SENTENZA N. 3
ANNO 2007REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2001), promossi con ordinanze del 24 agosto 2004 dalla Corte di Cassazione e del 9 dicembre 2004 dal Tribunale di Bologna nei procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Rosa Carla Giordano e l’INPS e tra Marco Corsini ed altro, nella qualità di eredi di Massimiliana Bertusi, e l’INPS, iscritte al n. 929 del registro ordinanze 2004 e al n. 322 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2004 e n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 dicembre 2006 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Nicola Valente e Antonino Sgroi per l’INPS e l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio promosso da Rosa Carla Giordano contro l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) ed avente ad oggetto l’adeguamento dell’importo nominale dei contributi versati presso l’assicurazione facoltativa di cui al Titolo IV del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155, e le conseguenti maggiori somme sui ratei della rendita di cui la ricorrente fruiva dal marzo 1995, la Corte di cassazione, con ordinanza del 24 agosto 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2001), nella parte in cui, in relazione alla disposta rivalutazione dei contributi versati nella menzionata assicurazione facoltativa, prevede la decorrenza solo dal 1° gennaio 2001 degli aumenti dei relativi trattamenti pensionistici, anche in relazione alle situazioni giuridiche, attinenti agli arretrati pensionistici, che, alla data di entrata in vigore della legge, non erano consolidate in senso negativo per l’assicurato.
La rimettente ricorda che, con la sentenza n. 141 del 1989, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 29, terzo comma, della legge 4 aprile 1952, n. 218 (Riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), nella parte in cui non prevede un meccanismo di adeguamento dell’importo nominale dei contributi versati dal giorno della sua entrata in vigore in poi. Aggiunge che, successivamente, il legislatore è intervenuto con il censurato art. 69, comma 5, della legge n. 388 del 2000, il quale, con riferimento al passato, ha previsto che i contributi versati nell’assicurazione facoltativa in questione a partire dal 1° gennaio 1952 e fino al 31 dicembre 2000 sarebbero stati rivalutati, per i periodi antecedenti la liquidazione della pensione e secondo l’anno di versamento, in base ai coefficienti utili ai fini delle retribuzioni pensionabili, di cui all’art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), e che gli aumenti dei relativi trattamenti pensionistici sarebbero decorsi dal 1° gennaio 2001. Per il futuro, la norma ha stabilito la rivalutazione annuale, con le stesse modalità già illustrate, dei contributi versati dal 1° gennaio 2001 in poi.
Secondo il giudice a quo, il chiaro tenore della complessiva disposizione dell’art. 69, comma 5, della legge n. 388 del 2000 – la cui prima parte è rivolta a porre rimedio per il passato alla mancata previsione della rivalutazione dei contributi e la seconda a fissare una nuova disciplina per il futuro – imporrebbe di ritenere che legislatore, con una norma retroattiva, abbia esaurientemente disciplinato, anche per il passato, sia la rivalutazione dei contributi versati all’assicurazione facoltativa, sia i relativi effetti, espressamente limitando alle rate pensionistiche maturate a partire dal gennaio 2001 l’incidenza della prevista rivalutazione dei contributi.
Una simile disciplina, tuttavia, contrasterebbe, a parere della Corte di cassazione, con gli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.
Infatti, secondo la rimettente, mediante il tipo di pronuncia adottato con la sentenza n. 141 del 1989 - caratterizzato dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale di un’omissione legislativa, senza la precisa indicazione del contenuto della norma che avrebbe dovuto essere posta dal legislatore - la Corte costituzionale avrebbe inteso demandare allo stesso legislatore l’introduzione e la disciplina del meccanismo idoneo ad assicurare il diritto costituzionalmente protetto, ma contemporaneamente avrebbe somministrato essa stessa un principio cui il giudice comune era abilitato a fare riferimento per porre frattanto rimedio all’omissione. Pertanto, per effetto di detta pronuncia, si sarebbe determinato un assetto normativo che già comportava la possibilità di riconoscimento in giudizio di un diritto al computo «in qualche maniera rivalutato» dei contributi ed alle conseguenti integrazioni pensionistiche.
Tanto premesso, a parere del giudice a quo l’esclusione della rilevanza, per i periodi pregressi, della rivalutazione dei contributi ai fini della misura della pensione presenterebbe vizi di legittimità costituzionale analoghi a quelli già ritenuti sussistenti da questa Corte in relazione alla normativa che non prevedeva un meccanismo di rivalutazione dei contributi.
