ORDINANZA N.150
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 409, commi 1 e 6, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 agosto 1997 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avezzano nel procedimento penale a carico di D.A., iscritta al n. 755 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 marzo 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avezzano, investito della richiesta di archiviazione ex art. 411 del codice di procedura penale relativamente a un ipotizzato reato di falso in atto pubblico estinto per prescrizione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei commi 1 e 6 dell’art. 409 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, e 101 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono, rispettivamente, che il giudice per le indagini preliminari possa dichiarare con il decreto di archiviazione la falsità di atti e documenti e che tale declaratoria vada notificata alla persona sottoposta alle indagini e sia da questa autonomamente impugnabile;
che in particolare, ad avviso del giudice rimettente, la disciplina impugnata determinerebbe "una disparità di trattamento della persona offesa che in caso di richiesta di archiviazione pur nell’accertata falsità dell’atto che la danneggia non può ottenere la declaratoria di falsità di quest’ultimo", mentre la dichiarazione di falsità può essere pronunciata con la sentenza di non luogo a procedere e con la sentenza di condanna emessa a seguito di dibattimento (artt. 425 e 537 cod. proc. pen.);
che, inoltre, la persona offesa, ove non abbia chiesto di essere avvisata della richiesta di archiviazione ex art. 408, comma 2, cod. proc. pen., non sarebbe in grado di conoscere l’avvenuto accertamento della falsità dell’atto e, quindi, di promuovere le azioni civili dirette alla declaratoria della falsità dell’atto;
che risulterebbe pertanto violato anche il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto si consentirebbe "ad un atto pubblico manifestamente falso e tale riconosciuto dall’Autorità Giudiziaria di continuare a svolgere tutti gli effetti inerenti alla propria qualità";
che ad avviso del rimettente la ratio dell’omessa previsione del potere del giudice dell’archiviazione di dichiarare la falsità di un atto discenderebbe esclusivamente dal fatto che la legge non prevede che l’indagato possa autonomamente impugnare il decreto di archiviazione nella parte relativa alla declaratoria di falsità;
che pertanto, in caso di accoglimento della questione di legittimità costituzionale, dovrebbe essere dichiarato illegittimo anche il comma 6 dell’art. 409 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la dichiarazione di falsità sia notificata all’indagato e sia da questi autonomamente impugnabile;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata, sia per la diversa natura del provvedimento di archiviazione e della sentenza di non luogo a procedere, sia perchè la persona offesa potrebbe comunque promuovere le opportune azioni nelle sedi competenti per fare accertare la falsità dell’atto.
Considerato che la doglianza del giudice rimettente si fonda sulla supposta ingiustificata diversità di trattamento riservata alla persona offesa, interessata alla dichiarazione della falsità di un documento, a seconda che la falsità del documento venga accertata in un decreto di archiviazione ovvero nella sentenza di non luogo a procedere pronunciata a conclusione dell’udienza preliminare;
che la censura del giudice a quo é priva di fondamento, per la ragione assorbente che il provvedimento di archiviazione non é assimilabile alla sentenza di non luogo a procedere, diversi essendone la natura e gli effetti;
che, al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente messo in rilievo che le differenze tra il decreto (o l’ordinanza) di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere giustificano una diversa disciplina dei contenuti e degli effetti dei due provvedimenti, precisando, in particolare, che il primo, consistendo nel controllo da parte del giudice per le indagini preliminari sulla scelta del pubblico ministero di non esercitare l’azione penale e sostanziandosi quindi in un "mero accertamento di superfluità del processo" (sentenza n. 88 del 1991), é privo di "stabilità", in quanto può sempre essere superato da una successiva riapertura delle indagini (sentenza n. 134 del 1993);
che tale impostazione é seguita anche dalla giurisprudenza di legittimità, che nel dichiarare abnorme la dichiarazione di falsità di un documento contenuta in un provvedimento di archiviazione, ha rilevato che in sede di decisione sulla richiesta di archiviazione il giudice non compie alcun "accertamento" sul fatto, limitandosi a svolgere una mera funzione di garanzia della legalità in ordine all’esercizio dell’azione penale;
che, dunque, erroneamente il giudice a quo censura la mancata previsione del potere del giudice di dichiarare in sede di archiviazione la falsità di un documento, in quanto tale dichiarazione presuppone un accertamento sul fatto, giuridicamente estraneo al contenuto decisorio del provvedimento di archiviazione;
che la persona offesa interessata alla dichiarazione della falsità di un documento non rimane priva di tutela, in quanto le é data la possibilità di proporre querela di falso a norma degli artt. 221 e seguenti del codice di procedura civile;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 409, commi 1 e 6, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, e 101 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avezzano, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Guido NEPPI MODONA
Depositata in cancelleria il 23 aprile 1998.