Sentenza n.4 del 1960
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SENTENZA N. 4

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI                                               

Prof. TOMASO PERASSI                                                   

Prof. GASPARE AMBROSINI                                           

Dott. MARIO COSATTI                                                      

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI                    

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO                               

Prof. ANTONINO PAPALDO                                             

Prof. GIOVANNI CASSANDRO                                         

Prof. BIAGIO PETROCELLI                                              

Dott. ANTONIO MANCA                                                   

Prof. ALDO SANDULLI                                                     

Prof. GIUSEPPE BRANCA                                                 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 63, ultimo comma, T.U. sulla riscossione delle imposte dirette, approvato con R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401, modificato con l'art. 18 legge 16 giugno 1939, n. 942, promosso con ordinanza emessa il 13 dicembre 1958 dal Pretore di Varese nel giudizio di opposizione di terzo, instaurato da Marcelli Alessandro contro l'Esattoria comunale di Varese e nei confronti del debitore pignorato Macchi Eugenio, iscritta al n. 58 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 70 del 21 marzo 1959.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 20 gennaio 1960 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

uditi l'avv. Ferruccio Carboni, per Marcelli Alessandro, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Alcuni mobili del sig. Eugenio Macchi, insolvente per un debito d'imposta, erano stati pignorati e messi all'asta su domanda dell'Esattoria comunale di Varese. Poiché l'asta era andata deserta, il sig. Alessandro Marcelli acquistava gli stessi mobili, a licitazione privata, il 23 gennaio 1958 e li lasciava nella casa del Macchi, locandoli alla sorella di quest'ultimo coabitante con lui.

Poco dopo, il 7 febbraio 1958, su istanza dell'Esattoria comunale di Varese, per altro debito d'imposta non pagato, si procedeva contro il Macchi a pignoramento dei mobili rimasti nella sua abitazione, cioé proprio di quei beni che alcuni giorni prima erano stati acquistati dal Marcelli.

Il Marcelli faceva opposizione il 12 febbraio 1958 affermando che i mobili erano di sua proprietà, benché fossero ancora nella casa del debitore d'imposta, e il Pretore di Varese sospendeva il procedimento d'esecuzione mobiliare; ma l'Esattoria comunale di Varese chiedeva la revoca della sospensione invocando l'ultimo comma dell'art. 63 R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401 (T.U. sulla riscossione delle imposte dirette) modificato con 1'art. 18 legge 16 giugno 1939, n. 942: infatti, secondo questa norma, chi abbia acquistato beni mobili a un'asta esattoriale eseguita a carico d'un debitore d'imposta non può opporsi alla vendita forzata, promossa successivamente per altro debito d'imposta, degli stessi beni che siano rimasti nell'abitazione del debitore.

Dopodiché il Marcelli eccepiva l'illegittimità costituzionale del cit. ult. comma art. 63 R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401, in riferimento agli artt. 41 e 42 della Costituzione, e il Pretore di Varese, ritenendo non manifestamente infondata la questione, con ordinanza del 13 dicembre 1958 rimetteva gli atti alla Corte costituzionale.

L'ordinanza é stata notificata il 19 dicembre 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 21 marzo 1959. Il Marcelli si é costituito nel giudizio dinanzi a questa Corte con deduzioni depositate il 7 gennaio 1959 e ha presentato una memoria depositandola il 24 dicembre 1959. L'Avvocatura generale dello Stato, in nome del Presidente del Consiglio, é intervenuta con deduzioni depositate l'8 gennaio 1959.

2. - L'ordinanza del Pretore di Varese rileva innanzi tutto che il cit. ultimo comma dell'art. 63 R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401, non consentendo al terzo acquirente dei mobili di opporsi alla vendita forzata, lo priva del suo diritto di proprietà precedentemente acquisito: la norma, con una presunzione assoluta, considera quei beni come ancora appartenenti al debitore d'imposta nonostante che il terzo li abbia acquistati e pagati: sembrerebbe derivarne una violazione indiretta dell'art. 41, primo comma, della Costituzione ("L'iniziativa economica privata é libera").