In primo luogo, sarebbe contraddetta la finalità previdenziale dell’assicurazione facoltativa (finalità riconosciuta dalla sentenza n. 141 del 1989) e ciò determinerebbe l’irragionevolezza della normativa in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione.
In secondo luogo, sarebbe ravvisabile la violazione dell’art. 38, secondo comma, Cost., essendo riconducibili alla disciplina costituzionale in materia di previdenza anche le forme di previdenza facoltativa, le quali sono previste dal legislatore per il conseguimento delle stesse finalità della previdenza obbligatoria ed al fine di un completamento della disciplina medesima.
Tali vizi di irragionevolezza e di contrasto con l’art. 38 Cost. sarebbero poi aggravati dal fatto che la norma censurata avrebbe fatto venir meno diritti già riconosciuti dalla legge, nella portata conseguente alla sentenza n. 141 del 1989 di questa Corte. Infatti, secondo la rimettente, il legislatore avrebbe dovuto salvaguardare le situazioni giuridiche che non fossero già consolidate in senso negativo per gli assicurati per l’operare della prescrizione, della cosa giudicata o di altre ragioni.
Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo evidenzia che nel corso del giudizio di merito era stato definitivamente accertato che la parte privata aveva versato contributi all’assicurazione facoltativa di cui al Titolo IV del r. d. l. n. 1827 del 1935 anche in periodi successivi all’entrata in vigore dell’art. 29, terzo comma, della legge n. 218 del 1952, e che la stessa è titolare di rendita maturata nell’ambito di tale assicurazione a decorrere dal marzo del 1995. Inoltre non erano in questione la maturazione della prescrizione o altre ragioni di consolidamento in senso negativo per la ricorrente della situazione giuridica attinente agli arretrati pensionistici.
2. – L’INPS si è costituito ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
In punto di ammissibilità, l’Istituto previdenziale deduce che la ricorrente nel giudizio a quo sarebbe titolare della rendita vitalizia contemplata dall’art. 91 del r. d. l. n. 1827 del 1935. Questa prestazione è liquidata dall’INPS immediatamente dopo il versamento, da parte dell’interessato, del corrispondente valore capitale e quindi è ad essa estranea la questione concernente la rivalutazione dei contributi cui si riferiscono la sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 1989 e l’art. 69, comma 5, della legge n. 388 del 2000, questione che si può porre esclusivamente rispetto alla pensione per vecchiaia ed alla pensione per invalidità, le quali sono costituite a distanza di tempo dal versamento dei contributi. Conseguentemente, a parere dell’INPS, la questione dovrebbe essere dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo.
Nel merito l’ente previdenziale sostiene che la menzionata sentenza n. 141 del 1989 ha inteso a garantire all’assicurato un meccanismo di rivalutazione della contribuzione versata, ma non anche una determinata decorrenza dei conseguenti miglioramenti del trattamento pensionistico. Pertanto, una volta introdotto il meccanismo di rivalutazione dei contributi, rientrava nella discrezionalità del legislatore l’individuazione del momento dal quale far decorrere l’aumento delle prestazioni pensionistiche.
In concreto, poi, la scelta adottata dal legislatore non viola, secondo l’INPS, il principio di ragionevolezza, perché deve ritenersi ragionevole l’incisione operata dal legislatore rispetto ai periodi precedenti all’entrata in vigore della legge, al fine di garantire a tutti gli assicurati la certezza di poter godere, in futuro, delle più favorevoli prestazioni. Né quella scelta può ritenersi contrastante con la funzione previdenziale propria dell’assicurazione facoltativa, perché la regola della rivalutazione della contribuzione versata garantirebbe pienamente la tutela delle posizioni di previdenza facoltativa in atto ed in potenza.
3. – Nel corso di un giudizio promosso dagli eredi di Massimiliana Bertusi contro l’INPS ed avente ad oggetto il preteso diritto della dante causa dei primi ad ottenere dall’ente previdenziale, previa rivalutazione monetaria dei contributi versati, la ricostituzione della pensione di vecchiaia di cui la medesima dante causa aveva goduto a decorrere dal 1° agosto 1994 ai sensi della legge 5 marzo 1963, n. 389 (Istituzione della «Mutualità pensioni» a favore delle casalinghe), il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 9 dicembre 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 5, della legge n. 388 del 2000, nella parte in cui prevede che gli aumenti dei trattamenti pensionistici conseguenti alla rivalutazione dei contributi versati alla cassa «Mutualità pensioni» decorrano dal 1° gennaio 2001 e non invece dal momento iniziale di percezione del trattamento pensionistico.
