Sentenza n. 235 del 2009

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SENTENZA N. 235

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco                 AMIRANTE               Presidente

- Ugo                                 DE SIERVO                        Giudice

- Paolo                        MADDALENA                   "

- Alfio                        FINOCCHIARO                 "

- Alfonso                    QUARANTA                      "

- Franco                      GALLO                             "

- Luigi                        MAZZELLA                      "

- Gaetano                    SILVESTRI                       "

- Sabino                      CASSESE                          "

- Maria Rita                SAULLE                            "

- Giuseppe                  TESAURO                         "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                  "

- Giuseppe                  FRIGO                               "

- Alessandro               CRISCUOLO                     "

- Paolo                        GROSSI                             "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. da 299 a 318 nonché degli allegati dal I al V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni Calabria, Piemonte e Puglia con ricorsi rispettivamente notificati l’8, il 21-27 ed il 13 giugno 2006, depositati in cancelleria il 10, il 15 ed il 20 giugno 2006, ed iscritti ai nn. 68, 70 e 76 del registro ricorsi 2006.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for nature (WWF Italia)-Onlus e della Biomasse Italia S.p.a. ed altre;

udito nell’udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Fabio Lorenzoni per la Regione Piemonte, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Alessandro Giadrossi per l’Associazione italiana per il World Wide Fund for nature (WWF Italia)-Onlus e gli avvocati dello Stato Fabrizio Fedeli e Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La Regione Calabria, con ricorso n. 68 del 2006, la Regione Piemonte, con ricorso n. 70 del 2006 e la Regione Puglia, con ricorso n. 76 del 2006, hanno impugnato, fra l’altro, l’intero testo della parte sesta (artt. 299-318 e allegati I-V) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale – d’ora in avanti «Codice dell’ambiente»), nonché singole disposizioni in essa contenute, cioè, in particolare, gli artt. 299, commi 2 e 5, 300, 301, 304, 305, 306, 308, 309, comma 1, 311, 312, 313, 314 e 315, per violazione degli artt. 3, 5, 24, 76, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.

1.1. – Le Regioni Calabria e Puglia hanno, altresì, chiesto la sospensione dell’efficacia delle disposizioni impugnate, ai sensi dell’articolo 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come sostituito dall’articolo 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131.

2. – La Regione Calabria impugna l’intera parte sesta del Codice dell’ambiente, con i relativi allegati, nonché, specificamente, gli artt. 299, commi 2 e 5, 304, comma 3, 305, comma 2, 306, comma 2, 309, comma 1, 311, 312 e 313.

2.1. – L’intera parte sesta del Codice dell’ambiente viene censurata dalla Regione ricorrente per violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione. La Regione Calabria asserisce, da un lato, che la direttiva 2004/35/CE, di cui le norme contenute nella predetta parte sesta del decreto impugnato costituirebbero attuazione, non è contemplata fra quelle per l’attuazione delle quali la legge 15 dicembre 2004, n. 308 ha conferito la delega al Governo. Dall’altro lato, la Regione ricorrente sostiene che il decreto impugnato è stato approvato senza rispettare alcune prescrizioni della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), che invece delega espressamente il Governo ad attuare la direttiva 2004/35/CE. In particolare, il procedimento di approvazione del decreto impugnato si sarebbe in primo luogo discostato, quanto ai soggetti proponenti, dalla previsione di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 62 del 2005, secondo la quale i decreti legislativi devono essere adottati «su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva». In secondo luogo, il decreto impugnato sarebbe stato approvato senza rispettare l’art. 1, comma 4, della legge n. 62 del 2005, secondo cui gli schemi di decreti legislativi devono essere «corredati della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni» e su di essi deve essere «richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari». Infine, il decreto impugnato non avrebbe rispettato l’art. 1, comma 6, della legge n. 62 del 2005, il quale, per garantire il potere delle Regioni di provvedere, nelle materie di loro competenza, all’attuazione degli atti dell’Unione europea, stabilisce che i decreti legislativi, eventualmente adottati in tali materie, recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi contenute ed entrano in vigore, per le Regioni nelle quali non sia ancora vigente la rispettiva disciplina di attuazione, alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria, perdendo comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna Regione nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e, nelle materie di competenza concorrente, dei principi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato.

2.2. – Quanto alle censure riferite a singole disposizioni, la Regione Calabria censura, in primo luogo, l’art. 299, comma 2, del Codice dell’ambiente, in base al quale l’azione ministeriale, relativa all’esercizio delle funzioni e dei compiti spettanti allo Stato in materia di tutela, prevenzione e riparazione dei danni all’ambiente, «si svolge normalmente in collaborazione con le regioni, con gli enti locali e con qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo». Secondo la ricorrente, l’espressione «normalmente», utilizzata dal legislatore, sarebbe lesiva del principio di leale cooperazione, perché «consente di eludere l’esigenza che pure nella disposizione viene affermata». Inoltre, lo svilimento della posizione degli enti territoriali dotati di autonomia, posti dalla disposizione censurata sullo stesso piano di «qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo», violerebbe gli articoli 114 e 118 della Costituzione.

