SENTENZA N. 235
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE
SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. da
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for nature (WWF Italia)-Onlus e della Biomasse Italia S.p.a. ed altre;
udito nell’udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi gli avvocati Maria Grazia
Bottari Gentile per
Ritenuto in fatto
1. –
1.1. – Le Regioni Calabria e Puglia hanno, altresì, chiesto la sospensione dell’efficacia delle disposizioni impugnate, ai sensi dell’articolo 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come sostituito dall’articolo 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131.
2. –
2.1. – L’intera parte sesta del Codice dell’ambiente viene censurata
dalla Regione ricorrente per violazione degli articoli 76 e 77 della
Costituzione.
2.2. – Quanto alle censure riferite a singole disposizioni,
2.3. – Per questo stesso motivo
2.4. – Ad avviso della Regione Calabria sarebbe poi illegittimo l’art. 299, comma 5, del Codice dell’ambiente, secondo cui «il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con proprio decreto, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e delle attività produttive, stabilisce i criteri per le attività istruttorie volte all’accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale ai sensi del titolo III della parte sesta del presente decreto. I relativi oneri sono posti a carico del responsabile del danno». Tale disposizione violerebbe, secondo la ricorrente, il principio di leale collaborazione, «nella parte in cui esclude qualsiasi forma di intervento regionale nel procedimento di adozione del decreto ministeriale di attuazione della disciplina delle attività istruttorie volte all’accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale».
2.5. –
2.6. – Anche gli articoli 312 e 313 del Codice dell’ambiente sarebbero, ad avviso della Regione Calabria, in contrasto con il principio di leale collaborazione e con l’art. 118 Cost. Tali norme, infatti, nel disciplinare l’istruttoria del procedimento di adozione dell’ordinanza ministeriale che ingiunge il ripristino ambientale a coloro che siano risultati responsabili di un fatto che abbia causato un danno ambientale, non prevedono «alcun coinvolgimento degli enti regionali e locali».
2.7. – Infine,
2.8. – In prossimità dell’udienza,
3. –
3.1. – Secondo
3.2. – In secondo luogo,
3.3. – Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato. La difesa erariale, nell’osservare che il cosiddetto carattere trasversale della materia ambientale non impedisce allo Stato di stabilire regole omogenee per tutto il territorio nazionale, ha comunque fatto riserva di depositare memorie illustrative.
4. –
4.1. – In primo luogo,
4.2. – In secondo luogo,
4.3. – In terzo luogo, ad avviso della Regione Puglia, la definizione di
danno ambientale contenuta nell’art. 300 del Codice dell’ambiente («è danno
ambientale qualsiasi deterioramento significativo o misurabile, diretto o
indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima»)
sarebbe eccessivamente ristretta, perché riguarderebbe soltanto «situazioni già
definitivamente compromesse», escludendo invece quelle in cui «il danno non ha
ancora assunto una decisa connotazione». Da ciò conseguirebbe, secondo
4.4. – Infine,
5. – Nei giudizi instaurati dalle Regioni Piemonte e Puglia è intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)-Onlus, sostenendo la fondatezza delle questioni di legittimità costituzionali sollevate e insistendo soprattutto sugli argomenti a sostegno delle censure basate sull’art. 76 Cost.
6. – Nel giudizio instaurato dalla Regione Piemonte sono altresì
intervenute
Considerato in diritto
1. – Le Regioni Calabria (ric. n. 68 del 2006), Piemonte (ric. n. 70 del 2006) e Puglia (ric. n. 76 del 2006) hanno impugnato, fra l’altro, l’intera parte sesta (artt. 299-318 e allegati I-V) e, in particolare, gli artt. 299, commi 2 e 5, 300, 301, 304, 305, 306, 308, 309, comma 1, 311, 312, 313, 314 e 315 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale – d’ora in avanti «Codice dell’ambiente»), per violazione degli artt. 3, 5, 24, 76, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.
In particolare,
Le Regioni Calabria e Puglia hanno altresì chiesto la sospensione dell’efficacia delle disposizioni impugnate.
In ragione della loro connessione oggettiva, i ricorsi devono essere riuniti per essere decisi con una unica pronuncia.
2. – Riservata ad altre pronunce la decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate con i medesimi ricorsi, occorre premettere che questa Corte, con la sentenza n. 225 del 2009 ha ritenuto in parte inammissibili e in parte non fondate le questioni sollevate dalle stesse Regioni relativamente alla dedotta illegittimità costituzionale dell’intero testo del Codice dell’ambiente.
