ORDINANZA N. 418
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater del
decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza
nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori disposizioni in
materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di
conversione 27 gennaio 2006, n. 21, promossi con ordinanze del 4 (nn. 2 ordinanze) e del 20 aprile, dell’8 e del 19 maggio,
del 10 luglio, dell’8 giugno, del 24 maggio, dell’11 (n. 2 ordinanze) e del 27
settembre, del 2 ottobre (nn. 2 ordinanze), del 10
aprile, dell’11 settembre, del 2 ottobre (nn. 2
ordinanze), del 14 (nn. 6 ordinanze) e 27 novembre 2006,
del 30 gennaio (nn. 3 ordinanze) e del 15 febbraio
2007, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di
Catania, rispettivamente iscritte ai nn. da
Visti gli atti di costituzione di Legambiente - Comitato Regionale Siciliano, della Sicilpower s.p.a., della Tifeo Energia Ambiente s.c.p.a., del Consorzio per la distribuzione della rete fognante, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che
il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di
Catania, con le ventinove ordinanze di rimessione di cui in epigrafe, ha sollevato
– in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 24, 25, 111 e 125 della
Costituzione, e all’art. 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n.
455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – questione di legittimità
costituzionale dell’art. 3, commi 2-bis,
2-ter e 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure
straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella
Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile),
commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21;
che le censure investono,
innanzitutto, il comma 2-bis del
predetto art.
che l’iniziativa del giudice
rimettente ha ad oggetto anche i successivi commi 2-ter e 2-quater;
che la prima di tali disposizioni
stabilisce che le questioni di competenza di cui al precedente comma 2-bis «sono rilevate d’ufficio»,
prevedendo, altresì, che avanti al giudice amministrativo il giudizio sia
«definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell’articolo 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e
successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti
dell’articolo 23-bis della stessa legge»;
che il successivo comma 2-quater prevede, invece, non solo
l’applicazione del sopravvenuto regime processuale «anche ai processi in
corso», ma anche che l’efficacia delle misure cautelari adottate medio tempore dal giudice inizialmente
adito «permane fino alla loro modifica o revoca da parte del tribunale
amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata
può riproporre il ricorso»;
che in particolare, nella prima delle
ordinanze di rimessione (r.o. n. 579 del 2006), il
giudice a quo premette di essere
stato adito per l’annullamento di un provvedimento adottato nell’ambito di una
procedura espropriativa posta in essere dal Sindaco del Comune di Catania
nell’esercizio dei poteri conferitigli in qualità di Commissario delegato di
protezione civile;
che, conseguentemente, il giudice a quo deduce di dover «affrontare d’ufficio
la questione relativa alla competenza inderogabile del Tar del Lazio a
conoscere la vicenda», in ragione di quanto stabilito dalla sopravvenuta
normativa oggetto di censura;
che, difatti, il rimettente assume di
dover dichiarare – sulla base di tale disciplina – il proprio difetto di
competenza, esito processuale al quale, tuttavia, reputa di non dover
pervenire, ipotizzando l’illegittimità costituzionale delle previsioni
legislative suddette, per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e dell’art.
23 dello statuto regionale di autonomia;
che in proposito il Tribunale
amministrativo regionale catanese deduce il contrasto, innanzitutto, con l’art.
125 Cost., «e segnatamente con il principio della
articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia
amministrativa di primo grado», principio che implica «il rilievo e la garanzia
costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti»;
che, d’altra parte, neppure
ricorrerebbero «sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per
derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantite», allorché –
come nel caso di specie – «le singole situazioni di emergenza hanno rilievo
spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi
provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni
emergenziali»;
che, per contro, la scelta compiuta
dal legislatore appare «contraddittoria ed irrazionale», donde l’ipotizzata
violazione anche dell’art. 3 Cost., giacché essa
«sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e
differenti tra loro»;
che, difatti, la decisione del
legislatore di radicare la competenza del Tribunale amministrativo regionale
del Lazio, sede di Roma, riguarda tutti le ipotesi in cui sia dichiarato lo stato
di emergenza ai sensi del comma 1 dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, con
esclusione dei soli casi di intervento di protezione civile attuabili da
singoli enti o amministrazioni competenti in via ordinaria, ovvero attraverso
il coordinamento delle loro azioni;
che, quindi, sebbene il sistema della
protezione civile sia «articolato in vari livelli di intervento,
contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione
emergenziale», nonché strutturato in base al principio che esige, «per ogni
tipologia territoriale e "qualitativa” della situazione di emergenza»,
l’intervento del livello di governo «più vicino alla concreta dimensione delle
comunità colpite», a tale «multiformità» di azione corrisponderebbe, viceversa,
un sistema processuale che, derogando «contraddittoriamente ed immotivatamente»
agli artt. 2 e 3 della legge 6
dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi
regionali), «assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia
insorga nell’esercizio del potere di protezione civile»:
che, osserva ancora il giudice
rimettente, «il legislatore, sul semplice presupposto della necessità di
interventi di protezione civile extra ordinem», avrebbe «cristallizzato una valutazione di
rilevanza nazionale degli stessi», laddove, invece, «possiedono rilievo
nazionale "solamente” il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello,
distinto dal primo, seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a
norme dell’ordinamento», secondo quanto emergerebbe – oltre che dalla
giurisprudenza costituzionale (sono menzionate le sentenze n. 82 del
2006 e n.
327 del 2003) – da quanto espressamente stabilito dalla legge n. 225 del
1992 e dall’art. 107, comma 1, lettere b)
e c), del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15
marzo 1997, n. 59);
che sarebbe, dunque, evidente la
irragionevolezza della disciplina censurata, «per contraddittorietà e disparità
di trattamento processuale», giacché essa «utilizza lo stesso trattamento per
situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e
qualità degli interessi pubblici coinvolti», in contrasto anche con l’art. 117 Cost., poiché «finisce per attribuire rilievo nazionale
anche a questioni riservate alla competenza regionale»;
che il rimettente deduce, altresì, la
violazione dell’art. 24 Cost., «per la evidente
maggiore difficoltà di esercitare le relative azioni presso il Tar del Lazio
piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti», rilievo
che vale identicamente «sia per la disciplina transitoria, sia per le future
nuove controversie»;
che viene richiamata, in particolare,
quella pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 123 del
1987) che ha riconosciuto «il diritto del cittadino ad ottenere una
decisione di merito senza onerose reiterazioni», osservandosi che, sebbene la
fattispecie in esame risulti diversa da quella oggetto della citata sentenza,
il principio da essa enunciato sarebbe comunque applicabile nel caso di specie,
poiché la disciplina processuale in contestazione fa carico a «chi abbia già un
giudizio pendente davanti al TAR locale, ed abbia addirittura ottenuto una
decisione cautelare», di dover «proseguire altrove nella propria iniziativa
giudiziaria»;
che è ipotizzata, poi,
l’incostituzionalità della disciplina processuale in esame per violazione
dell’art. 25 Cost., sottolineandosi come, ancora
nella più recente giurisprudenza costituzionale, sia stato affermato che «alla
nozione di giudice naturale precostituito per legge non è affatto estranea "la
ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa
nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio”» (sentenza n. 41 del
2006, che richiama le sentenze n. 410 del
2005 e n.