2.3. – Per questo stesso motivo la Regione Calabria censura anche l’art. 309, comma 1, del Codice dell’ambiente, che, ai fini della legittimazione a richiedere l’intervento statale in caso di danno ambientale, equipara la posizione delle Regioni a quella di altre «persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale».

2.4. – Ad avviso della Regione Calabria sarebbe poi illegittimo l’art. 299, comma 5, del Codice dell’ambiente, secondo cui «il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con proprio decreto, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e delle attività produttive, stabilisce i criteri per le attività istruttorie volte all’accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale ai sensi del titolo III della parte sesta del presente decreto. I relativi oneri sono posti a carico del responsabile del danno». Tale disposizione violerebbe, secondo la ricorrente, il principio di leale collaborazione, «nella parte in cui esclude qualsiasi forma di intervento regionale nel procedimento di adozione del decreto ministeriale di attuazione della disciplina delle attività istruttorie volte all’accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale».

2.5. – La Regione Calabria afferma ancora l’illegittimità costituzionale degli articoli 304, comma 3, 305, comma 2, e 306, comma 2, del Codice dell’ambiente. La prima disposizione (art. 304, comma 3) attribuisce al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, in caso di minaccia imminente di danno ambientale, la facoltà di chiedere all’operatore interessato di fornire informazioni sulla minaccia, di ordinargli di adottare le specifiche misure di prevenzione considerate necessarie, nonché di adottare direttamente le suddette misure di prevenzione. La seconda disposizione (art. 305, comma 2) attribuisce al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, nell’ipotesi in cui si sia già verificato un danno ambientale, le facoltà: di chiedere all’operatore interessato informazioni sul danno e sulle misure da lui adottate; di adottare, o ordinare all’operatore di adottare, tutte le iniziative opportune per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi; di ordinare all’operatore di prendere, o di adottare direttamente, le misure di ripristino necessarie. La terza disposizione (art. 306, comma 2), infine, attribuisce al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, a meno che questi non abbia già adottato misure urgenti in base alla disposizione in precedenza richiamata, il potere di decidere quali misure di ripristino attuare, in modo da garantire, ove possibile, il conseguimento del completo ripristino ambientale, valutando anche l’opportunità di addivenire ad un accordo con l’operatore interessato. Ciascuna di queste disposizioni, secondo la Regione Calabria, violerebbe l’art. 118 Cost. e il principio di leale collaborazione, nella parte relativa all’attribuzione al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio del «potere di ordinare interventi incidenti direttamente sul territorio, senza neppure consultare gli enti territoriali interessati».

2.6. – Anche gli articoli 312 e 313 del Codice dell’ambiente sarebbero, ad avviso della Regione Calabria, in contrasto con il principio di leale collaborazione e con l’art. 118 Cost. Tali norme, infatti, nel disciplinare l’istruttoria del procedimento di adozione dell’ordinanza ministeriale che ingiunge il ripristino ambientale a coloro che siano risultati responsabili di un fatto che abbia causato un danno ambientale, non prevedono «alcun coinvolgimento degli enti regionali e locali».

2.7. – Infine, la Regione Calabria censura l’articolo 311 del Codice dell’ambiente, a mente del quale «il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto». Tale disposizione, secondo la ricorrente, confliggerebbe con gli articoli 24, 114 e 118 Cost., in quanto non riconosce alle Regioni la legittimazione a ricorrere per il risarcimento del danno ambientale, nonostante l’indubbia incidenza dell’illecito perpetrato sul loro territorio e sulle attività che le Regioni stesse sono chiamate a disciplinare e porre in essere.

2.8. – In prossimità dell’udienza, la Regione Calabria ha depositato una memoria con la quale ha insistito nelle censure proposte e ha argomentato circa la loro perdurante attualità, anche a seguito delle modifiche apportate al d.lgs. n. 152 del 2006 dopo la sua emanazione, che peraltro non hanno riguardato le previsioni della parte sesta.

3. – La Regione Piemonte, sebbene con censure che menzionano in particolare talune disposizioni, impugna nel suo complesso l’intera disciplina della parte sesta del Codice dell’ambiente, deducendo la «violazione degli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.», nonché «dei principi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della pubblica amministrazione anche sotto l’aspetto della violazione di principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali».

3.1. – Secondo la Regione Piemonte, innanzitutto, le «notevoli innovazioni» introdotte dal decreto impugnato non corrispondono alle indicazioni della legge delega e, in particolare, al criterio direttivo relativo al coordinamento normativo per «conseguire l’effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante l’adeguamento delle procedure di irrogazione delle medesime, rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino al fine di garantire l’efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del danno, definire le modalità di quantificazione del danno». La nuova disciplina dettata in materia dal decreto impugnato, e segnatamente quella di cui agli articoli 308, 313, 314 e 315, è infatti caratterizzata, ad avviso della Regione ricorrente, da uno «sforzo di specificazione e di minuto dettaglio anche operativo» tale da produrre «limitazione e difficoltà nell’espletamento dell’attività di prevenzione e riparazione del danno ambientale anziché rafforzamento della stessa». Inoltre, le nuove procedure per l’attuazione degli interventi ripristinatori o per il risarcimento per equivalente «appaiono dirette a circoscrivere anziché ad ampliare e rafforzare strumenti, modi e tempi dell’azione pubblica di tutela».