Con la stessa sentenza – cui ci si uniforma in questa sede - sono stati, altresì, dichiarati inammissibili gli interventi in giudizio dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)-Onlus, nonché della Biomasse Italia s.p.a., della Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET S.r.l., della Ital Green Energy S.r.l. e della E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a, in applicazione dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui il giudizio di legittimità costituzionale in via principale si svolge «esclusivamente fra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale potestà i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale» (da ultimo sentenza n. 405 del 2008).
3. – Ciò premesso, dal momento che varie Regioni hanno impugnato le medesime norme, è conveniente muovere dalle censure riferite all’intera parte sesta del Codice dell’ambiente e, poi, esaminare le ulteriori doglianze nella successione numerica delle disposizioni cui esse si riferiscono.
4. –
4.1. – In primo luogo,
La questione è inammissibile.
La ricorrente non ha indicato una lesione delle competenze ad essa
costituzionalmente attribuite che discenda direttamente dall’asserito vizio di
eccesso di delega. Di conseguenza,
4.2. – In secondo luogo,
La questione non è fondata.
A prescindere dalla circostanza che, anche in questo caso, la violazione dei criteri di delega, dedotta dalla ricorrente, non si traduce in una diretta lesione delle sue competenze, deve comunque escludersi che la delega successiva, contenuta nella legge n. 62 del 2005 e relativa all’attuazione di una ampia serie di direttive comunitarie in diverse materie, abbia tacitamente abrogato la delega precedente, conferita, invece, nella specifica materia ambientale, dalla legge n. 308 del 2004. Inoltre, la legge delega n. 62 del 2005 è diversa dalla legge delega n. 308 del 2004, che non richiede solo l’attuazione del diritto comunitario, ma anche il suo coordinamento nell’ambito della legislazione ambientale. Né si può dire che i criteri della legge n. 62 del 2005 ne restringano la portata.
5. –
5.1. – Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 3, 5, 119 e 120 Cost., la ricorrente non svolge alcuna argomentazione, con conseguente inammissibilità delle questioni sollevate.
5.2. – Con riferimento alla asserita violazione dell’art. 76 Cost., ad
avviso della ricorrente, le norme censurate si porrebbero in contrasto con la
legge delega, da un lato, perché introdurrebbero una disciplina «innovativa» in
attuazione di una delega concessa a soli fini di riordino e coordinamento
normativo e, dall’altro lato, perché tale disciplina, «caratterizzata da uno
sforzo di specificazione e di minuto dettaglio», finirebbe per produrre
«limitazione e difficoltà nell’espletamento dell’attività di prevenzione e
riparazione del danno ambientale anziché rafforzamento della stessa», non
corrispondendo così alle indicazioni della legge delega e in particolare al
criterio previsto dall’art. 1, comma 9, lettera e), della legge n. 308 del 2004 («conseguire l’effettività delle
sanzioni amministrative per danno ambientale mediante l’adeguamento delle
procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le procedure
relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire l’efficacia delle
prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del danno; definire le
modalità di quantificazione del danno»).
La questione è inammissibile.
Innanzitutto, la ricorrente si è limitata a dedurre il vizio di eccesso di delega, senza fornire alcuna dimostrazione in ordine alla incidenza che esso avrebbe sulle proprie competenze costituzionalmente garantite. Inoltre, la censura è generica, atteso che la ricorrente impugna l’intera disciplina della parte sesta del Codice dell’ambiente senza indicare, in particolare, quali norme della stessa, e per quali ragioni, determinerebbero una riduzione del livello di tutela ambientale in contrasto con i principi della legge delega.
5.3. – Con riferimento, infine, agli altri parametri costituzionali asseritamente violati,
La questione è inammissibile a causa della genericità delle censure prospettate.
La ricorrente impugna, infatti, una pluralità di disposizioni legislative diverse tra loro, in relazione a molteplici parametri costituzionali, omettendo di distinguere e precisare, con riferimento a ciascuna singola norma o gruppo omogeneo di norme, quali siano i parametri violati e quali siano i motivi che sorreggono le diverse censure prospettate in relazione a ciascun parametro.
6. – Le Regioni Calabria e Puglia hanno impugnato l’art. 299, comma 5, del Codice dell’ambiente, in base al quale «il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con proprio decreto, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e delle attività produttive, stabilisce i criteri per le attività istruttorie volte all’accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale».