251 del 1986);
che, pertanto, il rispetto del
principio costituzionale ex art. 25,
primo comma, Cost. – prosegue il rimettente – escluderebbe, secondo la
giurisprudenza costituzionale, che vi possa essere una designazione del giudice
«tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta» (sentenza n. 393 del
2002), essendo invece necessario che «la regola di competenza sia
prefissata rispetto all’insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del
2003);
che la sussistenza del denunciato
profilo di incostituzionalità sarebbe vieppiù confermata, secondo il giudice a quo, dal potere – attribuito al
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, dal comma 2-quater del censurato art. 3 – di riforma
di provvedimenti cautelari già assunti dal Tribunale locale, giacché tale
potere, esercitato «ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato
a quelli di provenienza», costituirebbe un «rimedio inedito, che non è di
secondo grado e che finisce per costituire un doppione del già espletato
giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilità di inquadramento
tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo)», con conseguente
violazione del principio del ne bis in
idem, che, «seppur non espressamente contemplato dalla Carta
Costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del
"giusto processo”»;
che la previsione, inoltre, di tale
«anomalo percorso», nella misura in cui «stravolge l’ordinario iter giudiziario», violerebbe anche «il
principio del doppio grado di giudizio nella giustizia amministrativa» previsto
dall’art. 125 Cost. (integrando, così, un’ulteriore violazione di tale
parametro), principio che non consente «una doppia pronuncia sulla stessa
materia da parte di due diversi giudici di primo grado»;
che quanto, infine, alla dedotta
violazione dell’art. 23 dello statuto regionale di autonomia, la stessa
risulterebbe evidente richiamando quella interpretazione, fatta propria anche
dalla giurisprudenza amministrativa (è citata la sentenza del Consiglio di
Stato, sezione VI, n. 595 del 26 luglio 1979), secondo cui, in «tutte le
controversie d’interesse regionale» – devolute dalla norma statutaria suddetta
alla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per
che con nove successive ordinanze (r.o n. 580 del 2006; r.o. nn. 82, 84, 85, 233, 490, 491, 492 e 493 del 2007), il
medesimo Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di
Catania, ha sollevato questione di legittimità costituzionale pressoché identica
a quella oggetto dell’ordinanza appena illustrata (r.o.
n. 579 del 2006);
che il rimettente risulta chiamato a
giudicare, in due dei nove casi, della legittimità di provvedimenti con cui il
Sindaco del Comune di Catania, nella qualità di Commissario delegato per
l’emergenza traffico e per la sicurezza sismica, ha disposto, rispettivamente,
l’aggiudicazione dell’appalto per l’edificazione di un parcheggio (r.o. n. 580 del 2006), ed ha approvato nove
progetti-localizzazioni di parcheggi sotterranei da realizzarsi in città (r.o. n. 84 del 2007);
che – quanto all’oggetto degli altri
giudizi principali – il giudice a quo riferisce
di essere stato investito (r.o. n. 82 del 2007)
dell’impugnazione di provvedimenti adottati nell’ambito di un procedimento
ablatorio, finalizzato al completamento e all’ammodernamento di un impianto di
depurazione di acque reflue, procedimento posto in essere da varie autorità
amministrative di concerto con il Presidente della Regione, nell’esercizio dei
poteri conferitigli nella qualità di Commissario delegato di protezione civile
per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque nella Regione Sicilia;
che, analogamente, i giudizi nel
corso dei quali il Tribunale amministrativo catanese ha adottato le ordinanze r.o. nn. 85, 233 e 493 del 2007
concernono, rispettivamente, il primo ed il terzo, l’impugnazione di
provvedimenti (e di atti consequenziali) adottati dal Presidente della Regione,
nella qualità di Commissario delegato all’emergenza idrica, il secondo, invece,
un’ordinanza emessa dalla medesima autorità amministrativa (in veste di
Commissario delegato di protezione civile per l’emergenza rifiuti e tutela
delle acque nella Regione Sicilia), con cui è stata disposta l’approvazione di
un progetto relativo alla realizzazione di un impianto per lo smaltimento di
rifiuti;
che è, invece, l’impugnativa dei
pareri favorevoli, espressi dal Commissario per l’emergenza rifiuti e tutela
delle acque in Sicilia in ordine ai progetti per la realizzazione, nei Comuni
di Caltabiano, Baronia e Rometta, di altrettante
stazioni cosiddette di trasferenza dei rifiuti solidi
urbani, a costituire l’oggetto dei giudizi nel corso dei quali sono state
adottate le ordinanze r.o. nn.
490, 491 e 492 del 2007;
che, ciò premesso, il TAR rimettente
assume – in ciascuna delle citate ordinanze di rimessione – che, ai sensi della
disciplina processuale recata dai predetti commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art. 3 del d.l. n. 245 del
2005, le controversie sopra sinteticamente indicate dovrebbero essere
integralmente devolute alla cognizione del Tribunale amministrativo regionale
del Lazio, sede di Roma, giacché in ognuna di esse vengono in rilievo questioni
attinenti all’esercizio dei poteri emergenziali ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992;
che il giudice a quo, tuttavia, reputa di dover sottoporre all’esame della Corte
costituzionale questione di legittimità costituzionale delle norme suddette,
ipotizzandone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e con l’art. 23
dello statuto regionale di autonomia, sulla base di considerazioni
sostanzialmente identiche a quelle già oggetto dell’ordinanza n. 579 del 2006;
che, inoltre, il rimettente ipotizza
– salvo che nell’ordinanza r.o. n. 580 del 2006 – la
violazione anche del principio del giusto processo (senza, però, richiamare
espressamente l’art. 111 Cost. nei dispositivi di ciascun provvedimento di
rimessione);
che, difatti, nell’illustrare le
ragioni dell’asserita violazione dell’art. 23 dello statuto regionale di
autonomia, il rimettente sottolinea che, qualora si ritenesse che la prevista
competenza in primo grado del TAR del Lazio – per controversie del tipo di
quelle in esame – non valga a mutare, quanto al grado d’appello, quella del
Consiglio di giustizia amministrativa per
che il rimettente catanese ha,
inoltre, sollevato analoga questione di legittimità costituzionale con
l’ordinanza r.o. n. 581 del 2006;
che il giudice a quo premette di essere
stato adito per l’annullamento di un provvedimento adottato dal Sindaco di
Catania all’esito di una procedura amministrativa posta in essere
nell’esercizio dei poteri conferitigli «in qualità di commissario delegato di
protezione civile per l’emergenza traffico»;
che, conseguentemente, il rimettente
deduce di dover «affrontare d’ufficio la questione relativa alla competenza
inderogabile del Tar del Lazio a conoscere la vicenda», in ragione di quanto
stabilito dalla sopravvenuta normativa oggetto di censura, atteso che, sulla
base di tale disciplina, esso dovrebbe dichiarare il proprio difetto di
competenza, esito processuale al quale, tuttavia, reputa di non dover
pervenire, proprio ipotizzando l’illegittimità costituzionale delle previsioni
legislative suddette, per contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e con
l’art. 23 dello statuto regionale di autonomia;
che il rimettente richiama, in
proposito, le stesse considerazioni già svolte nell’ordinanza n. 579 del 2006,
reputando, però, di dover individuare ulteriori profili di illegittimità della
contestata disciplina, con riferimento, in particolare, all’ipotizzato
contrasto con l’art. 24 Cost.;
che integrerebbe, infatti,
un’ulteriore violazione di tale parametro la circostanza che – radicatosi
nuovamente innanzi al Tar del Lazio, sede di Roma, il giudizio già pendente
innanzi al Tar locale, e da questo definito, quanto alla domanda di concessione
del provvedimento ex art. 21 della
legge n. 1034 del 1971 – «la parte soccombente nel giudizio cautelare» risulti
«fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico» per porre in
discussione la decisione, precedentemente adottata, sulla domanda cautelare;
che in tal modo, infatti, si
riconoscerebbe – seppure solo ai fini e per gli effetti appena descritti –
«l’impulso processuale», e cioè «una prerogativa esclusiva della parte
ricorrente», anche all’amministrazione resistente (e/o al controinteressato),
ciò che integrerebbe un’ulteriore violazione dell’art. 24 Cost.;
che con tre ulteriori ordinanze di
rimessione (r.o n. 584 del 2006; r.o.