Il rimettente deduce che questa Corte, con la sentenza n. 78 del 1993, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 9 della legge n. 389 del 1963 nella parte in cui non prevedeva un meccanismo di adeguamento dell’importo nominale dei contributi versati e che da tale pronuncia sarebbe derivato il diritto dell’assicurata alla rivalutazione della pensione sin dal momento della costituzione del trattamento previdenziale, cosicché la cesura temporale imposta dalla norma denunziata sarebbe irrazionale ed arbitraria e contrasterebbe con gli artt. 3 e 38 Cost., già presi in considerazione nell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale che aveva dato causa alla citata sentenza n. 78 del 1993.
Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo afferma che dal riconoscimento degli effetti della rivalutazione dei contributi anche sui ratei di pensione maturati precedentemente al gennaio 2001 scaturirebbe un credito della parte privata.
4. – L’INPS si è costituito anche in tale giudizio ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
A parere dell’ente previdenziale, l’inammissibilità della questione deriverebbe dal fatto che l’aspetto dell’omessa regolamentazione degli aumenti dei trattamenti pensionistici per il periodo anteriore al 1° gennaio 2001 dovrebbe ritenersi compreso nella questione decisa con la sentenza n. 78 del 1993, onde la Corte non potrebbe essere chiamata a pronunciarsi una seconda volta sul medesimo oggetto.
Nel merito l’INPS deduce che la norma censurata ha compiutamente attuato la sentenza n. 78 del 1993, avendo disposto la rivalutazione di tutti i contributi versati alla gestione della «Mutualità pensioni» fin dalla data dell’istituzione di quest’ultima e dunque non sussisterebbe alcuno spazio temporale in cui detta rivalutazione non debba aver luogo. Quanto, poi, alla previsione secondo la quale gli aumenti dei trattamenti pensionistici decorrerebbero dal 1° gennaio 2001, l’ente previdenziale ha sostenuto che si tratterebbe di scelta rientrante nella discrezionalità del legislatore e fondata anche su ragioni di bilancio e di contenimento della spesa pubblica alle quali non potrebbe negarsi un’importanza costituzionalmente rilevante.
5. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri che ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata per motivi analoghi a quelli dedotti dall’INPS.
Considerato in diritto
1. – La Corte di cassazione dubita, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2001), nella parte in cui, in relazione alla disposta rivalutazione dei contributi versati nell’assicurazione facoltativa di cui al Titolo IV del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155, prevede la decorrenza solo dal 1° gennaio 2001 degli aumenti dei relativi trattamenti pensionistici, anche in relazione alle situazioni giuridiche, attinenti agli arretrati pensionistici, che, alla data di entrata in vigore della legge, non erano consolidate in senso negativo per l’assicurato.
Il Tribunale di Bologna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 69, comma 5, della legge n. 388 del 2000, nella parte in cui prevede che gli aumenti dei trattamenti pensionistici conseguenti alla rivalutazione dei contributi versati alla cassa «Mutualità pensioni» di cui alla legge 5 marzo 1963, n. 389 (Istituzione della «Mutualità pensioni» a favore delle casalinghe), decorrano dal 1° gennaio 2001 e non invece dal momento iniziale di percezione del trattamento pensionistico.
A parere dei rimettenti, dalle sentenze di questa Corte n. 141 del 1989 e n. 78 del 1993, sarebbe derivato il diritto degli iscritti, rispettivamente, all’assicurazione facoltativa di cui al Titolo IV del r. d. l. n. 1827 del 1935 ed alla «Mutualità pensioni» a favore delle casalinghe, alla rivalutazione dei contributi versati ed alle conseguenti differenze sui trattamenti pensionistici sin dal momento della costituzione del trattamento pensionistico. Conseguentemente la limitazione temporale imposta dalla norma censurata, facendo venir meno diritti già riconosciuti dall’ordinamento, sarebbe irrazionale ed arbitraria e violerebbe gli artt. 3, primo comma, e 38, primo comma (per il Tribunale di Bologna) e secondo comma (ad avviso della Corte di cassazione), della Costituzione.
2. – L’analogia delle questioni prospettate rende opportuna la riunione dei giudizi al fine della loro trattazione congiunta e della loro decisione con unica pronuncia.
3. – Le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’INPS e dal Presidente del Consiglio dei ministri sono infondate.