3.2. – In secondo luogo, la Regione Piemonte sostiene che la disciplina impugnata, nel riservare in capo allo Stato, senza alcuna forma di partecipazione delle amministrazioni territorialmente interessate, ogni potere di intervento amministrativo (articoli 301, 304, 305, 306 e 308), nonché l’azione risarcitoria (articoli 311, 312, 313, 314 e 315), esclude l’apporto delle Regioni ed amministrazioni locali, previsto invece dalla previgente normativa, in ordine agli interventi di prevenzione e riparazione del danno ambientale. Ciò sarebbe in contrasto, secondo la ricorrente, oltre che con le previsioni della legge di delega, anche con il ruolo istituzionale degli enti territoriali e l’assetto delle loro competenze, quali risultano dagli articoli 114, 117 e 118 Cost. Risulterebbero, inoltre, violati i principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza, leale cooperazione, ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione, atteso che la concentrazione delle funzioni amministrative in sede ministeriale, a prescindere da ogni criterio di rilevanza e dimensione territoriale del problema, determinerebbe, secondo la Regione Piemonte, «difficoltà e rallentamento nell’azione pubblica di tutela dell’ambiente».

3.3. – Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato. La difesa erariale, nell’osservare che il cosiddetto carattere trasversale della materia ambientale non impedisce allo Stato di stabilire regole omogenee per tutto il territorio nazionale, ha comunque fatto riserva di depositare memorie illustrative.

4. – La Regione Puglia afferma l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli articoli 76, 117 e 118 Cost., di alcune specifiche norme contenute nella parte sesta del Codice dell’ambiente.

4.1. – In primo luogo, la Regione Puglia censura l’art. 299, comma 2, del Codice dell’ambiente, in quanto tale norma, nel disporre che «l’azione ministeriale si svolge normalmente in collaborazione con le Regioni, con gli enti locali e con qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo», lascerebbe presumere che tale collaborazione non sia obbligatoria, con ciò ponendosi in contrasto con gli artt. 76, 117 e 118 Cost.

4.2. – In secondo luogo, la Regione Puglia impugna l’art. 299, comma 5, del Codice dell’ambiente, in quanto tale disposizione, anche in questo caso in contrasto con gli artt. 76, 117 e 118 Cost., demanda la definizione dei «criteri per le attività istruttorie volte all’accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale» ad un decreto ministeriale adottato senza la previa intesa con le Regioni, che dovrebbe invece ritenersi necessaria «in considerazione della interferenza di tale disciplina con funzioni e compiti» svolti in materia dalle Regioni.

4.3. – In terzo luogo, ad avviso della Regione Puglia, la definizione di danno ambientale contenuta nell’art. 300 del Codice dell’ambiente («è danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo o misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima») sarebbe eccessivamente ristretta, perché riguarderebbe soltanto «situazioni già definitivamente compromesse», escludendo invece quelle in cui «il danno non ha ancora assunto una decisa connotazione». Da ciò conseguirebbe, secondo la Regione ricorrente, il rischio che siano escluse dall’azione di risarcimento fattispecie dannose la cui valutazione potrebbe, invece, avvenire anzitempo e tempestivamente in sede regionale, con conseguente ulteriore violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost.

4.4. – Infine, la Regione Puglia afferma che l’attribuzione al Ministero dell’ambiente – ai sensi dell’articolo 306, commi 1, 2 e 5, del Codice dell’ambiente – di tutte le funzioni relative alle misure di ripristino ambientale sia eccessiva e non giustificata dall’esigenza di una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale. Tale attribuzione si porrebbe quindi in contrasto sia con l’art. 117 della Costituzione, atteso che la competenza legislativa statale in materia di danno ambientale si intreccia con quella regionale in materia di tutela della salute, governo del territorio e valorizzazione dei beni ambientali, sia con i principi di sussidiarietà e differenziazione dettati dall’art. 118 Cost. e richiamati dalla legge delega, donde una violazione anche dell’art. 76 Cost. Tali principi impongono, secondo la Regione ricorrente, che l’attribuzione allo Stato di funzioni amministrative avvenga sempre e comunque con la collaborazione delle Regioni interessate, le cui prerogative sono state invece compresse dalla disposizione censurata, anche in contrasto con le indicazioni della legge delega.

5. – Nei giudizi instaurati dalle Regioni Piemonte e Puglia è intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)-Onlus, sostenendo la fondatezza delle questioni di legittimità costituzionali sollevate e insistendo soprattutto sugli argomenti a sostegno delle censure basate sull’art. 76 Cost.

6. – Nel giudizio instaurato dalla Regione Piemonte sono altresì intervenute la Biomasse Italia s.p.a., la Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET S.r.l., la Ital Green Energy S.r.l. e la E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, comunque, non fondato, senza peraltro svolgere alcuna argomentazione relativa specificamente alle disposizioni della parte sesta del Codice dell’ambiente.

