Ordinanza n. 418 del 2007

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ORDINANZA N. 418

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-   Franco               BILE                                       Presidente

-   Giovanni Maria  FLICK                                      Giudice

-   Francesco          AMIRANTE                                  

-   Ugo                  DE SIERVO                                  

-   Paolo                MADDALENA                              

-   Alfio                 FINOCCHIARO                            

-   Alfonso             QUARANTA                                 

-   Franco               GALLO                                         

-   Luigi                 MAZZELLA                                  

-   Gaetano            SILVESTRI                                   

-   Sabino               CASSESE                                      

-   Maria Rita         SAULLE                                       

-   Giuseppe           TESAURO                                     

-   Paolo Maria       NAPOLITANO                              

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21, promossi con ordinanze del 4 (nn. 2 ordinanze) e del 20 aprile, dell’8 e del 19 maggio, del 10 luglio, dell’8 giugno, del 24 maggio, dell’11 (n. 2 ordinanze) e del 27 settembre, del 2 ottobre (nn. 2 ordinanze), del 10 aprile, dell’11 settembre, del 2 ottobre (nn. 2 ordinanze), del 14 (nn. 6 ordinanze) e 27 novembre 2006, del 30 gennaio (nn. 3 ordinanze) e del 15 febbraio 2007, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, rispettivamente iscritte ai nn. da 579 a 585 del registro ordinanze 2006 e ai nn. da 80 a 86, 185, da 233 a 236, da 296 a 300, 430, da 490 a 493 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 41 e 51, prima serie speciale, dell’anno 2006 e nn. 1, 10, 11, 15, 16, 17, 24 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visti gli atti di costituzione di Legambiente - Comitato Regionale Siciliano, della Sicilpower s.p.a., della Tifeo Energia Ambiente s.c.p.a., del Consorzio per la distribuzione della rete fognante, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con le ventinove ordinanze di rimessione di cui in epigrafe, ha sollevato – in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 24, 25, 111 e 125 della Costituzione, e all’art. 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21;

che le censure investono, innanzitutto, il comma 2-bis del predetto art. 3, a norma del quale, nelle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), «la competenza di primo grado a conoscere della legittimità delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l’emanazione di misure cautelari, al tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma»;

che l’iniziativa del giudice rimettente ha ad oggetto anche i successivi commi 2-ter e 2-quater;

che la prima di tali disposizioni stabilisce che le questioni di competenza di cui al precedente comma 2-bis «sono rilevate d’ufficio», prevedendo, altresì, che avanti al giudice amministrativo il giudizio sia «definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell’articolo 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell’articolo 23-bis della stessa legge»;

che il successivo comma 2-quater prevede, invece, non solo l’applicazione del sopravvenuto regime processuale «anche ai processi in corso», ma anche che l’efficacia delle misure cautelari adottate medio tempore dal giudice inizialmente adito «permane fino alla loro modifica o revoca da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata può riproporre il ricorso»;

che in particolare, nella prima delle ordinanze di rimessione (r.o. n. 579 del 2006), il giudice a quo premette di essere stato adito per l’annullamento di un provvedimento adottato nell’ambito di una procedura espropriativa posta in essere dal Sindaco del Comune di Catania nell’esercizio dei poteri conferitigli in qualità di Commissario delegato di protezione civile;

che, conseguentemente, il giudice a quo deduce di dover «affrontare d’ufficio la questione relativa alla competenza inderogabile del Tar del Lazio a conoscere la vicenda», in ragione di quanto stabilito dalla sopravvenuta normativa oggetto di censura;

che, difatti, il rimettente assume di dover dichiarare – sulla base di tale disciplina – il proprio difetto di competenza, esito processuale al quale, tuttavia, reputa di non dover pervenire, ipotizzando l’illegittimità costituzionale delle previsioni legislative suddette, per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e dell’art. 23 dello statuto regionale di autonomia;

che in proposito il Tribunale amministrativo regionale catanese deduce il contrasto, innanzitutto, con l’art. 125 Cost., «e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado», principio che implica «il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti»;

che, d’altra parte, neppure ricorrerebbero «sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantite», allorché – come nel caso di specie – «le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali»;

che, per contro, la scelta compiuta dal legislatore appare «contraddittoria ed irrazionale», donde l’ipotizzata violazione anche dell’art. 3 Cost., giacché essa «sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e differenti tra loro»;

che, difatti, la decisione del legislatore di radicare la competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, riguarda tutti le ipotesi in cui sia dichiarato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, con esclusione dei soli casi di intervento di protezione civile attuabili da singoli enti o amministrazioni competenti in via ordinaria, ovvero attraverso il coordinamento delle loro azioni;

che, quindi, sebbene il sistema della protezione civile sia «articolato in vari livelli di intervento, contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione emergenziale», nonché strutturato in base al principio che esige, «per ogni tipologia territoriale e "qualitativa” della situazione di emergenza», l’intervento del livello di governo «più vicino alla concreta dimensione delle comunità colpite», a tale «multiformità» di azione corrisponderebbe, viceversa, un sistema processuale che, derogando «contraddittoriamente ed immotivatamente» agli artt. 2 e 3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), «assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia insorga nell’esercizio del potere di protezione civile»:

che, osserva ancora il giudice rimettente, «il legislatore, sul semplice presupposto della necessità di interventi di protezione civile extra ordinem», avrebbe «cristallizzato una valutazione di rilevanza nazionale degli stessi», laddove, invece, «possiedono rilievo nazionale "solamente” il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo, seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a norme dell’ordinamento», secondo quanto emergerebbe – oltre che dalla giurisprudenza costituzionale (sono menzionate le sentenze n. 82 del 2006 e n. 327 del 2003) – da quanto espressamente stabilito dalla legge n. 225 del 1992 e dall’art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59);

che sarebbe, dunque, evidente la irragionevolezza della disciplina censurata, «per contraddittorietà e disparità di trattamento processuale», giacché essa «utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualità degli interessi pubblici coinvolti», in contrasto anche con l’art. 117 Cost., poiché «finisce per attribuire rilievo nazionale anche a questioni riservate alla competenza regionale»;

che il rimettente deduce, altresì, la violazione dell’art. 24 Cost., «per la evidente maggiore difficoltà di esercitare le relative azioni presso il Tar del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti», rilievo che vale identicamente «sia per la disciplina transitoria, sia per le future nuove controversie»;

