ORDINANZA N. 397
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati in data 17 aprile 2002, n. 133, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma della Costituzione, delle opinioni espresse dall’onorevole Silvio Berlusconi nei confronti di Carlo Caracciolo di Castagneto, promosso dalla Corte d’Appello di Roma, sez. quarta penale, con ricorso depositato il 27 giugno 2003 ed iscritto al n. 251 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 17 novembre 2004 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che, con ordinanza del 19 giugno 2003, la Corte d’appello di Roma, sezione quarta penale, ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera adottata il 17 aprile 2002, con la quale – in conformità alla proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere – è stato dichiarato che i fatti per i quali il deputato Silvio Berlusconi è sottoposto a procedimento penale per il reato di diffamazione nei confronti di Carlo Caracciolo di Castagneto riguardano opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che la Corte ricorrente espone che l’onorevole Berlusconi deve rispondere di diffamazione per aver rilasciato, nel corso della trasmissione radiofonica “Radio anch’io”, in onda il 30 novembre 1999, dichiarazioni con le quali offendeva – anche mediante l’attribuzione di fatti determinati – la reputazione di Carlo Caracciolo di Castagneto, in proprio e nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della “Gruppo Editoriale Espresso spa”, di cui fa parte il quotidiano “La Repubblica”;
che dinanzi ad essa Corte d’appello pende l’impugnazione, proposta dal pubblico ministero, avverso la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, con la quale si dichiarava non luogo a procedere nei confronti dell’onorevole Berlusconi, ai sensi dell’art. 68 Cost., ritenendo che le opinioni manifestate nella intervista radiofonica costituissero opinioni che “da tempo, formavano oggetto di doglianze espresse in molteplici atti di sindacato ispettivo, in Parlamento, da esponenti del suo partito e di quella opposizione parlamentare che lo riconosce come proprio leader”;
che, nelle more del giudizio, era pervenuta la deliberazione della Camera dei deputati del 17 aprile 2002, secondo la quale i fatti concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni;
che, riprendendo le motivazioni del GUP, la Camera, anche sulla base di ulteriori atti di sindacato ispettivo, aveva ritenuto le espressioni rientranti nel contesto di polemica politica in tema di rapporto tra politica e magistratura e che l’intervista fosse ricollegabile al ruolo di capo dell’opposizione, costituendo espressione di un diritto di critica nell’ambito di attività prodromiche e conseguenti agli atti tipici del mandato;
che la Corte ricorrente, richiamata la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 10 e n. 11 del 2000; sentenze n. 76 e n. 289 del 2001; sentenze n. 51 e n. 52 del 2002) ha sottolineato: a) che ai fini dell’applicazione dell’art. 68 Cost., non è sufficiente che le opinioni espresse fuori dalla sede parlamentare siano genericamente inerenti all’esercizio delle funzioni, né basta la semplice comunanza di argomenti o l’identità di contesto tra le dichiarazioni e gli atti tipici, ma è necessaria una identificabilità della dichiarazione quale espressione di attività parlamentare e non genericamente politica; con la conseguenza che gli atti extra moenia sono insindacabili solo in caso di corrispondenza sostanziale di contenuto con atti tipici e siano riproduttivi di opinione precedentemente (o contestualmente) espressa in sede parlamentare; b) che la questione dei rapporti anomali tra politica, magistratura e stampa è materia troppo vasta e indefinita e costituisce solo il quadro entro cui si inseriscono le esternazioni rilevanti nel processo; c) che in occasione dell’attività parlamentare tipica non risulta che l’on. Berlusconi (o altro parlamentare) abbia mai espresso l’opinione che “La Repubblica” (o altro giornale) abbia barattato l’impunità del suo editore aderendo al “partito dei giudici giacobini”; d) che gli atti parlamentari richiamati nella delibera della Camera (e prima dal GUP) non fanno riferimento a tale accordo criminoso, ma si inseriscono nel quadro generale suddetto; e) che una qualche comunanza di argomenti può rinvenirsi in una interrogazione presentata da altri parlamentari di “Forza Italia” in epoca successiva (20 gennaio 2000), pertanto irrilevante secondo un principio già affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 289 del 1998);
che, infine, il giudice a quo, richiamato l’orientamento della Corte di cassazione secondo cui la “comunicazione” è elemento essenziale della funzione parlamentare e il collegamento non può dipendere da criteri formali (sentenze n. 16195 del 2002 e n. 8742 del 1999), sostiene che la “comunicazione” non può confondersi con l’aggressione all’altrui reputazione al di fuori di ogni controllo, anche parlamentare, e che, essendo la “comunicazione” elemento strutturale del reato di diffamazione, è necessario un bilanciamento degli interessi attraverso l’individuazione del confine della liceità, anche con criteri formali, per non approdare alla irresponsabilità;
che la Corte d’appello conclude nel senso che la Camera, erroneamente esercitando il proprio potere con la delibera di insindacabilità da essa adottata, ha leso le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria e chiede l’annullamento della suddetta delibera.
Considerato che, in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, se “esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza”, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità;
che nella fattispecie sussistono sia il requisito soggettivo che quello oggettivo del conflitto;
che, quanto al requisito soggettivo, devono ritenersi legittimati ad essere parti del presente conflitto, sia la Corte d’appello di Roma, sezione quarta penale, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente, per il procedimento di cui è investita, la volontà del potere cui appartiene, sia la Camera dei deputati, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la propria volontà in ordine all’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che, quanto al profilo oggettivo, sussiste la materia del conflitto, dal momento che il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, da parte della citata deliberazione della Camera dei deputati di cui chiede l’annullamento;
che, pertanto, esiste la materia di un conflitto, la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzioni proposto dalla Corte d’appello di Roma, sezione quarta penale, nei confronti della Camera dei deputati con l’atto introduttivo indicato in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla Corte d’appello di Roma, sezione quarta penale, ricorrente;
b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati alla Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione, per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, presso la cancelleria della Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, previsto dall’art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2004.