Considerato in diritto

1. – Le Regioni Calabria (ric. n. 68 del 2006), Piemonte (ric. n. 70 del 2006) e Puglia (ric. n. 76 del 2006) hanno impugnato, fra l’altro, l’intera parte sesta (artt. 299-318 e allegati I-V) e, in particolare, gli artt. 299, commi 2 e 5, 300, 301, 304, 305, 306, 308, 309, comma 1, 311, 312, 313, 314 e 315 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale – d’ora in avanti «Codice dell’ambiente»), per violazione degli artt. 3, 5, 24, 76, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.

In particolare, la Regione Calabria ha impugnato l’intera parte sesta del Codice dell’ambiente, con i relativi allegati, e, separatamente, le seguenti disposizioni singolarmente considerate: artt. 299, commi 2 e 5, 304, comma 3, 305, comma 2, 306, comma 2, 309, comma 1, 311, 312, 313; la Regione Piemonte ha impugnato l’intera parte sesta del Codice dell’ambiente, riferendo le censure in particolare alle seguenti disposizioni: artt. 301, 304, 305, 306, 308, 311, 312, 313, 314 e 315; la Regione Puglia, infine, ha impugnato esclusivamente le seguenti specifiche disposizioni del Codice dell’ambiente: artt. 299, commi 2 e 5, 300 e 306, commi 1, 2 e 5.

Le Regioni Calabria e Puglia hanno altresì chiesto la sospensione dell’efficacia delle disposizioni impugnate.

In ragione della loro connessione oggettiva, i ricorsi devono essere riuniti per essere decisi con una unica pronuncia.

2. – Riservata ad altre pronunce la decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate con i medesimi ricorsi, occorre premettere che questa Corte, con la sentenza n. 225 del 2009 ha ritenuto in parte inammissibili e in parte non fondate le questioni sollevate dalle stesse Regioni relativamente alla dedotta illegittimità costituzionale dell’intero testo del Codice dell’ambiente.

Con la stessa sentenza – cui ci si uniforma in questa sede - sono stati, altresì, dichiarati inammissibili gli interventi in giudizio dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)-Onlus, nonché della Biomasse Italia s.p.a., della Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET S.r.l., della Ital Green Energy S.r.l. e della E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a, in applicazione dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui il giudizio di legittimità costituzionale in via principale si svolge «esclusivamente fra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale potestà i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale» (da ultimo sentenza n. 405 del 2008).

3. – Ciò premesso, dal momento che varie Regioni hanno impugnato le medesime norme, è conveniente muovere dalle censure riferite all’intera parte sesta del Codice dell’ambiente e, poi, esaminare le ulteriori doglianze nella successione numerica delle disposizioni cui esse si riferiscono.

4. – La Regione Calabria ha impugnato, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., l’intera parte sesta del Codice dell’ambiente.

4.1. – In primo luogo, la Regione Calabria sostiene che la disciplina censurata sia attuativa di una specifica direttiva comunitaria (direttiva 2004/35/CE «sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale»), la quale non è contemplata fra quelle per la cui attuazione è stata conferita delega al Governo da parte della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione).

La questione è inammissibile.

La ricorrente non ha indicato una lesione delle competenze ad essa costituzionalmente attribuite che discenda direttamente dall’asserito vizio di eccesso di delega. Di conseguenza, la Regione non può ritenersi legittimata a denunciare il dedotto vizio. D’altro canto, nell’obbligo di attuare tutte le direttive comunitarie, sancito dai criteri direttivi, rientra implicitamente anche la direttiva in questione.

4.2. – In secondo luogo, la Regione Calabria rileva che la legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), nel delegare il Governo all’attuazione della citata direttiva 2004/35/CE, ha previsto un procedimento di approvazione del relativo decreto attuativo diverso da quello prefigurato dalla legge n. 308 del 2004 e in concreto osservato per l’approvazione del decreto legislativo che ha introdotto il censurato Codice dell’ambiente. Quest’ultimo, di conseguenza, sarebbe, ad avviso della ricorrente, illegittimo, in quanto adottato senza rispettare i criteri previsti dalla delega contenuta nella legge n. 62 del 2005, che, in quanto norma successiva, avrebbe abrogato la precedente delega contenuta nella legge n. 308 del 2004. In particolare, il decreto censurato sarebbe stato adottato senza rispettare l’art. 1, commi 2, 4 e 6, della legge n. 62 del 2005.

La questione non è fondata.

A prescindere dalla circostanza che, anche in questo caso, la violazione dei criteri di delega, dedotta dalla ricorrente, non si traduce in una diretta lesione delle sue competenze, deve comunque escludersi che la delega successiva, contenuta nella legge n. 62 del 2005 e relativa all’attuazione di una ampia serie di direttive comunitarie in diverse materie, abbia tacitamente abrogato la delega precedente, conferita, invece, nella specifica materia ambientale, dalla legge n. 308 del 2004. Inoltre, la legge delega n. 62 del 2005 è diversa dalla legge delega n. 308 del 2004, che non richiede solo l’attuazione del diritto comunitario, ma anche il suo coordinamento nell’ambito della legislazione ambientale. Né si può dire che i criteri della legge n. 62 del 2005 ne restringano la portata.