che viene richiamata, in particolare, quella pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 123 del 1987) che ha riconosciuto «il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni», osservandosi che, sebbene la fattispecie in esame risulti diversa da quella oggetto della citata sentenza, il principio da essa enunciato sarebbe comunque applicabile nel caso di specie, poiché la disciplina processuale in contestazione fa carico a «chi abbia già un giudizio pendente davanti al TAR locale, ed abbia addirittura ottenuto una decisione cautelare», di dover «proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria»;

che è ipotizzata, poi, l’incostituzionalità della disciplina processuale in esame per violazione dell’art. 25 Cost., sottolineandosi come, ancora nella più recente giurisprudenza costituzionale, sia stato affermato che «alla nozione di giudice naturale precostituito per legge non è affatto estranea "la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio”» (sentenza n. 41 del 2006, che richiama le sentenze n. 410 del 2005 e n. 251 del 1986);

che, pertanto, il rispetto del principio costituzionale ex art. 25, primo comma, Cost. – prosegue il rimettente – escluderebbe, secondo la giurisprudenza costituzionale, che vi possa essere una designazione del giudice «tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta» (sentenza n. 393 del 2002), essendo invece necessario che «la regola di competenza sia prefissata rispetto all’insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003);

che la sussistenza del denunciato profilo di incostituzionalità sarebbe vieppiù confermata, secondo il giudice a quo, dal potere – attribuito al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, dal comma 2-quater del censurato art. 3 – di riforma di provvedimenti cautelari già assunti dal Tribunale locale, giacché tale potere, esercitato «ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza», costituirebbe un «rimedio inedito, che non è di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del già espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilità di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo)», con conseguente violazione del principio del ne bis in idem, che, «seppur non espressamente contemplato dalla Carta Costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del "giusto processo”»;

che la previsione, inoltre, di tale «anomalo percorso», nella misura in cui «stravolge l’ordinario iter giudiziario», violerebbe anche «il principio del doppio grado di giudizio nella giustizia amministrativa» previsto dall’art. 125 Cost. (integrando, così, un’ulteriore violazione di tale parametro), principio che non consente «una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado»;

che quanto, infine, alla dedotta violazione dell’art. 23 dello statuto regionale di autonomia, la stessa risulterebbe evidente richiamando quella interpretazione, fatta propria anche dalla giurisprudenza amministrativa (è citata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 595 del 26 luglio 1979), secondo cui, in «tutte le controversie d’interesse regionale» – devolute dalla norma statutaria suddetta alla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (e quindi in primo grado, di riflesso, ai Tribunali amministrativi regionali istituiti in Sicilia) – debbono ritenersi ricomprese «le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorità centrali aventi effetti limitati nel territorio regionale», evenienza che ricorre nel caso di specie;

che con nove successive ordinanze (r.o n. 580 del 2006; r.o. nn. 82, 84, 85, 233, 490, 491, 492 e 493 del 2007), il medesimo Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha sollevato questione di legittimità costituzionale pressoché identica a quella oggetto dell’ordinanza appena illustrata (r.o. n. 579 del 2006);

che il rimettente risulta chiamato a giudicare, in due dei nove casi, della legittimità di provvedimenti con cui il Sindaco del Comune di Catania, nella qualità di Commissario delegato per l’emergenza traffico e per la sicurezza sismica, ha disposto, rispettivamente, l’aggiudicazione dell’appalto per l’edificazione di un parcheggio (r.o. n. 580 del 2006), ed ha approvato nove progetti-localizzazioni di parcheggi sotterranei da realizzarsi in città (r.o. n. 84 del 2007);

che – quanto all’oggetto degli altri giudizi principali – il giudice a quo riferisce di essere stato investito (r.o. n. 82 del 2007) dell’impugnazione di provvedimenti adottati nell’ambito di un procedimento ablatorio, finalizzato al completamento e all’ammodernamento di un impianto di depurazione di acque reflue, procedimento posto in essere da varie autorità amministrative di concerto con il Presidente della Regione, nell’esercizio dei poteri conferitigli nella qualità di Commissario delegato di protezione civile per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque nella Regione Sicilia;

che, analogamente, i giudizi nel corso dei quali il Tribunale amministrativo catanese ha adottato le ordinanze r.o. nn. 85, 233 e 493 del 2007 concernono, rispettivamente, il primo ed il terzo, l’impugnazione di provvedimenti (e di atti consequenziali) adottati dal Presidente della Regione, nella qualità di Commissario delegato all’emergenza idrica, il secondo, invece, un’ordinanza emessa dalla medesima autorità amministrativa (in veste di Commissario delegato di protezione civile per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque nella Regione Sicilia), con cui è stata disposta l’approvazione di un progetto relativo alla realizzazione di un impianto per lo smaltimento di rifiuti;

che è, invece, l’impugnativa dei pareri favorevoli, espressi dal Commissario per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque in Sicilia in ordine ai progetti per la realizzazione, nei Comuni di Caltabiano, Baronia e Rometta, di altrettante stazioni cosiddette di trasferenza dei rifiuti solidi urbani, a costituire l’oggetto dei giudizi nel corso dei quali sono state adottate le ordinanze r.o. nn. 490, 491 e 492 del 2007;

che, ciò premesso, il TAR rimettente assume – in ciascuna delle citate ordinanze di rimessione – che, ai sensi della disciplina processuale recata dai predetti commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art. 3 del d.l. n. 245 del 2005, le controversie sopra sinteticamente indicate dovrebbero essere integralmente devolute alla cognizione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, giacché in ognuna di esse vengono in rilievo questioni attinenti all’esercizio dei poteri emergenziali ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992;

che il giudice a quo, tuttavia, reputa di dover sottoporre all’esame della Corte costituzionale questione di legittimità costituzionale delle norme suddette, ipotizzandone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e con l’art. 23 dello statuto regionale di autonomia, sulla base di considerazioni sostanzialmente identiche a quelle già oggetto dell’ordinanza n. 579 del 2006;

che, inoltre, il rimettente ipotizza – salvo che nell’ordinanza r.o. n. 580 del 2006 – la violazione anche del principio del giusto processo (senza, però, richiamare espressamente l’art. 111 Cost. nei dispositivi di ciascun provvedimento di rimessione);

che, difatti, nell’illustrare le ragioni dell’asserita violazione dell’art. 23 dello statuto regionale di autonomia, il rimettente sottolinea che, qualora si ritenesse che la prevista competenza in primo grado del TAR del Lazio – per controversie del tipo di quelle in esame – non valga a mutare, quanto al grado d’appello, quella del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, la disciplina in contestazione dovrebbe «essere ulteriormente tacciata di irragionevolezza e contraddittorietà», assistendosi «ad incomprensibili "trasmigrazioni” giudiziarie» della stessa lite (dalla Sicilia a Roma, per il primo grado, e da Roma a Palermo, per quello d’appello), con conseguente aggravamento della tutela giurisdizionale «in termini di tempi decisionali e adempimenti del processo»;

