ORDINANZA N.225
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 545 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 2001 dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Fabriano nel procedimento civile vertente tra Martinotti Dante e l'Inps, iscritta al n. 516 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visti l'atto di costituzione dell'Inps, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 26 marzo 2002 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;
uditi l'avvocato Fabio Fonzo per l'Inps e l'avvocato dello Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, con ordinanza del 30 aprile 2001, ha sollevato, in riferimento all’art. 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 545 del codice di procedura civile, "nella parte in cui predetermina la pignorabilità dello stipendio o salario nella misura di un quinto e non ne affida, invece, l’importo alla discrezionalità del giudice, tenendo conto della comparazione delle esigenze di debitore e creditore, con particolare riferimento al diritto, costituzionalmente garantito, alla salute";
che il giudice rimettente precisa che il debitore esecutato ha proposto opposizione all’esecuzione, attuata nelle forme del pignoramento presso terzi, chiedendo la riduzione della somma da versarsi mensilmente al creditore nella misura, inferiore al quinto dello stipendio, di Lire 100.000 mensili, a causa delle precarie condizioni di salute in cui il medesimo debitore versa;
che il giudice a quo ricorda come la norma in esame sia stata più volte sottoposta alla verifica di costituzionalità da parte della Corte costituzionale, che ha dichiarato infondate o manifestamente inammissibili le questioni sollevate in relazione alla predeterminazione legale della misura del pignoramento e alla conseguente riduzione del livello di soddisfacimento dei bisogni del debitore e della sua famiglia;
che, sempre secondo il giudice a quo, l’anzidetta questione non risulta, tuttavia, in precedenza proposta con specifico riferimento alla tutela costituzionale del diritto alla salute, quale diritto fondamentale: nella fattispecie, secondo lo stesso giudice, sarebbe leso proprio tale diritto, in quanto il debitore, per l’esiguità dello stipendio, decurtato di un quinto a causa del pignoramento, sarebbe costretto a ridurre alcune essenziali esigenze non coperte dal servizio sanitario, ovvero a cercare altre fonti di reddito, con conseguente dispendio di energie psico-fisiche ed indiretto aggravamento delle sue condizioni di salute;
che nel giudizio innanzi alla Corte si é costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale, creditore nel procedimento esecutivo, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata;
che l’Inps osserva che analoghe questioni di legittimità costituzionale della stessa norma sono già state risolte in senso negativo dalla Corte costituzionale, e che la questione in esame involge scelte discrezionali appartenenti alla esclusiva competenza del legislatore;
che, ad avviso dell’Istituto previdenziale, la questione risulta infondata, anche se posta in relazione all’art. 32 della Costituzione, in quanto l’ordinamento provvede alla tutela del diritto alla salute mediante l’assistenza sanitaria e sussistono altri strumenti di tutela per fronteggiare gli eventuali pregiudizi derivanti al lavoratore dalla decurtazione del reddito;
che é intervenuto nel giudizio innanzi alla Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o comunque per la manifesta infondatezza della questione;
che, secondo la difesa dello Stato, l’inammissibilità deriverebbe dalla richiesta di una sentenza additiva a soluzione non obbligata, in quanto si vorrebbe introdurre il principio, opposto a quello attuale, della discrezionalità del giudice nella determinazione del limite di pignorabilità; un ulteriore profilo di inammissibilità consisterebbe, ad avviso dell’Avvocatura, nella mancata individuazione, da parte del rimettente, delle modalità attraverso le quali l’eventuale discrezionalità del giudice potrebbe garantire il diritto alla salute; non sarebbe poi in nessun modo ipotizzabile un vincolo di destinazione in spese sanitarie delle somme risparmiate dal debitore;
che la questione - sempre secondo l’Avvocatura generale dello Stato - in ogni caso risulterebbe infondata, poichè la norma censurata sarebbe espressione di una scelta discrezionale, contenuta nei limiti della ragionevolezza, e sarebbe diretta a salvaguardare i diritti del creditore, tutelando al tempo stesso le esigenze primarie del debitore;
che, nell'imminenza dell'udienza pubblica, l'Inps ha depositato una memoria, con la quale eccepisce l'inammissibilità della questione sollevata per difetto di motivazione sulla rilevanza, in quanto il giudice rimettente si sarebbe limitato a dedurre circostanze ipotetiche e non riscontrate in relazione alle esigenze di tutela della salute del ricorrente nel giudizio a quo;
che nel merito, secondo l’Inps, non sarebbe ipotizzabile l'emanazione di una sentenza additiva, che fissi un diverso limite di pignorabilità dei salari, senza invadere il campo riservato alla discrezionalità del legislatore.