nn. 300 e 430 del 2007), sempre il Tribunale
amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale pressoché identica a quelle
precedentemente illustrate, evocando anche, tra le norme costituzionali asseritamente violate (ma solo nell’ordinanza r.o. n. 300 del 2007), l’art. 111, primo comma, Cost.;
che quanto alla rilevanza delle
questioni sollevate, il rimettente precisa di essere chiamato a giudicare, nei
primi due casi (r.o. n. 584 del 2006 e n. 300 del
2007), della legittimità di una serie di provvedimenti amministrativi adottati
nell’ambito di due procedure espropriative (rispettivamente finalizzate alla
realizzazione di un centro per la raccolta differenziata di rifiuti nel Comune
di Fiumefreddo di Sicilia ed alla edificazione di un parcheggio nella contrada
Barriera del Comune di Catania), procedure entrambe avviate sulla base di
altrettante ordinanze – anch’esse oggetto di impugnazione innanzi al Tribunale
rimettente – adottate, nella prima ipotesi, dal Commissario delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia, nella seconda dal
Sindaco di Catania nella qualità di Commissario delegato per l’emergenza
connessa al rischio sismico;
che nel caso del terzo provvedimento
di rimessione (r.o. n. 430 del 2007), il Tribunale
catanese – nel pronunciare sentenza non definitiva, con cui ha ritenuto di
poter decidere parzialmente la controversia devoluta al suo esame – premette di
essere stato chiamato a conoscere – in virtù di una serie di ricorsi riuniti –
di una complessa fattispecie;
che il rimettente precisa di dover
giudicare della «asserita illegittimità di una serie di atti volti a rendere
disponibile un terreno sito nel Comune di Valdina – contrada Cianina – di
proprietà dei ricorrenti», e ciò «al fine di consentire il conferimento dei
rifiuti di alcuni Comuni della Provincia di Messina», conferimento, a suo
volta, «reso necessario» a seguito del provvedimento di sequestro giudiziario
preventivo della discarica di Portella Arenella, adottato dal Giudice delle
indagini preliminari del Tribunale di Messina;
che il Tribunale rimettente riferisce
che ai provvedimenti inizialmente adottati – per il raggiungimento della
finalità sopra meglio descritta – dal Sindaco del Comune di Valdina e dal
Presidente della Provincia regionale di Messina, aveva fatto seguito
un’ordinanza del Prefetto della Provincia di Messina che, designato quale
Commissario straordinario per fronteggiare la situazione di emergenza venutasi
a determinare, aveva disposto la requisizione del terreno suddetto;
che l’adito Tribunale amministrativo
regionale, mentre ha ritenuto – in parziale accoglimento delle domande proposte
dai ricorrenti – di potersi pronunciare, con sentenza non definitiva, sulle
domande di annullamento degli atti impugnati, ha, tuttavia, riconosciuto come
«contraddittore necessario di tutte le istanze risarcitorie, sia in forma
specifica che per equivalente» (domande pure oggetto del giudizio pendente
innanzi ad esso) il Presidente della Regione Siciliana, nella sua qualità di
Commissario delegato per la predisposizione e adozione del piano di gestione
dei rifiuti e delle bonifiche delle aree inquinate, istituito e nominato con
ordinanza del Ministero degli interni, Dipartimento della protezione civile,
del 31 maggio 1999, n. 2983;
che, difatti, «le domande di
restituzione (anche parziale) del terreno o la sua bonifica, passano
necessariamente dall’intervento del Commissario delegato e, quindi, si
rivolgono ad una sua esclusiva attività», nel caso di specie, invece,
«mancante» (ciò che costituisce il persistente oggetto della doglianza fatta
valere dai ricorrenti);
che, del pari, anche la «domanda di risarcimento
del danno per equivalente richiede comunque una valutazione dell’illegittimità
dell’occupazione del terreno», e dunque «un giudizio sul mancato esercizio del
potere autoritativo da parte del commissario delegato»;
che, di conseguenza, secondo il
Tribunale rimettente, ciò renderebbe rilevante la questione relativa alla
disciplina processuale prevista dall’art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005,
alla quale il rimettente ritiene ascrivibile non solo le controversie relative
all’esercizio dei poteri emergenziali, ma anche quelle – come la presente – in
cui si faccia questione in ordine alla loro mancata esplicazione, ed alle
conseguenti pretese risarcitorie attivabili dagli interessati;
che anche con l’ordinanza r.o. n. 582 del 2006 il Tribunale amministrativo regionale
della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha nuovamente censurato – in
riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111, 125 Cost. e 23 dello statuto regionale
di autonomia – le medesime disposizioni già contestate con gli altri provvedimenti
di rimessione sopra illustrati, sulla base di argomenti analoghi a quelli ivi
contenuti;
che, in punto di fatto, il giudice a quo deduce di dover giudicare
dell’impugnativa proposta avverso i provvedimenti adottati nell’ambito di una
procedura finalizzata alla localizzazione di un sito per la realizzazione del
centro comunale di raccolta rifiuti del Comune di Tremestieri Etneo, inclusi
gli atti ablatori aventi ad oggetto l’immobile di proprietà delle ricorrenti;
che il rimettente, quantunque informi
che, difatti, il giudizio devoluto al
suo esame concerne provvedimenti amministrativi adottati nell’esercizio di
poteri emergenziali ex art. 5, comma
1, della legge n. 225 del 1992, sicché – ai sensi di quanto previsto, in particolare,
dall’art. 3, comma 2-ter, del d.l. n.