che il rimettente catanese ha, inoltre, sollevato analoga questione di legittimità costituzionale con l’ordinanza r.o. n. 581 del 2006;

che il giudice a quo premette di essere stato adito per l’annullamento di un provvedimento adottato dal Sindaco di Catania all’esito di una procedura amministrativa posta in essere nell’esercizio dei poteri conferitigli «in qualità di commissario delegato di protezione civile per l’emergenza traffico»;

che, conseguentemente, il rimettente deduce di dover «affrontare d’ufficio la questione relativa alla competenza inderogabile del Tar del Lazio a conoscere la vicenda», in ragione di quanto stabilito dalla sopravvenuta normativa oggetto di censura, atteso che, sulla base di tale disciplina, esso dovrebbe dichiarare il proprio difetto di competenza, esito processuale al quale, tuttavia, reputa di non dover pervenire, proprio ipotizzando l’illegittimità costituzionale delle previsioni legislative suddette, per contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e con l’art. 23 dello statuto regionale di autonomia;

che il rimettente richiama, in proposito, le stesse considerazioni già svolte nell’ordinanza n. 579 del 2006, reputando, però, di dover individuare ulteriori profili di illegittimità della contestata disciplina, con riferimento, in particolare, all’ipotizzato contrasto con l’art. 24 Cost.;

che integrerebbe, infatti, un’ulteriore violazione di tale parametro la circostanza che – radicatosi nuovamente innanzi al Tar del Lazio, sede di Roma, il giudizio già pendente innanzi al Tar locale, e da questo definito, quanto alla domanda di concessione del provvedimento ex art. 21 della legge n. 1034 del 1971 – «la parte soccombente nel giudizio cautelare» risulti «fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico» per porre in discussione la decisione, precedentemente adottata, sulla domanda cautelare;

che in tal modo, infatti, si riconoscerebbe – seppure solo ai fini e per gli effetti appena descritti – «l’impulso processuale», e cioè «una prerogativa esclusiva della parte ricorrente», anche all’amministrazione resistente (e/o al controinteressato), ciò che integrerebbe un’ulteriore violazione dell’art. 24 Cost.;

che con tre ulteriori ordinanze di rimessione (r.o n. 584 del 2006; r.o. nn. 300 e 430 del 2007), sempre il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha sollevato questione di legittimità costituzionale pressoché identica a quelle precedentemente illustrate, evocando anche, tra le norme costituzionali asseritamente violate (ma solo nell’ordinanza r.o. n. 300 del 2007), l’art. 111, primo comma, Cost.;

che quanto alla rilevanza delle questioni sollevate, il rimettente precisa di essere chiamato a giudicare, nei primi due casi (r.o. n. 584 del 2006 e n. 300 del 2007), della legittimità di una serie di provvedimenti amministrativi adottati nell’ambito di due procedure espropriative (rispettivamente finalizzate alla realizzazione di un centro per la raccolta differenziata di rifiuti nel Comune di Fiumefreddo di Sicilia ed alla edificazione di un parcheggio nella contrada Barriera del Comune di Catania), procedure entrambe avviate sulla base di altrettante ordinanze – anch’esse oggetto di impugnazione innanzi al Tribunale rimettente – adottate, nella prima ipotesi, dal Commissario delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia, nella seconda dal Sindaco di Catania nella qualità di Commissario delegato per l’emergenza connessa al rischio sismico;

che nel caso del terzo provvedimento di rimessione (r.o. n. 430 del 2007), il Tribunale catanese – nel pronunciare sentenza non definitiva, con cui ha ritenuto di poter decidere parzialmente la controversia devoluta al suo esame – premette di essere stato chiamato a conoscere – in virtù di una serie di ricorsi riuniti – di una complessa fattispecie;

che il rimettente precisa di dover giudicare della «asserita illegittimità di una serie di atti volti a rendere disponibile un terreno sito nel Comune di Valdina – contrada Cianina – di proprietà dei ricorrenti», e ciò «al fine di consentire il conferimento dei rifiuti di alcuni Comuni della Provincia di Messina», conferimento, a suo volta, «reso necessario» a seguito del provvedimento di sequestro giudiziario preventivo della discarica di Portella Arenella, adottato dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Messina;

che il Tribunale rimettente riferisce che ai provvedimenti inizialmente adottati – per il raggiungimento della finalità sopra meglio descritta – dal Sindaco del Comune di Valdina e dal Presidente della Provincia regionale di Messina, aveva fatto seguito un’ordinanza del Prefetto della Provincia di Messina che, designato quale Commissario straordinario per fronteggiare la situazione di emergenza venutasi a determinare, aveva disposto la requisizione del terreno suddetto;

che l’adito Tribunale amministrativo regionale, mentre ha ritenuto – in parziale accoglimento delle domande proposte dai ricorrenti – di potersi pronunciare, con sentenza non definitiva, sulle domande di annullamento degli atti impugnati, ha, tuttavia, riconosciuto come «contraddittore necessario di tutte le istanze risarcitorie, sia in forma specifica che per equivalente» (domande pure oggetto del giudizio pendente innanzi ad esso) il Presidente della Regione Siciliana, nella sua qualità di Commissario delegato per la predisposizione e adozione del piano di gestione dei rifiuti e delle bonifiche delle aree inquinate, istituito e nominato con ordinanza del Ministero degli interni, Dipartimento della protezione civile, del 31 maggio 1999, n. 2983;

che, difatti, «le domande di restituzione (anche parziale) del terreno o la sua bonifica, passano necessariamente dall’intervento del Commissario delegato e, quindi, si rivolgono ad una sua esclusiva attività», nel caso di specie, invece, «mancante» (ciò che costituisce il persistente oggetto della doglianza fatta valere dai ricorrenti);

che, del pari, anche la «domanda di risarcimento del danno per equivalente richiede comunque una valutazione dell’illegittimità dell’occupazione del terreno», e dunque «un giudizio sul mancato esercizio del potere autoritativo da parte del commissario delegato»;

che, di conseguenza, secondo il Tribunale rimettente, ciò renderebbe rilevante la questione relativa alla disciplina processuale prevista dall’art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, alla quale il rimettente ritiene ascrivibile non solo le controversie relative all’esercizio dei poteri emergenziali, ma anche quelle – come la presente – in cui si faccia questione in ordine alla loro mancata esplicazione, ed alle conseguenti pretese risarcitorie attivabili dagli interessati;