5. – La Regione Piemonte ha impugnato l’intera parte sesta del decreto (anche se le censure menzionano in particolare alcune disposizioni), per «violazione degli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.», nonché «dei principi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della pubblica amministrazione anche sotto l’aspetto della violazione di principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali».

5.1. – Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 3, 5, 119 e 120 Cost., la ricorrente non svolge alcuna argomentazione, con conseguente inammissibilità delle questioni sollevate.

5.2. – Con riferimento alla asserita violazione dell’art. 76 Cost., ad avviso della ricorrente, le norme censurate si porrebbero in contrasto con la legge delega, da un lato, perché introdurrebbero una disciplina «innovativa» in attuazione di una delega concessa a soli fini di riordino e coordinamento normativo e, dall’altro lato, perché tale disciplina, «caratterizzata da uno sforzo di specificazione e di minuto dettaglio», finirebbe per produrre «limitazione e difficoltà nell’espletamento dell’attività di prevenzione e riparazione del danno ambientale anziché rafforzamento della stessa», non corrispondendo così alle indicazioni della legge delega e in particolare al criterio previsto dall’art. 1, comma 9, lettera e), della legge n. 308 del 2004 («conseguire l’effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante l’adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire l’efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del danno; definire le modalità di quantificazione del danno»).

La questione è inammissibile.

Innanzitutto, la ricorrente si è limitata a dedurre il vizio di eccesso di delega, senza fornire alcuna dimostrazione in ordine alla incidenza che esso avrebbe sulle proprie competenze costituzionalmente garantite. Inoltre, la censura è generica, atteso che la ricorrente impugna l’intera disciplina della parte sesta del Codice dell’ambiente senza indicare, in particolare, quali norme della stessa, e per quali ragioni, determinerebbero una riduzione del livello di tutela ambientale in contrasto con i principi della legge delega.

5.3. – Con riferimento, infine, agli altri parametri costituzionali asseritamente violati, la Regione Piemonte sostiene che la disciplina censurata, concentrando «tutta l’attività di intervento amministrativo e correlativamente di azione risarcitoria in capo allo Stato» ed escludendo invece «l’apporto delle Regioni e delle amministrazioni locali» in ordine agli interventi di prevenzione e riparazione del danno ambientale, previsto dalla previgente normativa, si porrebbe in contrasto «con le previsioni della legge delega, con il ruolo istituzionale degli enti locali e l’assetto delle loro competenze, a norma degli artt. 114, 117 e 118 Cost., con i principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza, leale collaborazione, ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione, essendo altresì più che evidente che la concentrazione in sede ministeriale di qualsiasi attività, prescindendo da ogni criterio di rilevanza e dimensione territoriale del problema da affrontare e degli interventi da porre in essere, non può che determinare difficoltà e rallentamento nell’azione pubblica di tutela dell’ambiente».

La questione è inammissibile a causa della genericità delle censure prospettate.

La ricorrente impugna, infatti, una pluralità di disposizioni legislative diverse tra loro, in relazione a molteplici parametri costituzionali, omettendo di distinguere e precisare, con riferimento a ciascuna singola norma o gruppo omogeneo di norme, quali siano i parametri violati e quali siano i motivi che sorreggono le diverse censure prospettate in relazione a ciascun parametro.

6. – Le Regioni Calabria e Puglia hanno impugnato l’art. 299, comma 5, del Codice dell’ambiente, in base al quale «il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con proprio decreto, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e delle attività produttive, stabilisce i criteri per le attività istruttorie volte all’accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale».

Secondo le ricorrenti, tale disposizione, nella parte in cui esclude, nel procedimento di adozione del decreto ministeriale, «qualsiasi forma di intervento regionale» (Regione Calabria) e, in particolare, la previa intesa, da ritenersi invece necessaria «in considerazione della interferenza di tale disciplina con funzioni e compiti» svolti in materia dalle Regioni (Regione Puglia), si porrebbe in contrasto, secondo la Regione Puglia, con gli artt. 76, 117 e 118 Cost. e, secondo la Regione Calabria, con il principio di leale collaborazione.

Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 76 e 118 Cost. la questione è inammissibile, non essendo svolta, in relazione a tali parametri, alcuna argomentazione da parte della ricorrente.

Con riferimento, invece, alla asserita violazione dell’art. 117 Cost. e del principio di leale collaborazione, la questione non è fondata.