245 del 2005 – la competenza a pronunciarsi in
subiecta materia, spetta senza «eccezioni» o
«distinzioni» al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma,
risultando, pertanto, impedita al Tribunale rimettente «l’adozione di qualunque
atto processuale che non consista nella trasmissione del fascicolo al TAR del
Lazio»;
che, ciò premesso, il giudice a quo reputa di dover sottoporre
all’esame della Corte costituzionale la questione relativa alla legittimità
della nuova disciplina processuale, ipotizzandone il contrasto con gli artt. 3,
24, 25, 111, 125 Cost. e con l’art. 23 dello statuto regionale di autonomia;
che è ipotizzato, innanzitutto, il
contrasto con l’art. 125 Cost., risultando violato
«il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di
giustizia amministrativa di primo grado», finalizzato non solo «a ripartire in
modo razionale e equiordinato l’organizzazione dei
giudici amministrativi di primo grado», ma anche ad «agevolare il ricorso delle
parti alla giustizia amministrativa, in coerenza e continuità logica con i
principi desumibili dall’art. 24 della Costituzione»;
che – secondo il rimettente – la
disciplina in contestazione, inoltre, darebbe luogo ad «un anomalo percorso che
stravolge l’ordinario iter giudiziario»,
nel quale, invero, «ad una pronuncia di primo grado, cautelare o di merito,
consegue, se la parte soccombente ritiene di impugnarla, una pronuncia di
secondo grado, e non certo una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte
di due diversi giudici di primo grado»;
che è dedotta, altresì, la violazione
dell’art. 24 Cost., «per la evidente maggiore
difficoltà di esercitare le relative azioni presso il Tar del Lazio piuttosto
che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti», nonché del
successivo art. 25, primo comma, il quale escluderebbe che vi possa essere una
designazione del giudice «tanto da parte del legislatore con norme singolari,
che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la
controversia sia insorta» (il rimettente richiama la sentenza n. 393 del
2002 della Corte costituzionale);
che è ipotizzata la violazione anche
dell’art. 3 Cost., «per la disparità di trattamento
che la deroga alle ordinarie regole di riparto delle competenze comporta, per
la tutela giurisdizionale delle rispettive situazioni giuridiche, tra soggetti
in situazioni eguali»: difatti, risultano assoggettati ad un trattamento differenziato
i «destinatari delle ordinanze adottate dagli organi governativi o dai
commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi efficacia
limitata al territorio di una Regione», rispetto ai «destinatari dei
provvedimenti, aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via
ordinaria», e posti in essere, in genere, «dagli organi esponenziali di enti
territoriali regionali o sub regionali»;
che il medesimo parametro è, inoltre,
evocato sotto il profilo del difetto di ragionevolezza, atteso che lo stesso
tenore letterale del censurato comma 2-bis
dell’art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005 rivelerebbe che la peculiare
disciplina processuale da esso introdotta «riguarda le ordinanze e gli atti
commissariali adottati nelle situazioni di emergenza», dichiarate ai sensi del
citato art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «ma non i provvedimenti
che tali situazioni dichiarino e che, ove si riferiscano a situazione di
limitata estensione territoriale, come sovente accade, continuano a rientrare
nella ordinaria competenza del Tar della Regione in cui il provvedimento è
destinato ad avere incidenza»;
che, invece, il contrasto con l’art.
111 Cost. è motivato in base all’assunto che la disciplina in contestazione
creerebbe «una sorta di gerarchia tra i Tar territoriali, incompatibile con il
dettato e lo spirito della Costituzione»;
che è dedotto, infine, il contrasto
con l’art. 23 dello statuto regionale, atteso che, in attuazione di tale «norma
di rango costituzionale», è stato istituito il Consiglio di giustizia
amministrativa per
che anche con le ordinanze r.o. n. 583 del 2006 e n. 83 del 2007 il Tribunale
amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha
ulteriormente censurato – in riferimento, peraltro, ai soli artt. 3, 24 e 125
Cost. e 23 dello statuto regionale di autonomia – l’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del d.l.
n. 245 del 2005;
che in punto di fatto il giudice a quo deduce di essere investito, nel
primo caso, dell’impugnazione proposta avverso una pluralità di atti di una
procedura espropriativa alla quale provvede, nella qualità di Commissario
delegato a fronteggiare l’emergenza nella città di Catania in relazione alla
situazione del traffico, della mobilità e degli interventi di riduzione del
rischio sismico connessi e funzionali, il Sindaco del capoluogo etneo;
che nel secondo caso, invece, il
rimettente deduce di dover conoscere del «silenzio rifiuto e/o inadempimento»,
serbato dalle diverse autorità amministrative evocate in giudizio,
relativamente alla domanda di risarcimento dei danni avanzata dai medesimi
ricorrenti in conformità ad un’ordinanza adottata dal Presidente della Regione
Siciliana, in qualità di Commissario alla realizzazione degli interventi
diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eventi alluvionali e ai
dissesti idrogeologici di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 20 febbraio 2004;
che le censure di costituzionalità
svolte in entrambi tali provvedimenti di rimessione sono pressoché identiche a
quelle formulate, sempre dal Tribunale catanese, nell’ordinanza r.o. n. 579 del 2006, salvo che per la mancata evocazione –
in ambo questi casi – del parametro di cui all’art. 25 Cost;
che con l’ordinanza r.o.
n. 585 del 2006 il medesimo rimettente solleva questione di legittimità
costituzionale analoga a quelle sin qui illustrate, assumendo, tuttavia, quali
parametri costituzionali gli artt. 24, 25, 111 e 125 Cost. (e non pure l’art.
