la modifica di un atto amministrativo;
che, nella stessa memoria, la difesa delle parti private si è poi soffermata sulla violazione del principio di affidamento e sulla irragionevolezza della norma censurata, richiamando, al riguardo, sia la giurisprudenza della Corte costituzionale che della Corte di cassazione, nonché quella del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana;
che, in ordine al principio dell’affidamento, la memoria richiama altresì l’ordinamento comunitario e la Convenzione dei diritti dell’uomo, soffermandosi, in particolare, sulla sentenza Scordino (Grande Chambre, 29 marzo 2006);
che, infine, la parte privata ritiene che la norma denunciata potrebbe eventualmente superare il vaglio di costituzionalità ove interpretata secondo Costituzione, cioè considerandola non retroattiva e, conseguentemente, non applicabile nella fattispecie oggetto del giudizio a quo;
che, con successiva ordinanza del 4 marzo 2008 (r.o. n. 54 del 2009), analoga questione di legittimità costituzionale della medesima norma è stata sollevata dallo stesso TAR di Catania, nel corso di altro giudizio, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36 e 97 della Costituzione;
che la fattispecie oggetto del giudizio a quo riguarda l’accertamento del diritto di U. R., in ruolo presso la Guardia di Finanza, alla corresponsione delle somme derivanti dall’applicazione del beneficio delle ritenute previdenziali ed assistenziali e l’immediata restituzione di quelle già trattenute sullo stipendio del 2002, ai sensi dell’art. 4 del d.l. n. 245 del 2002 e dell’art. 5 dell’o.P.C.m. n. 3254 del 2002;
che la seconda ordinanza di rimessione riproduce pressocchè integralmente il testo dell’ordinanza precedente e, quindi, fonda, in riferimento ai sopra citati parametri, la sospettata illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1-bis, del d.l. n. 263 del 2006 – sia in ordine alla rilevanza, sia in ordine alla non manifesta infondatezza della questione – su argomenti analoghi ai precedenti, tranne che per quanto riguarda l’art. 97 della Costituzione, relativamente al quale il rimettente non svolge alcuna motivazione;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, con atto sostanzialmente identico a quello depositato nell’ambito del procedimento relativo all’ordinanza iscritta al r.o. n. 346 del 2008, e con analoghe argomentazioni, ha chiesto che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata.
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 24, 32, 35, 36, 77, comma secondo, 97, 101, 102 e 104 della Costituzione, dell’art. 6, comma 1-bis, del decreto-legge del 9 ottobre 2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania – Misure per la raccolta differenziata), comma aggiunto dalla legge di conversione 6 dicembre 2006, n. 290 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263, recante misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania);
che, successivamente, con altra ordinanza, lo stesso TAR Sicilia, sezione staccata di Catania, ha nuovamente sollevato analoga questione di legittimità costituzionale della citata norma, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36 e 97 della Costituzione, con motivazioni identiche a quelle svolte nella precedente ordinanza;
che i giudizi, in quanto concernenti la stessa disposizione e relativi a questioni analoghe o connesse, devono essere riuniti e decisi con unica pronuncia;
che, preliminarmente, deve essere dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata con la prima delle due ordinanze per contraddittorietà e carenza di descrizione della fattispecie propria del giudizio a quo, non essendo delimitato con chiarezza l’oggetto della questione;
che, in particolare, l’ordinanza identifica inizialmente il thema decidendum del giudizio principale nella richiesta, da parte dei ricorrenti (tutti componenti del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco), della declaratoria di illegittimità del piano di recupero dei contributi previdenziali a carico dei dipendenti stessi (il cui prelievo mensile sulle retribuzioni era stato sospeso per l’“Emergenza Etna 2002” con l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2002, n. 3254, recante disposizioni sui «Primi interventi urgenti diretti a fronteggiare i danni conseguenti ai gravi fenomeni eruttivi connessi all’attività vulcanica dell’Etna nel territorio della provincia di Catania ed agli eventi sismici concernenti la medesima area»), in quanto previsti dall’amministrazione di appartenenza in un arco temporale di 24 mesi, là dove la disciplina originaria (di cui all’art. 5, comma 2, dell’o.P.C.m. sopra citata) avrebbe invece stabilito che tale recupero sarebbe dovuto essere effettuato in un arco temporale pari ad otto volte i mesi di sospensione (e quindi, nel caso di specie, in 128 mesi);
