Sentenza n. 352 del 2008

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SENTENZA N. 352

ANNO 2008

 

Commento alla decisione di

 

Daniela Tanza

Il senatore, uomo d’onore?

 

 

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria    FLICK                           Presidente     

- Francesco           AMIRANTE                    Giudice

- Ugo                    DE SIERVO                           “

- Paolo                  MADDALENA                       “

- Alfio                   FINOCCHIARO                     “

- Alfonso               QUARANTA                                   “

- Franco                GALLO                                 “

- Luigi                   MAZZELLA                           “

- Gaetano              SILVESTRI                            “

- Sabino                      CASSESE                                     “

- Maria Rita           SAULLE                                “

- Giuseppe             TESAURO                             “

- Paolo Maria         NAPOLITANO                      “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 gennaio 2008, con il quale a decorrere dal 18 gennaio 2008 è stata accertata la sospensione del sig. Salvatore Cuffaro dalla carica di deputato dell’Assemblea regionale siciliana e di Presidente della Regione siciliana, ai sensi dell’art. 15, comma 4-bis, della legge 19 marzo 1990, n. 55, promosso dalla Regione siciliana, notificato il 31 marzo 2008, depositato in cancelleria il 4 aprile 2008 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti tra enti 2008.

            Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nell’udienza pubblica del 7 ottobre .2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi l’avvocato Guido Corso per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 31 marzo 2008 e depositato il successivo 4 aprile, la Regione Siciliana ha sollevato – in riferimento agli articoli 8, 9 e 10 del R.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) – conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 gennaio 2008, notificato il giorno successivo, con il quale «a decorrere dal 18 gennaio 2008 è accertata la sospensione del sig. Salvatore Cuffaro dalla carica di deputato dell’Assemblea regionale siciliana e di Presidente della Regione siciliana ai sensi dell’art. 15, comma 4-bis, della legge 19 marzo 1990, n. 55».

1.1. – La ricorrente riferisce che il Presidente della Regione siciliana, on. Salvatore Cuffaro, a seguito di sentenza del Tribunale di Palermo, III sez. penale, che in data 18 gennaio 2008 lo ha dichiarato colpevole dei delitti di cui all’art. 326 (rivelazione di segreti d’ufficio) e all’art. 378 (favoreggiamento personale) del codice penale, si è dimesso irrevocabilmente dalla carica di Presidente della Regione, dandone comunicazione all’Assemblea regionale il 26 gennaio 2008.

Con il censurato provvedimento, il Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali e il Ministro dell’interno, ha sospeso l’on. Cuffaro dalla carica di deputato regionale e di Presidente della Regione con effetto dal 18 gennaio 2008, ai sensi dell’art. 15, comma 4-bis, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazioni di pericolosità sociale).

Ricorda la ricorrente che la disposizione in questione prevede la sospensione sino a diciotto mesi da una serie di cariche, inclusa quella di presidente della giunta regionale e di consigliere regionale in caso di condanna non definitiva per taluni delitti (art. 15, comma 4-bis in relazione al comma 1, lett. a).

La Regione siciliana «non intende […] contestare la legittimità costituzionale di tale previsione, consapevole che una censura del genere non è proponibile in sede di conflitto di attribuzioni»: essa, invero, si duole «della sua applicazione ad una fattispecie che esula dall’ambito di operatività della norma stessa per più di una ragione».

Lo status del Presidente della Regione siciliana – osserva la difesa regionale – sarebbe pressoché integralmente regolato dallo statuto speciale, come modificato dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano), per ciò che concerne i poteri, la durata nella carica (art. 9), la mozione di sfiducia (art. 10), la rimozione dalla carica (art. 8).

