SENTENZA N. 319
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 205 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 23 novembre 1992 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palmi nel procedimento penale a carico Luvarà Teresa, iscritta al n. 68 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 giugno 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.
Ritenuto in fatto
l.- Investito della richiesta del pubblico ministero di emettere - in relazione ad un'ipotesi di istigazione non accolta a commettere un omicidio (art. 115 cod. pen.) - un decreto di archiviazione, con contestuale applicazione all'istigatore della misura di sicurezza della libertà vigilata, con divieto di soggiorno nella provincia di Reggio Calabria, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palmi, rilevato che l'art. 205 cod. pen. prevede che le misure di sicurezza possono essere applicate solo con la sentenza di condanna o di proscioglimento e che alla loro applicazione, in via analogica, col decreto di archiviazione osta il principio di legalità e tassatività che informa la materia delle misure di sicurezza, ha sollevato, con ordinanza del 23 novembre 1992, una questione di legittimità costituzionale del predetto art. 205, assumendone il contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost..
La limitazione posta dalla norma impugnata, ad avviso del giudice rimettente, è irragionevole perchè, se il pubblico ministero avesse erroneamente richiesto il rinvio a giudizio, la misura di sicurezza sarebbe stata applicata con la sentenza di non luogo a procedere (art. 425 cod. proc. pen.) all'esito dell'udienza preliminare o, anche prima di questa, con la pro- nuncia ex art. 129 cod. proc. pen.; perchè, inoltre, tali misure avrebbero potuto essere applicate provvisoriamente se il pubblico ministero l'avesse richiesto (ex artt. 312 ss. cod. proc. pen.) riservandosi altre determinazioni all'esito di ulteriori indagini; ed infine, perchè l'art. 240 cpv. cod. pen. consente la confisca delle cose la cui fabbricazione o il cui uso, porto o detenzione costituisce reato, indipendentemente dalla pronuncia di sentenza di condanna.
Da tali rilievi discende anche, ad avviso del remittente, la violazione dell'art. 97 Cost., perchè sarebbe in contrasto con l'esigenza di una efficiente e razionale amministrazione della giustizia che l'obiettivo special-preventivo possa essere raggiunto solo attraverso una strumentale e infondata richiesta di rinvio a giudizio o mediante un altrettanto irrazionale e ingiustificato differimento della richiesta di archiviazione.
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.
L'Avvocatura osserva che, poichè le misure di sicurezza incidono in senso restrittivo sulle libertà dell'individuo, è pienamente giustificato che per la loro applicazione sia previsto un provvedimento, quale la sentenza, reso a seguito del contraddittorio delle parti e assistito da mezzi di impugnazione; provvedimento che, ciò che più conta, è destinato ad accertare il presupposto stesso dell'applicazione della misura da irrogare ed in particolare la sussistenza o meno dei fatti addebitati.
In realtà - osserva ancora l'Avvocatura - dall'ordinanza di rimessione emerge la difficoltà di rinvenire nel sistema del nuovo codice uno strumento che consenta di pervenire all'udienza preliminare in assenza di un reato (ricorrendo nella fattispecie una ipotesi di quasi-reato che impone la richiesta di archiviazione); tanto che una attenta dottrina ha ritenuto di poter risolvere l'"impasse" (nel caso analogo del difetto di imputabilità) ammettendo che il pubblico ministero possa richiedere il giudizio immediato, per ottenere in dibattimento l'assoluzione dell'imputato e l'applicazione di una misura di sicurezza.
Ma a tale risultato, cui potrà eventualmente pervenirsi in via interpretativa o attraverso un intervento chiarificatore del legislatore, è del tutto estranea la norma impugnata.
Considerato in diritto
l.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palmi dubita che l'art. 205 del codice penale, nella parte in cui prevede che le misure di sicurezza - ivi compresa la libertà vigilata irrogabile nell'ipotesi di quasi-reato (art. 115 cod. pen.) - possano essere applicate solo con la sentenza di condanna o di proscioglimento e non anche con il decreto di archiviazione, contrasti con gli artt. 3 e 97 Cost.. A suo avviso, sarebbe irragionevole e contrastante con le esigenze di razionale ed efficiente amministrazione della giustizia che al soddisfacimento delle relative esigenze special-preventive possa pervenirsi solo con una strumentale (ed erronea nel caso di cui all'art. 115 cod. pen.) richiesta di rinvio a giudizio - che consente di provvedere ex artt. 425 e 129 cod. proc. pen. - od un'altrettanto strumentale richiesta di applicazione provvisoria ex art. 312-313 cod. proc. pen., che comporta un'ingiustificata protrazione del compimento delle indagini preliminari; e ciò, anche in raffronto alla confisca, che nell'ipotesi di cui all'art. 240 cpv. cod. pen. può essere disposta indipendentemente dalla sentenza di condanna.
2.- La questione non è fondata.
Il decreto di archiviazione, invero, ha natura procedimentale e si sostanzia in un mero accertamento di superfluità del processo (cfr. sentenza n. 88 del 1991). Ne consegue che ad esso non può accedere un provvedimento di applicazione di una misura di sicurezza il quale presuppone, in primo luogo - nel caso in esame - l'accertamento che il fatto contestato sussista, sia stato commesso dal soggetto e costituisca quasi reato: ciò che può avvenire solo in esito ad un vero e proprio giudizio di merito effettuato nell'esercizio di un potere di giurisdizione.
L'applicazione della misura di sicurezza comporta, inoltre, l'accertamento che la persona cui il quasi reato è addebitato sia socialmente pericolosa, e quindi un ulteriore giudizio di merito da effettuarsi in contraddittorio e nell'esercizio di poteri di cognizione piena: onde un'ulteriore ragione per escludere che possa essere disposta col decreto di archiviazione.
Le suesposte precisazioni, d'altra parte, bastano a render chiaro che ai fini in esame non può farsi alcuna comparazione tra la disciplina dell'irrogazione di una misura di sicurezza personale facoltativa e quella della misura di sicurezza patrimoniale obbligatoria di cui all'art. 240, secondo comma, del codice penale.
La norma impugnata deve perciò ritenersi immune dalle censure mossele dal giudice a quo; e certo non spetta a questa Corte risolvere in via ermeneutica la problematica da questi sollevata o colmare lacune legislative.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.205 del codice penale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palmi con l'ordinanza in dicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/07/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Ugo SPAGNOLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 15/07/93.