Secondo le ricorrenti, tale disposizione, nella parte in cui esclude, nel
procedimento di adozione del decreto ministeriale, «qualsiasi forma di
intervento regionale» (Regione Calabria) e, in particolare, la previa intesa,
da ritenersi invece necessaria «in considerazione della interferenza di tale
disciplina con funzioni e compiti» svolti in materia dalle Regioni (Regione
Puglia), si porrebbe in contrasto, secondo
Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 76 e 118 Cost. la questione è inammissibile, non essendo svolta, in relazione a tali parametri, alcuna argomentazione da parte della ricorrente.
Con riferimento, invece, alla asserita violazione dell’art. 117 Cost. e del principio di leale collaborazione, la questione non è fondata.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire la natura dei rapporti che intercorrono fra la competenza legislativa esclusiva statale nella materia «tutela dell’ambiente» (nella quale certamente rientra il danno ambientale) e le competenze legislative regionali in altre materie, su cui la disciplina statale ambientale può incidere (sentenze n. 61 e n. 12 del 2009). Al riguardo, è stato precisato che «la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente [..] deve garantire un elevato livello di tutela, come tale inderogabile dalle altre discipline di settore». La suddetta normativa, pertanto, «rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni [..] in materie di competenza propria, che riguardano l’utilizzazione dell’ambiente e, quindi, altri interessi». Da ciò consegue che la disciplina statale di tutela dell’ambiente rappresenta «un limite alla disciplina che le Regioni [..] dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevate [..]» nell’esercizio di competenze loro proprie. Secondo tale giurisprudenza costituzionale, quindi, lo Stato detta, in materia di tutela dell’ambiente, una disciplina inderogabile in pejus, che si impone all’autonomia delle Regioni e le vincola, anche quando esse esercitino la potestà legislativa loro riconosciuta dalla Costituzione in altre materie. Tale ricostruzione del rapporto fra i due ordini di potestà legislative in termini di «prevalenza» della disciplina ambientale statale su quella dettata dalle Regioni in materie di loro competenza (nel senso che la tutela dell’ambiente è un presupposto della sua fruizione) non consente pertanto di ravvisare, in particolare nella specifica materia del danno ambientale, una «interferenza» fra competenze, che invece costituisce il presupposto dell’applicazione del principio di leale collaborazione e, quindi, anche il fondamento delle censure in esame.
7. – Le Regioni Calabria e Puglia hanno impugnato l’art. 299, comma 2, del Codice dell’ambiente, in base al quale «l’azione ministeriale si svolge normalmente in collaborazione con le Regioni, con gli enti locali e con qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo».
Entrambe le ricorrenti contestano, innanzitutto, l’espressione
«normalmente», utilizzata dal legislatore. Essa consentirebbe, infatti, «di
eludere l’esigenza che pure nella disposizione viene affermata», in violazione
del principio di leale collaborazione (Regione Calabria) e lascerebbe presumere
che la collaborazione in essa menzionata non sia obbligatoria, con ciò
ponendosi in contrasto con gli artt. 76, 117 e 118 Cost. (Regione Puglia). La
sola Regione Calabria ritiene, inoltre, che la censurata disposizione si ponga
in contrasto anche con gli artt. 114 e 118 Cost., in quanto essa svilirebbe la
posizione degli enti territoriali dotati di autonomia, ponendoli sullo stesso
piano di «qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo».
La questione è inammissibile, in quanto la norma censurata è inidonea a ledere le competenze regionali.
In primo luogo, la disposizione impugnata, in una materia nella quale non trova applicazione, per le ragioni in precedenza esplicitate (sub 6), il principio di leale collaborazione, prevede che l’azione ministeriale debba normalmente svolgersi nel rispetto di tale principio, con ciò ampliando e non limitando le competenze delle Regioni. In secondo luogo, la circostanza che il principio cooperativo, oltre che agli enti territoriali, venga riferito anche ad altri soggetti, non è suscettibile di tradursi in una lesione sostanziale delle prerogative delle Regioni, che non ricaverebbero pertanto alcuna utilità concreta dalla eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata.
8. –
La questione è inammissibile.
La ricorrente non illustra, se non in termini del tutto generici, in che modo la definizione, più ampia o più ristretta, di danno ambientale possa incidere direttamente sulla sfera di competenze ad essa attribuite dalla Costituzione.