Dal canto suo, l’art. 15 della legge n. 55 del 1990 – nella parte in cui stabilisce le conseguenze della sentenza di condanna, definitiva e non definitiva, pronunciata nei confronti del Presidente della Regione siciliana per i reati indicati ai commi 1 e 4-bis dello stesso art. 15 – sarebbe «norma di stretta interpretazione»: sicché, «una sua applicazione al di fuori dei casi espressamente previsti comporta l’invasione di un ambito materiale (lo status di Presidente della Regione Siciliana) coperto da norme di rango costituzionale».

All’epoca dell’approvazione della legge n. 55 del 1990, e altresì in occasione delle successive modifiche alla stessa apportate, l’elezione dell’Assemblea regionale siciliana era disciplinata dalla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), e dall’art. 9 dello Statuto speciale nella sua formulazione originaria. Il Presidente regionale era eletto, come gli assessori, dall’Assemblea regionale nella sua prima seduta e nel suo seno.

La sospensione dalla carica, prevista dall’art. 15, comma 4-bis, comportava la sostituzione del Presidente con il vice Presidente (l’assessore da lui designato, ai sensi dell’art. 10 dello statuto): si trattava di una sostituzione – sottolinea la ricorrente – con un soggetto che, per essere stato eletto deputato con il presidente e per essere entrato a far parte della giunta come lui e insieme a lui, «godeva di pari legittimazione, in ragione della identità della investitura».

La modifica dello statuto, avvenuta nel 2001 con la legge costituzionale n. 2, avrebbe «radicalmente» mutato il quadro normativo di riferimento. Attualmente, il Presidente della Regione siciliana è eletto a suffragio universale e diretto contestualmente all’elezione dell’Assemblea regionale e nell’ambito di un collegio elettorale che coincide con l’intero territorio regionale. Lo stesso Presidente, poi, nomina e revoca gli assessori, tra cui un vice presidente, «senza essere neppure tenuto ad attingere i nominativi dall’Assemblea regionale».

Secondo la ricorrente, la sospensione in oggetto finirebbe con il trasferire la funzioni di Presidente ad una persona (il vice Presidente) che, pur riscuotendo la fiducia del Presidente, nell’ipotesi in cui sia stato scelto al di fuori dell’assemblea, non ha ricevuto alcuna investitura popolare: ne conseguirebbe «una seria frattura fra una forma di governo spiccatamente democratica, qual è quella in cui il capo dell’esecutivo è eletto a suffragio universale e diretto, ed un assetto dell’esecutivo, che può durare sino a diciotto mesi, in cui al vertice c’è un soggetto che nessuno ha eletto». Anche quando il vice Presidente è un deputato regionale, «la sua sarebbe comunque una legittimazione debole», dal momento che egli è stato eletto in un collegio provinciale, mentre il presidente sospeso è stato eletto da un collegio elettorale che coincide con l’intera regione (è citato l’art. 1, comma 3, legge reg. n. 29 del 1951, come sostituito dall’art. 1 della legge reg. 3 giugno 2005, n. 7, recante «Norme per l’elezione del Presidente della Regione siciliana a suffragio universale e diretto. Nuove norme per l’elezione dell’Assemblea regionale siciliana. Disposizioni concernenti l’elezione dei consigli comunali e provinciali»).

La trasformazione della forma di governo regionale da parlamentare in (semi) presidenziale operata dalla legge cost. n. 2 del 2001, avrebbe prodotto notevoli conseguenze, peraltro messe in luce dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 12 del 2006.