che anche con l’ordinanza r.o. n. 582 del 2006 il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha nuovamente censurato – in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111, 125 Cost. e 23 dello statuto regionale di autonomia – le medesime disposizioni già contestate con gli altri provvedimenti di rimessione sopra illustrati, sulla base di argomenti analoghi a quelli ivi contenuti;

che, in punto di fatto, il giudice a quo deduce di dover giudicare dell’impugnativa proposta avverso i provvedimenti adottati nell’ambito di una procedura finalizzata alla localizzazione di un sito per la realizzazione del centro comunale di raccolta rifiuti del Comune di Tremestieri Etneo, inclusi gli atti ablatori aventi ad oggetto l’immobile di proprietà delle ricorrenti;

che il rimettente, quantunque informi la Corte costituzionale dell’avvenuta restituzione dell’immobile suddetto alla ricorrente (e dunque della soddisfazione dell’interesse a tutela del quale la medesima ha agito in giudizio), ciò nondimeno reputa «di non poter sic et simpliciter dichiarare cessata la materia del contendere»;

che, difatti, il giudizio devoluto al suo esame concerne provvedimenti amministrativi adottati nell’esercizio di poteri emergenziali ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, sicché – ai sensi di quanto previsto, in particolare, dall’art. 3, comma 2-ter, del d.l. n. 245 del 2005 – la competenza a pronunciarsi in subiecta materia, spetta senza «eccezioni» o «distinzioni» al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, risultando, pertanto, impedita al Tribunale rimettente «l’adozione di qualunque atto processuale che non consista nella trasmissione del fascicolo al TAR del Lazio»;

che, ciò premesso, il giudice a quo reputa di dover sottoporre all’esame della Corte costituzionale la questione relativa alla legittimità della nuova disciplina processuale, ipotizzandone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 111, 125 Cost. e con l’art. 23 dello statuto regionale di autonomia;

che è ipotizzato, innanzitutto, il contrasto con l’art. 125 Cost., risultando violato «il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado», finalizzato non solo «a ripartire in modo razionale e equiordinato l’organizzazione dei giudici amministrativi di primo grado», ma anche ad «agevolare il ricorso delle parti alla giustizia amministrativa, in coerenza e continuità logica con i principi desumibili dall’art. 24 della Costituzione»;

che – secondo il rimettente – la disciplina in contestazione, inoltre, darebbe luogo ad «un anomalo percorso che stravolge l’ordinario iter giudiziario», nel quale, invero, «ad una pronuncia di primo grado, cautelare o di merito, consegue, se la parte soccombente ritiene di impugnarla, una pronuncia di secondo grado, e non certo una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado»;

che è dedotta, altresì, la violazione dell’art. 24 Cost., «per la evidente maggiore difficoltà di esercitare le relative azioni presso il Tar del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti», nonché del successivo art. 25, primo comma, il quale escluderebbe che vi possa essere una designazione del giudice «tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta» (il rimettente richiama la sentenza n. 393 del 2002 della Corte costituzionale);

che è ipotizzata la violazione anche dell’art. 3 Cost., «per la disparità di trattamento che la deroga alle ordinarie regole di riparto delle competenze comporta, per la tutela giurisdizionale delle rispettive situazioni giuridiche, tra soggetti in situazioni eguali»: difatti, risultano assoggettati ad un trattamento differenziato i «destinatari delle ordinanze adottate dagli organi governativi o dai commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi efficacia limitata al territorio di una Regione», rispetto ai «destinatari dei provvedimenti, aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via ordinaria», e posti in essere, in genere, «dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o sub regionali»;

che il medesimo parametro è, inoltre, evocato sotto il profilo del difetto di ragionevolezza, atteso che lo stesso tenore letterale del censurato comma 2-bis dell’art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005 rivelerebbe che la peculiare disciplina processuale da esso introdotta «riguarda le ordinanze e gli atti commissariali adottati nelle situazioni di emergenza», dichiarate ai sensi del citato art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «ma non i provvedimenti che tali situazioni dichiarino e che, ove si riferiscano a situazione di limitata estensione territoriale, come sovente accade, continuano a rientrare nella ordinaria competenza del Tar della Regione in cui il provvedimento è destinato ad avere incidenza»;

che, invece, il contrasto con l’art. 111 Cost. è motivato in base all’assunto che la disciplina in contestazione creerebbe «una sorta di gerarchia tra i Tar territoriali, incompatibile con il dettato e lo spirito della Costituzione»;

che è dedotto, infine, il contrasto con l’art. 23 dello statuto regionale, atteso che, in attuazione di tale «norma di rango costituzionale», è stato istituito il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana «che svolge funzioni di giudice d’appello per tutte le impugnazioni proposte avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal Tar della Sicilia»;

che anche con le ordinanze r.o. n. 583 del 2006 e n. 83 del 2007 il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha ulteriormente censurato – in riferimento, peraltro, ai soli artt. 3, 24 e 125 Cost. e 23 dello statuto regionale di autonomia – l’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del d.l. n. 245 del 2005;

che in punto di fatto il giudice a quo deduce di essere investito, nel primo caso, dell’impugnazione proposta avverso una pluralità di atti di una procedura espropriativa alla quale provvede, nella qualità di Commissario delegato a fronteggiare l’emergenza nella città di Catania in relazione alla situazione del traffico, della mobilità e degli interventi di riduzione del rischio sismico connessi e funzionali, il Sindaco del capoluogo etneo;

che nel secondo caso, invece, il rimettente deduce di dover conoscere del «silenzio rifiuto e/o inadempimento», serbato dalle diverse autorità amministrative evocate in giudizio, relativamente alla domanda di risarcimento dei danni avanzata dai medesimi ricorrenti in conformità ad un’ordinanza adottata dal Presidente della Regione Siciliana, in qualità di Commissario alla realizzazione degli interventi diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eventi alluvionali e ai dissesti idrogeologici di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 febbraio 2004;

che le censure di costituzionalità svolte in entrambi tali provvedimenti di rimessione sono pressoché identiche a quelle formulate, sempre dal Tribunale catanese, nell’ordinanza r.o. n. 579 del 2006, salvo che per la mancata evocazione – in ambo questi casi – del parametro di cui all’art. 25 Cost;

 che con l’ordinanza r.o. n. 585 del 2006 il medesimo rimettente solleva questione di legittimità costituzionale analoga a quelle sin qui illustrate, assumendo, tuttavia, quali parametri costituzionali gli artt. 24, 25, 111 e 125 Cost. (e non pure l’art. 23 dello statuto regionale di autonomia);