23 dello statuto regionale di autonomia);
che il giudice a quo premette, in punto di fatto, di essere investito della domanda
proposta da taluni appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza, tutti in
servizio a Catania, diretta a conseguire – sulla scorta di quanto previsto
dall’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3442 del 2005 – il
riconoscimento del diritto alla sospensione delle ritenute previdenziali ed
assistenziali sulle retribuzioni, per il periodo dal novembre 2002 al 31 marzo
2004, nonché la condanna delle intimate amministrazioni alla restituzione delle
somme illegittimamente trattenute sulle retribuzioni relative al medesimo
periodo;
che essendo, a dire del rimettente,
pregiudiziale, per la decisione della lite, «conoscere della legittimità»
dell’ordinanza suddetta, e risultando questa a sua volta adottata
nell’esercizio dei poteri ex art. 5,
comma 1, della legge n. 225 del 1992, anche la controversia in esame sarebbe
attratta nella sfera di applicazione della nuova disciplina processuale
prevista dall’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del d.l. n. 245 del 2005;
che di tale disciplina, tuttavia, è
dedotta l’illegittimità costituzionale
per violazione degli artt. 24, 25, 111 e 125 Cost.;
che è dedotto, innanzitutto, il
contrasto con l’art. 125 Cost., «e segnatamente con
il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di
giustizia amministrativa di primo grado», principio che «non ha ragione di
subire deroghe nella materia di cui trattasi, in cui le singole situazioni di
emergenza», dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del
1992, «hanno rilievo spiccatamente locale»;
che è ipotizzata, altresì, la
violazione dell’art. 24 Cost., «per la evidente
maggiore difficoltà di esercitare le relative azioni presso il Tar del Lazio
piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti», e del
successivo art. 25, atteso che il principio della precostituzione
del giudice sarebbe trasgredito allorché la sua designazione venga effettuata,
«tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta» (è
citata la sentenza
n. 393 del 2002 della Corte costituzionale), occorrendo, pertanto, che «la
regola di competenza sia prefissata rispetto all’insorgere della controversia»
(sentenza n. 193
del 2003);
che tale profilo di
incostituzionalità emergerebbe vieppiù, secondo il rimettente, se si ha
riguardo a quella parte della disciplina in contestazione «che non solo ne
dispone l’applicazione ai processi pendenti, ma addirittura consente una
riforma dei provvedimenti assunti in sede cautelare in tali giudizi pendenti,
ad opera di un organismo pariordinato a quello di
provenienza»;
che in tal modo, difatti, il
legislatore avrebbe «introdotto un rimedio inedito, che non è di secondo grado
e che finisce per costituire un doppione del già espletato giudizio (cautelare)
di primo grado, senza alcuna possibilità di inquadramento tra i rimedi noti e
tipizzati (appello, revocazione, reclamo)», con violazione anche del principio
del "giusto processo”, e quindi, anche dell’art. 111 Cost.,
che non consente «una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due
diversi giudici di primo grado»;
che con l’ordinanza r.o. n. 80 del 2007 il Tribunale amministrativo regionale
della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha nuovamente sollevato questione
di legittimità costituzionale dell’ art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge n. 245 del 2005,
deducendo la violazione degli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e dell’art. 23 dello
statuto della Regione Siciliana;
che il giudice a quo premette di dover decidere in merito al regolamento di
competenza, proposto nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto l’impugnativa
di un provvedimento emanato dal Commissario delegato per l’emergenza rifiuti e
tutela delle acque (e degli atti consequenziali), provvedimento con il quale
veniva, tra l’altro, approvato il progetto presentato dalla società "Sicilpower” s.p.a., relativo al
sistema di gestione integrato per l’utilizzazione della frazione residua dei
rifiuti urbani al netto della raccolta differenziata;
che ciò premesso, il rimettente
rileva come proprio la sopravvenuta normativa processuale sopra meglio
identificata, imporrebbe di tener conto – nel decidere in merito al proposto
regolamento di competenza – «della nuova ipotesi di competenza funzionale
inderogabile», prevista in favore del TAR del Lazio, sede di Roma, in relazione
alle controversie aventi ad oggetto l’esercizio dei poteri di cui all’art. 5,
comma 1, della legge n. 225 del 1992;
che di tale disciplina, tuttavia, lo
stesso rimettente ipotizza l’illegittimità costituzionale sulla scorta di
argomenti identici a quelli proposti con l’ordinanza n. 579 del 2006;
che anche le ordinanze r.o nn. 81, 185 e 234 del 2007,
emesse dal medesimo Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione
staccata di Catania, presentano identità di contenuto con il provvedimento di
rimessione da ultimo citato;
che in questi tre casi il rimettente
premette, in punto di fatto, di essere chiamato a giudicare dell’impugnativa
rispettivamente proposta avverso: gli atti posti in essere da un Commissario ad acta nominato, nell’esercizio di
poteri sostitutivi e derogatori, dal Commissario delegato per l’emergenza
idrica (r.o. n. 81 del 2007); i provvedimenti con i
quali il Commissario delegato per l’emergenza rifiuti ha approvato un progetto
finalizzato a dare vita ad un sistema di gestione integrato dei rifiuti, con
realizzazione di un polo impiantistico nel Comune di Augusta (r.o. n. 185 del 2007), ovvero ha espresso giudizio positivo
di compatibilità ambientale del predetto sistema, autorizzando la realizzazione
di impianti di termovalorizzazione nel predetto Comune, nonché di selezione e biostabilizzazione nell’agglomerato industriale
Modica/Pozzallo (r.o. n. 234 del 2007);
che, ciò premesso, il rimettente
assume – in ciascuna delle citate ordinanze di rimessione – che, ai sensi della
disciplina processuale recata dai predetti commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art. 3 del d.l. n. 245 del
2005, le controversie sopra sinteticamente indicate dovrebbero essere
integralmente devolute alla cognizione del Tribunale amministrativo regionale
del Lazio, sede di Roma, giacché in ognuna di esse vengono in rilievo questioni
attinenti all’esercizio dei poteri emergenziali ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992;
che, tuttavia, il Tribunale
amministrativo catanese reputa tale disciplina processuale costituzionalmente
illegittima, deducendone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e con
l’art. 23 dello statuto regionale di autonomia, sulla base di considerazioni
sostanzialmente identiche anche in questi casi, come già rilevato, a quelle
oggetto dell’ordinanza n. 579 del 2006;
che con l’ordinanza r.o. n. 86 del 2007 il medesimo rimettente censura quelle
stesse norme evocando quali parametri gli artt. 3, 24 e 125 Cost. e l’art. 23
dello statuto della Regione Siciliana;
che esso – investito dell’impugnativa
sia di un’ordinanza di determinazione delle tariffe di smaltimento rifiuti,
adottata dal Commissario delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle
acque, che di tutti gli atti «comunque presupposti, connessi, coordinati e