Dal momento che la nuova forma di governo è caratterizzata dall’attribuzione al Presidente eletto a suffragio universale e diretto «di forti e tipici poteri per la gestione unitaria dell’indirizzo politico e amministrativo della regione (nomina e revoca dei componenti della giunta, potere di dimettersi facendo automaticamente sciogliere sia la giunta che il consiglio regionale)» (è citata la sentenza n. 2 del 2004), e tale forma di governo accomuna la Regione siciliana (art. 9 statuto Regione siciliana) alle Regioni ordinarie (art. 122, quinto comma, Cost.), per la ricorrente «contrasterebbe col nuovo assetto costituzionale la possibilità che per diciotto mesi tale gestione unitaria venga affidata ad un soggetto diverso dal presidente eletto a suffragio universale e diretto. Soggetto al quale non potrebbe essere riconosciuto il potere di nominare e revocare gli assessori (art. 9 st. sic.) o di dimettersi provocando lo scioglimento dell’assemblea regionale (art. 10)». Pertanto, ne deriverebbero «la sopravvenuta inapplicabilità dell’art. 15, comma 4-bis della legge n. 55/1990 (abrogazione parziale per incompatibilità) nella parte in cui prevede la sospensione della carica del presidente della regione; e di conseguenza l’illegittimità del provvedimento impugnato».

1.2. – Analoghe considerazioni varrebbero, a detta della difesa regionale, anche per la sospensione dalla carica di deputato regionale.

Ai sensi dell’art. 41-ter, comma 3, dello statuto speciale «è proclamato eletto Presidente della regione il candidato capolista che ha conseguito il maggior numero di voti validi in ambito regionale. Il Presidente fa parte dell’Assemblea regionale».

La legge costituzionale n. 2 del 2001, che ha introdotto la testé richiamata disposizione statutaria, ha invertito la sequenza temporale (e logico-giuridica) che caratterizzava il sistema precedente. Mentre in questo il Presidente della regione era eletto nella prima seduta («e nel suo seno») dall’Assemblea regionale – così che lo status di deputato regionale precedeva e condizionava quello di Presidente della regione – oggi è il Presidente ad entrare nell’Assemblea regionale. Il titolo giuridico per far parte dell’organo legislativo è lo status di Presidente della regione, acquisito con l’elezione diretta. Questa relazione sarebbe ancora più chiaramente esplicitata nella legge regionale sull’elezione del Presidente della regione (legge reg. n. 7 del 2005), la quale dispone: il Presidente della Regione siciliana è eletto a suffragio universale, con voto diretto, libero e segreto, contestualmente all’elezione dell’Assemblea regionale siciliana (art. 1, comma 1); la votazione avviene su un’unica scheda (comma 2); il collegio elettorale per l’elezione del Presidente della regione coincide con il territorio regionale (comma 3); il Presidente della regione fa parte dell’Assemblea regionale siciliana (art. 4). Il Presidente della regione è eletto in un collegio diverso (unico regionale) dai nove collegi provinciali nei quali sono eletti i deputati regionali; egli diviene deputato regionale in quanto eletto presidente.

Ne dovrebbe conseguire, ad avviso della ricorrente, che se la sospensione non può essere disposta in relazione alla carica di Presidente della regione, essa non può nemmeno colpire l’ufficio (derivato) di deputato regionale che il Presidente ricopre.

1.3. – La Regione Sicilia, infine, sottolinea come il 26 gennaio 2008, e dunque prima che intervenisse l’impugnato provvedimento del Presidente del Consiglio, l’on. Cuffaro si fosse irrevocabilmente dimesso dalla carica: «sicché è venuto meno da parte sua l’esercizio delle funzioni dalle quali il decreto impugnato mira a sospenderlo». La ricorrente chiede, pertanto, alla Corte di valutare se tale «circostanza non determini la nullità per mancanza di oggetto del provvedimento impugnato (artt. 21-septies, legge n. 241 del 1990 e 1418 c.c.)»; ricorrerebbe, infatti, un’ipotesi di «invalidità radicale che si risolve in una menomazione della sfera di competenza regionale garantita dagli artt. 8 e seguenti dello statuto speciale».

2. – Con atto depositato il 16 aprile 2008, si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.