che il giudice a quo premette, in punto di fatto, di essere investito della domanda proposta da taluni appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza, tutti in servizio a Catania, diretta a conseguire – sulla scorta di quanto previsto dall’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3442 del 2005 – il riconoscimento del diritto alla sospensione delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni, per il periodo dal novembre 2002 al 31 marzo 2004, nonché la condanna delle intimate amministrazioni alla restituzione delle somme illegittimamente trattenute sulle retribuzioni relative al medesimo periodo;

che essendo, a dire del rimettente, pregiudiziale, per la decisione della lite, «conoscere della legittimità» dell’ordinanza suddetta, e risultando questa a sua volta adottata nell’esercizio dei poteri ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, anche la controversia in esame sarebbe attratta nella sfera di applicazione della nuova disciplina processuale prevista dall’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del d.l. n. 245 del 2005;

che di tale disciplina, tuttavia, è dedotta l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 24, 25, 111 e 125 Cost.;

che è dedotto, innanzitutto, il contrasto con l’art. 125 Cost., «e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado», principio che «non ha ragione di subire deroghe nella materia di cui trattasi, in cui le singole situazioni di emergenza», dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «hanno rilievo spiccatamente locale»;

che è ipotizzata, altresì, la violazione dell’art. 24 Cost., «per la evidente maggiore difficoltà di esercitare le relative azioni presso il Tar del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti», e del successivo art. 25, atteso che il principio della precostituzione del giudice sarebbe trasgredito allorché la sua designazione venga effettuata, «tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta» (è citata la sentenza n. 393 del 2002 della Corte costituzionale), occorrendo, pertanto, che «la regola di competenza sia prefissata rispetto all’insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003);

che tale profilo di incostituzionalità emergerebbe vieppiù, secondo il rimettente, se si ha riguardo a quella parte della disciplina in contestazione «che non solo ne dispone l’applicazione ai processi pendenti, ma addirittura consente una riforma dei provvedimenti assunti in sede cautelare in tali giudizi pendenti, ad opera di un organismo pariordinato a quello di provenienza»;

che in tal modo, difatti, il legislatore avrebbe «introdotto un rimedio inedito, che non è di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del già espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilità di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo)», con violazione anche del principio del "giusto processo”, e quindi, anche dell’art. 111 Cost., che non consente «una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado»;

che con l’ordinanza r.o. n. 80 del 2007 il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha nuovamente sollevato questione di legittimità costituzionale dell’ art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge n. 245 del 2005, deducendo la violazione degli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e dell’art. 23 dello statuto della Regione Siciliana;

che il giudice a quo premette di dover decidere in merito al regolamento di competenza, proposto nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto l’impugnativa di un provvedimento emanato dal Commissario delegato per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque (e degli atti consequenziali), provvedimento con il quale veniva, tra l’altro, approvato il progetto presentato dalla società "Sicilpowers.p.a., relativo al sistema di gestione integrato per l’utilizzazione della frazione residua dei rifiuti urbani al netto della raccolta differenziata;

che ciò premesso, il rimettente rileva come proprio la sopravvenuta normativa processuale sopra meglio identificata, imporrebbe di tener conto – nel decidere in merito al proposto regolamento di competenza – «della nuova ipotesi di competenza funzionale inderogabile», prevista in favore del TAR del Lazio, sede di Roma, in relazione alle controversie aventi ad oggetto l’esercizio dei poteri di cui all’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992;

che di tale disciplina, tuttavia, lo stesso rimettente ipotizza l’illegittimità costituzionale sulla scorta di argomenti identici a quelli proposti con l’ordinanza n. 579 del 2006;

che anche le ordinanze r.o nn. 81, 185 e 234 del 2007, emesse dal medesimo Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, presentano identità di contenuto con il provvedimento di rimessione da ultimo citato;

che in questi tre casi il rimettente premette, in punto di fatto, di essere chiamato a giudicare dell’impugnativa rispettivamente proposta avverso: gli atti posti in essere da un Commissario ad acta nominato, nell’esercizio di poteri sostitutivi e derogatori, dal Commissario delegato per l’emergenza idrica (r.o. n. 81 del 2007); i provvedimenti con i quali il Commissario delegato per l’emergenza rifiuti ha approvato un progetto finalizzato a dare vita ad un sistema di gestione integrato dei rifiuti, con realizzazione di un polo impiantistico nel Comune di Augusta (r.o. n. 185 del 2007), ovvero ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale del predetto sistema, autorizzando la realizzazione di impianti di termovalorizzazione nel predetto Comune, nonché di selezione e biostabilizzazione nell’agglomerato industriale Modica/Pozzallo (r.o. n. 234 del 2007);

che, ciò premesso, il rimettente assume – in ciascuna delle citate ordinanze di rimessione – che, ai sensi della disciplina processuale recata dai predetti commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art. 3 del d.l. n. 245 del 2005, le controversie sopra sinteticamente indicate dovrebbero essere integralmente devolute alla cognizione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, giacché in ognuna di esse vengono in rilievo questioni attinenti all’esercizio dei poteri emergenziali ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992;

che, tuttavia, il Tribunale amministrativo catanese reputa tale disciplina processuale costituzionalmente illegittima, deducendone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e con l’art. 23 dello statuto regionale di autonomia, sulla base di considerazioni sostanzialmente identiche anche in questi casi, come già rilevato, a quelle oggetto dell’ordinanza n. 579 del 2006;

che con l’ordinanza r.o. n. 86 del 2007 il medesimo rimettente censura quelle stesse norme evocando quali parametri gli artt. 3, 24 e 125 Cost. e l’art. 23 dello statuto della Regione Siciliana;

che esso – investito dell’impugnativa sia di un’ordinanza di determinazione delle tariffe di smaltimento rifiuti, adottata dal Commissario delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, che di tutti gli atti «comunque presupposti, connessi, coordinati e conseguenti» – reputa di dover sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme suddette, in applicazione delle quali riconosce di dovere, altrimenti, «dichiarare la propria incompetenza, in favore del Tar del Lazio»;

che è ipotizzata, in primo luogo, la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della «disparità di trattamento che la deroga alle ordinarie regole di riparto competenze comporta, per la tutela delle rispettive posizioni giuridiche, tra soggetti in situazioni eguali», giacché la contestata disciplina riserva un trattamento ingiustificatamente differenziato ai «destinatari delle ordinanze adottate dagli organi governativi o dai commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi efficacia limitata al territorio di una regione», rispetto a quello assicurato «ai destinatari dei provvedimenti aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via ordinaria, dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o sub regionali»;

