ORDINANZA N. 247
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati dell’11 novembre 1999 (doc. IV-quater, n. 86) relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Roberto Pennisi, promosso dal Tribunale di Roma, sezione IV penale, con ricorso del 13 dicembre 2002, depositato il 6 febbraio 2003 ed iscritto al n. 236 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 4 giugno 2003 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto che nel corso di un procedimento penale a carico del deputato Vittorio Sgarbi per il reato di diffamazione aggravata, il Tribunale di Roma, sezione IV penale, con ricorso del 13 dicembre 2002, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla deliberazione adottata in data 11 novembre 1999 (doc. IV-quater, n. 86), con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali è in corso detto procedimento riguardano opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, come tali insindacabili a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
che i fatti attribuiti al deputato Sgarbi consistevano in alcune dichiarazioni ritenute offensive della reputazione del magistrato Roberto Pennisi, diffuse tramite un comunicato stampa ANSA e pubblicate sul quotidiano Il Giornale di Calabria in data 31 maggio 1994;
che la Camera dei deputati aveva approvato la predetta delibera dell’11 novembre 1999 in conformità della proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, la quale aveva osservato che "le frasi pronunziate dal collega Sgarbi erano in stretta ed immediata connessione con l'esito di un procedimento penale che, all'epoca del suo inizio, aveva gravemente leso la reputazione degli indagati, alcuni ex membri del Parlamento, sottoposti ad una lunga custodia cautelare ed esposti con grande enfasi alla pubblica berlina. Si trattava, dunque, di una critica tutta politica sulla conduzione, da parte dell'accusa, di un procedimento penale nel quale le tesi della medesima si erano rivelate del tutto infondate, non senza aver arrecato, tuttavia, un grave vulnus non solo alla reputazione degli interessati, ma anche al rapporto tra opinione pubblica e classe politica. Ciò sia pure in assenza di un collegamento specifico con atti o documenti parlamentari, che comunque deve ritenersi implicito, attesa l'ampiezza e la diffusione che ebbe a suo tempo la discussione tanto sugli organi di stampa quanto, in generale, nel dibattito politico. Inoltre, le frasi vanno inquadrate nel contesto della costante ed intensa battaglia politica che il collega Sgarbi svolge, in Parlamento e al di fuori di esso, contro l'uso distorto degli strumenti giudiziari";
che il Tribunale di Roma, con una prima ordinanza del 14 dicembre 1999, aveva già sollevato conflitto di attribuzione, il quale era stato tuttavia dichiarato dalla Corte inammissibile con ordinanza n. 264 del 2000, in considerazione della mancanza nell’atto introduttivo dello stesso di qualsiasi riferimento agli specifici fatti per cui si procedeva e alla loro esatta qualificazione giuridica, nonché del difetto, sia nel dispositivo sia nella motivazione, del petitum;
che il Tribunale di Roma proponeva quindi un secondo conflitto con ricorso in data 10 ottobre 2000: la Corte, con ordinanza n. 265 del 17 luglio 2001, lo dichiarava ammissibile, "impregiudicata ogni ulteriore decisione definitiva (a contraddittorio integro) anche in ordine alla ammissibilità del ricorso", ma, con sentenza n. 172 del 2002, dichiarava improcedibile il ricorso per tardività del relativo deposito nella cancelleria della Corte, avvenuto oltre il termine di venti giorni dall’ultima notificazione;
che con il presente ricorso, sulla cui ammissibilità questa Corte è ora chiamata a pronunciarsi, lo stesso Tribunale, dopo aver dato atto delle pregresse vicende, ripropone il medesimo conflitto, ritenendo, in via preliminare, che non si sarebbe formata alcuna preclusione o decadenza; e sostenendo, nel merito, l’illegittimità della deliberazione della Camera dei deputati, con conseguente lesione delle attribuzioni dell'organo giurisdizionale investito del giudizio sulla responsabilità penale del deputato Sgarbi, perché – si assume – adottata in palese carenza di specifici profili di collegamento tra l'espletamento della funzione parlamentare e le opinioni espresse da Vittorio Sgarbi.
Considerato che questa Corte ha di recente statuito (sentenza n. 116 del 2003, seguita dalle ordinanze nn. 153, 188, 189 e 214 del 2003) che non è consentita la riproposizione del conflitto dichiarato improcedibile a seguito del mancato rispetto dei termini processuali imposti per la notifica e il deposito del ricorso, e ciò per la "esigenza costituzionale che il giudizio, una volta instaurato, sia concluso in termini certi non rimessi alle parti confliggenti";
che, pertanto, l’attuale ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, con cui il Tribunale di Roma ripropone nei confronti della Camera dei deputati un conflitto di attribuzione già dichiarato improcedibile per tardività del deposito degli atti, va dichiarato inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Tribunale di Roma, sezione IV penale, nei confronti della Camera dei deputati, con l’atto indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2003.