2.1. – Innanzitutto, la difesa erariale confuta le argomentazioni svolte dalla ricorrente – e sorrette dalla circostanza che il Presidente Cuffaro si sia dimesso volontariamente in epoca precedente rispetto al censurato provvedimento – alla stregua delle quali per il Presidente della Regione siciliana non opererebbero le ipotesi di cessazione previste per la generalità delle cariche elettive. Secondo l’Avvocatura dello Stato, «la tesi avversaria prova troppo, perché si risolve nella negazione di efficacia di qualsiasi vicenda volontaria di sospensione o cessazione sopravvenuta all’elezione».

D’altronde – continua il resistente – la sospensione in oggetto opera di diritto «e dunque è stato necessario adottare il provvedimento statale con effetto dal 18 gennaio 2008, perché soltanto il successivo 26 gennaio il Cuffaro aveva sentito il dovere di dimettersi».

2.2. – La parte resistente, poi, non condivide l’assunto secondo cui la disposizione in oggetto, attributiva del potere statale di sospensione, «sarebbe inoperante quando non vi sia un sistema di sostituzione adeguata del soggetto sospeso».

Questa tesi è rigettata in quanto, in primo luogo, non attiene alla negazione del potere in astratto; inoltre, essa non trova riscontro positivo nella realtà, dal momento che l’assenza del Presidente è colmata dal subingresso del vice presidente; infine, «nel sistema costituzionale nessuno è intoccabile, neppure quando fosse incompleto il sistema delle sostituzioni».

D’altro canto – conclude la difesa dello Stato – tutti gli amministratori regionali sono contemplati dall’art. 15, comma 4-bis, della legge n. 55 del 1990, come si evincerebbe dall’art. 274, comma 1, lettera p), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

Considerato in diritto

1. – La Regione siciliana ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 gennaio 2008 con il quale, a decorrere dal 18 gennaio 2008, è stata accertata la sospensione del sig. Salvatore Cuffaro dalla carica di deputato dell’Assemblea regionale e di Presidente della Regione siciliana ai sensi dell’art. 15, comma 4-bis, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazioni di pericolosità sociale).

La Regione ricorrente sostiene che l’impugnato provvedimento violerebbe gli articoli 8, 9 e 10 del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), come modificato dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano), dal momento che la pretesa trasformazione della forma di governo regionale in “(semi) presidenziale”, operata dalla riforma del 2001, avrebbe determinato la sopravvenuta inapplicabilità alla Regione Sicilia dell’art. 15, comma 4-bis, della legge n. 55 del 1990, nella parte in cui prevede la sospensione del Presidente della regione dalla propria carica. Conseguentemente, il d.P.C.m. del 29 gennaio 2008 avrebbe invaso un ambito «coperto da norme di rango costituzionale» e avrebbe menomato la sfera di competenza riservata alla regione dallo statuto in materia di status del Presidente.

Analoga menomazione sarebbe stata perpetrata dallo stesso provvedimento là dove dispone la sospensione dell’interessato dalla carica di deputato dell’Assemblea regionale. Poiché, ai sensi dell’art. 43-bis dello statuto, il Presidente assume tale ufficio proprio in forza del suo status, non potendo la sospensione colpire tale carica, essa non potrebbe riguardare neppure l’ufficio derivato di deputato regionale.

Infine, la ricorrente sostiene che il d.P.C.m. impugnato sarebbe nullo per mancanza di oggetto, essendo intervenuto quando ormai l’interessato si era già irrevocabilmente dimesso dalla propria carica.

2. – Il ricorso non è fondato.

Il fulcro delle argomentazioni su cui esso poggia risiede nella asserita inapplicabilità sopravvenuta dell’art. 15 della legge n. 55 del 1990 alla Regione Sicilia per effetto della legge cost. n. 2 del 2001 che ha diversamente disciplinato l’elezione del Presidente della regione.