che tale diversità di regime, d’altra parte, non sarebbe giustificabile – secondo il rimettente – neppure in considerazione «della eventuale maggiore rilevanza dell’interesse sotteso ai provvedimenti adottati» in situazione di emergenza, giacché «nel nostro sistema non esiste una distribuzione di competenza» basata su un simile criterio, che sarebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 125 Cost., il quale pone i diversi tribunali amministrativi regionali «su un piano paritario»;

che, del resto, non sia possibile legittimare su tali basi la deroga all’art. 3 della legge n. 1034 del 1971, sarebbe confermato – nella prospettiva del giudice a quo – dallo stesso tenore letterale del censurato comma 2-bis dell’art. 3 del d.l. n. 245 del 2005, rivelatore del fatto che tale deroga «riguarda le ordinanze e gli atti commissariali adottati nelle situazioni di emergenza», dichiarate ai sensi del citato art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «ma non i provvedimenti che tali situazioni dichiarino e che, ove si riferiscano a situazione di limitata estensione territoriale, come sovente accade, continuano a rientrare nella ordinaria competenza del Tribunale amministrativo della regione in cui il provvedimento è destinato ad avere incidenza»;

 che l’evenienza da ultimo descritta, pertanto, testimonierebbe, vieppiù, la «irragionevolezza del disegno complessivo» attuato dalle censurate disposizioni;

che nel caso in esame, quindi, la scelta del legislatore di derogare agli ordinari criteri di riparto della competenza ex artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971 «non appare supportata da alcuna plausibile ragione, dotata di copertura costituzionale, idonea a giustificare la disparità di trattamento che indubbiamente si viene ad operare tra situazioni eguali», donde l’ipotizzata violazione dell’art. 3 della Carta fondamentale;

che il rimettente ipotizza, poi, la violazione anche dell’art. 24 Cost., atteso che la translatio iudicii in favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio «indiscutibilmente comporta un ingiustificato aggravio organizzativo e di costi» a carico dei soggetti «incisi dai provvedimenti adottati dagli organi governativi e dai commissari nelle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225»;

che, inoltre, le norme censurate, contravvenendo all’esigenza «del decentramento territoriale della giurisdizione amministrativa», si porrebbero in contrasto anche con l’art. 125 Cost., che intende garantire una distribuzione territoriale delle controversie tale da agevolare il ricorso alla giustizia amministrativa, «in sostanziale coerenza e continuità logica con i principi desumibili dall’art. 24 della Costituzione»;

che il suddetto parametro costituzionale sarebbe, difatti, svuotato di contenuto, «creando una sorta di gerarchia» tra il Tribunale regionale amministrativo del Lazio e gli altri tribunali e recando un vulnus anche al principio del "giusto processo”, «quale desumibile dal testo novellato dell’art. 111 della Costituzione»;

che, infine, il rimettente deduce la violazione dell’art. 23 dello statuto della Regione Siciliana, atteso che l’impugnativa dei «provvedimenti adottati da organi dello Stato centrale, nelle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, con efficacia territoriale limitata alla Regione Siciliana» rientra certamente tra quegli «affari concernenti la Regione» che, ai sensi della predetta disposizione statutaria, sono devoluti, in sede di appello, alla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana;

che, conseguentemente, lo spostamento delle controversie di primo grado al Tribunale regionale amministrativo del Lazio, comportando, di riflesso, anche il mutamento del giudice d’appello, viene ad incidere sul «plesso giurisdizionale» costituito dal Tribunale regionale amministrativo della Sicilia e dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, ritenuto «un vero e proprio comparto dotato di competenza funzionale a conoscere di tutte le controversie insorgenti nell’ambito territoriale». Orbene, la deroga a tale competenza funzionale si pone in contrasto con il predetto parametro costituzionale allorché risulti, come nella specie, «non assistita da adeguato supporto parimenti di rango costituzionale»;

che un’autonoma censura è, invece, quella che investe «il regime transitorio previsto dalle disposizioni in esame» (ed operante anche nel giudizio a quo), atteso che, interessando lo spostamento della competenza – ai sensi, in particolare, del comma 2-quater del censurato art. 3 – anche i procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore delle norme censurate, risulterebbe violato l’art. 25 Cost., essendo la controversia sottratta al «giudice naturale precostituito per legge»;

che anche con l’ordinanza r.o. n. 235 del 2007 il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, torna a censurare la disciplina processuale recata dalle disposizioni in esame, assumendone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost., e con l’art. 23 dello statuto regionale di autonomia;

che il rimettente, in punto di fatto, premette di essere chiamato a giudicare della legittimità di due ordinanze emesse da un commissario ad acta, incaricato dal Commissario delegato per l’emergenza idrica nella Regione Sicilia del compimento delle procedure per l’affidamento del servizio idrico integrato nel cosiddetto ambito territoriale ottimale di Messina, nonché della consequenziale attività amministrativa posta in essere dallo stesso Commissario delegato;

che in ordine alla supposta illegittimità costituzionale delle norme censurate il rimettente svolge considerazioni pressoché identiche a quelle oggetto dell’ordinanza n. 579 del 2006;

che, del pari, con altre cinque ordinanze di rimessione (r.o nn. 236, 296, 297, 298 e 299 del 2007), il medesimo Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale pressoché identiche a quella oggetto dell’ordinanza da ultimo citata;

che il rimettente risulta investito, anche in ciascuno di questi cinque ulteriori giudizi, dell’impugnativa di ordinanze emesse da un commissario ad acta, incaricato dal Commissario delegato per l’emergenza idrica nella Regione Sicilia del compimento delle procedure per l’affidamento del servizio idrico integrato nel cosiddetto ambito territoriale ottimale di Messina, nonché della consequenziale attività amministrativa posta in essere dallo stesso Commissario delegato;

che l’omogeneità delle controversie devolute al suo esame ha, pertanto, indotto il giudice a quo a proporre le medesime censure, in ordine ai commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art. 3 del d.l. n. 245 del 2005, già sopra illustrate;

che è intervenuto in ciascun giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;

che assume, in particolare, la difesa erariale l’infondatezza della censura formulata ai sensi dell’art. 3 Cost. sul presupposto della (pretesa) «irragionevole disparità di trattamento (nella individuazione del tribunale amministrativo regionale territorialmente competente) tra provvedimenti adottati in via ordinaria e provvedimenti emanati in situazioni di emergenza», ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «attesa la evidente disomogeneità tra le due situazioni poste a raffronto»;