9. –
Ad avviso della ricorrente, tale disciplina, in quanto attribuisce al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio «il potere di ordinare interventi incidenti direttamente sul territorio, senza neppure consultare gli enti territoriali interessati», violerebbe, da un lato, il principio di leale collaborazione e, dall’altro lato, l’art. 118 Cost.
La questione non è fondata.
In primo luogo, quanto all’asserita violazione del principio di leale collaborazione, si è già chiarito in precedenza (sub 6) che la prevalenza della disciplina statale in materia di tutela dell’ambiente sulla disciplina dettata dalle Regioni, in materie di loro competenza, in ordine all’uso o alla fruizione dell’ambiente stesso, non consente di ravvisare, in particolare nella specifica materia del danno ambientale, il presupposto dell’applicazione del principio di leale collaborazione, cioè la «interferenza» fra competenze legislative statali e regionali.
La circostanza che lo Stato non sia obbligato ad allocare le funzioni amministrative di prevenzione e riparazione del danno ambientale secondo moduli collaborativi non esclude, peraltro, che il contenuto della scelta allocativa compiuta dal legislatore statale possa essere censurato dalla Regione ricorrente in relazione al diverso parametro rappresentato dall’art. 118 Cost. Quest’ultimo, infatti, nel vincolare naturalmente anche le scelte allocative compiute in sede di esercizio della potestà legislativa esclusiva dello Stato, esprime un criterio di preferenza a favore del livello amministrativo più vicino ai cittadini, al quale può derogarsi solo in presenza di esigenze di esercizio unitario, che giustifichino l’attribuzione della competenza all’amministrazione statale. Nel caso in esame, la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale.
10. –
Secondo
La questione non è fondata.
Circa la dedotta violazione dell’art. 117 Cost., è sufficiente ribadire quanto già affermato in precedenza (sub 6) e cioè che in materia di danno ambientale non può sussistere alcuna «interferenza» fra competenza legislativa statale e regionale, attesa la prevalenza della prima, finalizzata alla tutela dell’ambiente, sulla seconda, che inerisce invece all’uso e alla fruizione del bene ambiente. Né rileva l’asserito «ambito di operatività eccessivo» della disciplina statale, dal momento che, vertendosi in una materia di esclusiva competenza dello Stato, non viene in rilievo la dicotomia norme di principio – norme di dettaglio.
Con riferimento alla asserita violazione dell’art. 118 Cost., per le ragioni in precedenza illustrate (sub 9), deve ritenersi che la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative relative al ripristino ambientale trovi una ragionevole giustificazione nell’esigenza di assicurare che lo svolgimento di esse risponda a criteri di uniformità e unitarietà.
Tale scelta, pertanto, non si pone in contrasto con i principi di sussidiarietà e differenziazione dettati dall’art. 118 Cost., né viola la legge delega che quei principi richiama, con conseguente infondatezza anche della questione riferita all’art. 76 Cost.
11. –
Secondo la ricorrente, tale disposizione, nell’attribuire la predetta
facoltà, oltre che alle Regioni e agli enti locali, anche alle «persone fisiche
o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che
vantino un interesse legittimante la partecipazione al procedimento relativo
all’adozione delle misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino», si
porrebbe in contrasto con gli artt. 114 e 118 Cost., in quanto svilirebbe la
posizione degli enti territoriali dotati di autonomia, ponendoli sullo stesso
piano degli altri soggetti cui è riconosciuto un identico potere di
sollecitazione dell’intervento ministeriale.
La questione è inammissibile, in quanto la norma censurata è inidonea a ledere le competenze regionali.
La circostanza che il potere di sollecitazione dell’esercizio dei poteri ministeriali, oltre che agli enti territoriali, sia riconosciuto anche ad altri soggetti non è suscettibile di tradursi in una lesione sostanziale delle prerogative della Regione ricorrente, la quale non ricaverebbe, pertanto, alcuna utilità concreta dalla eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata.
12. –
Ad avviso della ricorrente, la norma censurata, non riconoscendo alle Regioni la legittimazione a ricorrere per il risarcimento del danno ambientale, nonostante l’indubbia incidenza dell’illecito perpetrato sul loro territorio e sulle attività che le Regioni stesse sono chiamate a disciplinare e porre in essere, violerebbe gli artt. 24, 114 e 118 Cost.
