ORDINANZA N.138
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 411 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 12 novembre 2002 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena nel procedimento penale a carico di R.C.M., iscritta al n. 189 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 2004 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 411 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, al fine di disporre l’archiviazione perché il reato è estinto per prescrizione, possa tener conto delle circostanze attenuanti generiche e compiere il giudizio di comparazione tra circostanze;
che il giudice a quo premette che, nell’ambito di un procedimento penale per il reato di truffa aggravata dal danno patrimoniale di rilevante gravità (artt. 640 e 61, numero 7, cod. pen.), il pubblico ministero aveva formulato richiesta di archiviazione sul presupposto che il reato — commesso nel marzo 1995 e con termine di prescrizione quinquennale, ex art. 157, numero 4), cod. pen. — fosse ormai prescritto;
che avverso la richiesta di archiviazione aveva proposto opposizione la persona offesa, onde era stata fissata udienza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 409 cod. proc. pen.;
che, ad avviso del rimettente, nel fatto oggetto del procedimento a quo sarebbe ravvisabile anche l’aggravante di cui all’art. 61, numero 11), cod. pen., trattandosi di truffa commessa nell’ambito di un rapporto fiduciario;
che tale aggravante determinerebbe l’innalzamento della pena massima oltre il limite dei cinque anni di reclusione e, conseguentemente, il raddoppio del termine di prescrizione del reato, ai sensi dell’art. 157, numero 3), cod. pen.: termine che non sarebbe, dunque, spirato;
che al tempo stesso, però, sarebbe possibile concedere alla persona sottoposta alle indagini le circostanze attenuanti generiche, ritenendole equivalenti alle aggravanti: col che il reato tornerebbe a dover essere dichiarato estinto per prescrizione;
che quest’ultima «indagine di merito» — ossia la valutazione della possibilità di concedere le attenuanti generiche e l’effettuazione del giudizio di comparazione tra circostanze — risulterebbe tuttavia preclusa dall’art. 411 cod. proc. pen. e dalla giurisprudenza, anche costituzionale, formatasi in ordine alle ipotesi di archiviazione per estinzione del reato, per mancanza di una condizione di procedibilità e perché il fatto non è previsto dalla legge come reato;
che, sotto tale profilo, la norma impugnata si porrebbe peraltro in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.;
che l’esclusione del potere valutativo in discorso determinerebbe, infatti, una ingiustificata disparità di trattamento fra le diverse cause di estinzione del reato che legittimano l’archiviazione: infatti, nelle ipotesi di morte del reo e di oblazione il giudice può adottare senz’altro il provvedimento «constatando la sussistenza della singola causa estintiva»; nel caso della prescrizione, invece, egli non può tenere conto della «più favorevole pena edittale prevista per il reato circostanziato», che pure influisce sul relativo termine;
che l’art. 3 Cost. risulterebbe violato anche nel raffronto con l’art. 125 disp. att. cod. proc. pen., in forza del quale il giudice dispone l’archiviazione qualora ritenga l’infondatezza della notizia di reato «perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio»;
che, infatti, per effetto della disposizione ora citata il giudice è ammesso a verificare, in termini prognostici, la «tenuta» degli elementi di accusa «in un ipotetico scenario di cognizione piena», al fine di disporre l’archiviazione in presenza di «fonti di prova deboli e non univoche»; la norma impugnata non gli consente, viceversa, di formulare una prognosi di concessione delle circostanze attenuanti generiche, al fine di disporre l’archiviazione per estinzione del reato: sicché, a fronte di «situazioni meritevoli di definizione analoga», i poteri del giudice risulterebbero, nel secondo caso, irragionevolmente menomati;
che sarebbe leso, altresì, il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.: in ipotesi quale quella oggetto del giudizio a quo, difatti, il giudice — in luogo di disporre immediatamente l’archiviazione — sarebbe tenuto a stimolare il pubblico ministero all’esercizio di una azione penale destinata a sfociare, dopo l’udienza preliminare o il dibattimento, nella declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, con inutile ed irrazionale dispendio di risorse processuali;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dell’art. 411 cod. proc. pen., dolendosi segnatamente del fatto che la norma impugnata non consenta al giudice, in sede di decisione sulla richiesta di archiviazione, di tener conto delle circostanze attenuanti generiche e di effettuare il giudizio di comparazione tra circostanze di cui all’art. 69 cod. pen., per desumerne l’intervenuta prescrizione del reato;
che la soluzione normativa censurata si presenta, in realtà, coerente con le caratteristiche della decisione che il giudice è chiamato ad assumere in tema di archiviazione: decisione che — come questa Corte ha più volte e a diversi fini sottolineato — ha natura interlocutoria e sommaria, in quanto finalizzata ad un semplice controllo di legalità sull’esercizio dell’azione penale e non già ad un accertamento sul merito dell’imputazione (cfr. ordinanze n. 54 del 2003 e n. 153 del 1999, in tema di incompatibilità del giudice; ordinanza n. 59 del 2001 e sentenza n. 134 del 1993, in tema di mancata previsione della possibilità di una condanna al rimborso delle spese con il provvedimento di archiviazione; ordinanza n. 150 del 1998, in tema di mancata previsione della possibilità di dichiarare la falsità di atti e documenti; sentenza n. 319 del 1993, in tema di mancata previsione della possibilità di applicare una misura di sicurezza personale);
che, in questa prospettiva, non può ritenersi dunque irrazionale ed arbitraria la scelta legislativa di non demandare al giudice, nella sede considerata, apprezzamenti che presuppongono una valutazione contenutistica sulle caratteristiche oggettive e soggettive del fatto criminoso e sulla personalità del suo autore: quali sono tipicamente — come lo stesso giudice a quo del resto riconosce, qualificandoli espressamente «indagine di merito» — quelli relativi alla concessione delle attenuanti generiche ed alla comparazione tra circostanze di segno opposto;
che tale considerazione vale senz’altro ad escludere l’ingiustificata disparità di trattamento — denunciata dal giudice a quo — fra la fattispecie della prescrizione e talune fra le altre cause di estinzione del reato rilevanti ai fini dell’adozione del provvedimento di archiviazione, la cui verifica da parte del giudice si risolve in un mero riscontro di dati oggettivi, quali la morte del reo e l’oblazione;
che neppure ha pregio l’ulteriore argomento del rimettente, basato sul potere — riconosciuto al giudice dall’art. 125 disp. att. cod. proc. pen. — di disporre l’archiviazione allorché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non appaiano idonei a sostenere l’accusa in giudizio: non potendosi comparare fra loro — al fine di desumerne una disarmonia del sistema — il giudizio prognostico sulla solidità degli elementi probatori, che si risolve in un mero accertamento di superfluità del processo, ed il giudizio prognostico sull’esistenza delle circostanze e sull’esito della loro comparazione, che investe invece, come già rimarcato, proprio il merito dell’imputazione;
che per quanto concerne, infine, l’asserita violazione dell’art. 97 Cost., la giurisprudenza di questa Corte è costante nel senso che il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, pur essendo riferibile anche agli organi dell’amministrazione della giustizia, attiene esclusivamente alle leggi concernenti l’ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l’aspetto amministrativo, mentre è del tutto estraneo all’esercizio della funzione giurisdizionale, che nella specie viene viceversa in rilievo (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 225 del 2003 e n. 408 del 2001);
che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 411 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2004.