Considerato che la scelta del legislatore di determinare un limite fisso percentuale (un quinto) per la pignorabilità dello stipendio o salario del lavoratore (la norma si riferisce a quelli dovuti da privati) rientra nella discrezionalità del legislatore stesso, rispetto alla quale non é configurabile alcun profilo di manifesta irragionevolezza o palese arbitrarietà;
che il legislatore ha scelto la via - per superare un divieto di pignoramento per determinati "crediti impignorabili" - di affidare al giudice la determinazione della parte pignorabile (esecuzione forzata per espropriazione presso terzi) solo a favore di alcuni crediti, caratterizzati da particolari esigenze di sostentamento, ritenute degne di speciale protezione e in presenza di specifici presupposti ("per cause di alimenti": art. 545, primo comma, cod. proc. civ., nel testo sostituito dall’art. 97, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, recante "Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado", sostanzialmente corrispondente al testo originario tranne che per la individuazione del giudice competente); allo stesso modo, ha affidato al giudice il potere di determinare la misura della pignorabilità degli anzidetti stipendi e salari quando colui che agisce é titolare di un credito con speciale esigenza di protezione, quale quello alimentare, in relazione alla peculiare natura dell’obbligo corrispondente (art. 545, terzo comma, cod. proc. civ., nel testo sostituito dall'art. 97, comma 1, lettera b), del predetto decreto legislativo n. 51 del 1998);
che il legislatore, nella sua discrezionalità, al fine di assicurare il contemperamento dell’interesse del creditore (per tributi e per ogni altro credito) - peraltro non sacrificabile totalmente - con quello del debitore, che percepisca da un privato uno stipendio o salario, ha previsto un limite fisso percentuale ragionevolmente contenuto (art. 545, quarto comma, cod. proc. civ.) non essendo obbligato a rimettere in ogni caso la determinazione del limite ad una scelta del giudice;
che gli anzidetti diversi aspetti relativi ai limiti alla pignorabilità sono stati già esaminati da questa Corte in senso positivo, sotto i più vari profili attinenti agli artt. 2, 3, 24, 31, 36, 47 della Costituzione (sentenze n. 434 del 1997; n. 209 del 1975; n. 102 del 1974; n. 38 del 1970; n. 20 del 1968; ordinanze n. 315 del 1999; n. 305 e n. 302 del 1998; n. 260 del 1987; n. 12 del 1977) ed anzi sono state dichiarate illegittime le norme che per i salari, gli stipendi e le pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni non prevedevano un'analoga pignorabilità fino alla concorrenza di un quinto (sentenze n. 99 del 1993; n. 878 del 1988; n. 89 del 1987);
che il diritto alla salute del singolo e le particolari esigenze individuali devono essere assicurate ai non abbienti, o comunque ai soggetti bisognosi di cure o di prestazioni di particolare onere, attraverso gli istituti e gli strumenti dello specifico settore dell’assistenza sanitaria o attraverso quelli dell’assistenza generale e non possono essere addossati, come obbligo costituzionalmente vincolante, a carico del generico creditore, portatore di un diritto ad una prestazione pecuniaria, giurisdizionalmente accertato attraverso un titolo esecutivo;
che, infine, per quanto riguarda il debito, per cui il creditore procedeva in via esecutiva (contributi Inps riferiti a un non breve periodo temporale), deve rilevarsi che il sistema prevedeva una serie di possibilità per alleggerire o diluire il pagamento (condoni e richieste di dilazioni o rateizzazioni), che avrebbero potuto far fronte a talune esigenze sociali, estranee alla giustificazione della norma processuale denunciata, ma sempre rimesse ad iniziative del debitore suscettibili di essere fatte valere nella sede opportuna;
che, pertanto, la questione denunciata é manifestamente infondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 545 del codice di procedura civile, nella parte in cui predetermina la pignorabilità dello stipendio o salario nella misura di un quinto, sollevata, in riferimento all’art. 32, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, con ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2002.