ORDINANZA N. 315
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 545, quinto comma, del codice di procedura civile, e degli artt. 1 e 2 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni) promossi con ordinanze emesse il 14 novembre 1997 dal Pretore di Lecce nel procedimento civile vertente tra Pacella Paola e la Fincosumo s.p.a., iscritta al n. 75 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 1998, e il 12 ottobre 1998 dal Pretore di Lucca nel procedimento civile vertente tra Lazzareschi Vittorio e Ponza di San Martino Stefano, iscritta al n. 880 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di costituzione della Finconsumo s.p.a. e di Ponza di San Martino Stefano nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 giugno 1999 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
uditi gli avvocati Giorgio Gentili per la Finconsumo s.p.a., Renzo Vecoli per Ponza Di San Martino Stefano e l’avvocato dello Stato Maurizio Di Carlo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che nel corso di un procedimento di espropriazione presso terzi il Pretore di Lecce, in sede di opposizione all’esecuzione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 545, quinto comma, del codice di procedura civile, e degli artt. 1 e 2 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni), in riferimento agli artt. 3, 24, 36 e 47 della Costituzione;
che nel giudizio a quo il creditore ha proceduto al pignoramento della pensione erogata alla debitrice da parte della Direzione provinciale del Tesoro di Lecce e la debitrice ha proposto atto di opposizione sostenendo l’impignorabilità del credito in considerazione della sua natura di emolumento pensionistico;
che secondo il Pretore tale opposizione, in base al quadro normativo vigente, dovrebbe essere accolta (donde la rilevanza della questione);
che questa Corte, con alcune precedenti pronunce (fra le quali il Pretore richiama la sentenza n. 55 del 1991), ha ritenuto conforme a Costituzione il trattamento più favorevole che la legge riserva alle pensioni, rispetto agli stipendi, in ordine al requisito della pignorabilità, ma che siffatto orientamento appare condivisibile solo per quelle pensioni (ad esempio la pensione sociale o quella di invalidità erogata dal Ministero dell’interno) nelle quali é prevalente il carattere assistenziale, mentre non può valere in presenza di pensioni che, per consistenza e per diretto collegamento con la precedente prestazione di lavoro, nulla hanno di realmente diverso rispetto alle retribuzioni;
che si potrebbe creare, perciò, la paradossale situazione per cui, mentre retribuzioni di modesta entità possono essere assoggettate al pignoramento, altrettanto non può avvenire nei confronti di pensioni assai sostanziose, il che costituisce un’evidente irrazionalità;
che consentire la pignorabilità delle pensioni regolate dal d.P.R. n. 180 del 1950 per i soli crediti alimentari e per i crediti dello Stato si traduce in un diverso trattamento riservato ai creditori in ordine alla possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti;
che, ad avviso del giudice a quo, le norme impugnate si possono risolvere in un danno per gli stessi pensionati i quali, in mancanza delle idonee garanzie, vedranno ridotto il loro accesso al credito proprio in conseguenza dell’impignorabilità della pensione, con inevitabile violazione anche dell’art. 47, primo comma, della Carta fondamentale;
che nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si é costituito il creditore procedente, chiedendo l’accoglimento della prospettata questione;
che nel corso di un altro giudizio di opposizione all’esecuzione il Pretore di Lucca ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale dei soli artt. 1 e 2 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle del Pretore di Lecce;
che anche in questo giudizio si é costituito il creditore procedente, chiedendo l’accoglimento della prospettata questione.
Considerato che i due giudizi, vertendo su analoghe questioni, vanno riuniti per essere decisi contestualmente;
che le lamentate incongruenze del sistema in esame - pur potendo essere tenute presenti dal legislatore in occasione di un’eventuale riforma che dia al tessuto normativo una maggiore armonia - non sono tali da determinare violazione degli invocati parametri costituzionali;
che non sussiste, infatti, lesione del principio di eguaglianza, poichè la categoria dei lavoratori in servizio non può essere equiparata in toto a quella dei pensionati; e ciò anche se il d.P.R. n. 180 del 1950 regolava in origine allo stesso modo la sequestrabilità, pignorabilità e cedibilità degli stipendi e delle pensioni;
che, nonostante la successiva giurisprudenza di questa Corte abbia modificato le norme nel senso di consentire il pignoramento per qualsiasi credito, nei limiti di un quinto, degli stipendi, dell’indennità di buonuscita e dell’indennità integrativa speciale, va confermato l’orientamento di escludere che gli attuali limiti alla pignorabilità delle pensioni siano in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione (v. sentenze n. 55 del 1991 e n. 231 del 1989, ribadite dalle ordinanze n. 221 del 1995 e n. 447 del 1994);
che secondo tale giurisprudenza la diversità di trattamento tra stipendi e pensioni trova il proprio ragionevole fondamento "nella intrinseca diversità di due situazioni giuridiche che rispondono a principi e finalità diversi, quali quelli espressi, rispettivamente, dagli artt. 36 e 38 della Costituzione";
che i diritti di contenuto previdenziale, inserendosi nel più vasto ambito dei diritti sociali, godono delle speciali garanzie previste per questi ultimi;
che in particolare, pur ravvisandosi in taluni tipi di pensione natura di retribuzione differita, é incontestabile che il trattamento di quiescenza abbia come suo carattere intrinseco quello di sostentare e proteggere per l’avvenire una categoria di soggetti i quali, per varie ragioni, vengono a trovarsi in una condizione di crescente debolezza, a differenza di coloro che svolgono ancora l’attività lavorativa;
che comunque il dedotto parametro dell’art. 36 Cost non può valere nel presente giudizio, trattandosi di principio posto a tutela del lavoratore e non invocabile in danno dei pensionati;
che per quanto riguarda le asserite violazioni dell’art. 24 Cost., vanno qui confermate le osservazioni già fatte da questa Corte nei provvedimenti sopra richiamati, non contenendo le ordinanze di rimessione nuovi profili tali da imporre una diversa decisione;
che neppure sussiste una lesione dell’art. 47 Cost., perchè l’accesso al credito normalmente presuppone una consistenza patrimoniale del richiedente che va oltre il semplice godimento della pensione, ed il profilo indicato dal Pretore di Lecce si risolve in un mero inconveniente di fatto, secondario rispetto ai vantaggi dell’impignorabilità, e comunque non di rilevanza tale da assurgere a violazione di un precetto costituzionale;
che, pertanto, le questioni sono da ritenersi manifestamente infondate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 545, quinto comma, del codice di procedura civile, e degli artt. 1 e 2 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni) sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 36 e 47 della Costituzione, dal Pretore di Lecce e dal Pretore di Lucca con le ordinanze di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 16 luglio 1999.