Ordinanza n. 444 del 2007

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ORDINANZA N. 444

ANNO 2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                              Presidente

-    Giovanni Maria         FLICK                             Giudice

-    Francesco                  AMIRANTE                         "

-    Ugo                          DE SIERVO                        "

-    Paolo                        MADDALENA                    "

-    Alfio                        FINOCCHIARO                  "

-    Alfonso                    QUARANTA                       "

-    Franco                      GALLO                               "

-    Luigi                        MAZZELLA                        "

-    Gaetano                    SILVESTRI                         "

-    Sabino                      CASSESE                            "

-    Maria Rita                 SAULLE                              "

-    Giuseppe                   TESAURO                           "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                    "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 6, lettera a), della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), promosso dal Tribunale di Trieste, nei procedimenti civili riuniti vertenti tra A. M. ed altri e Poste Italiane s.p.a. ed altri, con ordinanza del 24 ottobre 2006, iscritta al n. 331 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto che il Tribunale di Trieste, in funzione di giudice del lavoro, nel corso di una serie di giudizi, successivamente riuniti, in cui i ricorrenti, ex dipendenti di Poste Italiane s.p.a. da epoca precedente al 28 febbraio 1998, avevano convenuto in giudizio le Poste Italiane e l’IPOST – chiedendo l’accertamento del loro diritto alla rivalutazione della somma accantonata a titolo di indennità di buonuscita a partire dalla data di trasformazione dell’Ente Poste Italiane in società per azioni sino alla cessazione del rapporto di lavoro – ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dell’art. 53, comma 6, lettera a), della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui non prevede che l’indennità di buonuscita dei dipendenti postali, maturata alla data del 28 febbraio 1998 e calcolata sulla base della retribuzione in quel momento percepita, debba essere annualmente rivalutata, secondo i criteri di cui all’art. 2120, quarto e quinto comma, del codice civile, in relazione all’art. 5, primo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), a far tempo dal 1° marzo 1998 sino alla cessazione del rapporto di lavoro del singolo dipendente;

che, osserva il giudice a quo, l’indennità di buonuscita maturata sino alla data di trasformazione dell’Ente Poste Italiane, è calcolata secondo la disciplina vigente prima della privatizzazione, in base al d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, venendo quindi accantonata per andare ad aggiungersi, alla cessazione del rapporto di lavoro, alle somme maturate nel periodo successivo alla trasformazione, a titolo di trattamento di fine rapporto (t.f.r.), calcolato secondo la disciplina introdotta dalla legge n. 297 del 1982, senza che  nulla sia previsto circa il diritto alla rivalutazione dell’indennità così accantonata;

che il remittente rileva come l’art. 2120 cod. civ., prevedendo un tasso di incremento annuale delle quote calcolate negli anni precedenti, assicuri un sia pur parziale adeguamento ai livelli di inflazione, mentre  il meccanismo previsto dalla  norma impugnata risulterebbe lesivo dell’art. 3 Cost., sia perché non garantisce al personale delle Poste quanto attribuito a tutti gli altri dipendenti – tanto del settore privato, al momento del passaggio dal regime dell’indennità di anzianità a quello del t.f.r., quanto del settore pubblico – sia perché determina un’irragionevole disparità di trattamento nell’ambito degli stessi dipendenti postali;

che, in particolare, sarebbero danneggiati i lavoratori i quali cessino il rapporto di lavoro a notevole distanza dalla trasformazione delle Poste in società per azioni, trovandosi però ad essere già dipendenti dell’ente da molti anni prima, in quanto in tal caso la somma maturata a titolo di indennità di buonuscita non sarebbe più adeguata al costo della vita al momento dell’erogazione, coincidente con quello della cessazione del rapporto;

che, inoltre, la norma si porrebbe  in contrasto con l’art. 36 Cost. per la lesione del diritto all’adeguamento al costo della vita dei crediti del lavoratore, e cioè di un principio generale dell’ordinamento lavoristico, sancito dall’art. 429 del codice di procedura civile ed essenziale per conservare il rapporto di proporzionalità tra retribuzione e quantità del lavoro, il quale richiede di essere riferito ai valori reali di entrambi i suoi termini;

che, infine, considerata la natura anche previdenziale delle indennità terminative del rapporto di lavoro, sarebbe leso pure l’art. 38, secondo comma, Cost., nella parte in cui prevede che vengano assicurati al lavoratore, in caso di vecchiaia, mezzi adeguati alle esigenze di vita, e ciò in quanto il principio di adeguatezza (e sufficienza) presuppone criteri di rivalutazione della prestazione idonei a garantire il permanere nel tempo del valore reale della prestazione stessa;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questione, in quanto la prospettazione comporterebbe una “contaminazione” tra due sistemi previdenziali autonomi succedutisi nel tempo, con conseguente arbitrario innesto, in via “additiva”, di un sistema sull’altro, i cui effetti discriminanti risulterebbero produttivi di un ibrido sistema di calcolo.

Considerato che il Tribunale di Trieste, in funzione di giudice del lavoro, dubita, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 6, lettera a), della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui non prevede che l’indennità di buonuscita dei dipendenti postali, maturata alla data del 28 febbraio 1998 e calcolata sulla base della retribuzione percepita in quel momento, debba essere annualmente rivalutata secondo i criteri di cui all’art. 2120, quarto e quinto comma, cod. civ., in relazione all’art. 5, primo comma, della legge n. 297 del 1982, a far tempo dal 1° marzo 1998 sino alla cessazione del rapporto di lavoro del singolo dipendente;

che, successivamente all’emissione dell’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza 9 novembre 2006, n. 366, ha dichiarato non fondata analoga questione;

che il giudice a quo non fornisce alcun argomento diverso o ulteriore rispetto a quelli a suo tempo esaminati, tale non potendosi ritenere il richiamo all’art. 38 Cost., anche con riguardo al quale valgono le considerazioni di cui alla citata sentenza;

che, infatti, anche in riferimento alla funzione previdenziale dell’indennità di buonuscita, deve essere ribadita la necessità di considerare la globalità degli emolumenti e non la singola voce, il cui criterio di computo va, a sua volta, valutato nel complessivo ambito dell’intervento normativo di trasformazione dell’azienda postale con la garanzia della continuità dei rapporti di lavoro;

che, in proposito, occorre sottolineare come l’art. 38 Cost. rimetta alla discrezionalità legislativa le determinazione di tempi, modi e misura delle prestazioni sociali, sulla base di un razionale contemperamento con la soddisfazione di altri diritti costituzionalmente garantiti (si vedano, per tutte, le sentenze n. 426 del 2006 e n. 3 del 2007);

che la questione va, quindi, dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 6, lettera a), della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Trieste, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2007.