Inoltre, secondo l'ordinanza di rinvio, la norma impugnata di illegittimità costituzionale parrebbe contrastare soprattutto col secondo e terzo comma art. 42 della Costituzione: infatti il secondo comma di quest'ultimo prevede soltanto limitazioni legislative al diritto di proprietà, mentre la norma impugnata, piuttosto che porre limiti al diritto del terzo acquirente, gli toglie la possibilità di difenderlo e così produce a suo danno effetti analoghi a quelli d'una vera espropriazione; d'altra parte l'espropriazione, in virtù del terzo comma cit. art. 42 della Costituzione, é ammessa esclusivamente dietro indennizzo e per motivi di interesse generale; invece tali motivi non ricorrono nel caso previsto dalla norma impugnata, che per di più si guarda bene dall'attribuire al terzo acquirente alcun indennizzo.

Queste tesi sono ribadite nelle deduzioni, che presenta la difesa del Marcelli, in cui peraltro si richiama esclusivamente l'art. 42 della Costituzione e si precisa come la norma impugnata tuteli soltanto l'interesse dell'esattore che promuove la vendita; invece, secondo i principi, nel contrasto di interessi fra l'esattore d'imposta, che certat de lucro captando, e il terzo acquirente, che certat de damno vitando, non, potrebbe non essere favorito quest'ultimo; il quale - afferma la difesa del Marcelli - deve essere tutelato nel suo diritto di proprietà anche perché la difesa di tale diritto é cosa di pubblico interesse, come risulta dal 2 comma dell'art. 42 Costituzione ("La proprietà privata é riconosciuta e garantita dalla legge").

3. - L'Avvocatura dello Stato obietta, al contrario, che il caso previsto dalla norma impugnata é manifestamente estraneo alla fattispecie normativa dell'art. 41, 1 comma, della Costituzione; la libertà della iniziativa economica, garantita in questa norma, non ha niente a che fare col diritto alla tutela della proprietà che si pretende leso dall'art. 63, ultimo comma legge citata.

Altrettanto dovrebbe dirsi dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione: questo si riferisce all'espropriazione per pubblico interesse, mentre la norma impugnata di legittimità costituzionale riguarda l'espropriazione forzata dei beni che siano nella disponibilità del debitore.

Quanto poi al secondo comma del cit. art. 42 della Costituzione, esso stabilisce che la legge ordinaria determina i modi d'acquisto della proprietà: come dire - rileva l'Avvocatura dello Stato - che la legge ordinaria può disporre se e quando un atto d'acquisto sia efficace e opponibile ai terzi: ebbene, la norma impugnata non fa altro che rendere inopponibile all'esattore l'acquisto dei mobili avvenuto precedentemente da parte del terzo. Non si tratta di un caso isolato, ma esso é analogo ad altri, notissimi, in tema di trascrizione, di iscrizione in pubblici registri, di vendita di beni sottoposti a pignoramento.

La norma impugnata - prosegue l'Avvocato generale dello Stato - non nega affatto la proprietà del terzo acquirente, ma si limita ad assoggettarne i beni mobili all'espropriazione forzata promossa dall'esattore: che i beni appartenenti a persona diversa del debitore possano essere colpiti dall'espropriazione diretta contro quest'ultimo é fenomeno comune: basta pensare agli artt. 621 Cod. proc. civ. (limitazioni alla prova della proprietà), 622 Cod. proc. civ. (presunzione assoluta, che impedisce l'esercizio dell'azione di separazione) e 2756, 2759 ecc. Cod. civ. (privilegio su cose che si trovino in una particolare relazione col debitore, indipendentemente dalla titolarità rispetto ad esse). Nel conflitto tra un diritto di proprietà ed un credito, ugualmente meritevole di tutela, la legge impugnata ha dato la preferenza a quest'ultimo allorché si tratta di beni che, trovandosi in casa del debitore, si presume non siano mai usciti effettivamente dal patrimonio di lui, nonostante l'acquisto del terzo.

Anche se il terzo acquirente dovesse considerarsi, in virtù della norma impugnata, un responsabile d'imposta - conclude l'Avvocatura dello Stato -, con ciò non vi sarebbe niente di contrario ai principi del nostro ordinamento: sono frequenti, anche nel diritto privato, i casi di responsabilità dissociata dal debito.