Va preliminarmente rilevato che, in base alla disciplina del Codice dell’ambiente, è pacifico, da un lato, che il risarcimento per equivalente patrimoniale è comunque dovuto allo Stato (le relative somme sono versate in entrata del bilancio dello Stato e confluiscono in un apposito fondo di rotazione istituito nell’ambito dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio) e, dall’altro lato, che le Regioni hanno diritto, oltre che di agire in giudizio in qualità di soggetti danneggiati nei beni di loro proprietà dal fatto produttivo di danno ambientale (art. 313, comma 7), anche di ricorrere al giudice amministrativo per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte dell’amministrazione statale, delle misure di precauzione, prevenzione o contenimento del danno ambientale (art. 310, comma 1). Quanto, invece, alla legittimazione delle Regioni e degli enti locali a proporre l’azione risarcitoria per danno ambientale, va osservato che la disposizione impugnata, nel regolare in termini di alternatività il rapporto fra i due strumenti (amministrativo e giurisdizionale) con i quali l’amministrazione statale può reagire al danno ambientale, non riconosce tale legittimazione, ma neppure la esclude in modo esplicito.
A prescindere da tali circostanze, la questione deve comunque essere dichiarata inammissibile.
Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 118 Cost., la questione è inammissibile per inconferenza del parametro evocato. L’art. 118 Cost., infatti, regola il riparto della funzione amministrativa fra i diversi livelli di governo, mentre la legittimazione ad agire in sede giurisdizionale, da un lato, non costituisce una funzione amministrativa e, dall’altro lato, non risponde alla logica del riparto, dal momento che il riconoscimento della legittimazione dello Stato non esclude quella delle Regioni, e viceversa.
Con riferimento alla asserita lesione dell’art. 24 Cost., la questione è inammissibile perché la ricorrente deduce la violazione di un parametro costituzionale diverso da quelli ricavabili dal titolo V della parte seconda della Costituzione, senza illustrare come da tale violazione possa derivare una menomazione delle proprie competenze legislative, amministrative o finanziarie.
Con riferimento, infine, alla violazione dell’art. 114 Cost., la questione è inammissibile per genericità della censura, atteso che la ricorrente non svolge alcuna argomentazione a sostegno dell’asserita violazione dello specifico parametro costituzionale invocato.
13. –
La ricorrente lamenta la violazione del principio di leale collaborazione
e dell’art. 118 Cost., in quanto le norme censurate non prevedono «alcun
coinvolgimento degli enti regionali e locali» nel procedimento per l’emanazione
dell’ordinanza ministeriale che ingiunge il ripristino ambientale.
La questione non è fondata.
E’ sufficiente ripetere, con riferimento ad entrambi i profili di censura, quanto in precedenza affermato: da un lato, non è rinvenibile, in tema di danno ambientale, alcuna «interferenza» fra competenze legislative che imponga l’applicazione dell’asseritamente violato principio di leale collaborazione (sub 6); dall’altro lato, la scelta legislativa di attribuire all’amministrazione statale, anziché alle diverse amministrazioni regionali, il potere di adottare l’ordinanza che ingiunge al responsabile del danno ambientale il risarcimento trova una ragionevole giustificazione nell’esigenza di assicurare che tale speciale potere amministrativo venga esercitato secondo criteri di uniformità e unitarietà (sub 9).
14 – Avendo
Per questi motivi
riuniti i giudizi;
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse, nei confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) dalle Regioni Calabria, Piemonte e Puglia;
dichiara inammissibili gli interventi rispettivamente spiegati dall’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)-Onlus nei giudizi instaurati dalle Regioni Piemonte e Puglia e dalla Biomasse Italia s.p.a., dalla Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET S.r.l., dalla Ital Green Energy S.r.l. nonché dalla E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a. nel giudizio instaurato dalla Regione Piemonte;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’intera parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dei relativi allegati proposta, in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. e alla legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’intera parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006, con particolare riferimento agli artt. 301, 304, 305, 306, 308, 311, 312, 313, 314 e 315, proposta dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe, in relazione agli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonché ai principi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della pubblica amministrazione anche sotto l’aspetto della violazione di principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali;
dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 5, del decreto legislativo n.
152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 76 e 118 Cost., dalla Regione
Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 114 e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria e, in relazione agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 300 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 309, comma 1, del decreto legislativo n.
152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 114 e 118 Cost., dalla Regione
Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 311 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 24, 114 e 118 Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’intera parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dei relativi allegati proposta, in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. e alla legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione all’art. 117 e al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 304, comma 3; 305, comma 2, e 306, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione al principio di leale collaborazione e all’art. 118 Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 306, commi 1, 2 e 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 312 e 313 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione al principio di leale collaborazione e all’art. 118 Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2009.