conseguenti» – reputa di dover sollevare questione di legittimità
costituzionale delle norme suddette, in applicazione delle quali riconosce di
dovere, altrimenti, «dichiarare la propria incompetenza, in favore del Tar del
Lazio»;
che è ipotizzata, in primo luogo, la
violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della
«disparità di trattamento che la deroga alle ordinarie regole di riparto
competenze comporta, per la tutela delle rispettive posizioni giuridiche, tra
soggetti in situazioni eguali», giacché la contestata disciplina riserva un
trattamento ingiustificatamente differenziato ai «destinatari delle ordinanze
adottate dagli organi governativi o dai commissari delegati, nelle situazioni
di dichiarata emergenza, aventi efficacia limitata al territorio di una
regione», rispetto a quello assicurato «ai destinatari dei provvedimenti aventi
lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via ordinaria, dagli organi
esponenziali di enti territoriali regionali o sub regionali»;
che tale diversità di regime, d’altra
parte, non sarebbe giustificabile – secondo il rimettente – neppure in
considerazione «della eventuale maggiore rilevanza dell’interesse sotteso ai
provvedimenti adottati» in situazione di emergenza, giacché «nel nostro sistema
non esiste una distribuzione di competenza» basata su un simile criterio, che
sarebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 125 Cost.,
il quale pone i diversi tribunali amministrativi regionali «su un piano
paritario»;
che, del resto, non sia possibile
legittimare su tali basi la deroga all’art. 3 della legge n. 1034 del 1971,
sarebbe confermato – nella prospettiva del giudice a quo – dallo stesso tenore letterale del censurato comma 2-bis dell’art. 3 del d.l. n. 245 del
2005, rivelatore del fatto che tale deroga «riguarda le ordinanze e gli atti
commissariali adottati nelle situazioni di emergenza», dichiarate ai sensi del
citato art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «ma non i provvedimenti
che tali situazioni dichiarino e che, ove si riferiscano a situazione di
limitata estensione territoriale, come sovente accade, continuano a rientrare
nella ordinaria competenza del Tribunale amministrativo della regione in cui il
provvedimento è destinato ad avere incidenza»;
che l’evenienza da ultimo descritta, pertanto,
testimonierebbe, vieppiù, la «irragionevolezza del disegno complessivo» attuato
dalle censurate disposizioni;
che nel caso in esame, quindi, la
scelta del legislatore di derogare agli ordinari criteri di riparto della
competenza ex artt. 2 e 3 della legge
n. 1034 del 1971 «non appare supportata da alcuna plausibile ragione, dotata di
copertura costituzionale, idonea a giustificare la disparità di trattamento che
indubbiamente si viene ad operare tra situazioni eguali», donde l’ipotizzata
violazione dell’art. 3 della Carta fondamentale;
che il rimettente ipotizza, poi, la
violazione anche dell’art. 24 Cost., atteso che la translatio iudicii in
favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio «indiscutibilmente
comporta un ingiustificato aggravio organizzativo e di costi» a carico dei
soggetti «incisi dai provvedimenti adottati dagli organi governativi e dai
commissari nelle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma
1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225»;
che, inoltre, le norme censurate,
contravvenendo all’esigenza «del decentramento territoriale della giurisdizione
amministrativa», si porrebbero in contrasto anche con l’art. 125 Cost., che intende garantire una distribuzione territoriale
delle controversie tale da agevolare il ricorso alla giustizia amministrativa,
«in sostanziale coerenza e continuità logica con i principi desumibili
dall’art. 24 della Costituzione»;
che il suddetto parametro
costituzionale sarebbe, difatti, svuotato di contenuto, «creando una sorta di
gerarchia» tra il Tribunale regionale amministrativo del Lazio e gli altri
tribunali e recando un vulnus anche
al principio del "giusto processo”, «quale desumibile dal testo novellato
dell’art. 111 della Costituzione»;
che, infine, il rimettente deduce la
violazione dell’art. 23 dello statuto della Regione Siciliana, atteso che
l’impugnativa dei «provvedimenti adottati da organi dello Stato centrale, nelle
situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge
24 febbraio 1992, n. 225, con efficacia territoriale limitata alla Regione
Siciliana» rientra certamente tra quegli «affari concernenti
che, conseguentemente, lo spostamento
delle controversie di primo grado al Tribunale regionale amministrativo del
Lazio, comportando, di riflesso, anche il mutamento del giudice d’appello,
viene ad incidere sul «plesso giurisdizionale» costituito dal Tribunale
regionale amministrativo della Sicilia e dal Consiglio di giustizia
amministrativa per
che un’autonoma censura è, invece,
quella che investe «il regime transitorio previsto dalle disposizioni in esame»
(ed operante anche nel giudizio a quo),
atteso che, interessando lo spostamento della competenza – ai sensi, in
particolare, del comma 2-quater del
censurato art. 3 – anche i procedimenti in corso al momento dell’entrata in
vigore delle norme censurate, risulterebbe violato l’art. 25 Cost., essendo la controversia sottratta al «giudice
naturale precostituito per legge»;
che anche con l’ordinanza r.o. n. 235 del 2007 il Tribunale amministrativo regionale
della Sicilia, sezione staccata di Catania, torna a censurare la disciplina
processuale recata dalle disposizioni in esame, assumendone il contrasto con
gli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost., e con l’art. 23
dello statuto regionale di autonomia;
che il rimettente, in punto di fatto,
premette di essere chiamato a giudicare della legittimità di due ordinanze
emesse da un commissario ad acta,
incaricato dal Commissario delegato per l’emergenza idrica nella Regione
Sicilia del compimento delle procedure per l’affidamento del servizio idrico
integrato nel cosiddetto ambito territoriale ottimale di Messina, nonché della
consequenziale attività amministrativa posta in essere dallo stesso Commissario
delegato;
che in ordine alla supposta
illegittimità costituzionale delle norme censurate il rimettente svolge
considerazioni pressoché identiche a quelle oggetto dell’ordinanza n. 579 del
2006;
che, del pari, con altre cinque ordinanze di rimessione (r.o
nn. 236, 296, 297, 298 e 299 del 2007), il medesimo
Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania,
ha sollevato questioni di legittimità costituzionale pressoché identiche a
quella oggetto dell’ordinanza da ultimo citata;
che il rimettente risulta investito,
anche in ciascuno di questi cinque ulteriori giudizi, dell’impugnativa di
ordinanze emesse da un commissario ad
acta, incaricato dal Commissario delegato per l’emergenza idrica nella
Regione Sicilia del compimento delle procedure per l’affidamento del servizio
idrico integrato nel cosiddetto ambito territoriale ottimale di Messina, nonché
della consequenziale attività amministrativa posta in essere dallo stesso
Commissario delegato;
che l’omogeneità delle controversie
devolute al suo esame ha, pertanto, indotto il giudice a quo a proporre le medesime censure, in ordine ai commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art.