4. - A queste affermazioni la difesa del Marcelli, nella memoria, risponde obiettando: 1) che gli altri casi in cui il diritto del terzo proprietario é sacrificato all'interesse del creditore non hanno alcuna analogia con quello previsto dalla norma impugnata: infatti si tratta di pignoramento anteriore all'acquisto da parte del terzo (es. art. 2913 Cod. civ.) o di presunzioni che favoriscono il creditore ma ammettono la prova contraria da parte di chi vanta un diritto su beni pignorati (art. 621, 622 Cod. proc. civ.); 2) che altre fattispecie, richiamate dall'Avvocatura dello Stato, riguardano conflitti tra acquirenti del medesimo bene (art. 2644 Cod. civ.) o tra creditori della stessa persona (art. 2756 ecc. Cod. civ.), non fra creditore e terzo acquirente, come é invece nel caso previsto dalla norma impugnata; 3) che insomma quest'ultima ha una fisionomia particolare, diversa da quella delle altre a cui si riferisce l'Avvocatura dello Stato e non giustificata da una ratio sufficiente.

La difesa del Marcelli conclude che il terzo acquirente dei mobili non può considerarsi neanche per ipotesi, come fa invece l'Avvocatura generale dello Stato, un mero responsabile d'imposta: in tutti i casi di responsabilità senza debito l'azione é sempre promossa contro di lui responsabile e non, come qui, contro il debitore d'imposta.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza di rinvio allude soltanto, e vagamente, a una pretesa violazione dell'art. 41, primo comma, della Costituzione. La difesa del Marcelli non vi insiste: infatti é troppo chiaro che una norma, con la quale si impedisce al proprietario di far valere il suo diritto nel corso d'un procedimento esecutivo, opera in un campo diverso da quello dell'iniziativa economica privata a cui si riferisce espressamente, garantendone la libertà, il citato art. 41, primo comma, della Costituzione.

2. Da escludere é, inoltre, la violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. É vero che, per effetto della norma impugnata, il proprietario non può opporre il suo titolo d'acquisto all'esattore e finisce normalmente per essere privato dei suoi beni, come accade allorché, procedendosi alla vendita forzata, essi vengono acquistati da qualcuno; però é altrettanto vero che non si tratta dell'espropriazione a cui si riferisce il citato art. 42, terzo comma, della Costituzione: infatti il proprietario perde il suo diritto, ma in quanto subisce le conseguenze d'un pignoramento promosso contro un'altra persona, il debitore d'imposta: le subisce perché si é messo in una situazione che avrebbe potuto facilmente evitare.

Avrebbe potuto evitarla facendo sì, dopo il suo acquisto, che quei mobili non restassero nella casa del debitore d'imposta. Sotto questo punto di vista la norma impugnata, per impedire frodi troppo facili, si limita a porre un onere al terzo acquirente, quello di rimuovere i beni dall'abitazione di chi ne é stato espropriato: la mancata esecuzione dell'onere, secondo i principi, espone l'interessato ad un rischio che, per l'art. 63, ult. comma R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401, é addirittura quello della perdita del suo diritto di proprietà.

Ora, l'esistenza di un onere di questo tipo é ben lungi dal sopprimere, nel caso, la tutela del diritto di proprietà garantita dal 2 comma dell'art. 42 della Costituzione; essa non fa altro che subordinare ad un certo comportamento la conservazione del diritto del proprietario. Ne deriva che neanche il secondo comma dell'art. 42 della Costituzione si può dire violato: questo comma garantisce la difesa del diritto del proprietario, ma non esclude che tale difesa, in certe situazioni, sia subordinata a condizioni o a presupposti o a un particolare comportamento dello stesso proprietario.

3. - Dato ciò, é del tutto irrilevante che la ratio della norma impugnata sia diversa da quella di altre norme in cui il titolo d'acquisto sia inopponibile a tutti o ad alcuni e che la norma stessa contenga un precetto particolare o singolare. Accertato che essa non sopprime la tutela garantita dalla Costituzione al proprietario, ne risulta la evidente infondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione proposta con l'ordinanza del 13-17 dicembre 1958 del Pretore di Varese sulla legittimità costituzionale dell'art. 63, ultimo comma, del R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401, modificato con l'art. 18 legge 16 giugno 1939, n. 942, in riferimento agli artt. 41 e 42 Costituzione della Repubblica.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI -  Giuseppe BRANCA.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

 

Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 1960.