che, successivamente, però, l’ordinanza entra in contraddizione con la iniziale identificazione del thema decidendum, assumendo come oggetto del giudizio principale non più l’estensione dell’arco temporale stabilito dal piano di recupero dei contributi il cui prelievo era stato sospeso, bensì il diritto dei ricorrenti all’applicazione del beneficio della sospensione dei contributi con conseguente restituzione delle somme trattenute sugli stipendi del 2002;
che, conseguentemente, il contenuto dell’ordinanza, non chiarendo l’oggetto del giudizio principale ed, anzi, evidenziando questioni per la cui definizione la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale risulta irrilevante, non consente a questa Corte di vagliare l’effettiva applicabilità della norma ai casi dedotti, determinando, conseguentemente, la manifesta inammissibilità della questione, con assorbimento di ogni ulteriore profilo di inammissibilità (ex plurimis, ordinanza n. 100 del 2009);
che la questione formulata con la seconda ordinanza di rimessione è manifestamente infondata;
che con la sentenza n. 325 del 2008 – ricordata anche dall’Avvocatura dello Stato – questa Corte ha già dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 6, comma 1-bis, del d.l. n. 263 del 2006, affermando come corrisponda ad un principio di non irragionevole esercizio della discrezionalità del legislatore la scelta di limitare il beneficio della sospensione del versamento contributivo ai soli datori di lavoro privati;
che l’attuale ordinanza del TAR di Catania ripropone questione analoga, in quanto la evocata disparità di trattamento tra lavoratori privati e pubblici in ordine alla concessione del beneficio della sospensione del versamento contributivo è solo l’effetto speculare della scelta discrezionale del legislatore – già ritenuta non irragionevole da questa Corte – di riconoscere tale beneficio ai soli datori di lavoro privati;
che, ancora, l’ordinanza di rimessione non fornisce argomentazioni diverse o tali da indurre questa Corte a rivedere le conclusioni già espresse sulla questione definita dalla sentenza n. 325 del 2008, tali non ponendosi ritenere i richiami alla tutela del lavoro, di cui agli artt. 4, 35 e 36 della Costituzione, la cui adeguatezza va, comunque, valutata nel complesso della disciplina e non in relazione ad uno specifico beneficio temporalmente ridotto e contrassegnato fin dal suo inizio dall’obbligo della restituzione, ovvero quelli afferenti alla possibile interferenza dell’attività legislativa sui provvedimenti giurisdizionali (con conseguente “straripamento” della funzione legislativa in quella giurisdizionale, come lamentato dal TAR di Catania);
che, infatti, questa Corte, anche di recente, ha escluso che all’adozione di una determinata disciplina con norme di legge sia di ostacolo la circostanza che, in sede giurisdizionale, sia stata ritenuta illegittima quella, di contenuto analogo o identico, contenuta in una fonte normativa secondaria o in un atto amministrativo, poiché, anche in tal caso, ferma restando l’intangibilità del giudicato, è escluso che sia compromessa la funzione giurisdizionale, muovendosi il legislatore e il giudice su piani diversi, in quanto il primo fornisce regole di carattere generale e astratto, il secondo applica il diritto oggettivo ad una singola fattispecie (sentenza n. 94 del 2009; ordinanze n. 32 del 2008 e n. 352 del 2006);
che, infine, del tutto apodittico appare il richiamo all’art. 32 della Costituzione sotto il profilo addotto dal rimettente, là dove – travisando il significato e gli effetti del beneficio in questione – afferma che la norma censurata determinerebbe, per i lavoratori ai quali la sospensione contributiva viene negata, la riduzione dei «livelli collettivi di assistenza sanitaria riconosciuti ai dipendenti di datori di lavoro privati»;
che, pertanto, in conformità alla propria consolidata giurisprudenza, questa Corte deve dichiarare manifestamente infondata la questione, in quanto non risultano addotti argomenti diversi o, comunque, tali da indurla a rivedere le conclusioni già espresse nella precedente pronuncia di infondatezza (ex multis, ordinanze n. 42 del 2009, n. 343 del 2008 e n. 444 del 2007).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1-bis, del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania – Misure per la raccolta differenziata), comma aggiunto dalla legge di conversione 6 dicembre 2006, n. 290, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 24, 32, 35, 36, 77, comma secondo, 97, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con l’ordinanza r.o. n. 346 del 2008;
2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1-bis, del decreto-legge n. 263 del 2006, sollevata, in riferimento artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con l’ordinanza r.o. n. 54 del 2009.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 novembre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2009.