3 del d.l. n. 245 del 2005, già sopra illustrate;
che è intervenuto in ciascun giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile e comunque infondata;
che assume, in particolare, la difesa
erariale l’infondatezza della censura formulata ai sensi dell’art. 3 Cost. sul
presupposto della (pretesa) «irragionevole disparità di trattamento (nella
individuazione del tribunale amministrativo regionale territorialmente
competente) tra provvedimenti adottati in via ordinaria e provvedimenti emanati
in situazioni di emergenza», ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 225
del 1992, «attesa la evidente disomogeneità tra le due situazioni poste a
raffronto»;
che la difesa dello Stato, difatti,
«giustifica la diversità della contestata disciplina» in quanto espressione di
una scelta «non arbitraria», giacché assunta in funzione della ragionevole
«esigenza di concentrare in un unico giudice di primo grado, anche nella fase
cautelare, la pronta e uniforme cognizione delle controversie» in esame,
relative a provvedimenti caratterizzati, per loro natura, dalla finalità di
realizzare «interventi miranti a fronteggiare situazioni emergenziali»;
che l’Avvocatura generale dello Stato
esclude, inoltre, l’esistenza del paventato contrasto con l’art. 24 Cost., atteso che il maggior aggravio ed i più rilevanti
costi destinati ad essere sopportati dai destinatari dei provvedimenti in
questione, oltre a costituire «conseguenze di mero fatto», non integrano
l’evenienza della impossibilità o dell’estrema difficoltà dell’esercizio del
diritto di difesa, idonea a concretare la violazione dell’evocato parametro
costituzionale;
che, d’altra parte, neppure si
potrebbe ipotizzare – secondo la difesa erariale – che le disposizioni
censurate violino l’art. 125 della Carta fondamentale, in quanto esso «non
preclude certamente al legislatore statale di individuare non
irragionevolmente, per determinate "categorie” di controversie, particolari
criteri di riparto della competenza territoriale tra giudici di primo grado»,
derogando a quelli di cui agli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971;
che, analogamente, sarebbe da
escludere anche il contrasto con l’art. 23 dello statuto regionale, che esprime
«soltanto la necessità» che in Sicilia sia istituita «una particolare
articolazione del giudice amministrativo di secondo grado», e che non implica
anche il riconoscimento, in suo favore, di una generale «competenza a conoscere
ogni tipo di controversia», incluse quelle che – come nella specie – «non hanno
alcun rapporto con la materia regionale»;
che, infine, l’Avvocatura generale
dello Stato nega che il comma 2-quater
dell’art. 3, nella parte in cui estende la nuova disciplina anche ai processi
in corso, violi il principio del giudice naturale, e ciò non solo perché la
norma censurata fa in ogni caso (temporaneamente) salva «l’efficacia dei
provvedimenti cautelari eventualmente adottati dal giudice già competente», ma
soprattutto perché la disposta translatio iudicii non potrebbe intendersi come diretta alla
arbitraria successiva indicazione di un giudice diverso «appositamente
istituito per quella controversia e per quelle parti, con una scelta idonea ad
essere orientata in vista di un determinato giudizio», evenienza che la
giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 460 del
1994) individuerebbe come la sola idonea ad integrare il contrasto con il
suddetto principio costituzionale;
che si sono costituite – nel giudizio
originato dall’ordinanza r.o. n. 80 del 2007 –
l’associazione Legambiente, Comitato Regionale Siciliano, e la "Sicilpower” s.p.a.: la prima,
parte ricorrente nel giudizio principale, ha insistito per l’accoglimento della
sollevata questione di legittimità costituzionale, la seconda, controinteressata nel medesimo giudizio, ha chiesto invece
il rigetto della questione;
che sempre la società "Sicilpower”, con memoria depositata il 3 ottobre 2007,
sottolineando come la questione sollevata sia identica a quella decisa dalla
Corte costituzionale con sentenza n. 237 del
2007, ha chiesto che la stessa sia dichiarata non fondata;
che, infine, nei soli giudizi
originati dalle ordinanze r.o. nn.
185 e 237 del 2007, si è costituita la società "Tifeo
Energia Ambiente”, controinteressata in entrambi i
giudizi principali, per chiedere il rigetto della sollevata questione di
legittimità costituzionale.
Considerato
che il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di
Catania, con ventinove ordinanze, ha sollevato – in riferimento, nel complesso,
agli artt. 3, 24, 25, 111 e 125 della Costituzione, e all’art. 23 del regio
decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della
Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n.
2 – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del
decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare
l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori
disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa
legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21;
che, in via preliminare, deve essere
disposta la riunione dei giudizi, atteso che la loro comunanza di oggetto ne
giustifica l’unitaria trattazione;
che, quanto al merito delle censure
formulate dal giudice rimettente, deve osservarsi come questa Corte, con sentenza n. 237 del
2007, abbia già escluso la fondatezza di analoghi dubbi di legittimità
costituzionale aventi ad oggetto la disciplina processuale in contestazione;
che, in primo luogo, le motivazioni
della citata sentenza
n. 237 del 2007 possono essere qui richiamate in relazione all’ipotizzata
violazione dell’art. 3 Cost., prospettata adducendo
tanto l’esistenza di una supposta «disparità di trattamento che la deroga alle
ordinarie regole di riparto delle competenze comporta, per la tutela delle
rispettive posizioni giuridiche, tra soggetti in situazioni eguali» (giacché le
disposizioni censurate riserverebbero un trattamento ingiustificatamente
differenziato ai «destinatari delle ordinanze adottate dagli organi governativi
o dai commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi
efficacia limitata al territorio di una regione, rispetto ai destinatari dei
provvedimenti aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via ordinaria,
dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o sub regionali»),
quanto l’irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore, poiché «lo
spostamento della competenza su questa materia è irrazionalmente solo
parziale», giacché riguarderebbe unicamente «le ordinanze ed i consequenziali
provvedimenti commissariali, ma non i decreti governativi che dichiarano lo
stato di emergenza»;
che, tuttavia, in ordine alla
presunta disparità di trattamento alla quale le norme in contestazione
sottoporrebbero «situazioni eguali di fronte alla tutela giurisdizionale», può
in questa sede ribadirsi come sia «proprio l’avvenuta dichiarazione della
situazione di emergenza, ex art. 5,
comma 1, della legge n. 225 del 1992», a costituire «l’elemento caratterizzante
la fattispecie oggetto della censurata disciplina, impedendo, così, di
ravvisare quel profilo di omogeneità tra tale ipotesi e quella – con cui essa
viene posta a confronto – dell’ordinario esercizio dei poteri amministrativi»,
profilo che rappresenta, invece, «il presupposto indispensabile ai fini della
loro valutazione comparativa» (così la sentenza n. 237 del
2007);
che in relazione, invece, al supposto
difetto di ragionevolezza, questa Corte ha già rilevato come i giudici
rimettenti «non si sono posti alla ricerca di una differente interpretazione»
che – «sulla base, peraltro, della semplice lettera della norma» – consenta di
ritenere sottoposta alla competenza del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio «anche l'impugnativa dei provvedimenti dichiarativi dello stato di
emergenza, qualunque sia il loro ambito territoriale di efficacia, attesa, tra
l’altro, la loro natura di atti presupposti» (così, nuovamente, la sentenza n. 237 del
2007);
che, del pari, manifestamente
infondata è la censura sollevata in riferimento all’art. 24 Cost. e motivata, sostanzialmente, in base al duplice
assunto che la translatio iudicii in
favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio violerebbe «il diritto
del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni» e
doterebbe «la parte soccombente nel giudizio cautelare» – radicatosi nuovamente
innanzi al TAR del Lazio, sede di Roma, il giudizio già pendente innanzi al TAR
locale, e dallo stesso definito quanto alla domanda di concessione del
provvedimento ex art. 21 della legge
n. 1034 del 1971 – «di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico» per