Questa Corte ha avuto modo di chiarire la natura dei rapporti che intercorrono fra la competenza legislativa esclusiva statale nella materia «tutela dell’ambiente» (nella quale certamente rientra il danno ambientale) e le competenze legislative regionali in altre materie, su cui la disciplina statale ambientale può incidere (sentenze n. 61 e n. 12 del 2009). Al riguardo, è stato precisato che «la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente [..] deve garantire un elevato livello di tutela, come tale inderogabile dalle altre discipline di settore». La suddetta normativa, pertanto, «rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni [..] in materie di competenza propria, che riguardano l’utilizzazione dell’ambiente e, quindi, altri interessi». Da ciò consegue che la disciplina statale di tutela dell’ambiente rappresenta «un limite alla disciplina che le Regioni [..] dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevate [..]» nell’esercizio di competenze loro proprie. Secondo tale giurisprudenza costituzionale, quindi, lo Stato detta, in materia di tutela dell’ambiente, una disciplina inderogabile in pejus, che si impone all’autonomia delle Regioni e le vincola, anche quando esse esercitino la potestà legislativa loro riconosciuta dalla Costituzione in altre materie. Tale ricostruzione del rapporto fra i due ordini di potestà legislative in termini di «prevalenza» della disciplina ambientale statale su quella dettata dalle Regioni in materie di loro competenza (nel senso che la tutela dell’ambiente è un presupposto della sua fruizione) non consente pertanto di ravvisare, in particolare nella specifica materia del danno ambientale, una «interferenza» fra competenze, che invece costituisce il presupposto dell’applicazione del principio di leale collaborazione e, quindi, anche il fondamento delle censure in esame.

7. – Le Regioni Calabria e Puglia hanno impugnato l’art. 299, comma 2, del Codice dell’ambiente, in base al quale «l’azione ministeriale si svolge normalmente in collaborazione con le Regioni, con gli enti locali e con qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo».

Entrambe le ricorrenti contestano, innanzitutto, l’espressione «normalmente», utilizzata dal legislatore. Essa consentirebbe, infatti, «di eludere l’esigenza che pure nella disposizione viene affermata», in violazione del principio di leale collaborazione (Regione Calabria) e lascerebbe presumere che la collaborazione in essa menzionata non sia obbligatoria, con ciò ponendosi in contrasto con gli artt. 76, 117 e 118 Cost. (Regione Puglia). La sola Regione Calabria ritiene, inoltre, che la censurata disposizione si ponga in contrasto anche con gli artt. 114 e 118 Cost., in quanto essa svilirebbe la posizione degli enti territoriali dotati di autonomia, ponendoli sullo stesso piano di «qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo».

La questione è inammissibile, in quanto la norma censurata è inidonea a ledere le competenze regionali.

In primo luogo, la disposizione impugnata, in una materia nella quale non trova applicazione, per le ragioni in precedenza esplicitate (sub 6), il principio di leale collaborazione, prevede che l’azione ministeriale debba normalmente svolgersi nel rispetto di tale principio, con ciò ampliando e non limitando le competenze delle Regioni. In secondo luogo, la circostanza che il principio cooperativo, oltre che agli enti territoriali, venga riferito anche ad altri soggetti, non è suscettibile di tradursi in una lesione sostanziale delle prerogative delle Regioni, che non ricaverebbero pertanto alcuna utilità concreta dalla eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata.

8. – La Regione Puglia impugna l’art. 300 del Codice dell’ambiente, ritenendo che tale disposizione, in violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost., introduca una definizione di danno ambientale eccessivamente ristretta, in quanto riferita soltanto a «situazioni già definitivamente compromesse» e non anche a situazioni in cui «il danno non ha ancora assunto una decisa connotazione», con conseguente rischio che siano escluse dall’azione di risarcimento fattispecie dannose la cui valutazione potrebbe, invece, in sede regionale, «avvenire anzitempo e comunque tempestivamente».

La questione è inammissibile.

La ricorrente non illustra, se non in termini del tutto generici, in che modo la definizione, più ampia o più ristretta, di danno ambientale possa incidere direttamente sulla sfera di competenze ad essa attribuite dalla Costituzione.

9. – La Regione Calabria ha impugnato gli artt. 304, comma 3, 305, comma 2, e 306, comma 2, del Codice dell’ambiente, i quali disciplinano l’azione amministrativa di prevenzione e ripristino del danno ambientale, attribuendo all’amministrazione statale, in particolare, il potere di chiedere informazioni all’operatore, di ordinargli specifiche misure di prevenzione o ripristino, nonché di assumere direttamente tali misure.

Ad avviso della ricorrente, tale disciplina, in quanto attribuisce al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio «il potere di ordinare interventi incidenti direttamente sul territorio, senza neppure consultare gli enti territoriali interessati», violerebbe, da un lato, il principio di leale collaborazione e, dall’altro lato, l’art. 118 Cost.

La questione non è fondata.

In primo luogo, quanto all’asserita violazione del principio di leale collaborazione, si è già chiarito in precedenza (sub 6) che la prevalenza della disciplina statale in materia di tutela dell’ambiente sulla disciplina dettata dalle Regioni, in materie di loro competenza, in ordine all’uso o alla fruizione dell’ambiente stesso, non consente di ravvisare, in particolare nella specifica materia del danno ambientale, il presupposto dell’applicazione del principio di leale collaborazione, cioè la «interferenza» fra competenze legislative statali e regionali.

La circostanza che lo Stato non sia obbligato ad allocare le funzioni amministrative di prevenzione e riparazione del danno ambientale secondo moduli collaborativi non esclude, peraltro, che il contenuto della scelta allocativa compiuta dal legislatore statale possa essere censurato dalla Regione ricorrente in relazione al diverso parametro rappresentato dall’art. 118 Cost. Quest’ultimo, infatti, nel vincolare naturalmente anche le scelte allocative compiute in sede di esercizio della potestà legislativa esclusiva dello Stato, esprime un criterio di preferenza a favore del livello amministrativo più vicino ai cittadini, al quale può derogarsi solo in presenza di esigenze di esercizio unitario, che giustifichino l’attribuzione della competenza all’amministrazione statale. Nel caso in esame, la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale.