3.1. – In particolare, l’Istituto previdenziale ha eccepito che la questione sollevata dalla Corte di cassazione sarebbe irrilevante nel giudizio a quo, promosso da un’assicurata titolare, non già di pensione di vecchiaia o di invalidità, bensì della rendita vitalizia contemplata dall’art. 91 del r. d. l. n. 1827 del 1935, prestazione liquidata dall’INPS immediatamente dopo il versamento, da parte dell’interessato, del corrispondente valore capitale e rispetto alla quale, pertanto, non potrebbe prospettarsi la questione del mancato adeguamento del valore nominale dei contributi.
Si deve però osservare che nell’ordinanza di rimessione è scritto che la parte privata ha versato presso l’assicurazione facoltativa “contributi” (cioè le somme in base alle quali sono liquidate le pensioni di vecchiaia e di invalidità) e non già il “valore capitale” necessario per la costituzione della rendita vitalizia di cui al citato art. 91.
Inoltre, nell’esporre il contenuto della sentenza d’appello impugnata per cassazione, la Corte rimettente riferisce che i giudici di secondo grado avevano condannato l’INPS al pagamento delle differenze di “pensione” (né risulta che l’ente previdenziale abbia impugnato una simile decisione).
Queste indicazioni contenute nell’atto di rimessione confermano che oggetto del giudizio a quo sia la pensione di vecchiaia, con conseguente rilevanza della rivalutazione dei contributi.
3.2. – Con riferimento alla questione proposta dal Tribunale di Bologna, l’INPS ed il Presidente del Consiglio dei ministri hanno dedotto che l’omessa previsione degli aumenti dei trattamenti pensionistici per il periodo antecedente al 1° gennaio 2001 costituirebbe una lacuna legislativa già compresa nella più ampia questione decisa con la sentenza n. 78 del 1993. La Corte, quindi, non potrebbe pronunciarsi una seconda volta sul medesimo oggetto, con conseguente inammissibilità della questione.
Simili argomentazioni non sono condivisibili.
In realtà, la citata sentenza n. 78 del 1993 ha riguardato l’art. 9 della legge n. 389 del 1963 nella parte in cui non prevedeva un meccanismo di adeguamento del valore nominale dei contributi versati nella «Mutualità pensioni» a favore delle casalinghe. Invece l’ordinanza di rimessione pronunciata dal Tribunale di Bologna investe la diversa norma espressa dall’art. 69, comma 5, della legge n. 388 del 2000, nella parte in cui disciplina gli aumenti dei trattamenti pensionistici erogati da quell’assicurazione conseguenti alla rivalutazione dei contributi. La disposizione di legge censurata dal Tribunale rimettente regola l’aspetto ora menzionato, dettando un precetto (del tutto distinto da quello espresso dall’art. 9 della legge n. 389 del 1963) che disciplina in positivo (seppur con effetti diversi) sia il periodo precedente, sia quello successivo al 1° gennaio 2001. La questione della legittimità costituzionale di tale precetto non può, quindi, essere considerata inclusa in quella decisa con la sentenza n. 78 del 1993.
4. – Nel merito le questioni non sono fondate.
Questa Corte, con la sentenza n. 141 del 1989, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, terzo comma, della legge 4 aprile 1952, n. 218 (Riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), nella parte in cui non prevede un meccanismo di adeguamento dell’importo nominale dei contributi versati nell’assicurazione facoltativa dal giorno della sua entrata in vigore in poi. Con la successiva sentenza n. 78 del 1993, la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 9 della l. n. 389 del 1963 nella parte in cui non prevede un analogo meccanismo per i contributi versati nella «Mutualità pensioni» a favore delle casalinghe.
Quelle pronunce, nel sanzionare la mancata previsione di un meccanismo di rivalutazione dei contributi, hanno enunciato un principio al quale il legislatore doveva dare concreta attuazione. Le due sentenze menzionate, tuttavia, non imponevano alcuna particolare condizione all’intervento del legislatore. Quest’ultimo, dunque, era libero di individuare, nell’ambito della ragionevolezza, il criterio di adeguamento del valore nominale dei contributi e di definire la concreta incidenza di quell’adeguamento sull’ammontare delle prestazioni erogate dalle due forme di assicurazione in oggetto.
Con l’art. 69, comma 5, della legge n. 388 del 2000, il legislatore è intervenuto disponendo, da un lato, che i contributi versati dal 1° gennaio 1952 al 31 dicembre 2000 nell’assicurazione facoltativa e dal 13 ottobre 1963 al 31 dicembre 2000 nella «Mutualità pensioni» sono rivalutati, per i periodi antecedenti la liquidazione della pensione e secondo l’anno di versamento, in base ai coefficienti utili ai fini della rivalutazione delle retribuzioni pensionabili, di cui all’art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), e, dall’altro, che gli aumenti dei relativi trattamenti pensionistici decorrono dal 1° gennaio 2001.
