Ordinanza n. 455/2000

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 455

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Cesare MIRABELLI, Presidente

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI 

- Dott. Cesare RUPERTO 

- Dott. Riccardo CHIEPPA 

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY 

- Prof. Valerio ONIDA 

- Prof. Carlo MEZZANOTTE 

- Avv. Fernanda CONTRI 

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof. Annibale MARINI  

- Dott. Franco BILE 

- Prof. Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 65, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come modificato dall’art. 5 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, promossi con ordinanze emesse il 23 giugno 1999 dal Pretore di Verona nel procedimento di opposizione all’esecuzione proposto da Lucia Burato nei confronti del Concessionario del Servizio riscossione tributi di Verona ed altri, iscritta al n. 657 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 1999 e il 30 giugno 1999 dal Tribunale di Verona nel procedimento di opposizione all’esecuzione proposto da Silvia Cagnoni nei confronti del Concessionario del Servizio riscossione tributi di Verona ed altro, iscritta al n. 708 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2000 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto che il Pretore di Verona, con ordinanza emessa il 23 giugno 1999 nel corso di un procedimento di opposizione all'esecuzione proposto dal terzo che assumeva di essere proprietario di beni sottoposti ad esecuzione forzata esattoriale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale (iscritta al n. 657 del reg. ord. 1999) dell’art. 65, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) ¾ come modificato dall'art. 5 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito nella legge 28 febbraio 1997, n. 30 ¾ il quale prevede che l'ufficiale esattoriale deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento quando sia dimostrato, mediante esibizione di atto pubblico o scrittura privata autenticata di data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo, che i beni appartengono a persone diverse dal debitore o dai suoi familiari;

che il giudice rimettente ritiene che la norma, la quale prevede che il titolo di acquisto da parte del terzo estraneo all’esecuzione esattoriale debba essere anteriore all’iscrizione a ruolo del tributo, sia in contrasto con gli artt. 24 e 42 della Costituzione, giacché non consentirebbe al terzo incolpevole acquirente con atto anteriore al pignoramento di far accertare in giudizio il proprio diritto e costituirebbe una irragionevole limitazione del diritto di proprietà;

che la soluzione del dubbio di legittimità costituzionale è considerata rilevante nel giudizio del quale il Pretore è investito e nel quale il terzo ha proposto opposizione alla esecuzione per aver acquistato la proprietà del bene oggetto dell’espropriazione esattoriale prima del pignoramento, lasciando al debitore sottoposto all’esecuzione forzata un diritto personale di godimento;

che il Tribunale di Verona, con ordinanza emessa il 30 giugno 1999, ha sollevato identica questione di legittimità costituzionale (iscritta al n. 708 del reg. ord. 1999);

che nel giudizio promosso dal Pretore di Verona è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque manifestamente infondata;

che in una successiva memoria l’Avvocatura, concludendo per la manifesta infondatezza della questione, ricorda che la giurisprudenza costituzionale ha ammesso limiti al regime delle prove nella disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte, ragionevolmente giustificati dalla finalità di evitare facili elusioni del pagamento dell’imposta, e sottolineando che analoga questione è già stata già dichiarata non fondata (sentenza n. 351 del 1998).

Considerato che le due ordinanze sollevano una identica questione di legittimità costituzionale, sicché i relativi giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

che l’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) ¾ il cui contenuto normativo è stato sostanzialmente trasfuso nell’art. 63 dello stesso d.P.R. a seguito della sostituzione dell’intero titolo II (Riscossione coattiva), in forza dell’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 ¾ stabilendo che l’ufficiale della riscossione deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento quando la proprietà del terzo è dimostrata mediante esibizione di atto pubblico o scrittura privata autenticata di data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo, non riguarderebbe solo gli atti che compie l’ufficiale esattoriale, ma, secondo l’interpretazione accolta dai giudici rimettenti, prevede un limite alla prova destinato ad operare anche nel giudizio di opposizione promosso dal terzo;

che la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate, mediante l’espropriazione forzata alla quale provvede lo stesso esattore, risponde all’esigenza di pronta realizzazione del credito fiscale, attuata con una procedura improntata a criteri di semplicità e di speditezza, i quali possono comportare non solo presunzioni in ordine all’appartenenza dei beni e preclusioni nelle opposizioni, ma anche limiti probatori (da ultimo sentenze n. 351 del 1998, n. 415 del 1996, n. 444 del 1995 e n. 358 del 1994);

che la disciplina dell’ammissibilità e del regime delle prove è rimessa, nei limiti della ragionevolezza, alla discrezionalità del legislatore (sentenza n. 351 del 1998), ed una regolamentazione di tali limiti per provare la proprietà di beni pignorati nella casa del contribuente moroso diversa da quella prevista per la comune esecuzione forzata può essere giustificata, in relazione alle specifiche finalità del procedimento di esecuzione esattoriale ed alla posizione dei soggetti coinvolti, dall’esigenza di escludere la possibilità di fraudolente elusioni stabilendo la sostanziale inopponibilità al fisco di atti di alienazione, successivi all’obbligazione tributaria, di beni che permangono nella casa del debitore o in altri luoghi a lui appartenenti; ciò che non comporta una lesione del diritto di agire in giudizio, né una violazione della garanzia riconosciuta alla proprietà privata;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 65, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come modificato dall'art. 5 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 42 della Costituzione, dal Pretore e dal Tribunale di Verona con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente e Redattore

Depositata in cancelleria il 2 novembre 2000.