porre in discussione la decisione già adottata sulla domanda cautelare;
che, tuttavia, in relazione al primo
di tali profili, la sentenza n. 237 del
2007 ha osservato come il denunciato inconveniente non costituisca un
«grave ostacolo» al conseguimento della tutela giurisdizionale», non
concretizzando quella condizione di «sostanziale impedimento all’esercizio del
diritto di azione garantito dall'art. 24 della Costituzione» suscettibile «di
integrare la violazione del citato parametro costituzionale»;
che in ordine, invece, al secondo
profilo di censura questa Corte ha rimarcato «la possibilità di interpretare la
norma in conformità con quanto previsto dall’art. 21, tredicesimo comma, della
legge n. 1034 del 1971; nel senso cioè che l’efficacia del provvedimento
cautelare adottato dal Tribunale locale sia destinata a venire meno, in tutto o
in parte, non in forza di una revisione da compiersi necessariamente da parte
del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il quale in tal modo
assumerebbe una anomala funzione di giudice di secondo grado rispetto a
provvedimenti emessi da un organo giurisdizionale equiordinato,
bensì in forza di una decisione da prendere sulla base degli ordinari
presupposti previsti dall’ordinamento del processo amministrativo per la
modificazione o revoca di precedenti misure cautelari già concesse» (sentenza n. 237 del
2007);
che le considerazioni appena svolte
consentono, inoltre, di superare anche uno degli argomenti addotti a sostegno
dell’ipotizzata violazione dell’art. 25, primo comma, Cost.,
e cioè quello basato sul rilievo secondo cui la riforma dei provvedimenti
cautelari già assunti, «ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza» – nel rappresentare
un «rimedio inedito, che non è di secondo grado e che finisce per costituire un
doppione del già espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna
possibilità di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello,
revocazione, reclamo)» – darebbe luogo ad «un anomalo percorso» che, nella
misura in cui «stravolge l’ordinario iter
giudiziario», violerebbe il principio del "giudice naturale”;
che quanto, invece, all’argomento
secondo cui «la ripartizione della competenza territoriale tra giudici» deve
essere «dettata da normativa del tempo anteriore alla istituzione del giudizio»
è sufficiente ribadire che il principio costituzionale del giudice naturale
«viene rispettato» allorché «la
legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i
presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice
competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall’uno
all’altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla
disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di
determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque,
della designazione di un nuovo giudice "naturale” – che il legislatore,
nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello
vigente» (sentenza
n. 237 del 2007);
che, del pari, è manifestamente
infondata la questione concernente la presunta violazione dell’art. 111 Cost., motivata in base al duplice argomento che le
disposizioni censurate, creando «una sorta di gerarchia» tra il Tribunale
regionale amministrativo per il Lazio e gli altri tribunali, recherebbero un vulnus al principio del "giusto
processo” e contravverrebbero alla regola generale applicabile ad ogni
giudizio, compreso quello cautelare, secondo cui, ad una sua prima fase, deve
seguirne una d’appello, e non già «una doppia pronuncia sulla stessa materia da
parte di due diversi giudici di primo grado»;
che in ordine a tale doglianza – a
parte, evidentemente, il rilievo che valgono qui le stesse considerazioni
svolte circa l’asserita violazione dell’art. 24 Cost. – può ribadirsi, ancora
una volta, quanto osservato nella sentenza n. 237 del
2007, ovvero «che tali censure non sono dotate di una propria autonomia
rispetto all’ipotizzata violazione dell’art. 125 della Carta fondamentale»;
che in relazione, poi, proprio a tale
censura non può che tornarsi a sottolineare che «l’attribuzione della
competenza al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anziché ai diversi
Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il territorio nazionale,
non altera il sistema di giustizia amministrativa», esistendo, nella specie,
«ragioni idonee a giustificare la deroga agli ordinari criteri di ripartizione
della competenza tra gli organi di primo grado della giustizia amministrativa»
(sentenza n. 237
del 2007);
che, difatti, tali ragioni sono state
individuate – sempre nella citata sentenza – «nel peculiare regime che connota
le situazioni di emergenza – e particolarmente quelle di cui alla lettera c) del comma 1 dell'art. 2 della legge
n. 225 del 1992», atteso che, ricorrendo tale evenienza, «i provvedimenti posti
in essere dai commissari delegati sono atti dell’amministrazione centrale dello
Stato (in quanto emessi da organi che operano come longa manus del Governo) finalizzati a
soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunità locali coinvolte
dalle singole situazioni di emergenza, e ciò in ragione tanto della rilevanza
delle stesse, quanto della straordinarietà dei poteri necessari per farvi
fronte»;
che, d’altra parte, neppure può
ravvisarsi la denunciata violazione dell’art. 23 dello statuto regionale di
autonomia (motivata dall’odierno rimettente in base all’assunto che
l’impugnativa dei «provvedimenti adottati da organi dello Stato centrale, nelle
situazioni di emergenza» rientra certamente tra quegli «affari concernenti
che, difatti, la più volte citata sentenza n. 237 del
2007 ha chiarito che la predetta norma statutaria «stabilisce soltanto che
gli organi giurisdizionali centrali debbano avere in Sicilia le sezioni per gli
affari concernenti la regione», sicché «l’attribuzione
della competenza al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anziché ai
diversi Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il territorio
nazionale, non viola l’art. 23 dello statuto siciliano»;
che, pertanto, non essendo state
prospettate – in relazione a nessuna delle censure formulate dal giudice
rimettente – argomentazioni nuove, rispetto a quelle già esaminate da questa
Corte, si impone, nel caso di specie, la declaratoria di manifesta infondatezza
delle questioni sollevate;
che, difatti, non presenta carattere
di novità neppure la censura prospettata con riferimento alla
«contraddittorietà e disparità di trattamento processuale» e motivata in base
all’assunto che la disciplina in esame «utilizza lo stesso trattamento per
situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e
qualità degli interessi pubblici coinvolti», in tal modo ponendosi in contrasto
anche con l’art. 117 Cost., poiché «finisce per
attribuire rilievo nazionale anche a questioni riservate alla competenza
regionale»:
che, difatti, in relazione a tale
censura – ed a prescindere dal rilievo che tale parametro costituzionale non è
esplicitamente menzionato nei dispositivi delle ordinanze di rimessione che
pure ad esso fanno riferimento, sicché la sua evocazione (peraltro del tutto
generica), lungi dall’integrare un’autonoma censura, appare piuttosto un
argomento volto a corroborare la doglianza relativa al difetto di
ragionevolezza della disciplina censurata – è sufficiente osservare che è «nel
peculiare regime che connota le situazioni di emergenza – e particolarmente
quelle di cui alla lettera c) del
comma 1 dell'art. 2 della legge n. 225 del 1992 – che deve essere, in
definitiva, ricercata la ratio che
ispira la disciplina processuale in esame» (sentenza n. 237 del
2007).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della
legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
riuniti i giudizi,
dichiara la
manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art.
3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure
straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella
Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi
aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21, sollevate
– in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 24, 25, 111 e 125 della
Costituzione, e all’art. 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n.
455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – dal Tribunale amministrativo
regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con le ordinanze in
epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 22 novembre 2007.
F.to:
Franco
BILE, Presidente
Alfonso
QUARANTA, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 5 dicembre 2007.