che la difesa dello Stato, difatti, «giustifica la diversità della contestata disciplina» in quanto espressione di una scelta «non arbitraria», giacché assunta in funzione della ragionevole «esigenza di concentrare in un unico giudice di primo grado, anche nella fase cautelare, la pronta e uniforme cognizione delle controversie» in esame, relative a provvedimenti caratterizzati, per loro natura, dalla finalità di realizzare «interventi miranti a fronteggiare situazioni emergenziali»;

che l’Avvocatura generale dello Stato esclude, inoltre, l’esistenza del paventato contrasto con l’art. 24 Cost., atteso che il maggior aggravio ed i più rilevanti costi destinati ad essere sopportati dai destinatari dei provvedimenti in questione, oltre a costituire «conseguenze di mero fatto», non integrano l’evenienza della impossibilità o dell’estrema difficoltà dell’esercizio del diritto di difesa, idonea a concretare la violazione dell’evocato parametro costituzionale;

che, d’altra parte, neppure si potrebbe ipotizzare – secondo la difesa erariale – che le disposizioni censurate violino l’art. 125 della Carta fondamentale, in quanto esso «non preclude certamente al legislatore statale di individuare non irragionevolmente, per determinate "categorie” di controversie, particolari criteri di riparto della competenza territoriale tra giudici di primo grado», derogando a quelli di cui agli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971;

che, analogamente, sarebbe da escludere anche il contrasto con l’art. 23 dello statuto regionale, che esprime «soltanto la necessità» che in Sicilia sia istituita «una particolare articolazione del giudice amministrativo di secondo grado», e che non implica anche il riconoscimento, in suo favore, di una generale «competenza a conoscere ogni tipo di controversia», incluse quelle che – come nella specie – «non hanno alcun rapporto con la materia regionale»;

che, infine, l’Avvocatura generale dello Stato nega che il comma 2-quater dell’art. 3, nella parte in cui estende la nuova disciplina anche ai processi in corso, violi il principio del giudice naturale, e ciò non solo perché la norma censurata fa in ogni caso (temporaneamente) salva «l’efficacia dei provvedimenti cautelari eventualmente adottati dal giudice già competente», ma soprattutto perché la disposta translatio iudicii non potrebbe intendersi come diretta alla arbitraria successiva indicazione di un giudice diverso «appositamente istituito per quella controversia e per quelle parti, con una scelta idonea ad essere orientata in vista di un determinato giudizio», evenienza che la giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 460 del 1994) individuerebbe come la sola idonea ad integrare il contrasto con il suddetto principio costituzionale;

che si sono costituite – nel giudizio originato dall’ordinanza r.o. n. 80 del 2007 – l’associazione Legambiente, Comitato Regionale Siciliano, e la "Sicilpowers.p.a.: la prima, parte ricorrente nel giudizio principale, ha insistito per l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale, la seconda, controinteressata nel medesimo giudizio, ha chiesto invece il rigetto della questione;

che sempre la società "Sicilpower”, con memoria depositata il 3 ottobre 2007, sottolineando come la questione sollevata sia identica a quella decisa dalla Corte costituzionale con sentenza n. 237 del 2007, ha chiesto che la stessa sia dichiarata non fondata;

che, infine, nei soli giudizi originati dalle ordinanze r.o. nn. 185 e 237 del 2007, si è costituita la società "Tifeo Energia Ambiente”, controinteressata in entrambi i giudizi principali, per chiedere il rigetto della sollevata questione di legittimità costituzionale.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con ventinove ordinanze, ha sollevato – in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 24, 25, 111 e 125 della Costituzione, e all’art. 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21;

che, in via preliminare, deve essere disposta la riunione dei giudizi, atteso che la loro comunanza di oggetto ne giustifica l’unitaria trattazione;

che, quanto al merito delle censure formulate dal giudice rimettente, deve osservarsi come questa Corte, con sentenza n. 237 del 2007, abbia già escluso la fondatezza di analoghi dubbi di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la disciplina processuale in contestazione;

che, in primo luogo, le motivazioni della citata sentenza n. 237 del 2007 possono essere qui richiamate in relazione all’ipotizzata violazione dell’art. 3 Cost., prospettata adducendo tanto l’esistenza di una supposta «disparità di trattamento che la deroga alle ordinarie regole di riparto delle competenze comporta, per la tutela delle rispettive posizioni giuridiche, tra soggetti in situazioni eguali» (giacché le disposizioni censurate riserverebbero un trattamento ingiustificatamente differenziato ai «destinatari delle ordinanze adottate dagli organi governativi o dai commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi efficacia limitata al territorio di una regione, rispetto ai destinatari dei provvedimenti aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via ordinaria, dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o sub regionali»), quanto l’irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore, poiché «lo spostamento della competenza su questa materia è irrazionalmente solo parziale», giacché riguarderebbe unicamente «le ordinanze ed i consequenziali provvedimenti commissariali, ma non i decreti governativi che dichiarano lo stato di emergenza»;

che, tuttavia, in ordine alla presunta disparità di trattamento alla quale le norme in contestazione sottoporrebbero «situazioni eguali di fronte alla tutela giurisdizionale», può in questa sede ribadirsi come sia «proprio l’avvenuta dichiarazione della situazione di emergenza, ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992», a costituire «l’elemento caratterizzante la fattispecie oggetto della censurata disciplina, impedendo, così, di ravvisare quel profilo di omogeneità tra tale ipotesi e quella – con cui essa viene posta a confronto – dell’ordinario esercizio dei poteri amministrativi», profilo che rappresenta, invece, «il presupposto indispensabile ai fini della loro valutazione comparativa» (così la sentenza n. 237 del 2007);

che in relazione, invece, al supposto difetto di ragionevolezza, questa Corte ha già rilevato come i giudici rimettenti «non si sono posti alla ricerca di una differente interpretazione» che – «sulla base, peraltro, della semplice lettera della norma» – consenta di ritenere sottoposta alla competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio «anche l'impugnativa dei provvedimenti dichiarativi dello stato di emergenza, qualunque sia il loro ambito territoriale di efficacia, attesa, tra l’altro, la loro natura di atti presupposti» (così, nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007);

che, del pari, manifestamente infondata è la censura sollevata in riferimento all’art. 24 Cost. e motivata, sostanzialmente, in base al duplice assunto che la translatio iudicii in favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio violerebbe «il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni» e doterebbe «la parte soccombente nel giudizio cautelare» – radicatosi nuovamente innanzi al TAR del Lazio, sede di Roma, il giudizio già pendente innanzi al TAR locale, e dallo stesso definito quanto alla domanda di concessione del provvedimento ex art. 21 della legge n. 1034 del 1971 – «di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico» per porre in discussione la decisione già adottata sulla domanda cautelare;