Orbene, la valutazione della ragionevolezza del sistema attuato dalla norma censurata deve essere operata tenendo conto del complessivo intervento del legislatore e, in questa prospettiva, la decorrenza degli incrementi dei ratei di pensione è solamente uno degli aspetti da esaminare, occorrendo prendere in considerazione anche il criterio di adeguamento del valore nominale dei contributi che è stato adottato e l’estensione temporale del periodo per il quale è stata imposta la sua applicazione.
Quanto al meccanismo di rivalutazione, l’art. 69, comma 5, della legge n. 388 del 2000 ha fatto riferimento a quello (previsto dall’art. 3 della legge n. 297 del 1982) utilizzato in generale per la rivalutazione della retribuzione sulla cui base si determina l’importo della pensione nell’assicurazione generale obbligatoria. Esso consiste nell’applicare al valore nominale dei contributi un coefficiente pari alla variazione dell’indice annuo del costo della vita registrata tra l’anno solare cui si riferisce la retribuzione e quello precedente la decorrenza della pensione. Il legislatore, dunque, ha scelto di adottare un meccanismo che realizzasse un pieno ed integrale adeguamento del valore nominale dei contributi versati all’effettivo aumento del costo della vita; ciò pur non essendo obbligato a tanto, perché, in astratto, potevano essere ritenuti ammissibili anche altri, meno favorevoli, sistemi di rivalutazione della contribuzione versata (si veda la sentenza n. 265 del 1992, secondo la quale rientra nella discrezionalità del legislatore la determinazione del sistema di indicizzazione della base di computo dei trattamenti pensionistici, non essendo vincolante l’adozione del meccanismo di cui al citato art. 3 della legge n. 297 del 1982).
Anche con riferimento al periodo di applicazione del descritto coefficiente di rivalutazione, la norma censurata ha stabilito che i contributi siano rivalutati dal giorno del loro versamento fino a quello di costituzione della pensione, adottando, così, il criterio più favorevole alle aspettative dei pensionati. Si è, in altri termini, realizzata l’integrale copertura del periodo nel corso del quale potrebbe essersi verificato l’aumento del costo della vita.
La seconda parte dell’art. 69, comma 5, della legge n. 388 del 2000 stabilisce, poi, che le modalità di rivalutazione ora illustrate si applicano anche ai contributi versati dal 1° gennaio 2001 in poi.
Le opzioni operate dal legislatore in tema di coefficiente di rivalutazione e di ambito temporale della sua applicazione sono tali, dunque, da consentire, per il futuro, la piena ed effettiva corrispondenza del valore dei contributi versati agli incrementi del costo della vita, con innegabile vantaggio per gli iscritti all’assicurazione facoltativa ed alla «Mutualità pensioni» a favore delle casalinghe, i quali vedranno il loro trattamento pensionistico liquidato sempre sulla base dell’ammontare della contribuzione rivalutata in maniera piena ed effettiva.
L’innegabile gravosità per l’erario di simili scelte e la necessità del legislatore di tener conto, anche in tema di adeguatezza dei trattamenti pensionistici, del quadro della politica economica generale e delle concrete disponibilità finanziarie (sentenza n. 226 del 1993; ordinanza n. 202 del 2006), rendono non irragionevole la fissazione alla data del 1° gennaio 2001 della decorrenza degli incrementi pensionistici, limitazione adeguatamente controbilanciata dal vantaggioso coefficiente di rivalutazione adottato e dall’estensione del periodo coperto dalla rivalutazione.
In conclusione, in relazione a sentenze (quelle n. 141 del 1989 e n. 78 del 1993) che non imponevano specifiche modalità di attuazione del principio dell’adeguamento del valore nominale dei contributi, il legislatore ha attuato una ragionevole applicazione di quel principio, prevedendo una limitazione della decorrenza degli incrementi pensionistici per i ratei de praeterito a fronte dell’introduzione di un coefficiente di rivalutazione pienamente favorevole, applicabile all’intero periodo intercorrente tra il versamento dei contributi e la costituzione della pensione e tale da assicurare ai ratei de futuro la corrispondenza tra il valore della contribuzione versata e l’incremento del costo della vita.
Dalle considerazioni svolte discende l’infondatezza delle questioni proposte dai rimettenti sia con riferimento all’art. 3, secondo comma, sia rispetto all’art. 38, Cost.
Per questi motivi
la corte costituzionale
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2001), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, primo e secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di Bologna, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 gennaio 2007.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2007.