ORDINANZA N. 158
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), promosso con ordinanza depositata il 28 febbraio 2007 dal Tribunale ordinario di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, nel giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione esattoriale, promosso da Sandro Magnani nei confronti della s.p.a. G.E.T. – Gestione Esattorie e Tesorerie e della debitrice, iscritta al n. 710 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 16 aprile 2008 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio riguardante un’opposizione del terzo Sandro Magnani all’esecuzione esattoriale promossa dalla s.p.a. G.E.T. – Gestione Esattorie e Tesorerie, concessionaria del servizio di riscossione, nei confronti di Lina Sani, il Tribunale ordinario di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, con ordinanza depositata il 28 febbraio 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione, questioni di legittimità dell’art. 63 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) – come sostituito dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) –, «nella parte in cui prevede che l’opposizione possa essere proposta solo in forza di atto pubblico, scrittura privata autenticata, o sentenza passata in giudicato, anteriore all’anno a cui si riferisce l’imposta iscritta a ruolo, e non anche di documenti aventi data certa anteriori al pignoramento, da parte del locatore che abbia locato al debitore una casa ad uso abitativo arredata, con contratto avente data certa anteriore al pignoramento, ove l’opposizione abbia ad oggetto i mobili compresi in tale locazione»;
che il giudice rimettente premette, in punto di fatto, che: a) «nel caso di specie l’opponente, che non risulta parente della debitrice, ha fondato la propria opposizione su un contratto di locazione di immobile arredato ad uso abitativo, debitamente registrato [...], contenente l’elenco dei beni mobili compresi nella locazione, alcuni dei quali pignorati in danno della conduttrice, debitrice dell’Erario»; b) la medesima opposizione è fondata «sulla fattura di acquisto dei mobili stessi in data 30 maggio 2003, sottoscritta e quietanzata dal venditore, nonché sul documento di trasporto, relativo agli stessi mobili»; c) tali documenti – secondo la società concessionaria, costituitasi in giudizio – non sarebbero idonei a fondare l’opposizione, ai sensi dell’art. 63 del d.P.R. n. 602 del 1973, «non essendo atti pubblici o scritture private autenticate, ed essendo comunque posteriori all’anno di iscrizione a ruolo dei tributi per cui si procede (1993-1998)»; d) l’opponente locatore, deducendo di essere proprietario dei beni pignorati, ha prodotto la prova scritta di data certa dell’acquisto di tali beni e del loro affidamento al debitore quale arredo dell’unità immobiliare data in locazione ad uso abitativo; e) «nel caso di specie si ravvisa un’ipotesi in cui ragionevolmente non vi è alcun rischio di collusione o di fraudolenza, cioè quello del terzo (non parente) che concede al debitore una casa arredata ad uso abitativo, con contratto registrato, provando peraltro il proprio acquisto dei beni mobili con documenti attendibili»;
che il giudice a quo rileva che la norma censurata, con un unico comma, dispone che: a) «L’ufficiale della riscossione deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento quando è dimostrato che i beni appartengano a persona diversa dal debitore iscritto a ruolo, dai coobbligati o dai soggetti indicati dall’articolo 58, comma 3, in virtù di titolo avente data anteriore all’anno cui si riferisce l’entrata iscritta a ruolo» (primo periodo); b) «Tale dimostrazione può essere offerta soltanto mediante esibizione di atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero di sentenza passata in giudicato pronunciata su domanda proposta prima di detto anno» (secondo periodo);
che, secondo il rimettente, tale disciplina – nel prevedere che il terzo possa opporre all’esecutante il proprio diritto di proprietà sui beni pignorati alla duplice condizione che il diritto risulti da determinati atti e che sia anteriore all’anno cui si riferisce il credito iscritto a ruolo – víola: a) l’art. 3 Cost., perché comporta una irragionevole disparità di trattamento rispetto al regime dell’esecuzione forzata ordinaria, disciplinato dall’art. 621 del codice di procedura civile, il quale non prevede tali limitazioni probatorie; b) l’art. 24 Cost., perché limita ingiustificatamente il diritto di difesa; c) l’art. 42 Cost., perché dà vita «ad una sorta di espropriazione senza indennizzo»;
che, quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che, «dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione di cui all’art. 63 d.P.R. n. 602/1973, l’opposizione potrebbe essere accolta, mentre, ritenuta legittima la stessa disposizione, l’opposizione dovrebbe essere respinta, non essendo i documenti prodotti dall’opponente né atti pubblici, né scritture private autenticate, né sentenze, ed essendo gli stessi posteriori all’anno di riferimento delle imposte iscritte a ruolo»;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio ed ha chiesto dichiararsi «inammissibile perché manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata»;
che, nel merito, la difesa erariale afferma, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, che l’esecuzione esattoriale è regolata in modo tale da assicurare la sollecita riscossione delle imposte, al fine di tutelare il «preminente interesse, costituzionalmente riconosciuto», al «regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato» (sentenze n. 67 del 1974 e n. 87 del 1962);
che, in particolare, l’Avvocatura generale afferma, quanto all’asserita violazione dell’art. 3 Cost., che la «difformità degli interessi sottesi all’esecuzione ordinaria ed a quella esattoriale» legittima «l’adozione di procedure diversificate»;
che, quanto alla dedotta lesione dell’art. 24 Cost., la difesa erariale osserva che nella procedura esecutiva esattoriale la disciplina del regime probatorio «è rimessa, sempre nei limiti della ragionevolezza, alla discrezionalità del legislatore» e che, nella specie, non sussiste alcuna lesione del diritto di agire in giudizio;
che infine, quanto alla prospettato contrasto con l’art. 42 Cost., la disciplina denunciata, secondo la difesa erariale, «non comporta affatto […] una violazione della garanzia riconosciuta alla proprietà privata, ma determina, soltanto, secondo le discrezionali valutazioni rimesse al legislatore, l’equo contemperamento tra gli interessi del Fisco ed i diritti di tutela giurisdizionale del terzo».