10. – La Regione Puglia ha impugnato l’art. 306, commi 1, 2 e 5, del Codice dell’ambiente, il quale, in punto di determinazione delle misure di ripristino ambientale, prevede, in particolare, che l’operatore individui le possibili misure e le presenti per l’approvazione al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio (comma 1), il quale individua quali misure debbano essere attuate (comma 2), assicurando la partecipazione dei soggetti interessati (comma 5).

Secondo la Regione ricorrente, tale disciplina, nel riservare allo Stato «tutte le funzioni riguardanti le misure di ripristino ambientale» e nel riconoscere alla competenza statale un «ambito di operatività eccessivo e non giustificato dall’esigenza di una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale», si porrebbe in contrasto con diversi parametri costituzionali. In primo luogo, essa violerebbe l’art. 117 Cost., posto che «la competenza legislativa statale in materia di danno ambientale si intreccia con la competenza regionale in tema di tutela della salute, governo del territorio e valorizzazione dei beni ambientali». In secondo luogo, la disciplina censurata lederebbe i principi di sussidiarietà e differenziazione, dettati dall’art. 118 Cost., i quali «impongono che l’attribuzione allo Stato di funzioni amministrative avvenga sempre e comunque con la collaborazione delle Regioni interessate». Infine, le norme impugnate si porrebbero in contrasto anche con l’art. 76 Cost., in quanto i predetti principi di sussidiarietà e differenziazione sono richiamati anche dalla legge delega.

La questione non è fondata.

Circa la dedotta violazione dell’art. 117 Cost., è sufficiente ribadire quanto già affermato in precedenza (sub 6) e cioè che in materia di danno ambientale non può sussistere alcuna «interferenza» fra competenza legislativa statale e regionale, attesa la prevalenza della prima, finalizzata alla tutela dell’ambiente, sulla seconda, che inerisce invece all’uso e alla fruizione del bene ambiente. Né rileva l’asserito «ambito di operatività eccessivo» della disciplina statale, dal momento che, vertendosi in una materia di esclusiva competenza dello Stato, non viene in rilievo la dicotomia norme di principio – norme di dettaglio.

Con riferimento alla asserita violazione dell’art. 118 Cost., per le ragioni in precedenza illustrate (sub 9), deve ritenersi che la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative relative al ripristino ambientale trovi una ragionevole giustificazione nell’esigenza di assicurare che lo svolgimento di esse risponda a criteri di uniformità e unitarietà.

Tale scelta, pertanto, non si pone in contrasto con i principi di sussidiarietà e differenziazione dettati dall’art. 118 Cost., né viola la legge delega che quei principi richiama, con conseguente infondatezza anche della questione riferita all’art. 76 Cost.

11. – La Regione Calabria ha impugnato l’art. 309, comma 1, del Codice dell’ambiente, secondo il quale, in particolare, le Regioni e gli enti territoriali hanno la facoltà di presentare denunce e osservazioni volte a sollecitare l’esercizio dei poteri ministeriali per la prevenzione e riparazione del danno ambientale.

Secondo la ricorrente, tale disposizione, nell’attribuire la predetta facoltà, oltre che alle Regioni e agli enti locali, anche alle «persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse legittimante la partecipazione al procedimento relativo all’adozione delle misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino», si porrebbe in contrasto con gli artt. 114 e 118 Cost., in quanto svilirebbe la posizione degli enti territoriali dotati di autonomia, ponendoli sullo stesso piano degli altri soggetti cui è riconosciuto un identico potere di sollecitazione dell’intervento ministeriale.

La questione è inammissibile, in quanto la norma censurata è inidonea a ledere le competenze regionali.

La circostanza che il potere di sollecitazione dell’esercizio dei poteri ministeriali, oltre che agli enti territoriali, sia riconosciuto anche ad altri soggetti non è suscettibile di tradursi in una lesione sostanziale delle prerogative della Regione ricorrente, la quale non ricaverebbe, pertanto, alcuna utilità concreta dalla eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata.

12. – La Regione Calabria ha impugnato l’art. 311 del Codice dell’ambiente, che disciplina l’azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente patrimoniale. Tale disposizione, in particolare, stabilisce, al comma 1, che «Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto».

Ad avviso della ricorrente, la norma censurata, non riconoscendo alle Regioni la legittimazione a ricorrere per il risarcimento del danno ambientale, nonostante l’indubbia incidenza dell’illecito perpetrato sul loro territorio e sulle attività che le Regioni stesse sono chiamate a disciplinare e porre in essere, violerebbe gli artt. 24, 114 e 118 Cost.