Indubbiamente, tale legge costituzionale, nel prevedere l’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente, ha introdotto una forma di governo caratterizzata dall’attribuzione a tale organo «di forti e tipici poteri per la gestione unitaria dell’indirizzo politico e amministrativo della Regione» (art. 9 dello statuto siciliano), allo scopo di «eliminare in tal modo la instabilità nella gestione politica delle Regioni e quindi di rafforzare il peso delle istituzioni regionali» (sentenza n. 2 del 2004). È, altresì, incontestabile che una simile opzione sia «indice della maggiore forza politica del Presidente» (sentenza n. 372 del 2004; si veda pure la sentenza n. 12 del 2006).

Tale scelta operata dal legislatore costituzionale non incide, tuttavia, sulla perdurante applicabilità dell’art. 15 della legge n. 55 del 1990 al Presidente della Regione Sicilia.

Le misure previste da tale disposizione – incandidabilità ad una serie di cariche elettive, decadenza di diritto dalle medesime a seguito di sentenza di condanna, passata in giudicato, per determinati reati, nonché sospensione automatica in caso di condanna non definitiva per gli stessi – sono dirette «ad assicurare la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente gli interessi dell’intera collettività» (sentenza n. 288 del 1993). Con questa disciplina, il legislatore «ha inteso essenzialmente contrastare il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto istituzionale locale e, in generale, perseguire l’esclusione dalle amministrazioni locali di coloro che per gravi motivi non possono ritenersi degni della fiducia popolare» (sentenza n. 407 del 1992; dello stesso tenore le sentenze n. 141 del 1996; n. 184 e n. 118 del 1994; n. 218 del 1993). Questa Corte ha già riconosciuto come i delitti contemplati dall’art. 15 fanno «sorgere immediatamente il sospetto di un inquinamento dell’apparato pubblico da parte di quelle organizzazioni criminali, la cui pericolosità sociale va al di là della gravità dei singoli delitti che vengono commessi o contestati»: le misure repressive così configurate operano, dunque, «in relazione alla specificità di siffatti rischi di inquinamento degli apparati amministrativi, e alla necessità di troncare anche visibilmente ogni legame che possa far apparire l’amministrazione, agli occhi del pubblico, come non immune da tali infiltrazioni criminali» (sentenza n. 206 del 1999).

Con specifico riferimento alla misura della sospensione obbligatoria dalla carica prevista dal comma 4-bis dell’art. 15, questa Corte ha ritenuto che il bilanciamento dei valori coinvolti effettuato dal legislatore «non si appalesa irragionevole, essendo esso fondato essenzialmente sul sospetto di inquinamento o, quanto meno, di perdita dell’immagine degli apparati pubblici che può derivare dalla permanenza in carica del consigliere eletto che abbia riportato una condanna, anche se non definitiva, per i delitti indicati e sulla constatazione del venir meno di un requisito soggettivo essenziale per la permanenza dell’eletto nell’organo elettivo» (sentenza n. 25 del 2002; si veda pure la sentenza n. 288 del 1993).

Se, dunque, questa è la finalità della disposizione su cui si fonda il provvedimento censurato dalla ricorrente, non è ravvisabile alcun rapporto di incompatibilità tra l’art. 15 della legge n. 55 del 1990 e la nuova forma di governo introdotta nella Regione Sicilia. Benché la riforma del 2001 abbia sicuramente rafforzato la figura del Presidente, la sua condanna, ancorché non definitiva, per determinati reati, compromette il legame fiduciario tra l’organo politico regionale e la relativa comunità, in quanto mina la credibilità e l’affidabilità che gli amministratori debbono necessariamente dimostrare in vista di una compiuta e corretta tutela degli interessi generali di riferimento.