Considerato che il Tribunale ordinario di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione, della legittimità dell’art. 63 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) – come sostituito dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) – nella parte in cui prevede che l’opposizione del terzo all’esecuzione esattoriale «possa essere proposta solo in forza di atto pubblico, scrittura privata autenticata, o sentenza passata in giudicato, anteriore all’anno a cui si riferisce l’imposta iscritta a ruolo, e non anche di documenti aventi data certa anteriori al pignoramento, da parte del locatore che abbia locato al debitore una casa ad uso abitativo arredata, con contratto avente data certa anteriore al pignoramento, ove l’opposizione abbia ad oggetto i mobili compresi in tale locazione»;
che, ad avviso del rimettente, la disposizione censurata, disponendo che, nell’esecuzione esattoriale, la prova della proprietà dei beni in capo al terzo opponente può essere offerta soltanto mediante esibizione dei suddetti atti aventi i precisati requisiti temporali, víola: a) l’art. 3 Cost., perché comporta una irragionevole disparità di trattamento rispetto al regime dell’esecuzione forzata ordinaria, disciplinato dall’art. 621 del codice di procedura civile, il quale non prevede tali limitazioni probatorie; b) l’art. 24 Cost., perché limita ingiustificatamente il diritto di difesa; c) l’art. 42 Cost., perché dà vita «ad una sorta di espropriazione senza indennizzo»;
che questioni identiche a quelle sollevate dal rimettente sono state già dichiarate non fondate da questa Corte con la sentenza n. 351 del 1998, per quanto riguarda la violazione degli artt. 3 (in relazione all’art. 621 cod. proc. civ.) e 24 Cost., e con l’ordinanza n. 455 del 2000, per quanto riguarda la violazione degli artt. 24 e 42 Cost.;
che tali pronunce hanno ad oggetto l’art. 65 del d.P.R. n. 602 del 1973 che, nel testo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 16 del d.lgs. n. 46 del 1999, era sostanzialmente corrispondente, per le parti che qui rilevano, alla norma censurata;
che, quanto all’art. 3 Cost. (ed al tertium comparationis costituito dall’art. 621 cod. proc. civ.), questa Corte ha ritenuto che «la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate […] risponde all’esigenza di pronta realizzazione del credito fiscale, attuata con una procedura improntata a criteri di semplicità e di speditezza, che possono comportare non solo presunzioni in ordine all’appartenenza dei beni e preclusioni nelle opposizioni (sentenze n. 415 del 1996, n. 444 del 1995 e n. 358 del 1994), ma anche limiti probatori» ed ha conseguentemente affermato che «una disciplina di tali limiti, diversa e differenziata rispetto a quella prevista per la comune esecuzione forzata, [non] è di per sé irragionevole o lesiva del principio di eguaglianza, potendo trovare giustificazione nelle specifiche finalità del procedimento di esecuzione esattoriale e nella diversità di condizione del credito fiscale e di posizione dei soggetti coinvolti nella riscossione coattiva delle imposte» (sentenza n. 351 del 1998);
che, quanto alla dedotta violazione dell’art. 24 Cost., la Corte ha ribadito che «la disciplina dell’ammissibilità e del regime delle prove è rimessa, sempre nei limiti della ragionevolezza, alla discrezionalità del legislatore […], il quale può, per determinati rapporti, ammettere solo la prova documentale ed escludere quella testimoniale, ponendo limitazioni che non incidono sul diritto di azione, ma disciplinano il regime delle prove quando l’azione sia esercitata o esprimono profili della disciplina sostanziale» (sentenza n. 351 del 1998; nello stesso senso, ordinanza n. 455 del 2000);
che, quanto all’asserita violazione dell’art. 42 Cost., questa Corte ha affermato che una siffatta regolamentazione dei «limiti per provare la proprietà di beni pignorati nella casa del contribuente moroso diversa da quella prevista per la comune esecuzione forzata può essere giustificata, in relazione alle specifiche finalità del procedimento di esecuzione esattoriale ed alla posizione dei soggetti coinvolti, dall’esigenza di escludere la possibilità di fraudolente elusioni stabilendo la sostanziale inopponibilità al fisco di atti di alienazione, successivi all’obbligazione tributaria, di beni che permangono nella casa del debitore o in altri luoghi a lui appartenenti; ciò che non comporta una lesione del diritto di agire in giudizio, né una violazione della garanzia riconosciuta alla proprietà privata» (citata ordinanza n. 455 del 2000);
che, con riferimento a quest’ultimo profilo, inoltre, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre avuto cura di precisare che l’art. 42, secondo comma, Cost. non esclude che il diritto di proprietà sia, in certe situazioni, subordinato a condizioni o presupposti od anche all’onere di un particolare comportamento da parte dello stesso proprietario, come quello di rimuovere tempestivamente i beni mobili dall’abitazione del locatario assoggettato ad esecuzione esattoriale (sentenze n. 4 del 1973 e n. 4 del 1960);
che il rimettente non prospetta profili diversi da quelli già presi in esame con le citate pronunce o, comunque, tali da indurre questa Corte a modificare il precedente orientamento;
che le questioni, dunque, devono essere dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
La Corte costituzionale
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) – come sostituito dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) –, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2008.