che, tuttavia, in relazione al primo di tali profili, la sentenza n. 237 del 2007 ha osservato come il denunciato inconveniente non costituisca un «grave ostacolo» al conseguimento della tutela giurisdizionale», non concretizzando quella condizione di «sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 della Costituzione» suscettibile «di integrare la violazione del citato parametro costituzionale»;

che in ordine, invece, al secondo profilo di censura questa Corte ha rimarcato «la possibilità di interpretare la norma in conformità con quanto previsto dall’art. 21, tredicesimo comma, della legge n. 1034 del 1971; nel senso cioè che l’efficacia del provvedimento cautelare adottato dal Tribunale locale sia destinata a venire meno, in tutto o in parte, non in forza di una revisione da compiersi necessariamente da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il quale in tal modo assumerebbe una anomala funzione di giudice di secondo grado rispetto a provvedimenti emessi da un organo giurisdizionale equiordinato, bensì in forza di una decisione da prendere sulla base degli ordinari presupposti previsti dall’ordinamento del processo amministrativo per la modificazione o revoca di precedenti misure cautelari già concesse» (sentenza n. 237 del 2007);

che le considerazioni appena svolte consentono, inoltre, di superare anche uno degli argomenti addotti a sostegno dell’ipotizzata violazione dell’art. 25, primo comma, Cost., e cioè quello basato sul rilievo secondo cui la riforma dei provvedimenti cautelari già assunti, «ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza» – nel rappresentare un «rimedio inedito, che non è di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del già espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilità di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo)» – darebbe luogo ad «un anomalo percorso» che, nella misura in cui «stravolge l’ordinario iter giudiziario», violerebbe il principio del "giudice naturale”;

che quanto, invece, all’argomento secondo cui «la ripartizione della competenza territoriale tra giudici» deve essere «dettata da normativa del tempo anteriore alla istituzione del giudizio» è sufficiente ribadire che il principio costituzionale del giudice naturale «viene rispettato» allorché «la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall’uno all’altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque, della designazione di un nuovo giudice "naturale” – che il legislatore, nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente» (sentenza n. 237 del 2007);

che, del pari, è manifestamente infondata la questione concernente la presunta violazione dell’art. 111 Cost., motivata in base al duplice argomento che le disposizioni censurate, creando «una sorta di gerarchia» tra il Tribunale regionale amministrativo per il Lazio e gli altri tribunali, recherebbero un vulnus al principio del "giusto processo” e contravverrebbero alla regola generale applicabile ad ogni giudizio, compreso quello cautelare, secondo cui, ad una sua prima fase, deve seguirne una d’appello, e non già «una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado»;

che in ordine a tale doglianza – a parte, evidentemente, il rilievo che valgono qui le stesse considerazioni svolte circa l’asserita violazione dell’art. 24 Cost. – può ribadirsi, ancora una volta, quanto osservato nella sentenza n. 237 del 2007, ovvero «che tali censure non sono dotate di una propria autonomia rispetto all’ipotizzata violazione dell’art. 125 della Carta fondamentale»;

che in relazione, poi, proprio a tale censura non può che tornarsi a sottolineare che «l’attribuzione della competenza al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anziché ai diversi Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il territorio nazionale, non altera il sistema di giustizia amministrativa», esistendo, nella specie, «ragioni idonee a giustificare la deroga agli ordinari criteri di ripartizione della competenza tra gli organi di primo grado della giustizia amministrativa» (sentenza n. 237 del 2007);

che, difatti, tali ragioni sono state individuate – sempre nella citata sentenza – «nel peculiare regime che connota le situazioni di emergenza – e particolarmente quelle di cui alla lettera c) del comma 1 dell'art. 2 della legge n. 225 del 1992», atteso che, ricorrendo tale evenienza, «i provvedimenti posti in essere dai commissari delegati sono atti dell’amministrazione centrale dello Stato (in quanto emessi da organi che operano come longa manus del Governo) finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunità locali coinvolte dalle singole situazioni di emergenza, e ciò in ragione tanto della rilevanza delle stesse, quanto della straordinarietà dei poteri necessari per farvi fronte»;

che, d’altra parte, neppure può ravvisarsi la denunciata violazione dell’art. 23 dello statuto regionale di autonomia (motivata dall’odierno rimettente in base all’assunto che l’impugnativa dei «provvedimenti adottati da organi dello Stato centrale, nelle situazioni di emergenza» rientra certamente tra quegli «affari concernenti la Regione» che, ai sensi della predetta disposizione statutaria, sarebbero devoluti, in sede di appello, alla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa);

che, difatti, la più volte citata sentenza n. 237 del 2007 ha chiarito che la predetta norma statutaria «stabilisce soltanto che gli organi giurisdizionali centrali debbano avere in Sicilia le sezioni per gli affari concernenti la regione», sicché «l’attribuzione della competenza al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anziché ai diversi Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il territorio nazionale, non viola l’art. 23 dello statuto siciliano»;

che, pertanto, non essendo state prospettate – in relazione a nessuna delle censure formulate dal giudice rimettente – argomentazioni nuove, rispetto a quelle già esaminate da questa Corte, si impone, nel caso di specie, la declaratoria di manifesta infondatezza delle questioni sollevate;

che, difatti, non presenta carattere di novità neppure la censura prospettata con riferimento alla «contraddittorietà e disparità di trattamento processuale» e motivata in base all’assunto che la disciplina in esame «utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualità degli interessi pubblici coinvolti», in tal modo ponendosi in contrasto anche con l’art. 117 Cost., poiché «finisce per attribuire rilievo nazionale anche a questioni riservate alla competenza regionale»:

che, difatti, in relazione a tale censura – ed a prescindere dal rilievo che tale parametro costituzionale non è esplicitamente menzionato nei dispositivi delle ordinanze di rimessione che pure ad esso fanno riferimento, sicché la sua evocazione (peraltro del tutto generica), lungi dall’integrare un’autonoma censura, appare piuttosto un argomento volto a corroborare la doglianza relativa al difetto di ragionevolezza della disciplina censurata – è sufficiente osservare che è «nel peculiare regime che connota le situazioni di emergenza – e particolarmente quelle di cui alla lettera c) del comma 1 dell'art. 2 della legge n. 225 del 1992 – che deve essere, in definitiva, ricercata la ratio che ispira la disciplina processuale in esame» (sentenza n. 237 del 2007).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21, sollevate – in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 24, 25, 111 e 125 della Costituzione, e all’art. 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2007.