Va preliminarmente rilevato che, in base alla disciplina del Codice dell’ambiente, è pacifico, da un lato, che il risarcimento per equivalente patrimoniale è comunque dovuto allo Stato (le relative somme sono versate in entrata del bilancio dello Stato e confluiscono in un apposito fondo di rotazione istituito nell’ambito dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio) e, dall’altro lato, che le Regioni hanno diritto, oltre che di agire in giudizio in qualità di soggetti danneggiati nei beni di loro proprietà dal fatto produttivo di danno ambientale (art. 313, comma 7), anche di ricorrere al giudice amministrativo per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte dell’amministrazione statale, delle misure di precauzione, prevenzione o contenimento del danno ambientale (art. 310, comma 1). Quanto, invece, alla legittimazione delle Regioni e degli enti locali a proporre l’azione risarcitoria per danno ambientale, va osservato che la disposizione impugnata, nel regolare in termini di alternatività il rapporto fra i due strumenti (amministrativo e giurisdizionale) con i quali l’amministrazione statale può reagire al danno ambientale, non riconosce tale legittimazione, ma neppure la esclude in modo esplicito.

A prescindere da tali circostanze, la questione deve comunque essere dichiarata inammissibile.

Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 118 Cost., la questione è inammissibile per inconferenza del parametro evocato. L’art. 118 Cost., infatti, regola il riparto della funzione amministrativa fra i diversi livelli di governo, mentre la legittimazione ad agire in sede giurisdizionale, da un lato, non costituisce una funzione amministrativa e, dall’altro lato, non risponde alla logica del riparto, dal momento che il riconoscimento della legittimazione dello Stato non esclude quella delle Regioni, e viceversa.

Con riferimento alla asserita lesione dell’art. 24 Cost., la questione è inammissibile perché la ricorrente deduce la violazione di un parametro costituzionale diverso da quelli ricavabili dal titolo V della parte seconda della Costituzione, senza illustrare come da tale violazione possa derivare una menomazione delle proprie competenze legislative, amministrative o finanziarie.

Con riferimento, infine, alla violazione dell’art. 114 Cost., la questione è inammissibile per genericità della censura, atteso che la ricorrente non svolge alcuna argomentazione a sostegno dell’asserita violazione dello specifico parametro costituzionale invocato.

13. – La Regione Calabria ha impugnato gli artt. 312 e 313 del Codice dell’ambiente, che regolano l’ordinanza per il risarcimento del danno ambientale e la relativa istruttoria. Le norme prevedono, in particolare, che, sulla base di una istruttoria dettagliatamente regolata dall’art. 312, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio possa, anziché promuovere in giudizio l’ordinaria azione risarcitoria, adottare una ordinanza immediatamente esecutiva che ingiunge al responsabile del danno il ripristino ambientale, a titolo di risarcimento in forma specifica, oppure, ove questo risulti impossibile o eccessivamente oneroso, il pagamento di una somma di denaro, a titolo di risarcimento per equivalente.

La ricorrente lamenta la violazione del principio di leale collaborazione e dell’art. 118 Cost., in quanto le norme censurate non prevedono «alcun coinvolgimento degli enti regionali e locali» nel procedimento per l’emanazione dell’ordinanza ministeriale che ingiunge il ripristino ambientale.

La questione non è fondata.

E’ sufficiente ripetere, con riferimento ad entrambi i profili di censura, quanto in precedenza affermato: da un lato, non è rinvenibile, in tema di danno ambientale, alcuna «interferenza» fra competenze legislative che imponga l’applicazione dell’asseritamente violato principio di leale collaborazione (sub 6); dall’altro lato, la scelta legislativa di attribuire all’amministrazione statale, anziché alle diverse amministrazioni regionali, il potere di adottare l’ordinanza che ingiunge al responsabile del danno ambientale il risarcimento trova una ragionevole giustificazione nell’esigenza di assicurare che tale speciale potere amministrativo venga esercitato secondo criteri di uniformità e unitarietà (sub 9).

14 – Avendo la Corte deciso il merito dei ricorsi, non vi è luogo a procedere in ordine alle istanze di sospensione delle disposizioni impugnate, formulate dalle ricorrenti Regioni Calabria e Puglia.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse, nei confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) dalle Regioni Calabria, Piemonte e Puglia;

dichiara inammissibili gli interventi rispettivamente spiegati dall’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)-Onlus nei giudizi instaurati dalle Regioni Piemonte e Puglia e dalla Biomasse Italia s.p.a., dalla Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET S.r.l., dalla Ital Green Energy S.r.l. nonché dalla E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a. nel giudizio instaurato dalla Regione Piemonte;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’intera parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dei relativi allegati proposta, in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. e alla legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’intera parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006, con particolare riferimento agli artt. 301, 304, 305, 306, 308, 311, 312, 313, 314 e 315, proposta dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe, in relazione agli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonché ai principi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della pubblica amministrazione anche sotto l’aspetto della violazione di principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 76 e 118 Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 114 e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria e, in relazione agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 300 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 114 e 118 Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 311 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 24, 114 e 118 Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’intera parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dei relativi allegati proposta, in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. e alla legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione all’art. 117 e al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 304, comma 3; 305, comma 2, e 306, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione al principio di leale collaborazione e all’art. 118 Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 306, commi 1, 2 e 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 312 e 313 del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione al principio di leale collaborazione e all’art. 118 Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2009.