Né si può desumere tale incompatibilità dal diverso grado di legittimazione che il vicepresidente, chiamato a sostituire il Presidente sospeso, avrebbe rispetto a quest’ultimo. L’intervento di tale organo, infatti, lungi dal risultare incompatibile con l’attuale forma di governo regionale, è, anzi, specificamente contemplato dallo statuto siciliano. L’art. 9, come sostituito dalla legge cost. n. 2 del 2001, dopo aver disposto che il Presidente della regione «è eletto a suffragio universale e diretto contestualmente all’elezione dell’Assemblea regionale», prevede espressamente che, in caso di impedimento del Presidente della regione, questi è sostituito dal vicepresidente, mentre solo «in caso di dimissioni, di rimozione, di impedimento permanente o di morte del Presidente della Regione, si procede alla nuova e contestuale elezione dell’Assemblea regionale e del Presidente della Regione entro i successivi tre mesi» (art. 10 dello statuto).

È indubbio che la sospensione obbligatoria e di diritto prevista dall’art. 15, comma 4-bis, integra gli estremi di un vero e proprio impedimento del Presidente, che gli preclude l’esercizio delle attribuzioni connesse alla carica. Stabilisce, infatti, la richiamata disposizione che «i soggetti sospesi non sono computati al fine della verifica del numero legale, né per la determinazione di qualsivoglia quorum». Si tratta, peraltro, di impedimento temporaneo, dal momento che detta sospensione «cessa di diritto di produrre effetti decorsi diciotto mesi» (comma 4-bis, penultimo periodo), ovvero nel caso in cui venga emessa sentenza, anche non definitiva, di non luogo a procedere, di proscioglimento o di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione o sentenza di annullamento, anche con rinvio (comma 4-quater).

Inconferente risulta, pertanto, l’evocazione, da parte della ricorrente, dell’art. 8 dello statuto, il quale disciplina l’ipotesi, affatto diversa, della rimozione dalla carica del Presidente che abbia compiuto atti contrari alla Costituzione o reiterate e gravi violazioni di legge, ovvero per ragioni di sicurezza nazionale.

Diversamente da tale fattispecie, la sospensione prevista dall’art. 15, comma 4-bis, della legge n. 55 del 1990 si verifica per effetto della pronuncia di una sentenza di condanna per determinati reati la quale, ove divenga definitiva, determina la decadenza di diritto dalla carica (comma 4-quinquies).

Del resto, la stessa legislazione siciliana successiva al 2001 prevede l’applicabilità della legge n. 55 del 1990 sia ai deputati regionali, sia al Presidente.

Riguardo ai primi, l’art. 60, comma 6, della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), come modificata dalla legge regionale 3 giugno 2005, n. 7 (Norme per l’elezione del Presidente della Regione siciliana a suffragio universale e diretto. Nuove norme per l’elezione dell’Assemblea regionale siciliana. Disposizioni concernenti l’elezione dei consigli comunali e provinciali), disciplina il meccanismo di surrogazione dei deputati anche con specifico riguardo all’ipotesi in cui «occorra procedere alla temporanea sostituzione di un deputato sospeso dalla carica ai sensi dell’articolo 15, comma 4-bis», della legge n. 55 del 1990.

Quanto al Presidente della Regione, l’art. 1-quater della legge reg. n. 29 del 1951, come modificato dalla legge reg. n. 7 del 2005, stabilisce che questi, all’atto della accettazione della candidatura, deve rendere la dichiarazione di non trovarsi in una delle condizioni previste dal comma 1 dell’art. 15 della legge n. 55 del 1990, e che determina la cancellazione dalla lista dei candidati l’accertamento della sussistenza di taluna di tali condizioni (art. 17-ter).

Ma, soprattutto, il citato art. 1-quater equipara espressamente il Presidente ai deputati quanto ai requisiti di eleggibilità. Tra questi rientra anche l’assenza di una delle cause di incandidabilità previste dalla legge n. 55 del 1990 il cui accertamento, con sentenza non definitiva, nel corso del mandato determina, ai sensi dell’art. 15, comma 4-bis, la sospensione della carica.

3. – Le conclusioni appena raggiunte rilevano anche con riguardo alla sospensione dalla carica di deputato dell’Assemblea regionale.

La ricorrente sostiene che se la sospensione non può essere disposta in relazione alla carica di Presidente della regione, essa non può nemmeno colpire l’ufficio derivato di deputato regionale che il Presidente ricopre. Infatti, la norma transitoria, posta dalla legge cost. n. 2 del 2001, secondo cui il Presidente della Regione fa parte dell’assemblea regionale, è stata confermata dallo stesso legislatore siciliano con la legge reg. n. 7 del 2005. Nell’attuale sistema, dunque, la carica di Presidente precede e condiziona l’acquisizione dello status di deputato regionale.

Anche tale censura non è fondata. Se, per le ragioni sopra esposte, la sospensione ai sensi dell’art. 15, comma 4-bis, legge n. 55 del 1990, può e deve essere disposta in relazione alla carica di Presidente della regione, per la medesima ragione tale misura trova applicazione anche per la carica di deputato regionale. E ciò tanto più in quanto per i deputati regionali la sospensione è espressamente prevista dall’art. 60, comma 6, legge reg. n. 29 del 1951.

4. – Neppure fondata è la censura con cui la ricorrente denuncia l’illegittimità del provvedimento impugnato per mancanza di oggetto. Sostiene la regione che tale vizio discenderebbe dalla circostanza che l’interessato si sarebbe dimesso irrevocabilmente dall’ufficio di Presidente della regione prima che intervenisse il decreto del Presidente del Consiglio.

In realtà, la sospensione contemplata dall’art. 15, comma 4-bis, opera obbligatoriamente (sentenza n. 25 del 2002) e di diritto, così che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsto dal comma 4-ter dello stesso art. 15, assolve ad una funzione di mero accertamento, e non costitutiva dell’effetto sospensivo («accerta la sospensione» dispone, appunto, la norma da ultimo citata).

Nel caso di specie, la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Palermo nei confronti dell’interessato è del 18 gennaio 2008, laddove le dimissioni del medesimo sono state comunicate all’Assemblea regionale siciliana il successivo 26 gennaio. Ne deriva che l’impugnato decreto presidenziale del 29 gennaio 2008 (nel quale si afferma che la condanna è stata comminata anche per il «delitto di cui all’art. 378, comma 1 e 2 c.p., che punisce il favoreggiamento personale “quando il delitto commesso è quello previsto dall’art 416-bis”») non ha fatto altro che accertare l’intervenuta, automatica sospensione a partire da una data anteriore rispetto a quella delle dimissioni del Presidente della regione.

Ciò, inoltre, assume rilevanza per le diverse conseguenze che determinano i due atti.

La sospensione di cui all’art. 15, prodromica rispetto all’eventuale decadenza nel caso in cui sopravvenga una condanna definitiva (comma 4-quinquies), determina l’impossibilità per il sospeso di essere computato per la verifica del numero legale o per la «determinazione di qualsivoglia quorum» (comma 4-bis). Essa, dunque, produce l’effetto dell’immediato allontanamento dalla carica, con conseguente impossibilità di compiere qualunque atto.

Diversamente, le dimissioni del Presidente, determinando, ai sensi dell’art. 10, comma 2, dello statuto, la nuova elezione dell’Assemblea e del Presidente, rendono applicabile nella specie l’art. 8-bis, comma 3, dello statuto e dunque consentono lo svolgimento dell’ordinaria amministrazione.

5. – Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, deve riconoscersi la spettanza allo Stato della competenza ad adottare il decreto impugnato.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettava allo Stato e, per esso, al Presidente del Consiglio dei ministri, adottare il decreto del 29 gennaio 2008 con il quale è accertata, a decorrere dal 18 gennaio 2008, la sospensione del sig. Salvatore Cuffaro dalla carica di deputato dell’Assemblea regionale siciliana e di Presidente della Regione siciliana ai sensi dell’art. 15, comma 4-bis, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazioni di pericolosità sociale).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2008.